Della fantasia economica
e della mutazione nella domanda di beni conseguente alla guerra
1. — La crisi continua; e possono perciò avere un seguito le riflessioni in disordine che stampai in questa rivista nel primo fascicolo dell'anno. Non ho bisogno di chiedere scusa per sbagli di previsione; poiché noialtri, cultori di economia, seguiamo da gran tempo la saggia usanza di non prevedere nulla e di parlare sempre sub specie aetemitatis, in termini di se: se si suppone a, avrà luogo ò; se si suppone invece e, avrà luogo d; e quindi se invece dei supposti a e c, si verifica e, avrà luogo qualcos'altro. Perciò siamo in una botte di ferro; e nessuno ci può cogliere in fallo nei nostri ragionamenti ipotetici. Sappiamo bene di procacciarci, cosi pensando e scrivendo, le contumelie dei « pratici »; i quali vorrebbero sapere da noi tante cose che noi non sappiamo dire: quali saranno i prezzi del domani, quali industrie conviene intraprendere od abbando-nare, quali titoli vendere o comprare. Pretese e contumelie fuor di luogo; chè, se noi sapessimo rispondere, non faremmo il mestiere assai magro dell'economista, ossia dell'uomo filosofante sugli accadimenti economici umani; ma ci convertiremmo anche noi in « pratici» e, forniti come saremmo di qualità divinatorie, guadagneremmo un mucchio di quattrini, diventeremmo amministratori e consulenti di banche e di società industriali; ed invece di essere derisi, saremmo uomini riveriti e potenti. Poiché quattrini, onori e potenza attraggono anche i filosofi, i pratici possono star sicuri che se noi non facciamo previsioni non è per mancanza di buona volontà, ma perchè davvero non è ufficio nostro. 2. — Seguitando dunque, dirò che l'esperienza di un anno mi ha confermato nell'opinione che nella crisi presente l'oro c'entra. Il fatto più clamoroso verificatosi durante l'anno è indubbiamente l'abbandono del tradizionale rapporto della sterlina coll'oro. Se si pensa che quel rapporto fu fissato tra il xvn e il xvm secolo da grandi uomini come John Locke ed Isacco Newton, nel 1717 capo della zecca di Londra, e cbe ad un rapporto, reso sacrosanto dal rispetto cbe gli inglesi professano per le istituzioni antiche, con grande probabilità non si ritornerà più
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mai, si deve rimaner persuasi clie, se l'Inghilterra se ne dovette distac-care, la parte dell'oro nella crisi presente non può essere stata irrilevante. Parte forse passiva, la colpa maggiore che si può fare all'oro essendo appunto quella di essere stato inerte, quando tutto si moveva. Se non si fosse prodotto troppo di certe cose e troppo poco di certe altre, se si fosse risparmiato di più, se non si fossero commessi errori, la crisi non sarebbe certamente stata. Ma se l'oro si fosse mosso anch'esso in un certo senso, anche la crisi avrebbe avuto un andamento diverso da quello che ebbe.
3. — Un'altro pimto fermo nell'analisi della crisi pare questo: come può immaginarsi che il meccanismo economico non strida, non sobbalzi e si rovesci, se, mentre prezzi, fitti, dividendi, profitti, salari, valori capitali di terreni, di case e di titoli ballano una ridda infernale e vanno a precipizio — qualunque sia la ragione del rotolìo — vi sono alcuni fattori i quali rimangono imperturbabili; e massimamente gli interessi dei debiti pubblici e privati, e taluni imponenti gruppi di salari? L'esempio dell'Inghilterra ò di nuovo calzante. La sterlina crollò perchè i contribuenti non resistevano più al peso del servizio di un enorme debito pubblico contratto in gran parte in moneta svalutata e servito con moneta cara; perchè gli industriali trascinavano da anni il peso di gravosi interessi sui conti correnti passivi verso le banche, interessi che mal potevano soddisfare in tempo di prezzi calanti por le merci vendute; perchè i medesimi industriali non riuscivano a pagare i salari mantenuti fermi dalle leghe operaie ed i contribuenti piegavano sotto il peso dei sussidi agli operai che gli industriali forzatamente licenziavano.
4. — Lo sforzo sostenuto tra il 1925 e il settembre 1931 dall'Inghil-terra fu magnanimo ed ammirevole. Fu in primo luogo una lotta quoti-diana per mantenere fede alla parola data di pagare i debiti in sterline aventi un dato peso d'oro fino. Non la sola City di Londra combatteva, come fu scritto, per conservare salda la supremazia sul mercato mone-tario mondiale e con questa i vantaggi economici ottenuti e meritati per secoli. Tutta l'Inghilterra stava dietro la City di Londra, ben sapendo che l'onestà è, alla lunga, la politica più conveniente per individui e per nazioni. Sulla misura dell'onestà non si sofisticava. L'onestà « ragionata » suggeriva che una lira sterlina ricevuta a prestito quando ognuna di esse equivaleva a 3,89 dollari (6,39 grammi) poteva onestamente restituirsi nella medesima equivalenza e peso; e che il più rigido moralista non vi avrebbe trovato nulla a ridire; ma l'onestà istintiva e più vera coman-dava di pagare in sterline vero, aventi il peso tradizionale di 7,988 grammi e l'equivalenza con 4,86 dollari. Si sapeva di pagare in questo modo i debiti al 125 %; ma si pensava che, riuscendo, il credito dello stato e dei privati debitori si sarebbe rafforzato nell'opinione universale
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e che alla lunga se ne sarebbe tratto il meritato guiderdone di conver-sioni, liberamente chieste e consentite, di debiti pubblici e privati a più mite saggio di interesse, di incremento del risparmio, di produzione meno costosa.
5. — Il tentativo mirabile non riuscì, per molte cause, di cui l'una fu la troppo grande fiducia che siffatta eroica condotta inspirò ai rispar-miatori dei diversi paesi del mondo travagliati dai postumi dell'irrequie-tudine bellica, inducendoli ad affidare i loro risparmi temporanei alle banche inglesi. Chi non aveva fiducia in sè stesso, nella solvibilità del proprio paese ne ebbe nella sterlina, cosi come ne ebbe nel franco svizzero e nel fiorino olandese, intendendo per sterlina, franco e fiorino l'insieme di quei fattori che inspirano fiducia nella solidità economica, sociale e politica di un paese. Si può far colpa ai banchieri londinesi se impie-garono a scadenza relativamente lunga i depositi ricevuti a vista; e se i tedeschi, massimi debitori, ad un certo momento non pagarono più? Scagli la prima pietra colui il quale innanzi alla guerra non ammirò la potenza organizzatrice militare germanica e non additò l'esempio tedesco all'imitazione dei corrotti decadenti popoli latini; e chi dopo la guerra, tra il 1923 ed il 1929, non ritornò ad ammirare una Germania vinta, che si dedicava con ardore alle opere di pace, cbe « razionalizzava » le industrie, riduceva i costi, e si apprestava a conquistare nuovamente il mondo. Ben pochi rimasero scettici, in quegli anni, dinnanzi allo spet-tacolo della ripresa di un paese, a cui mancava solo la liberazione dalla schiavitù delle riparazioni per ridiventare primo nella concorrenza economica internazionale. Quando i francesi chiudevano i cordoni della borsa e facevano pronostici pessimisti su d'un paese i cui industriali, a loro detta, si erano messo in testa programmi troppo grandiosi, ed i cui stati e città andavano a gara nel fare spese di abbellimento, sventra-mento e lavori pubblici, i più li tacciavano di invidia e di paura per il riprendersi del nemico tradizionale. Adesso si tocca con mano che intorno alle riparazioni i tedeschi menarono e menano assai più grande baccano cbe la faccenda, pur grave, non meriti; non potendosi sostener sul serio cbe un paese vada alla rovina solo perchè deve pagare agli Stati Uniti in primo luogo ed alla Francia secondariamente (attraverso l'Inghil-terra, la Francia e l'Italia ed ora anzi attraverso la Banca dei regolamenti internazionali) una somma annua che, a dir grosso, non arriva al 10 % della pubblica spesa e al 3 o 4 % del reddito nazionale. Adesso si tocca con mano che non si può muovere alcun appunto ai risparmiatori francesi (nel linguaggio comune si dice « Francia » e « banca francese », ma sono tropi poetici, chè il risparmio non si è mai visto fosse dato a mutuo da governi e la banca agisce come pura longa manus dei depositanti e deve preoccuparsi « esclusivamente » della sicurezza dell'impiego delle somme amministrate verso coloro di cui essa è fiduciaria) se, memori delle perdite grandiose subite in Russia e in tanti altri paesi semi-falliti,
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pretesero e pretendono di dare i propri risparmi, accumulati con rinuncio di anni, solo a debitori i quali diano affidamento di utilizzarli bene, di pagare puntualmente gli interessi, e di restituire la sorte capitalo alla scadenza. Questa è il minimo delle pretese che un capitalista, il quale ha ancora la disponibilità dei propri denari, può mettere innanzi; ed ora si vede che i francesi hanno avuto ragione di non dare un soldo a stati, enti pubblici e privati tedeschi, i quali si erano, tra il 1923 e il 1929, persuasi che abbellimenti, sventramenti, scuole, palestre, giardini pubblici, teatri, cantieri navali, imprese industriali concepite grandio-samente potessero pagare interessi ed ammortamenti. Tutto ciò è reddi-tizio a condizione che sia fatto con i propri denari; perchè questi si spendono avaramente; laddove i denari accattati a prestito si spendono allegramente e quando arriva il momento di rimborsare, si chiede il concordato al 40 % e la gente intorno compassiona il povero debitore e fa la faccia arcigna al creditore il quale resiste.
Il torto dei banchieri inglesi fu di aver creduto, molto misuratamente, in ciò in cui tutti credevano; ossia nella invincibilità economica della Germania. Per loro disgrazia, quel « molto misuratamente » era una cifra grossa in assoluto; sicché quando gli americani, pieni di guai in casa propria, ebbero bisogno di riavere i propri quattrini e quando il mondo intiero cominciò a persuadersi che in Germania, e nelle satelliti Austria ed Ungheria, si erano commessi molti spropositi sicché i debitori di quei paesi potevano considerarsi decotti, il mondo cominciò a ritirar depositi dalla piazza di Londra, la quale aveva, con soddisfazione generale, assunto lo star del credere. E successe quel che è sempre accaduto in tutti i tempi e in tutti i luoghi quando i depositanti sono presi dal panico. Le banche di Londra pagarono a pronti contanti somme fantastiche e, per seguitare a pagare, chiesero ed ottennero in agosto 130 milioni di sterline di fido dalle consorelle americane e francesi. Ad un certo momento, banche e governo dovettero riconoscere che avrebbero seguitato a pagare sì, ma non in quel rapporto tradizionale tra sterlina e oro (7,988 grammi oro per ogni sterlina) che eroicamente nel 1925 avevano rifatto proprio.
6. — Giova riconoscere che ad intensificare le richieste di rimborso da parte dei depositanti esteri concorse la sfiducia a poco a poco insinua-tasi nella solidità del bilancio statale inglese e nella capacità degli inglesi di porvi riparo. La pubblicazione del rapporto May, il quale rivelava un disavanzo sui 120 milioni di lire sterline all'anno (alla pari dei cambi circa 11 miliardi di lire nostre) fece traboccare la bilancia e fu un « si salvi chi può ».
Taluno, anche in Inghilterra, si adirò contro il comitato presieduto dal May, il quale avrebbe commesso l'imprudenza di spiattellare brutal-mente come stavano le cose. Io dico che quelle verità furono assai utilmente dichiarate; chè ai disavanzi non si rimedia se non confessandoli
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e facendo economie sul serio. A camminare in punta di piedi, ad ovattare la verità, il male diventa incurabile. Col metterlo in chiaro si ottenne il grande vantaggio di aver dato la forza a Mac Donald ed a Snowden di far approvare un nuovo bilancio, che rimarrà memorando per contra-statissime economie e per dure imposte.
7. — Oggi che la oscillazione del pendolo elettorale ha decimato le falangi laburiste, ed ha ridotto il partito liberale ai membri di nna famiglia (i liberali dei gruppi Simon e Samuel avendo accettato in parte 0 non essendosi impegnati a combattere a fondo il protezionismo doga-nale non si possono praticamente distinguere dai conservatori), è dove-roso constatare che laburisti e liberali avevano cercato di attuare un alto ideale sociale, che i conservatori furono in passato e saranno in avvenire costretti a far proprio. Fu un errore il tentativo di mantenere 1 salari al livello toccato nel 1925, al momento del ritorno all'oro; e l'errore partorì la disoccupazione di tutti quegli operai che l'industria non poteva senza perdita impiegare a quel livello, e produsse necessaria-mente l'effetto ulteriore di un gravissimo e crescente onere di sussidi ai disoccupati. Errore certissimo; ma non dissimile dall'altro di voler fare il servizio dei debiti pubblici e privati in sterline del peso unitario di grammi 7,888 d'oro fino, quando i debitori avevano ricevuto sterline di un peso variabile da grammi 6 a 7.
La vecchia Inghilterra si era illusa di poter attuare quei due nobili ideali, ma il crollo della sterlina dimostrò che non era possibile pagare i debiti al cento per cento ideale e tenere i salari ad un livello che in mancanza di un vocabolo migliore diremo pure ideale.
8. — Il problema, schematicamente, si potrebbe porre così : al 21 settembre 1931, il meccanismo dell'economia e della finanza inglesi era certamente squilibrato. Ad un livello di prezzi 100, gli imprenditori avrebbero potuto pagare imposte al livello 100, salari a 100 (e cosi rias-sorbire 1 milione e mezzo sui 2 milioni e mezzo di disoccupati; il restante milione essendo di disoccupati stagionali, o licenziati da industrie in deca-denza irrimediabile, ecc. ecc.), interessi dei debiti allo stesso livello 100, materie prime, ed ammortamenti al livello 100, ecc., ecc. Il meccanismo era invece squilibrato perchè era stato deliberato di tenere gli interessi dei debiti e buona parte dei salari al livello 125, e massimamente per questa ragione anche le imposte (in cui erano compresi interessi di debiti pubblici e sussidi di disoccupati) erano state fermate al livello 125. Poiché nell'equilibrio economico i prezzi sono un elemento mobile, il quale non può essere domato dalla legislazione interna di ogni singolo paese, è chiaro che gli imprenditori non potevano passivamente durare a ricevere 100 ed a pagare, per taluni elementi di costo, 125. Alcuni tenta-rono di tenere i prezzi alti, ad un livello tra 100 e 125, e vi riuscitenta-rono se godevano di un qualche privilegio o monopolio sul mercato interno.
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Ma cosi facendo scaricarono un peso ancor maggiore sulle industrie non privilegiate, unsheltered; e queste cominciarono a declinare rapidamente. Deriva di qui la decadenza delle industrie esportatrici e fra le altre di quelle del cotone, della lana, del carbone. L'abbandono del tipo aureo e la svalutazione, che ne è derivata, della sterlina di un 20-30 %, ha risoluto automaticamente il problema; poiché i costi dei debiti e dei salari sono ridotti senz'altro nello stesso rapporto ed in un certo lasso di tempo si ridurranno ugualmente i costi delle imposte. Con un tocco della bac-chetta magica monetaria, l'equilibrio economico é stato ristabilito; e già se ne vedono i segni nella ripresa delle esportazioni, nella diminu-zione della disoccupadiminu-zione, nel miglioramento dei corsi delle azioni industriali. Se i nodi economici potessero tutti essere sbrogliati in tal maniera, perchè non adottare sempre lo stesso metodo? Un giro alla vite monetaria ed il gioco è fatto.
9. — Non vai la pena di ridire le molte e gravissime ragioni le quali sconsigliano quasi sempre dal ricorrere al facile rimedio. È noto che sulla china della svalutazione monetaria non si sa dove si va a finire. Forse l'Inghilterra riuscirà a fermare la sterlina ad un punto del 20% o del 30 % più basso dell'antico e non più; ma la riuscita non ò certa e tanto meno lo è per gli altri paesi che ne imitarono l'esempio. Il rivolgimento elettorale verificatosi in quel paese è soprattutto l'indice della paura di vedere la sterlina far la fine del marco e di un diffuso sentimento della necessità di stringersi attorno ad uomini i quali dessero affidamento di sapere fermare la moneta al punto più conveniente per il ristabi-limento di un equilibrio stabile.
10. — Qui intendo invece porre un quesito: non era possibile supe-rare la posizione di squilibrio: prezzi a 100 ed interessi di debiti, salari ed imposte a 125, senza toccare la sterlina f Indicando a quali condizioni il problema, ora posto, poteva essere risoluto, saranno dette le ragioni, a parer mio fondamentali, le quali impedirono che si giungesse al risultato.
Economicamente discorrendo, il problema dell'imprenditore il quale riceve il prezzo dei suoi prodotti al tipo 100 e paga taluni capitoli di spesa al tipo 125 può essere paragonato al problema della copertura di un ammontare, entro certi limiti irriducibile, di spese generali. Se l'imprenditore produce poco, se i suoi costi variabili specifici sono alti, non esiste fra costo unitario specifico — materia prima, combustibili, usura del macchinario, ecc. — e prezzo un margino sufficiente per coprire le spese generali. Se l'imprenditore produce di più, se i metodi di lavo-razione sono perfezionati, il margine cresce e le spese generali sono coperte. Notissimi gli esempi degli agricoltori italiani i quali ritennero verso il 1880 di essere condotti alla rovina quando le prime leghe conta-dine spinsero i salari da 1 lira a 2 e 3 lire al giorno; e poscia prosperarono
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mercè l'introduzione di macchine agricole e di metodi colturali perfe-zionati. Altrettanto noto l'esempio, pure italiano, dell'imposta fondiaria a tipo catastale, la quale grava con un ammontare invariabile sulla terra; e sotto il suo peso soccombono gli incapaci ma i volonterosi ne traggono ad aumentare la produzione ed a creare cosi un margine libero da imposta.
Pagare interessi di debiti, salari ed imposte al 125 per cento è, cioè, tutt'altro che impossibile se l'impresa riesce ad organizzare la produzione in modo da ottenere un margine libero uguale all'onere di questo 25 %. Ma la creazione del margine è subordinata a talune condizioni.
11. — Lo stato deve innanzitutto garantire che il peso delle imposte sarà, per un periodo di tempo sufficientemente lungo, alto bensì, ma fìsso. Il contribuente deve sapere, per dichiarazioni esplicite del legisla-tore e per esperienza di fatti accaduti conformemente a quelle dichiara-zioni, che le imposte non si ridurranno forse da 125 a 100, ma neppure cresceranno oltre 125. Ad un onere alto, squilibrato con i propri redditi, i contribuenti si possono adattare, purché sappiano che esso non crescerà ancora. Con economie all'osso nel bilancio privato, con energici sforzi di migliore organizzazione dell'impresa, si può riuscire a pagare l'imposta alta. Nessuno riesce a pagare l'imposta incerta ed arbitraria. Non pare che lo stato avesse dato in Inghilterra agli imprenditori l'affidamento morale — quello legale non è ragionevolmente chiesto da nessuno — di una remora alle spese pubbliche e quindi al crescere delle imposte. I bilanci Churchill del 1929 e quelli Snowden del 1930 e del 1931 erano stati bilanci di fortuna. Con espedienti abili di tesoreria — tipico l'ultimo di cumulare, per alcune categorie di contribuenti, in una rata sola il pagamento dell'imposta sul reddito, in modo cbe l'esercizio 1931-1932 godesse in gennaio 1932 ossia prima cbe in aprile cominciasse il nuovo esercizio, dell'intiera imposta 1932, espediente che non si può evidente-mente ripetere — i due cancellieri dello scacchiere erano riusciti a procrastinare il momento dell'operazione chirurgica di un aumento di imposte. Ma gli espedienti non illudevano nessuno e, l'incertezza in cui tenevano gli imprenditori, tarpava loro le ab.
12. — Osservata la prima condizione, stato ed imprenditori, e per imprenditori intendo i capi delle imprese industriah, commerciali, agricole, bancarie, debbono dimostrare di possedere la facoltà divina-toria necessaria a creare quebo che sopra ho chiamato il margine Ubero di reddito necessario a pagare interessi di debiti e salari a tipo monetario alto.
Se lo stato, neba sua veste di tassatore, deve saper mantenere il peso dei tributi entro i limiti iniziali, esso deve anche sapere utilizzare sempre più perfettamente quell'ammontare fìsso di entrate pubbbche. Saper trovare il come è la prova del fuoco delle attitudini di certi uomini
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a governare. Sarebbe esagerato dire che gli uomini di stato inglesi siano riusciti, dal 1925 in poi, a dare questa dimostrazione. Se Mac Donald ed Hcnderson indubbiamente seppero trasformare in amichevoli i rapporti dell'Inghilterra con gli Stati Uniti, i quali durante i precedenti governi conservatori erano divenuti alquanto acidi; se posero ogni sforzo nell'awalorare la Società delle nazioni e le iniziative per il disarmo bellico ed economico, da cui nascerebbe la possibilità di grosso economie nei bilanci pubblici; d'altro canto essi ed i loro colleghi avevano