Capitolo I. Pío Baroja: la vita e la produzione letteraria
III.2 Segni dell’essere
III.2.1 Nomen omen
Annosa questione tutt’ora al centro di un acceso dibattito critico, il problema del nome proprio e della sua relazione, estrinseca o intrinseca, con l’oggetto che designa rappresenta un nodo per certi aspetti ancora irrisolto, sul quale manca unanimità di sguardi e di posizioni concordanti. Le tappe fondamentali di questa fervida diatriba vengono portate alla luce e ripercorse puntualmente da Pasquale Marzano nel volume Quando il nome è cosa seria.233 Il critico ricorda i contributi
230 Angelo Marchese, L’officina del racconto, cit., p. 187.
231 La studiosa parla, rispettivamente, di signos de “ser”, signos de “acción” e signos de “relación”.
María del Carmen Bobes Naves, Los signos para la construcción del personaje de la novela, cit., p. 500.
232 Ibidem.
233 Pasquale Marzano, Le funzioni narrative dei nomi asemantici, in Quando il nome è “cosa seria”.
71
dei sostenitori del carattere convenzionale e arbitrario del segno linguistico, e pertanto di quello onomastico, quali Stuart Mill e Saussure,234 per poi passare alle posizioni di studiosi come Lotman e Uspenskij che postulano al contrario la “natura ontologica” dei nomi propri,235 fino alle riflessioni a sostegno del carattere
simbolico del linguaggio di Todorov o Chatman.236
Non mi addentrerò nelle motivazioni addotte dalle varie ricognizioni e incursioni sul tema che negli anni si sono alternate, percorso che certamente trascende i limiti di questo paragrafo: nelle pagine che seguono tenterò un’indagine del procedimento di scelta onomastica operato da Baroja per il protagonista de La lucha por la vida, in una prospettiva che tenga conto anche delle forme onomastiche selezionate per gli altri personaggi della trilogia.
Partirò da una posizione teorica che contempli i nomi propri non come segni che designano senza significare, ma, con le parole di Chatman, come “deittici, cioè indicatori, contrassegnati in modo definito”, 237 luoghi dove possono condensarsi
motivi atti a discriminare un personaggio ai fini della caratterizzazione, e che quindi si offrono a una descrizione, un deciframento.
Sulla base dell’analisi effettuata, circoscritta tuttavia ad un campione di prenomi ristretto rispetto al copioso numero di personaggi che Baroja inserisce all’interno della trilogia e suscettibile pertanto di ulteriori sviluppi, si potrebbe affermare che l’onomastica della trilogia barojiana sembri obbedire, in termini generali, a due sollecitazioni fondamentali: la prima è il gusto per i nomi dotati di una particolare aura significativa, la seconda consiste nell’uso di nomi e cognomi a fine di caratterizzazione sociale. La scelta di ricorrere a prenomi ‘parlanti’, o se vogliamo ’semantici’, sembra ricadere sulla maggior parte dei personaggi comprimari, i cui nomi propri, in molti, casi alludono proletticamente, talvolta in chiave antifrastica, a tratti determinanti dell’azione, del carattere o del destino del personaggio.
L’esempio più emblematico è certamente costituito dell’onomastico Salvadora, il cui nome possiede una carica allusiva tale da predeterminare l’esito narrativo della vicenda che la coinvolge insieme a Manuel: il nome, il cui etimo latino
234 Ferdinand de Saussure, Corso di linguistica generale, Bari, Laterza, 1967. 235 J.M. Lotman, B.A Uspenskij, Tipologia della cultura, Milano, Bompiani, 1995. 236 Tzvetan Todorov, Teorie del simbolo, Milano, Garzanti, 1991.
237 Seymour Chatman, Storia e discorso. La struttura narrativa nel romanzo e nel film, Milano,
72
riecheggia certo la figura cristologica, anticipa ed esplicita il ruolo di redentrice che Baroja le assegna all’interno dell’opera.
Anche nel caso di Roberto Hasting, Baroja sembra aver collegato il nome proprio all’essere costitutivo e simbolico del personaggio, optando per un prenome che preannuncia uno dei leitmotiv legati a questo comprimario, ovvero la sua ricerca di affermazione, di ricchezza e di prestigio sociale, quasi anticipando il suo destino di ‘trionfante compimento’. Il nome proprio Roberto deriva difatti dal germanico
Hrodeberht, composto da hrode (“fama”, “gloria”) e berht (“brillante”, “illustre”)
e può dunque essere interpretato come “fama brillante” o “splendente di gloria”.238
Lo stesso valore simbolico lo si può ritrovare anche nel cognome Hasting, un richiamo esplicito alla città del Sussex, sede di quella che è passata alla storia come “la madre di tutte le battaglie”, che decretò la conquista normanna dell’Inghilterra. La radice haste, nel suo significato di “urgency of movement or action”,239 costituisce una chiara allusione al campo semantico dell’azione, attributo determinante, come emergerà più chiaramente nei paragrafi successivi, nella costruzione narrativa di questo personaggio. Hasting, infatti, con la sua condotta e le sue parole, si fa vero e proprio propugnatore della necessità di alimentare e mantenere vivo un fermo ed energico impulso a la acción, non solo ai fini del raggiungimento dei propri obiettivi ma innanzitutto per evitare di soccombere ne la
lucha por la vida.
Questi due casi di consustanzialità tra nome e personaggio, tuttavia, non sono isolati. Vi si rintracciano, infatti, altri esempi, altrettanto interessanti, come nel caso di Petra e di Vidal. Il nome della madre del protagonista, dall’alquanto intuitivo riferimento a una materia ‘immutabile e resistente’ come la roccia240, consuona la
descrizione di donna “voluntariosa […] de una testadurez de mula”241 che ne viene
fatta all’inizio de La busca, mentre quello del giovane cugino di Manuel e suo compagno di golfería, Vidal, è forma patrimoniale di Vital, lat. vitalis, “che ha vita, vitale”242, al quale il protagonista guarda con occhi di ammirazione per la sua grinta
238 Diccionario de nombres de persona, s.v. Roberto (trad. mia). 239 Oxford English Dictionary, s.v. haste.
240 “PETRA: forma femenina de Pedro, transcripción latina literal del armenio Kefa, «piedra», en
latín Petrus: «firme como la piedra»”. Diccionario de nombres de persona.
241 Pío Baroja, La busca, p. 247.
73
e la sua esuberanza:“Vidal, con la superioridad que tenía para todo, aprendió las canciones enseguida; Manuel, en secreto, le envidiaba”. 243
Un altro caso emblematico è quello di Custodio, il trapero (it. “straccivendolo”) che percorre quotidianamente le strade di Madrid in cerca di “trapos y papeles”244
da raccogliere e poi rivendere: ancora una volta il contenuto semantico del nome sembra anticipare il ruolo del personaggio, che dopo aver raccolto Manuel dalla strada, nello stesso modo in cui è solito “recoger algo en la calle”,245 lo accoglie
nella sua umile casa e si prende cura di lui, offrendogli, oltre a un esempio morale di umiltà, abnegazione al lavoro e buona condotta, un lavoro che gli impedisca di cadere nuovamente nella golfería. Il nome è parlante e ben riconoscibile: dal latino
custodio, cast. “custodiar”, “guardar”246, it. “custodire”, “vigilare”.
L’ultimo esempio sul quale vorrei richiamare l’attenzione è quello di Horacio, personaggio che compare nel VI capitolo di Mala hierba. In un breve scambio di battute con il protagonista, questo personaggio avanza una considerazione sulla potenza incontrastata del denaro ̶ in mancanza del quale all’individuo non rimane altra possibilità se non quella di morire in modo poco dignitoso247 ̶ che sembra instaurare una correlazione con certe riflessioni del poeta latino Orazio, filosofo della virtù e della vita ritirata dal potere, in merito allo stesso argomento. Mi riferisco, in particolare, ad alcuni frammenti delle Epistole, come quelli che seguono:
O cives, cives, quoerenda pecunia primum est, Virtus post nummos. Hoec Janus summus ab imo Perdocet: hoec recinunt juvenes dictata, senesque.248
Scilicem uxorem cum dotem, fidemque, et amicos, Et genus, et formam regina pecunia donat,
243 Pío Baroja, La busca, p. 419. 244 Ivi, p. 426.
245 Ivi, p.427.
246 Diccionario de nombres de persona, s.v. Custodio.
247 “Como no tienes dinero […] probablemente morirás en algún hospital”. Pío Baroja, La busca, p.
218. (trad. mia).
248 “O cittadini, cittadini, prima si deve cercare il denaro, e dopo il denaro la virtù. Questo è ciò che
dall’alto al basso Giano c’insegna; son questi i precetti, che ricantando van tutti, giovani e vecchi”. Orazio, Epistola I, 1, 53, in Celestino Massucco (a cura di), Opere diQuinto Orazio Flacco tradotte in lingua italiana, Genova, Giossi, 1810, p. 14.
74 Ac bene nummatum decora Suadela Venusque.249
Se nei casi finora citati Baroja sembra aver dato al valore degli onomastici scelti un contenuto latente riguardo al destino o alle qualità distintive dei personaggi, in altre occasioni la scelta dello scrittore ricade nomi propri che, pur nella loro densità semantica, designano non per affinità ma per antifrasi.
Tra gli esempi più lampanti è possibile annoverare il caso di Bonifacio Mingote, il cui nome deriva dal latino bonum facere, cat. “hacer bien”, it. “fare bene” e si lega pertanto, antifrasticamente, alla natura di questo personaggio, descritto come
un maestro en todas las artes del engaño, ingrato procaz, cobarde con los valientes, valiente con los cobardes, petulante y vanidoso como pocos, amigo de atribuirse las heroicidades y los méritos ajenos y de repartir entre los demás los defectos propios.250
Caso ancora più paradigmatico è quello di Jesús, amico e compagno di scorrerie di Manuel, il cui prenome rappresenta palesemente un richiamo alla figura del Cristo, ma con una forte nota oppositiva. Il ritratto iniziale delineato dal narratore mette in risalto anzitutto la generosità del personaggio, che emerge palesemente quando offre a Manuel, affamato e senza un soldo in tasca, un pasto caldo e un luogo dove dormire durante il suo primo giorno di lavoro in tipografia, oppure quando accoglie Salvadora e il suo piccolo fratello nella propria casa, trovati soli e denutriti nella locanda di Santa Casilda. Tuttavia, man mano che avanza la narrazione, emergono elementi che contribuiscono a connotare il personaggio in modo nettamente negativo: alcolista, irresponsabile, violento nei confronti di una delle sue due sorelle, soprannominata la Fea, intrattiene un rapporto incestuoso con l’altra, Sinforosa, chiari segni del suo rifiuto di ogni forma di organizzazione sociale o di potere istituzionale. È inoltre interessante notare come il prenome Jesús, nel suo riferimento al Cristo, al Salvatore, crei un parallelismo semantico con il personaggio della Salvadora. Tale simmetria non si limita al piano onomastico nella misura in cui, come avremo modo di commentare nei paragrafi successivi, questi
249 “Sibbene la Regina Pecunia è quella che dà, e con buona dote, una moglie e credito e amici e
nobiltà e bellezza; e l’uomo danaroso Venere e Suada adronano”. Orazio, Epistola VI, 1, 37, in Ivi, p. 144.
75
due comprimari rappresentano due poli opposti –uno positivo, l’altro negativo– del medesimo ruolo narrativo.
Altro esempio è quello di Justa, figlia di Custodio introdotta in uno dei capitoli finali de La busca, che possiede un nome di etimo latino che sembrerebbe designarne l’integrità morale (“aquel que es justo, recto, que observa el derecho”251). Tuttavia, essa viene descritta nel VII capitolo della terza parte come
dotata di una certa malizia, unita a una “coquetería chulesca y desgarrada” che “creaban en derredor suyo una atmosfera de deseo”.252 “Con la libertad de palabras
que le caracterizaba”, puntualizza il narratore,
la Justa tenía conversaciones escabrosas; contaba a Manuel lo que la decían en la calle, las proposiciones que los hombres deslizaban en su oído y hablaba con gran delectación de compañeras de taller que habían perdido su flor de azahar en la Bombilla o en las Ventas con cualquier tenorio de mostrador […]. Las frases de Justa tenían siempre un doble sentido, y eran, a veces, alusiones candentes.253
Attraverso le allusioni all’ indole disinvolta e a tratti impudica della ragazza, la narrazione sembra insinuare dei dubbi sulla sua rettitudine morale. Di nuovo, la scelta onomastica di Baroja pare sottintendere una intenzione antifrastica.
Passando ai soprannomi, si può osservare che l’inventario è assai nutrito. È altresì evidente che tali soprannomi, nella maggior parte dei casi, non servono ad integrare il sistema antroponimico ma a sostituirlo completamente, così che il lettore conosce molti dei personaggi secondari solamente attraverso degli appellativi. La loro incidenza, principalmente legata all’antroponimia popolare, è preminente ne La busca mentre sembra affievolirsi in Mala hierba e in Aurora roja, dove l’ambientazione non è più quella callejera, degradata e fatiscente delle aree suburbane del primo romanzo, ma è caratterizzata da quelle del centro della città. Potremmo supporre che questi personaggi, privi come sono di un’identità onomastica propria, ovvero di un nome e di un cognome, e il cui ruolo narrativo si limita nella maggior parte dei casi a quello di una comparsa –ad eccezione del
Bizco–rappresentino uno strumento di rappresentazione fededegna, perché in presa
251 Diccionario de nombres de persona, s.v .Justo. 252 Pío Baroja, La busca, p. 442.
76
diretta, del contesto sociale in cui si muovono il protagonista e i comprimari. Sono personaggi ‘di contorno’, la cui identità, ridotta a soprannome, dà ‘colore locale’ e vivacità alla descrizione dell’ambiente. Possiamo allora osservare che molti dei soprannomi presenti nella trilogia sono creati per “relación de contigüidad”254 e
rappresentano un traslato metonimico di un tratto caratteristico dell’immagine esteriore del personaggio (Rubia) o di un suo difetto fisico, assumendo in quest’ultimo caso una connotazione dispregiativa che spesso consuona con la sua natura morale (Bizco, Cojo, Chata). Altre volte si tratta di evidenziare una sua eventuale somiglianza con il mondo animale (“era un cordonero […] a quien llamaban el Besuguito por su cara de pez”255), o di anticipare proletticamente la sua indole o il suo temperamento (ad esempio Escandalosa, introdotta come “una mujer ladrona de fama”256 o Lechuguino, “un tío que tiene lo menos cincuenta años y anda
por ahí echándoselas de pollo”257). Nei soprannomi creati per affinità rientrano
inoltre quelli che specificano l’individuo indicandone il luogo d’origine (Valencia,
Tabuenca,258 Chungui259), la professione (Corretor, Carnicerín, Arenero) o la condizione esistenziale, come nel caso di Expósito il cui nome rivela chiaramente la sua condizione di inclusero (persona cresciuta in un berotrofio). L’aggettivo
expósito indica, difatti, un neonato “abandonado o expuesto, o confinado a un
establecimiento benéfico”.260 È lo stesso personaggio, in questo caso, a confermare
la relazione che lo lega al proprio soprannome:
“[…] ̶ ¿Y por qué te llaman Expósito? ̶ ¡Toma! Porque soy inclusero”261
254 Desumo questa e altre categorie da quelle individuate da Olga Mori in El apodo: procedimientos
de creación, in Dieter Kremer (edizione di), Actes du XVIII Congres Internacional de Linguistique et de Philologie Romanes, Tübingen, Max Niemeyer Verlag, 1989, p. 602.
255 Pío Baroja, La busca, p. 353. 256 Ivi, p. 405.
257 Ivi, p. 344.
258 Comune spagnolo nella comunità autonoma di Aragona.
259 Chungui è uno dei dieci di distretti della provincia di La Mar, in Perù. 260 DRAE, s.v. expósito.
77
Significativi sono anche i casi di soprannomi creati sulla base di un contrasto ironico o antifrastico,262 che vuole evocare una caratteristica antitetica rispetto a quella realmente posseduta dal personaggio: ad esempio, il nomignolo Paloma, che rimanda al simbolo cristiano di innocenza e purezza, designa una gitana che “representaba cuarenta años lo menos de prostitución, con sus enfermedades consiguientes”,263 mentre il personaggio dal nomignolo Apóstol è un “jugador
borracho”.264
Sulla scorta delle considerazioni fin qui emerse, passiamo ora a focalizzare l’attenzione sulle scelte operate da Baroja in merito al protagonista de La lucha por
la vida: Manuel Alcázar. Analizzando l’etimologia del prenome scopriamo che esso
si costruisce sull’aferesi di Emmanuel, antroponimo biblico che deriva dall’ebraico
Emmanu-el, letteralmente “Dio è con noi”265; Alcázar è un cognome di formazione toponimica, dall’arabo al-qsar, (“fortezza”, “palazzo”).266 Difficile intravedere una
relazione tra l’etimologia del nome e l’identità del personaggio: sembrerebbe che, a differenza di quanto osservato per i principali comprimari de La lucha por la vida, Baroja abbia scelto per il protagonista della trilogia un nome non immediatamente allusivo che, per utilizzare una formula di Marzano, potremmo definire un “nome asemantico”.267 Tale operazione sembrerebbe senza dubbio priva di rilievo critico-
interpretativo se non tenessimo in considerazione quanto appena commentato in merito agli altri personaggi. Come spiegare, dunque, una scelta tanto dissimile rispetto ai criteri di scelta onomastica individuati finora? Se è spesso vero, come ricorda Marzano citando le parole di Jurij Tynjanov, che “nell’opera d’arte non ci sono nomi che non dicano qualcosa”,268 una simile scelta deve necessariamente prestarsi a un’interpretazione. In Le funzioni narrative dei nomi asemantici, Marzano analizza minuziosamente la categoria onomastica asemantica, partendo dal presupposto che essa possa seguire gli stessi percorsi dei nomi semantici, tanto
262 Mori parla di “relación de oposición”. Olga Mori, El apodo: procedimientos de creación, cit., p.
603.
263 Pío Baroja, La busca, p. 326. 264 Ibidem.
265 Diccionario de nombres de persona, s.v. Manuel.
266 Grace Alvarez, Topónimos en apellidos hispanos, Garden City, Estudios de Hispánofila, 1968,
p. 27.
267 Pasquale Marzano, Le funzioni narrative dei nomi asemantici, cit., p. 77-92. 268 Ivi, p. 77.
78
che “la maggior parte delle funzioni narrative può essere esplicata in fondo da entrambe le categorie onomastiche e che solo alcune di tali funzioni si possono dire esclusive dell’una o dell’altra”.269 L’inserimento di un antroponimo reale e non
allusivo in un contesto fittivo ha come caratteristica quella di operare come strumento di ancoraggio referenziale o, in senso più ampio, come “effet de réel”, sulla scorta della definizione di Barthes,270 oltre a certificare il decorum onomastico dell’opera, ovvero giustificare la verosimiglianza dell’ambientazione e delle vicende narrate. Sembra interessante notare che la scelta di Baroja ricada su un prenome ‘anonimo’, comune e di ordinaria reperibilità nella Spagna di fine secolo. Il suo più diffuso ipocoristico, Manolo, ha dato origine al nome comune manolo, “persona de las clases populares de Madrid que se distinguía por su traje y desenfado”. 271 L’ultima edizione del DRAE fa risalire le prime attestazioni del suo
uso alla fine del XVIII secolo (“A partir del siglo XVIII y principios del XIX”). In realtà, la prima attestazione documentata dal CORDE (Corpus Diacrónico del Español) risale al 1811,272 mentre il primo dizionario che introduce questo significato è quello della Real Academia del 1843.273
Proprio alla luce di questa derivazione e del significato che essa implica, la scelta onomastica di Baroja potrebbe apparire meno neutra, in quanto dettata dalla volontà di elevare a protagonista un personaggio ritratto nella sua contingenza storica, connotato socialmente ancor prima di entrare in scena, il cui nome, che da un lato può apparire anonimo perché, come detto, estremamente diffuso nel contesto sociale in cui esso è calato, sembra porlo su un piano di astrazione maggiore rispetto agli altri personaggi, tendendo verso ciò che potremmo definire con ciò che Lukács ha descritto come il “livello della generalizzazione concettuale”,274 ovvero il delineare vicende, situazioni e passioni individuali di un personaggio determinato che “esorbitano dai limiti del mondo puramente individuale” in un tentativo di “elevare l’individualità a tipicità senza privarla del rilievo individuale”.275
269 Pasquale Marzano, Le funzioni narrative dei nomi asemantici, cit., p. 78. 270 Roland Barthes, «L’effet de réel», Communications, XI, pp. 84-89. 271 DRAE, s.v. manolo.
272 CORDE, s.v. manolo. 273 NTLLE, s.v. manolo.
274 György Lukács, Il marxismo e la critica letteraria, Torino, Einaudi, 1964, p. 330. 275 Ivi, pp. 329-330.
79
Come puntualmente segnalato da Martínez Palacio276 e Luis Maristany,277 Baroja ha voluto convertire in eroe un personaggio tradizionalmente concepito, dall’ottica borghese, come un antieroe: il golfo, per la prima volta inserito in un’opera letteraria con il ruolo chiave di protagonista, intorno alla cui figura lo scrittore aveva disquisito nel saggio Patología del golfo, uscito su Revista nueva nel 1899, pochi anni prima della pubblicazione dei tre romanzi. Baroja descrive quello della golfería come un fenomeno sociale che attraversa trasversalmente tutte le classi (“no es fruto de una clase determinada”,278 afferma, distinguendo poi in
Mala hierba fra golfería miserable, golfería financiera e aristocrática), che
raccoglie al suo interno “hombres desligados por una causa cualquiera de su clase; sin las ideas, ni las preocupaciones de ésta; con una filosofía propia que es, generalmente, negación de toda moral”, il cui campo d’azione all’interno della lotta per la sopravvivenza sarà logicamente influenzato dall’ambiente sociale di provenienza.279
Manuel all’inizio del romanzo è estraneo al fenomeno della golfería, con la quale tuttavia non tarderà ad entrare in contatto poco dopo il suo arrivo nella Capitale. Egli rappresenta senza dubbio il “golfo pobre” e, come vedremo, è descritto in quella fase di passaggio “de la infancia a la juventud”, individuata da Baroja nel succitato saggio Patología del golfo come il momento i cui “se decide la suerte del golfo; entonces o entra en un taller y se hace hombre honrado o va a engrosar las