LE SOCIETÀ ANONIME A CATENA
L. E. Le recente catastrofe della «Società per la Bonifica dei Terreni
Ferraresi e per Imprese Agricole » ha avuto, quanto meno, il risultato utile di rendere evidente al grosso pubblico dei capitalisti e dei rispar-miatori italiani il rischio degli investimenti di denaro nei titoli delle Società anonime cosidette « a catena ».
Purtroppo però, la lezione è giunta in ritardo, e quindi senza profitto per molti che oggi amaramente si devono pentire di avere affidato i loro capitali a persone e ad imprese che non meritavano fiducia.
Il numero di cotesti sventurati sarebbe infinitamente minore, se fossero stati meno trascurati gli'avvertimenti che il professore Einaudi e chi scrive queste pagine davano più di venti anni or sono, denunciando apertamente i pericoli dell'importazione allora agli inizi in Italia di siffatti sistemi per carpire e volatizzare i denari dei creduli, se anche non sempre e non tutti ingenui azionisti.
La creazione delle Società « a catena » è uno dei mezzi, con oui da molto tempo è stata introdotta e praticata largamente all'estero l'ope-razione, per la quale gli Americani hanno trovato l'espressione caratte-ristica di watering od « annacquamento » deic apitali, soprattutto nei casi dove importa di nascondere agli occhi sospettosi del pubblico i lucri troppo lauti di imprese e speculazioni fondate sullo sfruttamento di situazioni privilegiate.
Con cotesto artifizio, si riesce a fare figurare come capitali già esistenti ed effettivamente versati le speranze di guadagni futuri, coi quali si fa conto di potere poi risanare il vizio di origine delle Società costituite appunto in un tale intento.
Di fatto, in Italia i primi notevoli esempi di Società anonime « a catena » ebbero per campo prediletto di coltura le industrie estremamente protette della siderurgia e dello zucchero, ed in questo rimasero confinati quasi esclusivamente nell'ante-guerra.
I modi praticamente seguiti nella costituzione di simili Società sono molti e svariati, ma tutti BÌ possono ridurre ai due modi schematici che io spiegai nel mio libretto I Trivellatori della Nazione (1), nei periodi che qui mi permetto di ricordare:
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« Le Società zuccheriere italiane praticano da molto tempo il sistematico « annacquamento » dei loro capitali, specialmente mediante cointeressenze e partecipazioni reciproche.
« Non poche delle Società minori sono semplicemente la figliazione delle tre o quattro Società più importanti, le quali ne posseggono unite o da sole l'intero capitale.
«Perciò, nel fare la somma dei capitali delle varie Società, bisogna tenere conto dei « duplicati » tipicamente originati in questi modi:
la Società A aumenta con una nuova emissione di X milioni di lire il proprio capitale per creare o comperare in tutto o in parte il capitale della Società E;
le Società C e E, avendo deliberato l'alleanza negli affari, emet-tono ciascuna, e si scambiano nuove azioni per 7 milioni di lire, senza sborsare un soldo, ma figurando entrambe di avere aumentato i propri capitali di 7 milioni di lire.
«Questa seconda operazione, oltre il vantaggio di assicurare laute provvigioni ai gruppi finanziari che la assumono, garantendone più o meno il buon esito, ha anche quello di servire a nascondere, diluendoli nel nuovo capitale fittiziamente creato, gli utili troppo grassi del monopolio industriale ».
Le Società zuccheriere, da quando hanno potuto riottenere e rendere più rigoroso ed effettivo il monopolio del mercato nazionale, dopo il periodo tendenzialmente liberista del Ministro on. De' Stefani (1), hanno anche ripreso con maggiore audacia ed in più vaste proporzioni l'annac-quamento metodico dei loro capitali, facendoli apparire nei loro bilanci anche due o tre volte, ciò che si può vedere chiaramente nel seguente prospetto sintetico ricavato dall'ultima edizione (XII) del pregevolis-simo volume Notizie Statistiche, pubblicato dalla a Associazione fra le
(1) La lunga e tenace campagna del piccolo gruppo liberista contro il monopolio politico degli zuccherieri era riuscita a fare regolare colla legge del 17 luglio 1910 il regime doganale a favore dell'industria dello zucchero in modo progressivamente decrescente, talché il dazio protettivo sul raffinato, già ridotto a L. 24,85 il quintale al 1» luglio 1914, si ridusse a L. 22,85 al 1° luglio 1916.
Coll'applicazione della nuova Tariffa doganale del 9 giugno 1921, quel dazio fu ristabilito, dal 1° luglio 1921, a lire-oro 36 il quintale. In seguito subì le seguenti variazioni, in forza di successivi decreti reali:
Col cambio di 3,67 tuttora in vigore per l'applicazione dei dazi della Tariffa doganale, il dazio attuale di lire-oro 45 il quintale per lo zucohero raffinato corrisponde in nuova moneta italiana a L. 165,15 il quintale, per una merce che ha oggi sul mercato liberò mondiale un valore di circa 75 lire italiane attuali, o poco più di 20 lire-oro di una volta.
23 marzo 1922 28 gennaio 1923 2 maggio 1923 11 febbraio 1925 Il ottobre 1925 8 marzo 1926 31 dicembre 1928 27 novembre 1930
lire 30,60 oro per quintale > 21,60 » • abolito » 9 — » 18 — » 24,75 » 36 — » 45 —
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Società Italiane per Azioni », in cui sono riassunti i dati che si riferi-scono a tutte le Società anonime italiane esercenti la industria dello zucchero in Italia (1):
Società Anonime Italiane esercenti In Italia l'Industria dello sneohero (la milioni di lire).
Anno Numero Capitale Obbligazioni Riserve Impianti
1913 17 84,0 0,6 35,7 68,1 1922 17 263,5 26,1 95,5 115,1 1923 23 292- 24,7 158,8 170,6 1924 28 381,6 27,2 161,5 356,9 1925 31 433,7 40,8 179,3 461,9 1926 30 430,2 39,3 198,2 462,5 1927 31 434,6 37,5 226,9 458,1 1928 28 407,2 36,4 292,2 428,4 1929 24 477- 40,5 540,7 707,6
Nella ricordata statistica si trovano pure per gli ultimi bilanci di tre delle maggiori Società zuccheriere questi dati cbe ci permettono di affermare cbe il loro capitale è fortemente a annacquato », e rappresenta in buona parte azioni di Società minori da esse controllate, oppure azioni tra di esse scambiate:
(fa milioni di lire).
Capitale Riserve Partecipez. e titoli Società Ligure-Lombarda per la Raffinazione
degli Zuccheri (2), Genova 8 0 1 4 7 - 1 0 8 , 1 «Eridania», Società Industriale, Genova..
Zuccherifici Nazionali, Genova 5 1 3 4 - 3 6 , 1 «Eridania», Società Industriale, Genova..
Zuccherifici Nazionali, Genova 4 6 4 9 , 1 6 2 , 9 TOTALE 1 7 7 2 3 0 , 1 2 0 7 , 1
(1) È esclusa la sola « Società belga di Pontelongo >, ohe ha eede in Bruxelles, e che esercita in Italia i due importanti zuooherifici di Pontelongo e di Bottrighe.
Dalla relazione presentata all'ultima assemblea di questa Società (vedi il giornale « D Sole » del 26 settembre 1930) sappiamo che, nella campagna 1929-1930, ossa realizzò un utile netto di franohi belgi 19.083.459, pari a lire italiane 10.150.000 circa, lavorando il prodotto in bietole di 11.626 ettari (sui 116.138 ettari coltivati in Italia), ed ebbe assegnato dal • Consorzio Nazionale Produttori Zucchero > un contingente di vendita di quintali 310.000 di zucchero corrispondente a circa il 10 per cento della vendita complessiva di tutte le altre fabbriche esercitate in Itah'a da Società riconosciate secondo la legge italiana.
(2) Con deliberazione dell'Assemblea del 30 giugno 1930 questa Società ba ridotto il proprio capitale a 62 milioni di lire, mediante annullamento di 90.000 azioni; e, nello stesso tempo ba deliberato di incorporare la propria creatura « Società Finanziaria Ligure-Lom-barda » col capitale di L. 36.500.000. Anohe la Società « Zuooherifioio di Avezzano » ha aumentato il 21 giugno 1930 il proprio capitale da 5 a 10 milioni di lire, mediante rivaluta-zione degli impianti ed aumento da L. 1000 a L. 2000 del valore delle azioni.
La « Società Italiana per l'Industria dello Zucchero indigeno » ha deliberato in dioembre del 1930 di cambiare la ragiono sociale in « Società Italiana per l'Industria degli Zuooheri », rivalutando gli impianti di L. 22.324.400 e portandoli ad nn totale di L. 77.744.711,83. Per 20 milioni di lire questo aumento à servito per accrescere il capitale sociale da 60 ad 80 milioni di lire oon rivalutazione del valore nominale delle azioni da L. 300 a L. 400.
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La produzione totale di zucchero in Italia che era già salita a 3 milioni di quintali nella campagna saccarifera 1913-1914 ha ora raggiunto un record, avvicinandosi a quattro milioni di quintali nella campagna 1929-1930.
Ecco qui le cifre ufficiali di questa produzione in zucchero raffinato per le singole campagne (1):
1913-1914 quintali 3.055.642 1922-1923 1923-1924 1924-1925 1925-1926 1926-1927 1927-1928 1928-1929 1929-1930 1930-1931 2.702.794 3.189.873 3.822.075 1.397.001 2.786.096 2.453.416 3.422.178 3.879.246 3.696.340
Il consumo di zucchero in Italia ò rimasto pressoché stazionario, anzi è regredito leggermente nella campagna 1929-1930, a quintali 3.424.544, cosi che lo stock esistente al 31 luglio 1930, e riportato a nuovo è stato calcolato in 620.000 quintali, ed è previsto in 901.340 al 31 luglio 1931, fine della attuale campagna saccarifera (2).
Ammettendo — ciò che all'incirca corrisponde al vero — che le proporzioni attuali della produzione tra le fabbriche esercitate da Società italiane e le due fabbriche esercitate dalla Società belga di Pontelongo siano rimaste costanti — e che la produzione per le une e per le altre si debba ora considerare come aumentata di un terzo da quella che era nel 1913-1914, — la conseguenza che BÌ può ricavare è che il valore com-plessivo degli impianti dichiarati per il 1913 di tutte le Società italiane dovrebbe essere elevato ragionevolmente da 68,1 a 91 milioni di lire nella vecchia moneta che aveva corso nel 1913, e, col coefficiente di 4, a 364 milioni di lire nuove, non mai ai 707,6 milioni registrati negli ultimi bilanci del 1930, anche se si voglia trascurare il fatto dell' « annac-quamento » degli impianti già da me ampiamente dimostrato per il 1913 (3).
(1) Dal 1925-1926 in poi ricavo queste cifre dal fascicolo di novembre 1930 de • L'In-dustria Saccarifera Italiana », Bollettino del « Consorzio Nazionale Produttori Zucchero ». Le cifre delle campagne precedenti sono desunte dall' < Annuario Statistico Italiano, 1930 ».
(2) Cifre date dal oitato fascicolo de < L'Industria Saccarifera Italiana ».
(3) Nella tabella riportata nel già citato mio libretto I Trivellatori della Nazione (Roma, anno 1913), erano esaminati e criticati i bilanci chiusi al 31 marzo 1912 di n. 16 Società zuccheriere. Li riassumo qui complessivamente.
Capitale versato L. 80.775.000
Impianti 06.637.225 Dividendi 1911 e 1911-1912 » 13.162.771
Dividendo medio sul capitale 16,28%.
Qià allora insistevo sul giuoco delle partecipazioni, ohe nel bilancio della « Eridania » apparivano al 31 marzo 1912 per un totale di L. 27.749.020 su un capitale di L. 6.350.000, ed in quello della > Società Ligure-Lombarda » per L. 14.380.345 su un capitale versato di 22 milioni di Uro.
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£ del tutto umano e spiegabilissimo ohe i signori del « Consorzio Nazionale Produttori Zucchero » si diano un grande da fare nel loro organo ufficiale per dimostrare i benefizi di coi essi, e con essi i coltiva-tori italiani di bietole da zucchero vanno debicoltiva-tori ài regime di prote-zione doganale.
Dal loro particolare punto di vista essi hanno perfettamente ragione di vantare i risultati ottenuti. Gli ettari coltivati a bietole in Italia, che erano discesi a 55.113 nella campagna 1025-1926, salirono a 112.120 nella campagna 1928-1929 e poi ancora a 116.138 nella campagna 1929-1930 per discendere di nuovo solo di poco a 112.000 ettari nella campagna 1930-1931.
La produzione complessiva di zucchero delle fabbriche italiane, ohe era caduta a meno di 1.400.000 quintali nella campagna 1925-1926, deve ora essere compressa con rigore nella sua rinnovata tendenza a superare il consumo nazionale, cbe si ostina a rimanere sui tre milioni e mezzo di quintali, nonostante che — dicono e dimostrano gli zucche-rieri — il valore, o per dire meglio il prezzo di vendita dello zucchero al minuto in Italia, al netto della tassa di fabbricazione percepita dal Governo (la quale era nel 1914 di L. 0,74 ed è oggi di L. 4 per ohilo-gramma), nella media del Regno sia Bolo passato dal 1914 ad oggi da L. 0,77 a L. 2,47 al chilogramma, con un rapporto da 1 a 3,22, inferiore non solo a quello di 4, a eoi dovrebbero adeguarsi tutti i valori, ma anche a quello della lira attuale confrontata con la lira oro (1).
La questione è cosi benissimo posta per quello ohe riguarda l'inte-resse dei produttori di zucchero e di bietole. Bisognerebbe solo mettere un poco meglio in luce il fatto non a tutti noto che dell'attuale prezzo dello zucchero, L. 2,47 al chilogramma, al netto della tassa di fabbri-cazione, L. 0,82 sono il prezzo naturale di mercato Ubero deUo zucchero, e le altre L. 1,65 rappresentano il sovraprezzo poUtico dellap rotezione doganale neUa misura deU'attuale dazio di confine imposto col decreto-legge del 27 novembre 1930, con vaUdità sino al 31 ottobre 1931 (2).
Non intendo qui esaminare le ragioni di ordine poUtico e Bociale che hanno indotto il Governo nazionale a ristabilire e, successivamente, ad aumentare cotesto regime di protezione a favore deU'industria deUo zucchero e della coltivazione delle bietole da zucchero. Soltanto gU zuccherieri ed i coltivatori di bietole, per dimostrare eoi fatti la loro gratitudine ai consumatori italiani, dovrebbero sempre ben ricordare che, dato il consumo attuale di zucchero in ItaUa di 3 miUoni e mezzo di quintaU aU'anno, al prezzo di mercato Ubero di L. 82 il quintale, la loro produzione complessiva rappresenta nn valore totale di 287 miUoni di lire aU'anno, ed è protetta con nn sacrifizio annuo coUettivo dei
(1) Fascicolo già citato • L'Industria Saccarifera Italiana ».
( 2 ) Si legga a questo proposito: F. A. RÈPACI, La Relazione della Commissione per il regime doganale delle bietole e dello zucchero in Italia (in « La Riforma Sociale » del 1 9 2 5 ) .
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consumatori italiani, in ragione di L. 165 per quintale, di 577 milioni e mezzo di lire: sacrifizio che supera ogni anno di 100 milioni di lire il
capitale complessivo dichiarato negli ultimi bilanci di tutte le Società zuccheriere italiane.
Non è meraviglia, se, in queste condizioni, le Società zuccheriere « a catena » continuano a formare una fortunata eccezione nella crisi di depressione, che si è manifestata in tutta la economia non pure italiana, ma anche mondiale, ed hanno potuto continuare a realizzare utili ed a distribuire dividendi più che cospicui, come si può vedere in questo prospetto riassuntivo:
Utili • dividendi delia Industria dello zucchero In Italia. Anno Nnnero delle Società Utili Dividendi
Milioni di Uro 1913 15 12.1 10,9 1922 16 4 3 - 35,8 43,2 1923 19 50,2 35,8 43,2 1924 19 28,1 25,1 1926 19 24,2 2 7 -1927 24 58,3 46,5 1928 22 66,1 5 7 -1929 21 95,3 81,6
Facendo il ragguaglio tra i 12,1 milioni di utili del 1913 ed i 95,3 del 1929 si vede come essi stanno nella proporzione non di 1 a 4, ma quasi di 1 a 8; — precisamente di 1 a 7,8.
L'altro gruppo industriale, che già prima della guerra praticò genero-samente 1' « annacquamento » dei capitali sociali mediante l'espediente delle « partecipazioni » reciproche e l'abbondante proliferazione di Società « a catena », allo scopo precipuo di occultare e diluire i lucri della enorme protezione doganale rinforzata dal monopolio delle forniture governa-tive, fu quello delle industrie metallurgiche.
Le numerose pubblicazioni da me fatte in riviste ed in giornali al tempo dello scandalo politico della « Società di Terni », e più special-mente l'inchiesta personale che condussi allora, non senza difficoltà, e con qualche rischio (1), ebbero la conferma e la sanzione che io non avevo neppure potuto sperare di quella inchiesta ufficiale, alla quale — conviene ricordarlo — l'Italia dovette di poter entrare in guerra nel 1915 con un naviglio militare, se si vuole modesto, ma in piena effi-cienza, e colla sicurezza di potere validamente cooperare alla vittoria comune cogli alleati e riscattare la sventura di Lissa (2>.
t
( 1 ) EDOARDO GIRETTI, La Società di Terni, il Governo e il 'Trust* metallurgico (In
«Gior-nale degli Economisti », ottobre-novembre 1903).
( 2 ) COMMISSIONE D'INCHIESTA SULLA R. MARINA, Relazione generale, volume primo.
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Anche dopo gli accertamenti e le rivelazioni disastrose di quella Commissione d'Inchiesta, la cui Relazione generale porta la data del 28 aprile 1906 e la firma del compianto deputato Leopoldo Franohetti, il gruppo speculatore della metallurgia, sebbene meglio vigilato che non fosse stato per il passato, dalla pubblica opinione per mezzo di libera e temuta discussione, continuò ad essere una delle forze politiche, colle quali nessuno dei deboli Governi che si succedettero in Italia sino allo scoppio della guerra europea osò di rompere apertamente, e tutti si credettero in obbligo di venire più o meno a patti ed a compromessi (1).
Questa continuata politica di debolezza e di soggezione dello Stato al gruppo dei suoi principali fornitori fu molto sfruttata da una piccola banda di temerari speculatori appunto mediante il sistema delle Società a a catena », tanto cbe nel 1911 il Governo, colla famosa operazione di salvataggio imposta alle maggiori Banche sotto gli auspici e col concorso della Banca d'Italia, fu il vero autore del nuovo trust siderurgico italiano alleato e partecipe del grande trust internazionale degli armamenti che tanta parte ebbe nel rendere inevitabile lo scoppio del conflitto europeo (2).
Ma il maggior salvataggio del trust siderurgico italiano furono le ordinazioni salite a quantità ed a somme favolose e, necessariamente, non potute controllare, durante la preparazione affrettata alla guerra dal luglio 1914 al maggio 1915, e poi durante la guerra effettiva.
Concluso il Trattato di paco nel 1919, un Governo forte ed antiveg-gente avrebbe dovuto capire che il suo dovere urantiveg-gente era quello di smo-bilitare non soltanto l'esercito e la marina militare, ma altresì, e soprat-tutto le industrie cbe sulla guerra avevano fatto enormi profitti, anche se ciò non appariva dai loro bilanci, perchè una buona parte di quei profitti era servita a riparare le conseguenze di precedenti errori, ed a colmare le deficienze di capitali fatti apparire nei bilanci come versati, ma effettivamente non mai versati, o versati soltanto in piccola parte. £ fuori di dubbio che una politica di rapida ed energica smobilita-zione e liquidasmobilita-zione delle industrie di guerra avrebbe importato l'oppor-(1) Non occorro ricordare che gli esponenti di questo gruppo erano numerosi in Parla-mento ed appartenevano a tutti i partiti, trovandosi logicamente uniti per difendere e votare i disegni di legge per i continui aumenti dei dazi doganali e le leggi speciali di favore per le loro imprese associate (esempio, la famosa legge por Napoli, e le leggi per i premi e le sovven-zioni alla marina mercantile). Il gruppo metallurgico si era anohe bene insediato nei Consigli di Amministrazione dello maggiori Banohe, e possedeva grossi pacchi di azioni dei grandi e piccoli giornali quotidiani, anche di quelli di più acceso colore democratico e socialistoide. Ogni volta che alcuno di questi ultimi giornali veniva a trovarsi in orisi, od in strettezze finanziarie, esso trovava sempre pronto uno o più generosi salvatori, alla sola condizione di smorzare certe campagne, o di rinunciare a certe collaborazioni.
(2) Oltre il già ricordato mio libretto I Trivellatori della Razione, mi sia lecito di ricordare la serie di articoli da me pubblicati, purtroppo con pochissimo risultato, nel quotidiano romano • La Ragiono » nel 1911, ed il discorso ohe potei pronunciare nella tornata del 23 maggio 1914 alla Camera dei Deputati, durante la discussione del bilancio della Marina, discorso ripubblicato con documentazioni dalla t Libreria Politica Moderna » (Roma, 1914).
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tunità ed anche il dovere per lo Stato di accordare equi compensi ed indennizzi nei casi di legittimi interessi privati sacrificati al superiore interesse pubblico.
Ma, pure ammettendo che, per un tale intento ben determinato e momentaneo, si fossero dovuti spendere alcuni miliardi di lire in aggiunta ai molti miliardi, ai quali già saliva il debito pubblico incontrato in causa della guerra, possiamo essere sicuri che il costo di uu siffatto ragio-nevole sacrifizio sarebbe stato infinitamente minore in confronto dei danni gravissimi e permanenti prodotti dall'assurda e perdurante con-cezione per cui i governanti si sforzarono di dissociare la guerra dalle inseparabili e concomitanti idee di distruzione e di rovina, e di infondere nel paese la falsa fiducia che la guerra non avrebbe turbato il processo del suo arricchimento progressivo, e che, immediatamente dopo la con-clusione della pace, questo avrebbe ripreso un ritmo accelerato ed uu impulso non mai prima conosciuto.
In cotesto ambiente d'inflazione di moneta e di spiriti, in cotesto disordine politico ed economico, germinarono e fiorirono le illusioni più balorde e stravaganti, e gli spavaldi speculatori del trust metallur-gico si abbandonarono senza alcun ritegno ai progetti più fantastici e megalomani nella sfrenata speranza di potere continuare ad arricchirsi in tempo di pace più e meglio che non avessero fatto nella curée della guerra (1). Fu ima grande sventura che non si sia trovato allora iu Italia un Governo abbastanza saggio ed abbastanza forte per resistere a quella sorta di assalti, e per stroncare di un sol colpo, prima che potes-sero prendere piede ed imporsi al Governo stesso, quelle imprese che furono niente altro che vere ed organizzate rapine del denaro pubblico e privato, e che logicamente non potevano avere altro esito che la terri-bile catastrofe bancaria ed industriale del 1921 e del 1922.
Basterà una breve esposizione di fatti, lasciati da parte i commenti, per dimostrare che, Benza la debolezza, o per dir meglio il compiacente ed effettivo concorso del Governo, questi disastri non sarebbero accaduti. Certo è ohe, se il Governo non avesse voluto e facilitato tra il 1917 ed il 1920 — col « cartello » delle Banche e con altri espedienti bea noti — la formazione della « catena » di Società che mettevano capo, da un lato, alla « Banca Italiana di Sconto », e, dall'altro, alla già famigerata « S. A. ILVA - Alti Forni e Acciaierie », ed il « collocamento » presso i privati capitalisti e risparmiatori della formidabile massa di titoli (azioni ed obbligazioni) emessi in quel fatale periodo, molti guai e molti malanni, (1) Mi riferisco particolarmente al programma svolto dall'aliora Presidente della « S. A. Italiana G. Ansaldo e C.» nell'Assemblea generalo di quella Società 11 giorno 31 marzo 1920. So qualche lettore ha conservato la collezione de • L'Unità », può leggere nel numero del 15 aprile di quell'anno la oritioa ohe di una tale infatuazione... interessata io facevo in