in un ambiente di formazione al lavoro
Q UALI PRESENZE NELLA C ASA S ALESIANA ?
La Casa Salesiana dove si trova un CFP:
➣ è abitata, direi presidiata, da una Comunità Salesiana;
➣ si anima e si riempie ogni giorno di collaboratori laici che partecipano alla missione;
➣ esplode nell’esercizio delle sue funzioni educative quando arrivano i ragazzi, i soggetti che motivano ogni nostro interesse e che danno senso al nostro vivere e lavorare insieme;
si svuota solo di notte, come il bosco che tace e dorme per prepararsi al nuovo giorno.
Se non ci fosse la contemporaneità di queste presenze i Salesiani potrebbero dirsi monaci e religiosi di tutt’altro tipo in cerca di significato. Ma nella tradizione Salesiana questo avviene da sempre. Qualche nota sull’essenzialità di queste tre presenze andrebbe fatta, ma in altro ambito.
Quello che, invece, occorre dire ora è che è indispensabile che i rapporti all’in- terno di una Comunità educativa, quale è quella appena descritta, non devono es- sere solo funzionali ma di famiglia e di stima e di confidenza reciproca, poiché
questo è il clima che è la sostanza del metodo educativo che vi si pratica, cioè del Sistema Preventivo.
Ancora oggi è possibile scorgere, nelle testimonianze spontanee di tanti nostri ragazzi, la sicura percezione e il godimento benefico dell’atmosfera e delle espe- rienze vissute in tanti nostri istituti che hanno avuto la buona sorte di mantenere la fisionomia di Casa Salesiana.
In ambienti come questi è possibile, anche oggi, fare quelle proposte vocazio- nali sconvolgenti che don Bosco faceva ai suoi ragazzi ed essere ascoltati e seguiti. Gli operatori, immersi in questa atmosfera vocazionale, percepiscono la Casa Salesiana come una centrale di raccolta delle energie utili per l’educazione, dove c’è posto anche per loro e non troveranno fuori luogo se, tra le nozioni di tecno- logia e matematica, sapranno inserire una nota di apprezzamento per don Bosco e per i Salesiani, per un prete o un volontario, tutti chiamati ad una missione di ser- vizio e di disponibilità della propria vita per gli altri.
Qui si pone il problema dei “modelli” proposti ai ragazzi. Certo è indispensa- bile che chi si orienta alla Vocazione Sacerdotale e Religiosa abbia davanti dei mo- delli splendidi e affascinanti, vari e completi. Lo sbilanciamento delle presenze in un CFP verso una presenza del laicato che risulti esclusiva o preponderante, sia dal punto di vista numerico che funzionale, difficilmente potrebbe dare forza ad una proposta vocazionale strettamente intesa.
Occorre porre sotto gli occhi dei ragazzi modelli di ogni tipo, coerenti e fedeli, affinché possa avvenire una scelta consapevole e duratura. Da una testimonianza di un mio amico bolognese docente al CFP, riferisco: “Un ragazzo che vede solo me, insegnante laico, padre di cinque figli, con una famiglia riuscita, mi percepisce come suo modello e non prova neppure ad andare oltre”.
Preferisco pensare allora a Case Salesiane dove la presenza concorde di tutte le componenti costituisca una testimonianza vivente e gioiosa, comunque essa sia suggerita dallo Spirito, abbracciata con gioia per la costruzione del Regno.
Si evince allora da queste considerazioni la necessità e l’utilità di lavorare in- sieme, preti e laici, religiosi e non.
Nella mia modesta, e tutto sommato breve, esperienza di coordinamento di at- tività formative:
➣ Mi sono trovato a sostenere gli interventi dei docenti per una proposta voca- zionale.
➣ Ho anche sperimentato come si fa a smorzare l’irrisione di certi ragazzi nei ri- guardi di altri loro compagni “sospettati” di un possibile orientamento voca- zionale.
➣ Ho provato a fare a tanti ragazzi una proposta vocazionale o in confessione o con la classica parolina all’orecchio detta mentre giocavo con loro o mentre la- voravano in officina.
➣ Ho cercato di sostenere alcuni che si ponevano in stato di ricerca del proprio futuro.
➣ Ad alcuni, oggi Salesiani, ho fatto lezioni private di disegno tecnico e tecno- logia meccanica perché potessero conseguire i titoli necessari al loro inseri- mento nella FP.
Certo avrei voluto che anche per me si ripetesse il “fenomeno don Bosco”. Ma si vede che sono molto diverso da lui. Mi sia consentito un piccolo richiamo auto- biografico: credo di avere sposato bene tra loro la vocazione Religiosa Salesiana, il Sacerdozio e la Professione tecnica dedicandomi alla Formazione Professionale. Certo molti potrebbero incolparmi di “scarso rendimento” del sacerdozio dedicato a compiti così materiali: scuola, officina, macchine, lavoro di produzione, ecc.
Sarà! Ma molti la pensano diversamente. Ho visto occhi illuminarsi quando hanno scoperto che si può fare il prete con i ragazzi lavoratori e da ingegnere.
Mantenendomi ancora per qualche istante, su questa medesima lunghezza d’onda, vorrei qui proporVi un breve ma affettuoso omaggio a una vocazione ben riuscita della quale tutti noi certamente siamo ammirati e grati a Dio.
Vi parlo di don Pasquale Ransenigo, da poco scomparso a cui tanto deve la FP. Non era un tecnico di officina o uno dedito all’insegnamento, benché, da gio- vane Salesiano ha fatto anche questo. Era piuttosto un specialista nelle scienze so- ciali, politiche e giuridiche. Queste competenze egli ha saputo fonderle con la vo- cazione religiosa Salesiana, lavorando per i giovani in un modo diverso da tanti di noi; sedendo al tavolo delle trattative sindacali, salendo le scale di tanti uffici poli- tici, collaborando con l’amministrazione pubblica nel redigere taluni documenti ba- silari per la FP, perché venisse garantita ai giovani del CNOS la possibilità di go- dere di una formazione umana e cristiana, col metodo di don Bosco e nelle case di don Bosco. Tutti gli riconoscevamo tatto e abilità diplomatiche, fermezza e compe- tenza nelle trattative, ma soprattutto fedeltà e alto senso di responsabilità nell’eser- citare il compito di rappresentare la Congregazione in circostanze di grande rilievo. Cari amici anche il modo di fare il Prete Salesiano di don Pasquale Ransenigo per tanti potrebbe apparire inusuale. Forse tanti di noi siamo stati sfiorati dalla ten- tazione di pensare che Don Pasquale avrebbe fatto di più e meglio in qualche par- rocchia o in qualche missione.
Ma anche per lui, credo, si possa dire che don Bosco i Salesiani li voglia così: apostoli santi capaci di utilizzare le competenze acquisite e le qualità naturali e per- sonali per la salvezza dei giovani.
Personalmente ho sempre ritenuto che la genialità di don Bosco si esprime nel modo più alto in questa mirabile sintesi da lui operata di sacro e profano, di reli- gioso e umano, di ecclesiastico e civile, di ministero sacerdotale e di abilità profes- sionale.
Forse è questa la spiegazione del fascino che Egli suscita in tanta gente, e credo che sarebbe inutile qui dimostrare che la FP è il campo più idoneo per cele- brare e attuare questa intuizione sorprendente di don Bosco.
1Formatore CFP Roma Gerini.
1. PREMESSA
• Chi sono i nostri giovani/allievi:
✓ ambiente “periferia” (“ghetto” S. Basilio);
✓ escono (o fuggono?) dal percorso scolastico con basso livello di scolarizza- zione per:
- condizionamenti ambientali/familiari (separazioni, ecc.), - difficoltà cognitive/caratteriali,
- modalità di apprendimento diversa da quella scolastica (“intelligenza nelle/delle mani” non adatta nel percorso scolare);
✓ progetto futuro/lavoro a breve scadenza < > da liceali/universitari (es. 16enne: tra 10 anni sarò sposato …).
• Cosa è la vera Formazione Professionale:
✓ non è scuola! E purtroppo oggi dobbiamo dire che non deve essere neanche una “brutta copia” della scuola;
✓ non è ripiego o “ultima spiaggia” (scuola di serie B: “Consigliamo un Corso di FP ...” da parte dell’orientam ento in 3° Media);
✓ è percorso educativo “parallelo” alla scuola a tutti gli effetti;
✓ è palestra del cittadino/lavoratore (visto che l’Italia è una Repubblica fon- data sul lavoro) e quindi il giovane non è propriamente studente ma “ap- prendista”;
✓ luogo del “formarsi facendo”: imparare a partire dal caso concreto per risa- lire alle motivazioni e al significato.
• Centralità del significato dell’attività professionale/lavoro come orizzonte
privilegiato di riferimento nel cammino formativo/vocazionale dei nostri giovani:
✓ scoperta graduale del significato del lavoro umano nelle dimensioni: - economica/sostentamento materiale,
- psicologica/realizzazione di sé,
- etica/contributo alla società smascherando l’insidia dell’attuale cultura mass-mediale di “virtualizzare” le realtà della vita, compreso il lavoro.