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Le opere scultoree.

2.1.4 1960-1990: Maggiore spazio politico e culturale.

O: An European school, the students about half African half European TM: A French school?

4. Il confronto tra gli artisti: Chris Ofili e Simone Leigh.

4.2. Simone Leigh.

4.2.2. Simone Leigh: un diverso approccio al discorso.

4.2.4.1. Le opere scultoree.

Molta parte dei lavori scultorei di Simone Leigh sono stati ispirati da un locale statunitense situato nella zona sud della città di Natchez, in Mississippi, ovvero Mammy’s Cupboard (fig. 46). Il nome e l’architettura del ristorante rimandano all’archetipo “mammy”. Il termine veniva usato negli Stati Uniti per indicare la donna di colore assunta presso una famiglia bianca come domestica ed, eventualmente, come balia. Furono molte le afroamericane a rivestire questo ruolo, soprattutto nel periodo della dominazione coloniale, quando ancora dovevano arrivare gli anni delle lotte per la liberazione dei neri e l’abolizione della schiavitù.

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Jenna Wotrham, I Want to Explore the Wonder of What It Is to Be a Black American, «The New York Times», 08-10-2019, s.n.p. https://www.nytimes.com/interactive/2019/10/08/magazine/black-women-artists- conversation.html.

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Il locale in questione ha la forma di una grande signora, ornata con orecchini di ferro di cavallo e sorridente mentre serve un vassoio. La credenza, da cui il titolo, è metaforicamente espressa nella sua gonna, struttura in mattoni che ospita un negozio di souvenir ed una sala da pranzo. Sotto il largo vestito della donna è quindi possibile entrarvi per consumare un pasto ed una sosta.79

L’essersi imbattuta in questo tipo di locale non ha lascito indifferente Simone Leigh, la quale ha cominciato a ragionare su tutte le implicazioni che il nome del ristorante e la sua architettura possono avere, poiché rievocano un periodo della storia degli Stati Uniti e degli Afroamericani non irrilevante. Di fronte ad un’immagine come questa, dove la donna sembra invitare ad essere penetrata e disposta ad accogliere la violazione, il risultato del ragionamento di Leigh è stata una serie di opere che si focalizzano sul corpo della donna nera e su come questo sia stato “abitato” ed usufruito dalla società. Questa serie di lavori riprende la medesima struttura a cupola a forma di gonna mammy, tuttavia ridotta all’essenziale, poiché l’artista ne ha riprodotto soltanto l’armatura basilare. Ne è un esempio Cupboard III (2005), scultura di enormi dimensioni in acciaio e cocci di vetro, la cui apertura ne consente l’ingresso al visitatore (fig. 47). Il lavoro, pur essendo astratto ed estremamente semplice, è ricco di significati e rimandi: «Beyond the perverse nostalgia associated with a form meant to signify the inhabitation of a black woman’s body, what struck Leigh most is what she describes as “the strange sexuality of what was typically an asexual archetype”»80

. Ed è forse per questa volontà di mettere in risalto le allusioni sessuali che questa struttura ha che Leigh nella propria scultura rappresenta soltanto l’armatura della struttura, mettendola dunque a nudo. Altre fonti hanno contribuito a farcire di significati queste opere. Si pensi alle ampie gonne femminili e regali, tipiche del periodo coloniale, e documentate in un famoso dipinto di Velazquez, Las Meninas (1658), o alla gonna sottoveste spesso adottata in età vittoriana. Un altro ulteriore elemento di ispirazione si ispirazione per Leigh sono state le antiche case in argilla tipiche della popolazione Mousgoum del Camerun, le quali sono a forma di cupola.81 Vi è poi un’altra serie di opere simili a quelle appena citate nelle quali si condensano le medesime considerazioni sul corpo femminile nero. Diversamente quest’ultime presentano degli elementi decorativi in più. Cowrie (Pannier) (2015), ad esempio, è stata realizzata a

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Simone Leigh discusses her two new exhibitions in Kentucky and New York, cit., s.n.p. 80 Jane Ursula Harris, Moulting, cit., s.n.p.

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partire dalla stessa struttura, tuttavia sormontata da una un elemento in ceramica, ibrido tra la forma di una ciprea e quella di un’anguria costellato da punti neri (fig. 48).

Una caratteristica spesso individuabile nelle opere di Simone Leigh è il richiamo alla frutta o agli elementi naturali. Il ricorso alla forma dell’anguria è infatti l’espediente più adottato dall’artista per la realizzazione delle proprie sculture. Questo frutto esotico ha strettamente a che fare con le caricature delle persone di colore realizzate tra il XIX ed il XX secolo, nelle quali gli Afroamericani venivano spesso immortalati nell’azione di mangiare un anguria. Tipiche le statuette di ceramica in cui al frutto veniva data una forma a mezzaluna perché imitasse il ghigno dei mangiatori; il colore dell’anguria serviva inoltre ad enfatizzare il rosso della labbra e la tonalità nera della pelle. Questo tipo di rappresentazione serviva a perpetuato l’idea di un’inferiorità della razza nera, interessata esclusivamente a piaceri futili come mangiare la frutta. Simone Leigh ha cercato invece di riscrivere la storia dell’anguria perché fossero superati i significati discriminatori che il frutto ha sempre posseduto, inserendolo in lavori di più alto valore morale.

L’artista ha iniziato a servirsi di muffe d’anguria per realizzare una serie di ceramiche esposte alla mostra You Don’t Know Where Her Mouth Has Been tenutasi alla galleria Kitchen di Chelsea.82 Tali opere sono simili a candelabri che pendono dal soffitto, illuminate da luci che le pone in risalto all’interno del percorso espositivo. Queste composizioni sono costituite da un aggruppamento dalle stesse forme scultoree che Leigh aveva adottato nell’opera Cowrie, ma questa volta in numero maggiore ed ammassate tra di loro per formare un agglomerato.

Queen Be (2008-2012), un insieme di forme in terracotta nera agganciata ad una rete di

antenne televisive, richiama ai seni di una possibile dea della fertilità dai capezzoli d’oro e di platino, ma anche ad un arsenale di bombe letali (fig. 49). Queste forme che, come si è detto, sono state realizzate mediante l’uso di muffa di anguria, si ispirano alla forma del frutto stesso e a quella della ciprea, conchiglia spesso usata per decorare gli oggetti ritualistici tipici delle cerimonie africane e diasporiche.83

Facenti parte della stessa serie di opere, vi sono anche Kool-Aid e You Don’t Know Where

Your Mouth Has Been, entrambe realizzate nel 2012. Quest’ultima, che ha dato il nome

82 Nicole Caruth, Gastro-Vision. Simone Leigh and the fruits of her labor, cit., s.n.p. 83

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all’omonima mostra, è un insieme di circa sessantacinque oggetti scultorei a forma di ciprea, il cui aspetto chiama alla mente un organo femminile dentato (fig. 50).84

To Sherry B. Bronfman, however, a prominent collector of African-American art who owns several of Leigh’s works, this ostensibility threatening object is really a metaphor for femal vulnerability. “Think of all the thing that revolve around the breasts of a woman – the pain we go through, the pressure”85

L’interesse di Simone Leigh per la frutta è dimostrato inoltre da un'altra serie di sculture nelle quali l’artista si è servita dell’iconografia della banana. «Molded and casted in blued clay for her sculputre Wedgewoods Bucket (2009) (fig. 51), Leigh sees the banana-esque fruit as a symbol for the post-colonial».86 Così come per l’anguria, anche l’uso della banana nei propri lavori è considerato un espediente per superare certe discriminazioni razziste che associavano tale frutto alla popolazione nera. Rendendola scultura, Leigh instilla in questo oggetto un nuovo significato esclusivamente artistico ed estetico. Così avviene in Skirt (2015), una corona di banane di porcellana nera e in foglia d’oro (figura).87

Occorre infine soffermarsi su due ulteriori serie scultoree a cui Leigh si è dedicata. Anatomy

of Architecture, esposte all’Hammer Museum di Los Angeles nel 2016, è costituita da forme

vagamente femminili in bronzo, ceramica e rafia (fig. 52). L’artista non ha voluto conferire una precisa conformazione corporea e fisionomica a queste sculture: «I’m not doing portraiture or representing anyone in particular», ha affermato. La sua intenzione era infatti ritrarre, attraverso l’uso di lineamenti approssimativi, un ampia categoria di persone, ovvero le donne nere. I busti che compongono la serie sono corredati da volti modellati che non esplicitano una specifica fisonomia o un determinato carattere, ma lasciano la figura nell’anonimato. Tuttavia ciascuna di queste figure manifesta una propria personalità resa esplicita dall’inclinazione della testa, spesso in posizione eretta ad indicare un atteggiamento

84 Ibidem. 85

Elizabeth Kley, Simone Leigh. Mouthing Off, «Artnet», 27-01-2012, s.n.p. http://www.artnet.com/magazineus/features/kley/simone-leigh-the-kitchen-1-27-12.asp.

86 Nicole Caruth, Gastro-Vision. Simone Leigh and the fruits of her labor, cit., s.n.p. 87

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orgoglioso. Queste donne sono un veicolo per richiamare nella mente dello spettatore questioni di storia, tradizione, razza e identità (fig. 53).88