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Nonostante le critiche molto forti, ma anche le lodi per il «primo lavoro in italiano» del genere, Gamberini ha continuato a lavorare al suo Metodo negli ann

perfezionandolo fino a raggiungere l’ultima edizione definitiva, la sesta, nel 1906.

Per la passione con cui difende la causa ceciliana e la necessità della riforma a

Bologna, si può affermare che don Gamberini da questo momento fino al 1908,

sarà una presenza costante nella critica bolognese e rappresenterà, seppur a volte

in sordina, la voce ceciliana attraverso le sue appassionanti critiche su «L‘Unione».

Certo è che il suo costante impegno gli varrà la possibilità di collaborare con

«Musica Sacra», quale corrispondente da Bologna, e il posto alla Metropolitana

come prefetto del coro, nonché la nomina a professore in Seminario dal 1897 per

il corso di canto gregoriano.

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Tab. 1: confronto tra la critica apparsa su

«Civiltà Cattolica» e il Metodo teorico-pratico, I ed., 1889.

«Civiltà Cattolica», IV, v. IV, s. XIV, 1889, pp. 715-19.

Metodo teorico-pratico I edizione 1889

Passando a giudicare con l’usata nostra franchezza dell’intrinseco merito di

questo nuovo lavoro,ci dispiace

anzitutto che il ch. Autore, mentre propugna eccellenti dottrine, non abbia saputo disfarsi di quella stranissima ed assurda che è la riduzione de’ modi irregolari a regolari con la mentale sostituzione delle chiavi (p. 53-55) È ben vero ch’ei la chiama regola

malsicura; ma perciò stesso dovea stare

in guardia per non cade nelle panie, come di fatto vi è caduto. Perocché i due esempii ch’egli reca sono la prova più aperta dell’assurdità di tutto questo curioso e per noi inconcepibile sistema; il Cantabo Domino (p.53) di modo X, che si vuol ridurre a modo II, letto in chiave di fa, presenta un tritono spaventoso alle parole et psallam nomini e deve correggersi col bemolle al si, o meglio col

bemolle in chiave; e l’Haec dies (p. 55),

parimente di modo X, ridotto a modo IV con la chiave di fa, deve avere un

diesis in chiave, perché la melodia non

riesca, come qui si legge, snaturata e contorta.

Torniammo a dire quel che abbiamo scritto altra volta; non si tratta qui di riduzione di modo, ma di semplice trasposizione di grado, la quale però deve acconciarsi secondo il bisogno con gli accidenti musicali. Il ch. Autore in una nuova edizione del suo libro sopprimerà senza dubbio, e per intero, queste due brutte pagine […].

[p. 53]

D.- In quale maniera si riducono i modi irregolari,

alla regolarità degli otto modi ordinari

R.- I modi irregolari si riducono alla regolarità degli

otto modi ordinari in questa maniera: il IX modo, che termina in La acuto, oltrepassando l'estensione ordinaria delle melodie gregoriane, non s'incontra che raramente nei libri corali; e incontrandosi, converrà abbassarlo di una quinta, cioè al Re grave, per ridurlo alla regolarità del modo primo. Il X è il

modo irregolare, che più spesso s'incontra; esso

termina in la, perciò converrà abbassarlo parimente di una quinta per ridurlo al modo secondo plagale.

(1) Questa melodia si considera di 5° tono già trasportato alla quarta di sotto

[pp. 54-55]

D.- Vi sarebbe altra maniera di rimettere una

melodia trasportata al suo posto naturale per conoscere a qual modo appartenga?

R.- Si potrebbe ricorrere al cambiamento mentale

della chiave sostituendo, cioè, la chiave di Fa a quella di Dose da questa è retta la melodia, o viceversa. Ma questa regola non è sempre sicura; e per ben conoscere la qualità del modo trasportato, o irregolare, si deve attentamente esaminare l'intrinseco suo costitutivo, cioè, quale sia l'andamento sotto la chiave sostituita, e per mezzo delle quinte e quarte proprie a ciascun modo regolare, ridurla al suo posto naturale. Per esempio la melodia del Graduale nella messa di Pasqua «Haec dies» segnata di modo X benché col mentale cambiamento delle chiavi di

Do in quella di F, abbia per finale il Re grave, non

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alla quarta bassa, cioè al Mi grave.

(2) Questa melodia di tono irregolare si riduce al sesto

tono regolare per la quinta di sotto.

In secondo luogo ci dispiace che il Gamberini non siasi messo, per così dire, a golfo lanciato nelle nuove vie che il progresso moderno in questi studii gli veniva additando;

massimamente che ,non avendo altri che il precedesse in Italia, trovava sgombero il passo e poteca quindi con ogni facilità raccogliere il ben detto dal Pothier, dal Kienle, dall’Haberl, farlo suo, applicarlo al bisogno delle edizioni autentiche che abbiam per le mani, e darci un libro, non pure nuovo, ma in ogni sua parte pieno e perfetto. Egli invece si restrinse a qualche nozione archeologica intorno alle chiavi (p. 19)

[p. 19]:

«Ecco le diverse fasi, secondo Dom Pothier, della forma delle due chiavi usate nel Canto Gregoriano:

Queste due ultimi forme di chiavi di Do e di Fa, cioé, del secolo XIV° si veggono usate, benché con qualche piccola variante, anche nei libri corali autentici.

D.- Le chiavi di Do e di Fa hanno posto fisso nel rigo?

R.- Queste chiavi non hanno posto fisso nel rigo del

canto gregoriano, e possono, al bisogno, collocarsi al principio di una delle quattro linee del rigo stesso, ma ordinariamente sulla seconda, o sulla terza, non mai fra gli spazii interlineari; perciò, se la chiave di

Do imbocca la terza linea, tutte le note che sono in

questa linea saranno Do, dalle quali prenderanno la loro denominazione tutte le altre note, che vanno d'alto in basso, o viceversa, e ciò dicasi anche della chiave di Fa.

alla dottrina del ritmo (pp. 36, 37)

[pp. 36-37]

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Del ritmo nel Canto Gregoriano

Noi non sapremmo meglio trattare brevemente quest’articolo se non coll’attenerci alla dottrina del Benedettino Ambrogio Kienle nella sua bell’Opera

Théorie et Pratique du Chant Grégorien (1) anzi ne

prenderemo quelle parti, che più ci servono all’uopo e danno una sufficiente idea di esso ritmo, che è soffio vitale, come dice lo stesso Autore, che anima il

corpo de‘ suoni.

Questo ritmo, a cui si sente naturalmente attratto l'uomo, si manifesta nei movimenti del linguaggio, non che nella musica; sicché come l'orecchio nostro gode in udire un ben ordinato discorso, le cui parole di vario metro e sillabe di diverso accento, come dice Haberl (2), si collegano in un atto delizioso e soave, così pur gode in udire una melodia gregoriana eseguita nel ritmo libero della lingua (3).

D.- Che cosa è il Ritmo?

R.- Il Ritmo, parola derivata dal greco ρέω,è un

movimento armonioso, ordinato e regolato, corrispondente per la sua vaghezza al sentimento estetico, che egli appaga. Considerato come espressione di un movimento animato e successivo, il ritmo appartiene alla musica, al canto, al linguaggio, non meno che ai movimenti del corpo nella marcia e nella danza.

D.- Di quante sorte è il ritmo?

R.- Il ritmo altro è oratorio o libero, altro è metrico o misurato.

Il ritmo oratorio o libero, che è proprio del discorso e del canto gregoriano è l'effetto della disposizione naturale delle parti nella melodia gregoriana; e il ritmo metrico o misurato, si ha mediante la proporzione delle parti dietro una misura artificiale.

D.- Perché il ritmo oratorio si chiama anche libero? R.- Il ritmo oratorio si chiama anche libero perché non

è astretto ad alcuna forma determinata, né nel suo movimento, né nella scelta e nell'ordine delle sue parti ritmiche, neppure nella maniera di accomodare

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e aggruppare gli elementi della cadenza.

D.- In che consiste l'essenza del ritmo del canto

gregoriano?

R.- Se si esamina la forma puramente musicale della

melodia gregoriana, si troverà che essa risiede avanti tutto nella retta disposizione delle parti

proporzionate fra di loro. Nel discorso la buona scelta e l'acconcia collocazione delle parole producono una successione variata ed armoniosa di cadenze ritmiche, e stabiliscono così la proporzione delle parti. Il segreto di questa proporzione consiste nella struttura della frase, e nella posizione delle parole. Così avviene del Canto gregoriano; il suo ritmo è basato sulla combinazione di gruppi variati e proporzionati di note, i quali costituiscono la melodia, o la frase melodica. Da ciò si deduce, che il canto gregoriano deve conservare il ritmo libero della parola; coll’eseguirlo a misura gli si toglierebbe la sua bellezza.

D. - Quale regola dovrà tenersi per meglio far

sentire il ritmo proprio del canto gregoriano?

R.- Dovrà lo studioso tenere questa regola

fondamentale: si cantino le parole colle note musicali come si declamano senza note. Quindi, per esempio, se sopra la sillaba mi, che è breve, della parola Dominus,trovasi un gruppo di note, e sul Do se ne trova una sola, scorrendo leggermente quel gruppo, e appoggiando la voce sulla nota, che è sopra la sillaba accentata, si otterrà il ritmo libero della lingua, senza che nulla perda la frase melodica. Da ciò ben si comprende, che una sillaba è lunga o breve, non perché ha sopra di sé una o più note, ma perché porta seco il proprio accento. Da questo inoltre si rende chiaro, che allp studioso del Canto gregoriano è necessario sapere ben leggere e pronunziare la lingua latina, non che il significato delle parole del sacro testo per gustare il bello della melodia.

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(1) Di quest'Opera tradotta dal tedesco in francese dal Benedettino D. Laurent Ianssens, dice la Civiltà Cattolica fascicolo 210, ogni cosa è condotta con piena logica ed

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ottimo metodo. (2) Magister Chor. Pag. 28

(3) Per ottenere ulteriori cognizioni intorno al Ritmo converrà consultare gli Autori da noi citati.

ed a quella dell’esecuzione dei neumi più importanti, quando sulle sillabe accentate (pp.38-43). Ma anche qui la materia è piuttosto accennata di volo, che trattata con la debita ampiezza.

[pp. 38-43].

[Le note presenti nel testo originale sono qui presentate alla fine con numerazione crescente]

ARTICOLO XIV

Sull'esecuzione delle melodie gregoriane (1)

D.- Che cosa si richiede nel giovane cantore per la

buona esecuzione delle melodie gregoriane?

R.- Si richiede una esatta conoscenza delle neume

principali, onde sono formate le stesse melodie

D.-Che cosa sono le Neume?

R.- Le neume (dal greco νεΰμα, segno, nota, accenno)

sono gruppi di note ascendenti, o discendenti posti sopra le sillabe, che formano le parole del sacro testo (2)

D.- D'onde ebbero origine le neume?

R.- Benché varii Autori sieno di pareri diversi nello

stabilire la vera origine delle neume, noi col dotto ed erudito Benedettino Dom Pothier diciamo, che le neume, e probabilmente le più antiche, hanno avuto origine dagli accenti acuto( ) grave ( ) e circonflesso ( ) che s'incontrano sopra le vocali delle parole, che si pronunziano nel discorso; imperocché la semplice emissione del suono materiale, chiamata pronunzia sillabica, è accompagnata nel linguaggio di ogni nazione da una specie di modulazione consimile a quella del canto. Infatti nella pronunzia delle sillabe, come nel canto, da una parte scorgesi l'elevazione e l'abbassamento della voce, dall'altra la durata dei suoni (3).

D.- In che consiste l'Accento?

R.- L'accento, nel nostro caso, consiste nell'elevazione

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nell'elevazione si usa l'accento acuto,

nell'abbassamento l'accento grave; ed incontrandosi l'elevazione e abbassamento della voce in una medesima sillaba si usa l'accento circonflesso.

D.- Quali sono i segni, che nelle melodie gregoriane

esprimono l'accento acuto, grave e circonflesso?

R. – Sono la Virga, il Punctum, e il Clivis. La virga (/) che indica l’elevazione della voce, e il punvtum (.) l’abbassamento della medesime, rappresentano i suoni isolati, e si chiamano neume semplici, il Clivis o

Clivus (^), che indica l’elevazione l’abbassamento

insieme della voce, rappresenta i gruppi di note sopra le sillabe, e si chiama neuma composto, ed è fondamento delle altre neume.

D. –Quante e quali sono le neume composte?

R.- Le neume composte più in uso sono nove, che noi chiameremo coi nomi dati dalla tradizione: Podatus,

Clivis (o Plica), Torculus, Porrectus, Scandicus, Climacus, Pes-subpunctis, Climacus-resupinus (4)

D.- Quale sarà la maniera di eseguire le Neume? R.- Il cantore, nell'eseguire le neume, potrà attenersi a

Queste norme; nel podatus, che è rappresentato da due note ascendenti, si preme la voce su la più alta, crescendo di forza nel passare dalla nota inferiore alla superiore.

Talvolta la seconda nota del Podatus è più o meno accentuata. Se ne possono osservare le gradazioni nei quattro sottoposti esempi. Nel primo non è che una nota di passaggio leggerissimo; nel secondo la voce si rinforza; e più ancora nel terzo. È poi ben naturale, che una nota elevandosi da sé sola più delle altre non può essere cantata leggermente come fosse una nota secondaria. Con più ragione ciò vuol dirsi quando il podatus e il Climacus sono insieme uniti come nel quarto esempio. Tuttavia devesi osservare, che anche nell'ultimo esempio, ove il movimento più si allarga, la prima nota non perde già la sua forza prevalente come nota di accento (5). Talvolta il podatus è seguito da una nota più alta sopra la stessa sillaba; questa terza nota sarà quella, su cui dovrà premersi la voce.

124 Nondimeno dobbiamo sapergli grado

anche solo di questo; perché l’essersi una buona volta incominciato ad esporre in un metodo italiano la dottrina dell’esecuzione neumatica, ci conforta a bene sperare per l’avvenire; sia che l’Autore torni di nuovo sopra sè stesso e compisca l’opera sua, ciò che ardentemente desideriamo: sia che altri, vedendo ancora aperto il bel campo e non tocco che in piccolissima parte, si accinga a coltivarlo per intero con un altro nuovo e più compiuto lavoro. Avremmo dunque voluto che il Gamberini si diffondesse alquanto intorno alla declamazione oratoria e ne applicasse i principii alla musicale e

gregoriana; quindi parlasse

dell’esecuzione de’ neumi che cadono sopra le sillabe atone e non omettesse le importanti dottrine intorno alle sillabe finali. Un cenno sopra il periodo strettamente musicale e la sua divisione in sillabe, frasi e distinzioni sarebbe stato necessario; perché anche nelle nostre edizioni raccorciate ricorrono melodie

alquanto ricche di figurazioni

neumatiche, come ad esempio alcuni

Kyrie dell’Ordinarium Missae, parecchi Alleluia del Graduale, l’Haec dies di

Pasqua, il Christus factus est della Settimana Santa e simili; e senza tale dottrina il cantore non è in grado di eseguirle a dovere.

il Clivis o Clivus si rappresenta con un gruppo di due note discendenti; si preme la voce sulla prima nota, discendendo colla voce leggermente fosse anche il termine di un periodo, o di una frase.

Nel Torculus, rappresentato da un gruppo di tre note si preme la voce sulla seconda, che è la più alta, e le altre due si debbono eseguire con eguale intensità. Questa figura ha un'attrattiva tutta sua particolare al fine di una frase, o di un membro di frase, dice il Kienle, allorché essa formi delle finali agili e delicate, e la melodia sembri finire in modi soavi e graziosi. Si osservi la finale dell'Introito nella Messa della Domenica IIIa dopo l'Epifania. Il Torculu,

inoltre può avere più forme; può avere a ciascun de' suoi intervalli una seconda, una terza, una quarta, ed anche, benché di rado, una quinta. Il porrectus, o flexa

resupina, può essere rappresentato da questi diversi

gruppi di note; nell'eseguirli, la voce si deve premere sulla prima nota.

Nello scandicus,che si rappresenta con una serie diretta di note (anche ad intervalli) ascendenti, si preme la voce su l'ultima nota, che è la più alta con un crescendo, aumentando, cioè, gradatamente, e con dolcezza, la voce della prima nota inferiore sino all'ultima superiore, su la quale devesi premere essa voce con forza.

Lo scandicus sarà composto di molte note, come quello sopra la sillaba re della parola rectos nel versetto della Messa di S. Tommaso Ap. si può scomporre in gruppi di due note, purché però questa suddivisione non alteri punto l'unità dell'intera figura. Di più; se lo scandicus va ad unirsi con un movimento discendente, si può prepararlo premendo la voce sulla prima nota per dare a tutta la formola un movimento calmo e regolare.

Si può ancora considerare la formola come composta di due membri, che si compenetrano, e rinforzare leggermente la nota più alta. Tuttavia si avrà ogni cura di non ispezzare l'armonia con una nota troppo accentuata Il salicus, rappresentato dai seguenti gruppi di note si eseguisce come lo

125 Non è poi esatto il dire che le neume di

lunga forma debbano essere proferite

tutte di un fiato e senza mai alcun nuovo impulso di voce (p. 43); perché se ciò è vero delle singole figure neumatiche, non può dirsi delle neume

composte, dove ciascuna parte

componente riceve il suo impulso particolare; molto meno può dirsi delle neume che si protraggono in forma di giubili, dove è necessaria la divisione accennata in sillabe, frasi e distinzioni e dove per conseguenza ricorre il respiro

Nel climacus, rappresentato da una serie diretta di note (anche per salti) discendenti, si preme la voce sulla prima nota, che è la più alta diminuendone la forza insensibilmente sino all'ultima nota. Perciò tutte le note di questa neuma debbono essere strettissimamente legate e non martellate.

Allorché il climacus è formato da quattro, o cinque note, si dà un secondo impulso di voce alla terza, o alla quarta nota, possibilmente al Do o al Fa come nello scandicus sopra al pleni del Sanctus e in quello sopra la sillaba Do del Benedicamus Domino della Messa nelle Domenche fra l'anno (6).

Il pes-subpunctis è rappresentato da un podatus, e da un

climacus; si eseguisce come il podatus, scorrendo

dolcemente il climacus formato dalle note a rombo. Il climacus resupinus è rappresentato da una virga (lunga) con a sinistra un clivis, e una virga; si eseguisce come il porrectus dolcemente scorrendo sulle note a rombo per premere poi la voce sull'altra

virga.

La plica è una abbreviatura, che sta in luogo del clivis; essa può considerarsi come un nesso di seconda, o come un salto di terza, od anche di quarta; e si eseguisce come il clivis se di seconda, o come il climacus se è un nesso di terza, o di quarta: (7)

D.- Quale sarà la regola generale che si dovrà tenere

nel modulare le neume di lunga forma?

R.- Nel modulare le neume di lunga forma, ossia di

più note, conviene tenersi alla regola generale insegnata dal dotto Benedettino Dom Pothier, ed è , che i suoni, i quali nella notazione tradizionale del Canto Gregoriano, sono rappresentati da un solo gruppo di note, devono in pratica procedere uniti quel più strettamente che si possa; vale a dire, che per ben esprimere una formola, è necessario proferirla tutta di un sol fiato, e di un sol tratto senza appoggiarsi colla voce sovra alcuna delle note intermedie, e di far sentire quanto più si possa esso gruppo di note con un sol impulso di voce, altrimenti avverrebbe interruzione nella formola stessa, e le si torrebbe il vero suo carattere.

126

e la ripresa del fiato. ___________

(1) La materia di quest'Articolo è trattata

magistralmente con vasta erudizione dal Pothier, dal Kienle ecc. ai quali noi mandiamo chi volesse ulteriori cognizioni intorno all'esecuzione delle melodie gregoriane

Con questo breve Articolo speriamo, che il giovane cantore potrà apprendere alcune regole desunte dagli Autori suddetti per dare al canto quell'espressione, senza la quale, una sacra melodia non potrà mai essere bella, attraente, né mai commoverà gli uditori, poiché, come scrive S. Bernardo (Epist. CCCXII a) il canto deve'essere

pieno di gravità, né deve aver nulla di manierato e di grossolano; sia grave senza essere leggero; piaccia all'udito affinché muova i cuori.

(2) Du Cange celebre scrittore del medio evo, fu il primo a definire il nome che si dava ai segni di questa notazione e si esprime in questi termini. «Neumae praeterea, in musica dicuntur notae, quas musicales dicimus; unde neumare est notas verbis musicae decantandis superaddere.» Coussemaker.

Histoire de l'Armonie. Pag. 152 nota

La parola neuma significa anche una specie di epilogo del canto di un modo gregoriano, il quale si fa al termine di un'Antifona, o di un Versetto, o di un'Alleluja, con una semplice varietà di suoni, e