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per la riforma delle finanze locali e nelle discussioni parlamentari 1. — Con decreto del 2 novembre 1928 è stata nominata dal capo

del governo e dal ministro delle finanze nna Commissione composta dì otto esperti finanziari, quasi tntti alti funzionari del ministero delle finanze stesso, e presieduta dall'on. sen. Pironti, alla quale venne affidato l'incarico di studiare l'attuale situazione finanziaria degli enti locali e di proporre tutti quei provvedimenti ritenuti opportuni e necessari allo Bcopo di assicurare ad essi un migliore assetto.

Il còmpito è stato assolto dalla Commissione con la presentazione, in data 15 maggio 1930, al governo, di una relazione e di uno schema di disegno di legge (1). Il quale, dopo la discussione che si ebbfi alla Camera dei deputati, non essendo Btato fatto sno dal ministro delle finanze, è stato nè approvato nè respinto, ma a conclusione della discussione stessa, il governo ha chiesto la delega per formare esso ed approvare nuove disposizioni di legge per la finanza locale e coordinarle in un testo unico con quelle vigenti, dopo aver udito una commissione di nove sena-tori e nove deputati nominati dalle rispettive assemblee. La delega è stata accordata dopo un'ampia discussione nei due rami del parlamento sulle proposte formulate dalla Commissione sopra ricordata. Perciò 10 schema di progetto di legge discusso, le discussioni ed i voti che si ebbero alle assemblee legislative non rappresentano, come bene precisò 11 sen. Mayer, che un contributo di studio per la soluzione del ponderoso problema.

In queste note non intendiamo esaminare il complesso piano di riforme proposte dalla Commissione, ma semplicemente una delle imposte che, già esistente nel sistema tributario locale, si propone di conservare con alcune notevoli modificazioni, di cui diremo appresso, e cioè dell'im-posta sul valor locativo. Bispetto alla quale perciò daremo un breve cenno storico della sua evoluzione nel nostro sistema tributario, delle modifiche proposte dalla Commissione e dei ribovi che sono stati fatti dinnanzi alle Camere, allo scopo di trarne, se possibile, norma per i Buoi principi informatori e del suo ordinamento tecnico in rapporto in special modo debe modifiche proposte.

(1) Cfr. Commissione di studio per la riforma della finanza locale: Relazione. Schema di

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2. — L'Imposta sul valor locativo nella legislazione Italiana. Istituita in Italia con decreto legislativo 8 giugno 1866, n. 3023, integrato dal relativo regolamento con decreto 31 gennaio 1867, n. 3524, l'imposta sul valor locativo colpisce il fitto dei locali adibiti ad uso di abitazione e delle immediate loro dipendenze. Il fitto pagato è assunto quale indice dell'agiatezza del contribnente, considerando che il fitto rappresenti una delle principali spese da cui si possa dedurre l'ammon-tare dei redditi del contribuente e quindi della sua capacità contribu-tiva. Tale tributo, a carattere personale, doveva avere, nella intenzione del legislatore, la funzione di complementarità alle imposte reali allo scopo di correggere i difetti di queste ultime. Analoga funzione doveva avere anche l'imposta di famiglia, istituita un anno più tardi, nel 1867, come alternativa dell'imposta BUI valor locativo. Poiché l'imposta sol valor locativo, come si disse, aveva lo scopo di colpire, attraverso il fitto, l'agiatezza del contribnente, esentava e si potrebbe dire medita-tamente escludeva tutti i locali adibiti ad altri usi che non fossero quelli di abitazione e cioè quelli adibiti a magazzini, industrie, commerci, studi professionali, ecc.

La misura dell'imposta variava a seconda che si adottasse il metodo della proporzionalità o della progressività. Nel primo caso l'aliquota non poteva essere superiore al 2%; nel caso della progressività la scala dell'aliquota doveva essere compresa tra un minimo del 4% ed un massimo del 10%. La scelta del tipo di aliquota era lasciata ai comuni, che adottavano tale tributo.

Le critiche ad esso rivolte si possono riassumere: a) in nna riferentesi al suo principio informatore e b) l'altra al metodo di applicazione.

Il tributo, si obbiettò, è sperequato perchè non esiste una propor-zione costante tra fitto e reddito complessivo o spesa totale del contri-buente; tale proporzione varia notevolmente non solo secondo la classe economica e sociale a cui appartiene il contribuente, ma anche tra i contribuenti appartenenti alla stessa classe sociale. L'alloggio rappre-senta una spesa per un bisogno assolutamente necessario alla vita; i contribuenti appartenenti a classi a reddito piccolo e medio debbono sopportare nna quota di spesa per l'alloggio notevolmente superiore, proporzionalmente al reddito, a quella che debbono sopportare le classi di contribuenti a redditi alti, e perciò un carico differenziale di tributo a danno delie classi più povere. Nè tale sperequazione pnò venire corretta se al posto di una aliquota proporzionale si adotta un'aliquota pro-gressiva. Preso isolatamente perciò l'indice dell'alloggio per desumere la capacità contributiva dei contribuenti è inadeguato.

In quanto al metodo di applicazione, le critiche sono più severe per quanto BÌ riferisce alla legislazione italiana.

In primo luogo, si osservò, trattandosi di un'imposta a tipo personale è irrazionale lasciare ai comuni l'adozione dell'aliquota progressiva

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o di quella proporzionale. Quest'ultima fissata nella misura del 2% è apparsa troppo tenue in quanto portava l'inconveniente di aggravare eccezionalmente le classi più disagiate e di non far sopportare un sacri-ficio maggiore alle elassi più agiate. Era preferibile perciò l'aliquota progressiva, ma quella fissata dalla legge era eccessiva nel limite minimo del 4%, e troppo tenue nel limite massimo del 10%. Eccessivo si rite-neva il limite minimo del 4% perchè troppo elevato per poterlo appli-care alla grande maggioranza degli affitti senza esentare valore altissimi.

Troppo ristretti i limiti dell'aliquota per potere graduare convenien-temente i diversi valori locativi.

Ancora, non fissando la legge limiti di esenzioni nè tanto meno ammet-tendo deduzioni per carichi di famiglia, i quali erano lasciati all'arbitrio dei regolamenti comunali, ne derivò nna molteplice difformità di appli-cazione nei comuni, con varietà di minimi e di massimi di esenzioni, di graduazione di tariffa, oltre ai metodi diversi di esazione.

Si osservava inoltre che un'imposta sol reddito complessivo mal si adattava ai comuni, ritenendosi che meglio poteva essere prelevato dallo Stato con criteri uniformi di tassazione e di accertamento.

Anche all'imposta di famiglia si facevano gli ultimi due rilievi, i quali dovettero apparire in parte o in tutto fondati se negli infruttuosi tentativi, dal 1865 in poi, di radicali riforme delle finanze locali o della istituzione di un'imposta sul reddito complessivo a favore dello Stato si tendeva ad organizzare su altre basi l'impoBta sul valor locativo e in modo più accentuato ad abolirla.

Ma sino alla vigilia della guerra mondiale, come sono naufragati i tentativi di istituire un'imposta personale sul reddito a favore dello Stato, cosi non migliore fortuna ebbero radicali trasformazioni del sistema tributario locale. Ed imposta sol valore locativo e imposta di famiglia restarono, cosi come erano organizzate dalla legge istitutiva del 1866, fino a tutto il 1921, epoca in cui per le urgenze finanziarie dei comuni provocate dalla guerra, dalla inflazione monetaria e da altre ragioni che non è il caso qui di ricordare, i comuni furono autorizzati a raddoppiare, come del resto per tutti i tributi di loro spettanza, le aliquote dell'imposta sul valor locativo fino a tutto il 1923.

Nei recenti progetti di riforma dei tributi diretti che si conclusero in ultimo con la vigente imposta complementare progressiva sul reddito, si accentuò la tendenza, che di fatto poi e sia pure per breve tempo si concretò in un provvedimento legislativo, dell'abolizione dell'imposta Bui valor locativo e di quella di famiglia.

Già il progetto Meda, sulle cui orme, nelle grandi linee, si asside il vigente ordinamento delle imposte dirette in Italia, proponendo l'isti-tuzione dell'imposta sul reddito a favore dello Stato aboliva le due imposte comunali testò ricordate, perchè avrebbero costituito un dupli-cato in quanto colpivano lo stesso reddito. Per la loro soppressione era concesso ai comuni nn diritto di sovrimposizione alla complementare

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con nn limite normale del 20%, ed uno eccezionale massimo di nn altro 10%.

Il successivo progetto Soleri, che modificava parzialmente il pro-getto Meda, manteneva l'abolizione delle due ricordate imposte comu-nali, ma al luogo della sovrimposizione sulla complementare istituiva a favore dei comuni una imposta sulla spesa. La quale, pur con notevoli differenze tecniche, venne mantenuta col nome di imposta sul reddito consumato nel decreto-legge De' Stefani del 20 dicembre 1923, n. 3063.

Il decreto di pari data ohe istituiva la complementare di Stato, manteneva l'abolizione delle imposte sul valor locativo e di famiglia, autorizzando i comuni a sovrimporre sulla complementare con un 20% oppure, come si disse, ad istituire l'imposta sulla Bpesa a partire dal lo gennaio 1925 (1).

L'insieme di questi provvedimenti aveva un fondamento logico, non potendo coesistere, senza incorrere in duplicati di tributo, due imposte, complementare a favore dello Stato e imposta di famiglia o sul valor locativo a favore dei comuni, gravanti sullo stesso reddito. La istituzione della imposta complementare sul reddito costituiva il coro-namento di un razionale assetto tributario auspicato in Italia da lungo tempo e corrispondente alle esigenze dei criteri fondamentali della tecnica moderna di tassazione.

Ma le prementi urgenze finanziarie dei comuni indussero il governo a tornare sui suoi passi e intaccare cosi l'edificio costruito con tutto l'insieme dei provvedimenti tributari che aveva emanato fino allora e riferentisi alle imposte dirette. Poiché si prevedeva che l'addizionale sulla complementare o l'imposta sul reddito consumato avrebbe dato scarso gettito ai comuni, essi furono autorizzati a riscuotere per esigenze di bilancio per l'anno 1924, al luogo dell'addizionale sulla complemen-tare, i tre quarti delle somme dovute per l'imposta sul valor locativo (e per quella di famiglia); per il 1925 tale limite è stato abolito. Non solo, ma un decreto del 20 ottobre 1925, n. 1944, aboliva l'imposta sul red-dito consumato e rimetteva in vigore l'imposta sul valor locativo richia-mandosi espressamente alle norme del decreto legislativo del 1866 e del relativo regolamento introducendo però una modificazione riguardo all'aliquota; la quale doveva essere uniforme, proporzionale al valor locativo, non più del 2% ma del 5%, abolendosi l'alternativa dell'ali-quota progressiva dal 4 al 10%.

Tutti questi successivi provvedimenti a favore della finanza locale erano espedienti fiscali contingenti, di carattere provvisorio, in attesa della radicale riforma delle finanze locali che solennemente venne

annnn-( 1 ) CFR. LUIOI EINAUDI, La guerra e il sistema tributario. (Bari, Laterza, 1 9 2 7 ) . Tutto il capitolo. • La Riforma dei tributi locali », pag. 442 e seg.

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ziata dal governo e di cui del resto nn primo e decisivo inizio di attua-zione si ebbe con l'aboliattua-zione dei dazi interni di consumo e con lo schema di progetto di legge proposto dalla Commissione nominata nel novembre del 1928.

Tali sono i precedenti legislativi dell'imposta sul valor locativo, la quale, è opportuno ricordarlo, nelle sne vicende attraverso il tempo, ebbe ben scarsa fortuna di applicazione, per la modicità dèi gettito e forse per il cattivo ordinamento tecnico.

Nel 1879, dopo tredici anni della sua istituzione, l'imposta sul valor locativo era applicata da 760 sa 8000 comuni; nel 1887, da 860 su 8283; nel 1907, da 850 sa 8283 e nel 1929, secondo i dati contenuti nella relazione, da 602 su 7308 comuni, con nn gettito di 109,8 milioni di lire.

I 602 comuni che attualmente applicano il tributo comprendono, con riferimento al censimento del 1921, nna popolazione di 10,4 milioni di abitanti; i 6706 (91,77 %) comuni che non l'applicano comprendono nna popolazione di 28,3 milioni di abitanti, ossia del 73 %.

3. — Le proposte della Commissione di studio.

La Commissione interministeriale nel suo schema di progetto propone non solo di conservare l'imposta sul valor locativo, ma di estenderne il contenuto.

L'imposta colpisce non solo i locali ad uso di abitazione e le rispet-tive adiacenze, ma anche i locali adibiti ad uso commerciale, industriale, studi professionali, esercizi pubblici. Sono, secondo l'art. 112 (comma b) dello schema di disegno di legge, soggetti al tributo:

le sedi delle società, le banche, le agenzie di affari, gli istituti e le società di assicurazione, i circoli, gli studi commerciali c professionali e simili, le case di cura e le cliniche private.

E per l'art. 114:

1° gli alberghi, ristoranti, trattorie, osterie, caffè, bars, circoli o altri stabilimenti in cui si vendano al minuto o si consumino: vino, birra, liquori ed altre bevande o rinfreschi, limitatamente però ai soli ambienti ove normalmente si consumano gli alimenti o bevande;

2° gli stabilimenti sanitari e bagni pubblici;

3° le sale pubbliche di biliardo e di altri giuochi leciti.

La misura dell'aliquota varia a seconda che si tratti di locali ad uso di abitazione; per uffici commerciali e professionali; e di locali adibiti ad esercizi pubblici.

Per i locali ad uso di abitazione ed uffici commerciali, industriali, ecc., l'aliquota è progressiva, per classi, con un minimo del 5% ed un mas-simo del 7%; limiti però ohe secondo una disposizione dell'art. 271 dello Bchema di disegno di legge possono essere aumentati fino ad un quarto;

fil-ai avrebbe allora un minimo del 6,25% ed nn massimo dell'8,75% come appresso:

Clune dei valori locativi -Aliquote normali Aliquote massime eccezionali

1» C — % 6.25% 2» 5.50 % 6,87 %

3» 6 — % 7,60% 4» 6,50 % 8,15 %

6» 7 — % 8,75% Abbiamo descritto soltanto la cnrva delle aliqnote e non i rispettivi valori locativi ai quali esse debbono essere applicate, perchè l'ammon-tare di ogni classe di valor locativo varia secondo le nove categorie in cui. sono stati distinti i comuni; vedremo in seguito come risalteranno le aliqnote tenendo presente tale classificazione (1).

Sono stabiliti limiti di esenzione con minimi variabili da L. 100 a 1000 e massimi da L. 150 a 1500, anche qni tenuto conto dell'agglo-merazione della popolazione dei comuni, come appare dalla seguente tabellina:

TABELLA I .

Limito del valore locativo Comuni distinti per categoria esente da imposta

secondo la popolazione Minimo Massimo Meno di 5.000 abitanti 100 150 da 5.000 a 10.000 B 150 225 » 10.000 a 15.000 . 200 300 B 15.000 a 25.000 . 300 450 > 25.000 a 50.000 400 600 B 50.000 a 100.000 B 500 750 B 100.000 a 200.000 700 1050 B 200.000 a 500.000 B 800 1200 oltre 500.000 B 1000 1500

Sull'imposta, dovuta sull'intero ammontare del fitto reale o presunto, è ammessa una riduzione del 5%, che non potrà superare le lire 50, per ogni figlio di età inferiore ai 18 anni.

Per gli esercizi pubblici le aliquote sono:

Aliquote normali Aliquote eccezionali massime Esercizi in oui si vendono al minuto o si

con-sumano bevande aloooliche dal 20 al 30 % dal25al 37,50 % Esercizi in oui si vendono o si consumano

bevande vinoee o altee con esclusione di

bevande alcooliohe dal 10 al 16 % dal 12,50 al 18 % (1) Cfr. Tab. V e VI a pag. 63 e 66.

bi-ll limite minimo di esenzione è di L. 100, riducibile a L. 50 quando il

valor locativo non superi le L. 200.

Per gli stabilimenti sanitari, diversi dalle case di cura e cliniche private soggette all'aliquota delle case di abitazione, l'aliquota è del 6% soltanto all'apertura di essi o del cambiamento dei titolari, per gli anni successivi l'imposta è ridotta al decimo.

Infine per le sale pubbliche da biliardo ed altri giochi leciti l'ali-quota può variare dal 6 al 10% del valor locativo delle sale medesime.

La valutazione del valore locativo si desume dal fitto reale ohe è quello risultante da contratti regolarmente registrati; o dal fitto pre-sunto, che si desume tenuto conto dei valori locativi correnti. Si aggiunge ancora che il fitto reale non potrà essere inferiore al reddito lordo accer-tato agli effetti dell'imposta sni fabbricati. Se il fitto presunto dovuto da chi tiene i locali a propria disposizione è già stato accertato dall'of-ficio distrettuale delle imposte dirette, vale anche agli effetti della applicazione dell'imposta sul valor locativo.

La valutazione presuntiva perciò resterebbe al comune per le abi-tazioni che per qualunque ragione; salvo le esenzioni stabilite tassati-vamente, non sono soggette all'imposta sui fabbricati.

Ma si propone ancora una ulteriore valutazione da parte del comune, anche quando si tratti di fitto reale o presunto, già accertato ai fini dell'imposta sui fabbricati. Il comune può denunziare all'ufficio distret-tuale delle imposte dirette, per una revisione, i fitti, reali o presunti, quando ritiene che essi superino di almeno un terzo il reddito accertato dall'officio stesso.

Da quanto abbiamo esposto risalta:

che la Commissione di stadio non solo propone la conservazione dell'imposta sul valor locativo, ma ne estende il contenuto e l'applica-zione indistintamente a tutti i comuni.

Come correttivo propone l'abolizione di alcune imposto suntuarie, quali le tasse sulle vetture private, Bui domestici, sui pianoforti e biliardi, sulle fotografie, sulle bestie da tiro, soma e sella, ma è conservata però l'addizionale sulla imposta complementare di Stato, la quale dal 20% dovrebbe essere portata al 40% per ogni lira d'imposta erariale.

Vengono cosi a coesistere due imposte sul reddito complessivo del contribuente, l'una, la complementare di Stato, l'altra sul valor locativo a favore dei comuni.

La Commissione ritiene di superare l'ostacolo della coesistenza dei tributi che colpiscono lo stesso reddito, adducendo che l'addizionale sulla complementare di Stato non è più riscossa dai comuni, ma dallo Stato. Notisi, qui di passaggio, che il provento di tale addizionale è destinato a costituire un fondo per la integrazione dei bilanci comunali meno dotati di risorse.

Che l'imposta sul valor locativo si basi su un elemento incerto, ina-deguato, per calcolare il reddito complessivo è ammesso dalla

Commis-— 5 3 Commis-—

sione, ma essa ritiene di correggerlo con le esenzioni e le deduzioni ammesse e con l'aliquota leggermente progressiva.

Ma il motivo predominante per cai si propone la conservazione del tributo ò di carattere prettamente fiscale, perchè si dice che esso è Tunico a larga base, ohe insieme con l'imposta sai consumi rimane ai comuni dopo la soppressione dell'imposta di famiglia e dei dazi interni di consumo. Di carattere fiscale è anche la motivazione dell'estensione del tributo ai locali destinati a scopi commerciali, industriali e profes-sionali ed esercizi pubblici.

4. — La discussione dinnanzi alla Camera ed al Senato. Prima di esaminare la bontà ed il fondamento delle motivazioni addotte dalla Commissione di studio non è privo d'interesse illustrare quali rilievi sono Btati fatti nella discussione che si ebbe dinnanzi alla due Camere legislative. Riportiamo qui di seguito il riassunto, quasi letterale, della discussione limitatamente all'argomento cho c'interessa.

L'on. S E R E N A approva l'imposta sul valore locativo con la contemporanea applicazione dell'addizionale sulla complementare perchè risponde meglio alla necessità che tutti i cittadini, dopo la soppressione del focatico, debbano con-correre allo entrate comunali.

L'on. P U T Z O L U partendo dal presupposto cho l'imposta sul valor locativo debba compensare la soppressa imposta di famiglia la ritiene fondamentale per la finanza degli enti locali. Pur ammettendo che il suo criterio di accerta-mento è unilaterale e non sempre univoco in quanto la decorosità degli alloggi non sempre è in diretto rapporto con lo stato di benessere delle famiglio e che si risolvo in un aggravio delle pigioni, l'approva in quanto ritiene che essa imposta sul valor locativo offro dei vantaggi apprezzabilissimi in confronto della tassa di famiglia. Perchè lia una baso reale, controllabile di accertamento, la quale offre, solvo eccezioni, la effettiva situazione economica della famiglia; perchè offre una baso di larga imposizione in quanto ben pochi contribuenti riusciranno effettivamente a sottrarsi al pagamento del tributo.

Vorrebbe poi ridotta l'aliquota al di sotto del 5% por gli affitti di imposizione più bassa, allo scopo d'impedire che i meno abbienti si riducano in locali troppo angusti.

Vorrebbe esclusi dalla imposta i locali adibiti a studi professionali e a case di cura, perchè altrimenti BÌ avrebbe una doppia imposizione. Ritiene tassabili invece le sedi dello società, perchè queste costituiscono entità distinte dalle persone del socio, non solo giuridicamente, ma anche economicamente.

L'on. C A R A V E L L E sostiene cho l'imposta sul valor locativo si trasforma in un aumento dell'affitto, con danno sociale e igienico perchè costringe la maggior parte della popolazione e restringersi in un numero di vani a scapito della famiglia, dell'igiene e della salute pubblica. È sproporzionata alla entità dei redditi e perciò ingiusta dal punto di vista economico, non corretta affatto dalle riduzioni accordate per carichi di famiglia e della progressività dell'aliquota. Riconosce che la estensione data all'imposta ne ha snaturato il carattere primitivo, e

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riterrebbe giusto escludere gli studi professionali e commerciali e le case di cor», e aumentare i limiti di esenzioni per non costringere i più poveri a cercare alloggi ancora più miseri di quelli cbe oggi posseggono.

Teme però cbe accogliendo tali correttivi, obe ritiene giusti, l'imposta non