2.1 Il contesto nordico
2.1.8 Norden, un caso a parte?
A partire da queste difficoltà di sistematizzazione teorica, dai limiti delle ricerche sviluppatesi dagli anni cinquanta, un’ipotesi da valutare diviene anche quella che la regione del Norden abbia avuto un’evoluzione unica, o almeno molto peculiare, rispetto ad altri casi. Il legame solidaristico nordico, effettivamente, ha creato uno spazio politico più ampio rispetto a quello dei singoli Stati. Come visto in precedenza, la cultura protestante, la storia, i miti comuni, il supporto alla neutralità e al pacifismo, come altri fattori politico‐sociali, ne hanno forgiato le peculiarità. Per questo, un caso di aggregazione come quello dell’Unione Europea è essenzialmente diverso. Per la Ue, il progetto di aggregazione parte soprattutto da un superamento del passato. L’approccio diverso alla sicurezza viene indicata da Joenniemi mostrando come il Norden si sia basato sulla asecurity dall’inizio,
mentre la Ue ha dovuto avviare un processo di desecuritizzazione per arrivare nel tempo all’obiettivo della asecurity50. Wæver rileva anche che la configurazione
nordica non soltanto istituzionale e la definizione di asecurity nasce proprio dal voler superare l’opzione sicurezza‐insicurezza che non è ritenuta esaustiva51.
Da queste riflessioni se ne può desumere come la pace nordica non sia da intendersi in termini utilitaristici, funzionalistici o contrattuali, ma emerge come una “rivolta ontologica”52 alle visioni standard delle relazioni fra questi stati,
rapporti che le varie teorie delle relazioni internazionali faticano non poco a interpretare. Un processo, quindi, più dal basso che dall’alto, senza un progetto complessivo, generato da gruppi e istituzioni per il consolidamento della comunità di sicurezza53.
Considerato quindi che l’approccio sociologico e funzionale di Deutsch è uno dei pochi contributi teorici al dibattito, il Norden può essere ritenuto come un caso 50 Joenniemi, Pertti, “Norden Beyond Security Community”, in Joenniemi, P., Archer, C. (cur.i), cit., p. 204. 51 Wæver, Ole, “Insecurity, Security, and Asecurity in the West European non‐war Community”, in Adler, E., Barnett, M. (cur.), cit., 1998, Cambridge, pp. 69‐118. 52 Joenniemi, Pertti, “Norden Beyond Security Community”, cit. 53 Wæver, Ole, cit., 1998.
de facto piuttosto che cresciuto su fondamenta teoretiche. Questo anche perché la
regione nordica è stata spesso lasciata fuori dalle discussioni e dalle ricerche sulla pace liberale e sulla pace democratica, dibattiti che per alcuni autori rimangono centrati sugli studi americani54. Uno dei problemi concettuali più forti rimane
l’utilizzo rigido delle categorie interno/esterno proiettate in politica interna e internazionale. Anche il costruttivismo di Adler e Barnett non appare pienamente applicabile alle dinamiche di questa regione55. Per dirla come Pertti Joenniemi:
The Nordic have thus far, in endeavouring at certain modesty and a low‐key profile, abstained from the usage of a concept that would make them too distinct, but it could now resonate much better with dominant trends in current‐day international politics, and hence be worth considering56. 2.1.9 Integrazione e regionalismo Il caso nordico, come stiamo avendo modo di vedere, è emblematico in quanto i paesi sono riusciti, pur partendo da background storici differenti e da interessi in buona parte divergenti, a unirsi in un obiettivo di sicurezza e pace comune57.
Inoltre, i paesi nordici possono certamente essere considerati come un sistema regionale, e, di più, questo piano di analisi può risultare uno dei più proficui per lo studio della teoria e delle pratiche politiche a livello sovrastatale. Il sistema regionale in generale può altresì essere ritenuto come il piano intermedio tra lo Stato e il sistema globale58.
54 Oren, Ido, “The Subjectivity of ‘Democratic Peace”, International Security, n. 2, vol. 20, 1995, pp.
147‐85; William, M., Neumann, I., cit., pp. 525‐53.
55Adler, Emanuel, Barnett, Michael, “Studying Security Community in Theory, Comparison and
History”, in Adler, E., Barnett, M. (cur.i), cit., 1998, Cambridge, pp. 413‐41; Wæver, Ola, cit., 1998. 56 Joenniemi, Pertti, “Norden Beyond Security Community”, in Joenniemi, P., Archer, C. (cur.i), cit., p. 211. 57 Solheim, Bruce Olav, cit., 1994, p. 16. 58 Parsons, Talcott, “Social System”, in International Encyclopedia of Social Science, vol. 15, Macmillan, New York, 1968.
Il “regionalismo”, quindi, per usare un’espressione di Joseph Nye, è “una casa a metà tra lo Stato‐nazione e un mondo non ancora pronto a diventare uno”59. Va
comunque ricordato che la definizione di “regionalismo” non è mai stata scevra da difficoltà ed è difficile rintracciare una definizione largamente condivisa.
Un termine‐concetto che appare meno ambiguo è invece quello di “integrazione”, che si è sviluppato a partire da studi economici60 e in ambito
politico vuole richiamare la tendenza di determinati attori a uniformare il proprio comportamento. Vi sono più impostazioni teoriche, in particolare a partire dalle diverse teorie delle relazioni internazionali, che analizzano gli stadi e le dinamiche di integrazioni tra Stati. Nel complesso, possono essere raccolte in quattro grandi sottoinsiemi non esclusivi: pluraliste, funzionaliste, neofunzionaliste e federaliste61. L’approccio pluralista mostra una comunità di Stati impegnata in un
processo di aggiustamento reciproco, di supporto come “comunità di sicurezza”. La comunità amalgamata cerca di risolvere i problemi comuni in modo pacifico in quanto c’è un senso di legame o di comunità, ma non vi sono necessariamente obblighi formali reciproci. Il funzionalismo62, invece, partendo dall’idea che la
forma segue alla funzione e che le strutture esistono per soddisfare bisogni funzionali, necessita di legami più solidi e formalizzati63. Le teorie
neofunzionaliste, dal loro canto, oltre a delineare legami forti e formali tra gli attori, definiscono anche una struttura complessiva che li ingloba. Questo perché l’integrazione economica non definisce in automatico quella politica, ma sono necessari processi settoriali specifici che avvengono passo dopo passo. Infine, l’integrazione considerata dal punto di vista federalista parte dal bisogno di un’istituzione mondiale al quale gli attori statali, in accordo tra loro, dovranno delegare parte del loro potere in quanto soltanto un’organizzazione globale può
59 Nye, Joseph S. Jr., (cur.), International Regionalism¸Brown, Boston, 1968. 60 Solheim, Bruce Olav, cit., 1994. 61 Taylor, Philip, Nonstate Actors in International Politics: from Transregional to Substate Organizations, Westview Press, Boulder, 1984. 62 Il rapporto tra peace research e funzionalismo sarà approfondito nel cap. 3.2. 63 Il riferimento è in particolare al funzionalismo strutturale di Talcott Parsons, cit., 1968.
prevenire le guerre64. Trasversalmente a questi quattro gruppi, troviamo il livello
di integrazione economico e quello politico‐sociale. Con riferimento a quest’ultimo, elementi come la cooperazione e la deferenza nel Norden sono condizioni condivise che portano all’integrazione65.
Analizzati regionalismo e integrazione, proviamo a combinarli. L’integrazione regionale può venire così a formarsi su cinque elementi necessari, ma non sufficienti: un alto livello di omogeneità sociale e culturale; un comportamento politico simile; alcune interdipendenze economiche; e, naturalmente, prossimità geografica66. Dal punto di vista della profondità dell’integrazione, si possono
distinguere cinque livelli: integrazione simbolica, comunità di sicurezza, cooperazione funzionale limitata, integrazione economica funzionale, unificazione politica diretta67.
Per il caso nordico, può essere pensata una teoria ibrida dell’integrazione68.
Infatti, l’integrazione è stata favorita da un consenso procedurale e sostanziale, ma anche dalla presenza della minaccia di poteri esterni che hanno anch’essi favorito il processo. Per Solheim il “Legame Nordico” può essere mostrato proprio dall’incrocio di questi due elementi. Questo “Nordic Nexus” costituisce una sintesi delle teorie sull’integrazione e può essere vista concettualmente sia come statica, che come dinamica, sia come formale che come informale. Tale processo non è quindi assimilabile a una sola categoria o insieme, ma sistematizza elementi di diverso tipo tenendo insieme anche il piano economico, sociale e politico69.
64 Per le teorie di integrazione federalista si può fare riferimento a diversi autori, sia nell’ambito
delle relazioni internazionali che in quello della storia del pensiero politico. Con riferimento a quest’area, si veda, per esempio, C. J. Friedrich, Peter Hay, Amitai Etzioni, P. Taylor, Bruce M. Russett.
65 Anche se, come abbiamo visto, le teorie dell’integrazione lavorano principalmente sugli attori
statali, i processi di integrazione possono avere come protagonisti anche attori non‐statali.
66 Russett, Bruce M., International Regions and International System: A Study in Political Ecology, Rand
McNally & Co., Chicago, 1967; Homogeneous Regions, Asian Society, 1966.
67 Nye, Joseph S. Jr., (cur.), cit.,1968.
68 Solheim, Bruce Olav, cit., 1994, pp. 24‐26.
69 Per il piano economico si veda, per esempio, il “Nordic Council and the European Free Trade
Association” (Efta). Per il piano politico, il “Nordic Council” e per quello sociale i valori condivisi presentati in precedenza.
Attraverso questo senso di comunità e un’integrazione regionale funzionale, il
Norden è riuscito a dare una risposta anche alle tensioni della Guerra Fredda
presentate in precedenza formando un sistema regionale di sicurezza che è stato definito anche, come già visto all’inizio, come “Nordic Balance”70. Come possiamo
vedere nel prossimo paragrafo, ulteriori lavori di ricerca, anche policy‐oriented, proseguiranno con maggiore forza anche negli anni novanta.