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Okwui Enwezor: accedere al panorama artistico internazionale.

2.1.4 1960-1990: Maggiore spazio politico e culturale.

3. L’opinione dei critici e degli storici dell’arte.

3.1. Okwui Enwezor: accedere al panorama artistico internazionale.

Okwui Enwezor è stato lo studioso più influente di arte contemporanea africana. Di origini nigeriane, nacque nel 1963 a Calabar da genitori Igbo; il padre possedeva un’azienda di mobili, la madre era casalinga. Dal 1974 al 1979 ha frequentato il Government College ad Afikpo, in Nigeria. Nel 1982, si trasferì negli Stati Uniti per iscriversi alla Jersey State City College, dove ottenne il diploma nel 1987 in scienze politiche.2

Fu a New York che fiorì il suo interesse per l’arte, e progressivamente comprese che cosa in particolare suscitasse il suo entusiasmo: lo studio dell’arte africana ed afroamericana. Si propose quindi di approfondire l’argomento con lo scopo di renderlo di interesse pubblico. Secondo il critico, infatti, lo sviluppo di una nuova disciplina focalizzata sulle pratiche degli artisti di origini africane era ormai necessaria e cruciale nel mondo contemporaneo, specialmente alla luce degli eventi storici che riguardavano la popolazione africana. La sfida

1 Dele Jegede, Encyclopedia of African American artists, Wesport, London, Greenwood Press, 2009, pp. 84-89. 2

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più grande fu quella di individuare gli aspetti essenziali dell’arte africana contemporanea, per poi sviluppare discorsi critici che contribuissero a una crescita e a una diffusione della tematica.3

The intellectual challenge for me was how to imagine, engage, critique, reflect, and analyze critical production that is coming from Africa whether it is the so-called genre paintings from Zaire or the most conceptual of practices that artists may be making. But of course the art of African American world is just as crucial as an area of importance that requires sophisticated analytical skills to engage. Africa is my field of engagement. And of course there is the broader field of African Diaspora. Within this space all these different entities come together to form a historical space within which African influence can be re-invented as a material with which to make a work of transcendental importance. I came into this field with a very clear agenda of reflecting on all those key three aspect of critical practice in which artists of African descent are working. And I wanted to pose the question: how can we deploy sophisticated tools of analysis in facing the challenges and in facing the conceptual issues that artists are going to face in a way that not only respects their field of operation but also to challenge them to other realms of engagement. So this was for me the trajectory: not to curate but to produce an environment of serious reflection and critique. That may be through presentation of exhibitions; it may be through the art of writing. […] So my work in that sense took off as a critic, not as a curator. But I was obviously very interested in curating. But I didn’t wait around for somebody to offer me the possibility; I went after it and created the arena. (Enwezor, 2008)4

Dopo aver completato il percorso di studi nel 1987, Enwezor ebbe non poche difficoltà nel crearsi una propria strada: l’allora sistema della storia dell’arte contemporanea non possedeva ancora gli strumenti per supportare quel tipo di ricerca: «what struck me was that in this amazing lively space, there was no existence of my own imaginary, which was the African imaginary»5. Tuttavia, grazie al fertile terreno culturale di New York, alle mostre e alle attività che la città offriva, Enwezor trovò modo di iniziare a sviluppare il proprio progetto.6 Il primo passo verso la concretizzazione delle sue intenzioni fu la fondazione del collettivo

3 Ibidem. 4 Ivi., pp. 85-86. 5 Ivi., p. 86. 6 Ivi., pp. 84-89.

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Akadiba. Al gruppo presero parte alcuni amici di Enwezor interessati all’argomento, tra i

quali Gregory Christopher, Nary Ward, Chim Nwabuez, nonché un compagno del Governement College, insieme a Ike Ude e ad altri intellettuali e artisti quali Olu Oguibe, Salah Hassan, Odili Donald Odita e Skoto Agbahowa, che divennero presto partecipanti attivi. Il loro scopo era quello di dare vita ad un collettivo interessato alla lettura, alla discussione ed alla critica dell’arte. Parallelamente Enwezor si interessava di poesia e di giornalismo culturale – si propose infatti come recensore per i maggiori giornali d’arte dell’epoca, ma fu rifiutato da molti di questi.7

Consapevole della mancanza di spazio, al di fuori del gruppo, nel quale dare voce alle proprie teorie, Enwezor decise di fondare un giornale dedicato all’arte contemporanea africana. Nel 1994, lanciò Nka: Journal of Contemporary African Art, in collaborazione con Olu Oguibe e Salah Hassan; grazie ai successi ottenuti con la rivista, Okwui Enwezor ebbe la possibilità di lavorare presso l’istituzione del Guggenheim Museum, curando, insieme a Danielle Tilkin e Octavio Zaya, la più grande mostra di fotografia africana mai tenutasi sino ad allora.8 A partire dalla metà degli anni Novanta del Novecento, Enwezor si mosse costantemente da un progetto artistico all’altro, occupandosi di molteplici mostre e diverse pubblicazioni sul tema dell’arte africana negli Stati Uniti e nei paesi occidentali,9

inoltre ha lavorato come vice preside presso il San Francisco Art Institute, in California.10 Enwezor è morto nel 2019. Prima di affrontare il discorso sull’arte contemporanea africana, Okwui Enwezor si è interrogato sull’idea che l’attuale società si è costruita sull’Africa. Secondo il critico, questo continente si trova su una linea di confine tra il qualcosa e il niente, tra la sopravvivenza e la negatività del ciclo di vita. Per spiegare questa triste visione dell’Africa Enwezor si serve dell’espressione “pessimismo africano”, Afro-pessimism¸ ovvero l’impossibilità di avere una comprensione aperta e del tutto positiva dell’Africa. «It could be said without exaggeration that Afro-pessimism is as old as the invention of Africa», afferma il critico, «this is often based on the belief that “nothing good ever happens in Africa”, that her people possess

7 Ibidem. 8

Ibidem. 9

Dal 1996 al 1998, fu il direttore artistico della seconda Biennale di Johannesburg; tra il 2005 e il 2007, invece, di quella di Siviglia. Raggiunse l’apice della sua carriera quando lavorò alla fiera Documenta 11 di Kassel, per la quale fu direttore artistico dal 1998 al 2002. Tra le principali pubblicazioni si ricordano Reading the

Contemporary: African Art from Theory to the Marketplace; The Short Century: Independence and Liberation Movements in Africa; e Snap Judgments: New Position in Contemporary African Photography.

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nothing of value for the advancement of humanity».11 La convinzione di Enwezor è che vi sia dunque una generale opinione di inadeguatezza dell’Africa rispetto al resto del mondo.

Tuttavia il critica ha sempre cercato di riscattare l’Africa da questa opinione, andando ad indagare lo spazio che l’arte contemporanea africana ha occupato e occupa all’interno del contesto culturale globale. Nella seconda metà del Novecento, gli artisti Africani erano ancora poco seguiti dal pubblico internazionale. Pur avendo avuto la possibilità di esporre in gallerie ed istituzioni di fama internazionale, specie nel periodo successivo alla seconda Guerra Mondiale, molti di loro rimasero marginali o addirittura indifferenti rispetto alla tendenza artistica contemporanea. All’epoca, le questioni legate all’arte erano capitanate dalle due potenze economiche e culturali, Europa e Stati Uniti, ed esse possedevano supporti comunicativi e infrastrutturali di qualità superiore rispetto a quelle di altre nazioni; inoltre la guerra fredda ha fatto sì che l’attenzione si focalizzasse essenzialmente sugli eventi culturali dei due continenti, i cui linguaggi artistici erano influenzati dalle dinamiche sociali e politiche che stavano prendendo piede.12

L’arte contemporanea africana emerse alla giuntura di questi cambiamenti. Durante i tumultuosi anni della decolonizzazione, gli artisti africani provarono a gettare le basi per la creazione di forum culturali che permettessero loro di garantirsi uno spazio d’azione più ampio rispetto a quello che in passato avevano avuto a disposizione. Di fronte a queste iniziative nate da precise idee artistiche, intenzioni sociali o prospettive nazionaliste, molti intellettuali occidentali si sono limitati ad osservare in silenzio. Soltanto oggi riusciamo ad essere sempre più consapevoli dei progressi e delle realizzazioni che gli artisti africani hanno sviluppato.13

Se inizialmente era luogo comune assegnare all’arte contemporanea africana uno stato anomalo all’interno del mainstream internazionale, col passare degli anni si sono dunque moltiplicate le considerazioni e i punti di vista sull’argomento. Inoltre, l’avvento di una nuova generazione di storici dell’arte non occidentale ha giocato un ruolo importante nel riorientare l’analisi dell’arte africana.14

I motivi di tale cambiamento sono molteplici. Il principale tra

11 Okwui Enwezor, Snap Judgments: new positions in contemporary African photograpghy, Gottingen, Steidl, Inernational Center of Photography, 2006. p, 11.

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O. Enwezor, Snap Judgments: new positions in contemporary African photograpghy, cit., 2006. pp. 21-26. 13 Ibidem.

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questi è di natura geopolitica: con lo sviluppo della globalizzazione, si è attivato un enorme flusso di conoscenze e culture che ha contribuito ad ampliare il terreno di studio di molte discipline umanistiche, che hanno assunto a loro volta un approccio sempre meno europocentrico. Parallelamente sono sorti estetiche e problemi pedagogici non risolvibili soltanto mediante gli strumenti tradizionalmente adottati nell’arte in Europa ed America, ma richiedevano un ampliamento degli strumenti e delle teorie.15 Per quanto riguarda invece il punto di vista degli artisti africani, i loro lavori non solo sono influenzati da storia, politica ed etnografia, ma tengono anche in considerazione i movimenti e le avanguardie moderne occidentali arrivate sino Africa durante il periodo coloniale. Essi dunque tentano di costruire un dialogo con i loro colleghi occidentali e, alla sveglia della globalizzazione, aprendo strade a vocabolari artistici diversi.

Oggi, afferma Enwezor, è grande l’attenzione che il mondo dell’arte riserva alle pratiche figurative africane. Un indicatore di questo interesse è il coinvolgimento di artisti africani in importanti esposizioni e festival internazionali in Occidente. Ugualmente, città africane vi hanno dedicato istituzioni e mostre. Inoltre, diversi artisti sono stati oggetto di studi monografici per musei e importanti collezioni in Africa, negli Stati Uniti e in Asia.16

«What constitutes its field of operation, identity, and language?»,17 si chiede infine Enwezor, nel tentativo di individuare le caratteristiche ed i parametri dell’arte contemporanea africana. Un elemento ricorrente è la tematica dell’incontro/scontro avvenuto tra l’Africa e l’Occidente; spesso le esperienze della colonizzazione e le questioni di identità vengono volutamente inglobate in tali opere. Un’altra peculiarità dell’estetica africana è l’eclettismo dei mezzi e degli strumenti di comunicazione, talvolta provenienti dalla tradizione africana talvolta da quella occidentale, in modo da fondere insieme materiali e tecniche; si pensi agli esperimenti di artisti come Ben Enwonwu, Uche Okeke, Bruce Onobrakpeya, Twins Seven Seven, John N Muafangejo, Ibrahim El Salahi, Skunder Boghossian.18

15

Ibidem. 16

Ibidem.

17 O. Enwezor, Snap Judgments: new positions in contemporary African photograpghy, cit., 2006. p. 22. 18

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3.2. Olu Oguibe

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: andare oltre l’Occidente.

Curatore, critico e artista di origine nigeriana, Olu Oguibe in diverse occasioni pubbliche ha cercato di definire quale fosse l’attuale rapporto tra l’arte contemporanea africana e il mondo occidentale. Tale questione non può essere schivata, soprattutto se si ragiona sul fatto che molta parte dell’arte visuale prodotta in Occidente è ad opera di artisti di origine o discendenza africana. Nel snocciolare l’argomento, egli ha evidenziato come il pensiero occidentale si sia fossilizzato su un’idea semplicistica di cultura africana, affermando che:

I discorsi prodotti dalla critica europea ed americana postmoderna attorno al lavoro degli artisti contemporanei africani contengono molte ambivalenze che non fanno altro che presentare in termini nuovi vecchi pregiudizi, riproponendo una idea di “alterità” che sostanzialmente colloca l’artista africano in un luogo eternamente confinato.20

Nel suo saggio Un discorso di ambivalenza: il pensiero postmoderno e l’arte contemporanea

africana, Oguibe argomenta la propria posizione portando come esempio a sostegno una

conversazione avvenuta tra il critico americano Thomas McEvilley21 e l’artista africano Ouattara Watts22. Si riportano di seguito alcune battute dell’intervista perché essenziali per comprendere il ragionamento di Olu Oguibe. 23

Thomas McEvilley: When and where were you born?

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Olu Oguibe (1964) è artista, storico dell’arte, critico e curatore di origini nigeriane. Ha studiato in Gran Bretagna dove ha conseguito un dottorato di ricerca presso l’Università di Londra con una tesi su Uzo Egonu sotto la supervisione di John Picton, studioso specializzato in arte africana. Per anni ha portato avanti le sue ricerche sull’arte contemporanea africana. Attualmente vive e lavora negli Stati Uniti, dove dirige l'Institute for African American Studies dell'Università del Connecticut. Ha curato diverse mostre tra l’Europa e l’America, fra cui Authentic/Ex-Centric, esposizione collaterale tenutasi durante la 49a Biennale di Venezia, Cross-ing: Time,

Space, Mouvement, ad Indianapolis, e Century Cities per il Tate Modern di Londra. In quanto artista, ha esposto

in diverse mostre personali e collettive in giro per il mondo, incluse le esposizioni biennali e triennali. 20

Olu Oguibe, Un discorso di ambivalenza: il pensiero postmoderno e l’arte contemporanea africana, in Arte,

identità, confini, a cura di Carolyn Christov-Bakargiev e Ludovico Pratesi, Roma, Carte segrete, 1995, p. 60.

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Thomas McEvilley (1939-2013) fu un critico d’arte e studioso americano. Si è dedicato allo studio delle arti e delle culture contemporanee, focalizzandosi su argomenti del dibattito postcoloniale e multiculturale che riguardano l’India, l’Africa, la Cina e l’America latina.

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Ouattara Watts nacque nel 1957 a Abidjan, Costa d’Avorio. Ha studiato all’École nationale supérieure des Beaux-Arts di Parigi. Nel 1988 in una mostra dedicata a Jean-Michel Basquiat ebbe modo di conoscere di persona l’artista, il quale rimase affascinato dai suoi lavori figurativi e lo convinse a trasferirsi in America; qui egli ottenne fama e riconoscimento internazionale. Attualmente vive e lavora tra Parigi, New York e Abidjan. 23

L’intervista aveva scopo di presentazione dell’artista, il quale aveva preso parte alla Biennale di Venezia. Fu tenuta da Thomas McEvilley il 21 luglio 1993 a New York. Reperibile nel volume Fusion: West African Artists at

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Ouattara: I was born in 1957 in Abidjan, Ivory Coast. TM: In 1957, was Abidjan a big urban center, like today?

O: Yes, it was already an urban center, and already very multicultural.