Conclusioni
Questa non si misura soltanto o principalmente nei risultati mirabili del gran nu- mero di vocazioni di speciale consacrazione fiorite nelle sue opere, quanto, piut- tosto, nell’aver individuato nella cura del terreno, dell’ambiente il dato deci-
sivo, un ambiente impregnato di proposte spirituali, con forte coinvolgimento e
protagonismo apostolico dei giovani stessi, nell’esperienza di gruppo (le Compa- gnie), nella condivisione di vita con gli educatori, nella coltivazione del senso del dovere quotidiano e del lavoro, nell’attenzione all’accompagnamento personale specie mediante il Sacramento della Riconciliazione, nel progetto di un insieme or- ganico di proposte che vanno dalla prima accoglienza fino alle vette della mistica.
Un “sistema”, dunque, il “sistema preventivo” che diventa pedagogia della fede
(in senso soggettivo ed oggettivo). L’applicazione di questo “sistema” fa sì che al- cune delle pecore diventino a loro volta pastori, come in maniera suggestiva, viene descritto in alcuni sogni narrati da don Bosco. Egli stesso afferma: “Si applichi il sistema preventivo ed avremo vocazioni in abbondanza”.
Detta in altre parole, mi sembra che la relazione abbia chiaramente messo in luce che, come fu merito di don Bosco l’aver posto alla attenzione della Chiesa il tema della pastorale giovanile, così egli ha fatto dell’alveo della pastorale giovanile l’ambiente naturale della proposta della vita come vocazione: per il buon cristiano ed onesto cittadino, come per il consacrato ed il sacerdote, ciascuno secondo il dono ricevuto da Dio.
Mi è sembrato, dunque, che proprio nelle parole e nella prassi di don Bosco trovano sintesi ed unità elementi che altrimenti restano confusi, divaricati, inconci- liati. Cultura vocazionale, animazione vocazionale, proposta di vocazioni di spe- ciale consacrazione non sono sinonimi. Rimando, a questo riguardo, al capitolo in- troduttivo del Progetto “… darei la vita” che presenta delle corrette precisazioni teologiche e terminologiche.
Ci siamo quindi introdotti a comprendere come una Scuola ed un Centro di Formazione Professionale possano promuovere la “cultura vocazionale” al loro in- terno, e fare di questa una condizione previa e decisiva per l’animazione vocazio- nale. Già nel precedente Seminario sulla “Urgenza di evangelizzare” erano state poste le fondamenta. La scuola evangelizza e, dunque, correttamente promuove una cultura vocazionale, non mediante la sovrapposizione di proposte “altre”, “di- verse”, “opzionali”, ma attraverso gli strumenti e gli interventi che le sono
propri quali: la cura dell’ambiente, la valorizzazione in chiave educativa delle di-
scipline e delle attività formative, la proposta di attività esplicite di educazione della fede.
Alcune delle testimonianze sono state illuminanti al riguardo. Abbiamo sentito delle esperienze molto belle: l’arte, la letteratura, il contatto nel laboratorio, il coin- volgimento nel volontariato, l’incontro con testimoni, programmi strutturati ed arti- colati pluriennali, ecc. hanno composto un mosaico interessante che comunque fa riferimento a quei tre elementi decisivi propri della Scuola e della Formazione Pro- fessionale.
La relazione del Prof. Savagnone ci ha fatto aprire gli occhi su una realtà pro- blematica e su alcune “pre-condizioni” su cui è possibile minimizzare o sorvolare, ma con le quali facciamo inesorabilmente e quotidianamente i conti. Esse ci fanno comprendere perché è divenuto difficile parlare della vita come vocazione; inoltre ci ha resi avvertiti su come, senza accorgercene, possiamo introdurre nella nostre Scuole e nei nostri Centri di Formazione Professionale dei curricoli impliciti (stili di relazione, gerarchia delle priorità, obiettivi non dichiarati, proposte) che contra- stano con i valori proclamati.
Mi sembra che in essa siano contenuti elementi su cui meditare per ricondurre ad unità la molteplicità degli interventi e delle proposte che animano il quotidiano di una Scuola o di un CFP: lezioni, laboratori, criteri di valutazione, relazioni per- sonali, relazioni intergenerazionali, proposte educative, formative, religiose, attività extradidattiche, libri di testo, esperienze.
Siamo stati invitati, perciò, ad orientare tutta questa messe di elementi verso alcuni centri focali che promuovono l’unità tra la cultura e la vita, educano a pen- sare, coltivano le virtù, fanno della testimonianza degli adulti una proposta credi- bile e visibile.
La Scuola e la Formazione Professionale diventano quindi luoghi che promuo- vono la cultura vocazionale aiutando a riscoprire alcune dimensioni essenziali del- l’essere umano come essere da, essere-con, essere per. Sorvolare su queste sfide
può essere ingenuo.
Il terzo intervento, quello di don Francesco Marcoccio, ci ha offerto un sette- nario di interventi e piste di lavoro che, mi sento di affermare, deve diventare
orientativo ed unificante per tutti noi. E di questo lo ringraziamo di cuore.
Da dove partire rientrando a casa? Nei panni di un coordinatore pastorale io la- vorerei su due elementi strategici fondamentali: la costruzione della Comunità educativa pastorale (CEP) ed il lavoro paziente attorno al Progetto educativo pasto- rale dell’opera (PEPS). Senza di essi, intuizioni e proposte emerse anche in questi giorni, restano prive di seguito e concretezza.
Altra evidenza di queste giornate è la necessità di fare della comunità locale
il luogo naturale della maturazione della cultura vocazionale e dell’anima- zione vocazionale. Alcune testimonianze ascoltate in questi giorni sono state molto
illuminanti. Lo sforzo fatto per individuare i cammini di animazione vocazionale ispettoriale e l’identità delle Comunità Proposta, dovrà essere completato ora da sperimentazione e riflessione in ogni ispettoria sul ruolo della comunità locale, sa- lesiani e laici, in comunione e condivisione nello spirito e nella missione di don Bosco.
A tutti voi ed a coloro che hanno reso possibili queste giornate, un sincero e profondo grazie.
Tipolitografia Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma Tel. 067827819 - Fax 067848333 - E-mail: [email protected]