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Oltre i confini disciplinari: dai limiti delle principali sistematizzazioni una proposta di inquadramento teorico

Approcci, teorie, modelli esplicativi: il quadro teorico di riferimento

2.1. Oltre i confini disciplinari: dai limiti delle principali sistematizzazioni una proposta di inquadramento teorico

La quantità e la varietà degli approcci e delle prospettive interpretative succedutisi nel tempo, unite alla mancanza tanto di una teoria onnicomprensiva quanto di un paradigma esplicativo dominante, contribuiscono a rendere complesso e potenzialmente discutibile qualsiasi tentativo di costruire un quadro di riferimento unitario degli studi sull’andamento della fecondità. Sebbene sia possibile riscontrare una certa condivisione rispetto ad alcuni temi fondamentali (cfr. capitolo 3), dalla crisi della teoria della transizione demografica ad oggi non è più stato possibile raggiungere un consenso unanime, spesso neppure su quali aspetti del cambiamento demografico sia necessario comprendere e spiegare. Ciò ha indotto alcuni autori a parlare di una vera e propria “crisi epistemologica” (Burch, 1996; Szoltysek, 2007) e ha limitato anche la possibilità di produrre rassegne organiche e sistematiche dei diversi contributi esplicativi a causa della varietà tanto delle prospettive di analisi quanto dei fattori chiamati in causa.

In ogni caso, alcuni interessanti tentativi di sistematizzazione possono essere citati, richiamando anche i principali metodi utilizzati per sistematizzare lo stato dell’arte rispetto al tema del cambiamento demografico e della fecondità in particolare31:

- viene effettuata una catalogazione dei contributi sulla base della matrice disciplinare a cui risultano attribuibili i fattori e/o i meccanismi esplicativi chiamati in causa (Bulatao, 2001);

- si individua un nucleo teorico centrale, rappresentato da un insieme di assunti fortemente integrati tra loro, che diventa il filo conduttore da seguire per la presentazione dei vari contributi, articolati per lo più su livelli diversi di dettaglio e ampiezza (van de Kaa, 1996);

31 Di seguito si presentano alcune sistematizzazioni, rinviando per ulteriori esempi, tra gli altri a McDonald (2000c; 2001), de Bruijin (2006), Mason (1997), Hirschman (1994).

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- uno o più concetti, ritenuti trasversali e presenti in qualche misura in tutti i contributi in questione, vengono utilizzati per formare una griglia interpretativa comune rispetto a cui operare la classificazione (Morgan, Taylor, 2006).

È evidente come ogni sistematizzazione presenti punti di forza e limiti rispetto alla possibilità di comparare tra loro le spiegazioni offerte, individuare connessioni, restituire la dinamicità delle controversie interpretative e rappresenti pertanto un passaggio indispensabile, ma del tutto convenzionale, del processo di ricostruzione del dibattito teorico sviluppatosi nel tempo intorno alla spiegazione delle dinamiche della fecondità.

Per quanto riguarda il primo metodo, le classificazioni effettuate in base al criterio disciplinare prevedono l’inquadramento di ogni contributo all’interno di uno specifico canone teorico, selezionato a seconda della categoria di fattori e/o del meccanismo interpretativo che assumono il ruolo prioritario nella spiegazione, e distinguono, tipicamente, tra i sei e gli otto approcci (Bulatao, 2001):

- demografici -> rinviano a due nuclei concettuali distinti ma in relazione tra loro – il processo di transizione demografica e i fattori determinanti la riduzione della fecondità – che implicano un confronto tra situazioni, comportamenti e risultati pre e post una fase di cambiamento di condizioni e modi di vivere (come il passaggio da un regime antico ad uno moderno e da una fecondità naturale ad una controllata);

- storici -> i cambiamenti della fecondità vengono osservati all’interno di specifici contesti storici e geografici e le differenze tra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo rinviano a specifici quadri storico-politici letti non in opposizione tra loro ma neppure secondo un percorso di transizione universale;

- economici -> il costo dei figli è l’elemento centrale, inteso sia come costo-diretto necessario per investire nella qualità dei figli sia come costo-opportunità relativo alla rinuncia della madre alla partecipazione al mercato del lavoro sia come costo- indiretto legato ai cambiamenti nelle modalità di trasferimento intergenerazionale della ricchezza;

- psicologici -> la caratteristica fondamentale è quella di focalizzare l’attenzione sulla dimensione soggettiva e sui processi decisionali individuali, identificando configurazioni di personalità, intenzioni e strutture di preferenze più o meno favorevoli e propense alla genitorialità;

- sociologici -> gli elementi considerati variano dall’organizzazione sociale ai modi di produzione, dalla famiglia ai valori, dall’idea di società alle istituzioni, sono trattati per lo più in combinazione tra loro o con altre variabili, ma hanno come filo conduttore la relazione tra processi di trasformazione della società e mutamenti nelle dinamiche delle popolazioni;

- istituzionali -> il nucleo centrale è l’idea che i modi e i tempi dei mutamenti demografici siano influenzati dalla particolare dotazione istituzionale di una società, intesa come insieme di regole socialmente costruite (e dipendenti dal suo

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sviluppo storico), disegnate per fornire soluzioni ai problemi dei suoi membri e/o influire direttamente sull’andamento della fecondità;

- genere -> si tratta di spiegazioni indirette che tagliano trasversalmente tutti i precedenti approcci e spostano lo sguardo sulla dinamica delle relazioni tra uomini e donne considerate un elemento in grado modificare il peso e il ruolo di tutti i fattori che incidono sulle scelte di fecondità rendendo leggibili anche esiti apparentemente contraddittori.

I punti di forza principali delle classificazioni disciplinari sono indubbiamente la chiarezza di un’esposizione che risulta comprensibile anche per chi non ha confidenza con il campo specifico delle interpretazioni dell’andamento della fecondità e la semplicità che rende facilmente identificabili gli elementi di base di ciascun contributo. Tale semplificazione, tuttavia, se da un lato favorisce la comprensione, dall’altro può portare ad un irrigidimento identitario dei confini “ideologici” esterni (Szreter, 1993), a scapito delle divergenze interne, che induce a ritenere i contributi appartenenti ad uno stesso canone disciplinare più simili e coerenti di quanto non siano in realtà, offuscando eventuali differenze non solo di metodo ma anche di prospettiva. L’articolazione interdisciplinare, infatti, si intreccia e si sovrappone spesso ad una non meno ricca varietà intra-disciplinare delle spiegazioni e dei meccanismi di azione chiamati in causa dagli studiosi che rischia di andare perduta nel rinvio alla più generale area di pertinenza. Oltretutto, considerata la molteplicità di connessioni che legano tra loro i diversi fattori causali, l’attribuzione ad un’unica matrice disciplinare non sempre si rivela agevole e certa; tuttavia, una volta collocati in aree diverse, anche contributi esplicativi che condividono aspetti rilevanti finiscono per essere considerati alternativi poiché le comparazioni tendono ad essere effettuate a livello di area disciplinare.

Per quanto riguarda il secondo metodo, ovvero l’individuazione di un punto di riferimento centrale al quale ancorare, più o meno gerarchicamente, le altre spiegazioni, una delle sistematizzazioni più interessanti è quella realizzata da van de Kaa (1996) in cui l’autore, attraverso l’introduzione del concetto di narrativa, riordina e coordina i contributi sviluppati all’interno di prospettive e orientamenti disciplinari diversi (Szoltysek, 2007). Dopo aver passato in rassegna e classificato centinaia di pubblicazioni sul tema della fecondità, il filo conduttore dell’elaborazione teorica viene identificato nell’idea di un cambiamento/transizione. La proiezione su una scala temporale (che tiene conto anche dei progressi della demografia come disciplina e della crescente disponibilità di database internazionali) dei contributi che negli ultimi cinquant’anni hanno cercato di spiegare i cambiamenti della fecondità consente di costruire una complessa rete di sub-narrative, disposte su tre livelli a seconda dell’ampiezza del loro raggio d’azione e del loro potenziale di generalizzazione.

Nello schema di van de Kaa, la teoria della transizione demografica, posizionata al livello 1, va a ricoprire il ruolo di teoria iniziale che rappresenta “la conoscenza comune del mondo” e definisce la relazione generale tra i processi di trasformazione

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della società nelle sue tre dimensioni di base, cultura, struttura e tecnologia, e i cambiamenti della fecondità. Le sub-narrative collocate al livello 2, cercando di ovviare al rischio di circolarità insito nelle spiegazioni del livello precedente (un cambiamento spiegato da un cambiamento), si propone di interpretare il cambiamento della società a partire dalla sua regolazione normativa e attraverso l’individuazione di indicatori di tipo generale con cui comparare modelli diversi di sviluppo sociale, culturale e istituzionale. Al livello 3, quello più specifico, si trovano le sub-narrative più dettagliate, frutto di modellizzazioni, simulazioni e studi qualitativi, verificabili empiricamente su micro e macro dati, fondate su un’idea di cambiamento path-dependent che attribuisce particolare rilievo alla specificità territoriale.

La gerarchia di tale ordinamento non implica ovviamente alcuna supremazia di importanza né di validità tra i diversi approcci che non sono posti in contraddizione tra loro; al contrario, le narrative sono caratterizzate da un alto grado di interrelazione e sono considerate parti diverse di un unico processo di individuazione delle determinanti del cambiamento della fecondità di cui approfondiscono aspetti e livelli diversi. Il quadro ricostruito è dunque molto ricco, in grado di fornire una base teorica a ricerche ed analisi di ampiezza diversa, di conciliare generale e particolare, di far convivere in un’unica cornice fattori determinanti e meccanismi causali provenienti da approcci disciplinari apparentemente inconciliabili. Tuttavia, un simile grado di armonia diventa possibile solo al prezzo di un appannamento delle divergenze che hanno spesso contrapposto con toni accesi contributi definiti tra loro “incommensurabili” (Szoltysek, 2007) e provoca l’esclusione di qualsiasi prospettiva critica nei confronti dell’idea della transizione, di cui non vengono messi in discussione (ma anzi accettati esplicitamente) i capisaldi fondamentali – progresso, modernizzazione, civilizzazione tecnologica, ecc. – che nel tempo hanno invece sollevato non pochi problemi interpretativi (Caldwell, 1980; Piché, Poirier, 1990; Greenhalgh, 1996; Tabutin, 1998).

In altre parole, non diversamente da quanto segnalato a proposito delle classificazioni disciplinari, anche l’idea di un filo conduttore – benché articolato in modo da trascendere le discipline e tenere conto dell’evoluzione nel tempo della riflessione – rischia di essere troppo rigida per restituire in modo adeguato la varietà, la dinamicità ed anche la contraddittorietà delle teorie esplicative contemporanee.

Più flessibili sembrano invece le classificazioni che tentano di inquadrare i contributi facendo riferimento ad almeno due coordinate interpretative e che realizzano una vera e propria “tipologia” di approcci. Circa dieci anni dopo van de Kaa, Morgan e Taylor (2006) elaborano un interessante schema di catalogazione, basato sulla creazione di uno spazio concettuale bidimensionale – definito dall’ambito geografico e temporale di applicabilità della teoria e dal contenuto inteso come categoria di fattori causali primaria – al cui interno posizionano i vari contributi. Sul primo asse è possibile individuare tre raggi di ampiezza rispetto ai quali la teoria può essere applicata e considerata valida – globale, interattivo,

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idiosincratico – mentre sul secondo le classi di contenuto sono rappresentate dalla categoria di fattori a cui vengono ricondotti i cambiamenti e/o le differenze nell’andamento della fecondità. In sostanza, sull’asse dell’ampiezza, si va da un estremo in cui le teorie prendono in considerazione aspetti generali, sono (presumibilmente) rilevanti per tutti i paesi e possono essere utilizzate anche per anticipare tendenze future, ad uno in cui l’accento sull’unicità e sulla storicità di fenomeni path-dependent rende la spiegazione più precisa, ma adatta solo a singoli casi e singole situazioni, passando per un livello definito interattivo, in cui spiegazioni strutturate per essere generali incorporano alcune condizioni specifiche viste come parte integrante del modello. Sul piano del contenuto, invece, le classi individuate non formano alcun continuum, ma definiscono solo la categoria di elementi ritenuti in grado di predire il cambiamento della fecondità e, non diversamente da quanto avviene nelle classificazioni disciplinari, distinguono tra area economica, ideologica, istituzionale e tecnologica a cui viene aggiunta una quinta, definita sintetica/path dependent, che fa riferimento all’inclusione di fattori multipli appartenenti a più di una categoria, dall’effetto additivo e/o che assumono caratteristiche specifiche a seconda del contesto.

Il vantaggio più evidente di tali metodi di classificazione è, ovviamente, costituito dalla loro “apertura”: nonostante le inevitabili semplificazioni, insite in qualsiasi catalogazione, la combinazione di due (o più) concetti-base rende possibile un inquadramento univoco ma non unidimensionale, che da un lato restituisce in modo più preciso la natura delle spiegazioni proposte da ciascun contributo, trasformando i livelli in una serie di “caselle” che moltiplicano le sfumature ammissibili, e dall’altro non ostacola ma anzi favorisce la visibilità delle differenze tra teorie, facilitandone la comparazione. La difficoltà principale consiste invece nel riuscire ad individuare le dimensione più adeguate ed efficienti, in grado tanto di rappresentare tutti i contributi da classificare quanto di coglierne in modo sintetico ma abbastanza esaustivo gli elementi di differenziazione fondamentali. Dalla definizione delle dimensioni dipende, infatti, non solo la capacità classificatoria dello schema di “incasellare” correttamente le teorie, ma anche la possibilità di metterle in relazione tra loro rispetto a dimensioni realmente significative poiché aspetti rilevanti, ma esclusi dalla griglia di ripartizione, tenderanno ad essere esclusi anche dalle successive analisi comparative.

Tuttavia, nonostante le difficoltà ed i limiti segnalati, un metodo di questo tipo sembra essere il più adatto per realizzare una panoramica teorica che se per la sua articolazione non può essere sintetizzabile in un’unica visione globale non può neppure essere vincolata a canoni disciplinari che, come si è detto, per la loro stessa natura ostacolano il dialogo e la comparazione tra prospettive diverse. D’altra parte, l’adozione di una chiave di lettura unitaria per l’analisi critica dei diversi contributi teorici risulta in piena sintonia anche con le recenti aspirazioni della “demografia comprensiva” (Charbit, 1999) che, mirando al superamento delle giustapposizioni tra punti di vista e modelli interpretativi, si propone di condurre l’elaborazione teorica

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verso il traguardo di una proficua collaborazione interdisciplinare (Gérard, Piché, 1995).

Un confronto aperto tra i principali contributi esplicativi al di fuori degli schemi pre-costituiti sembra essere inoltre il punto di partenza più funzionale per porre le basi di un framework teorico comune, in grado di combinare un approccio multicausale con la varietà delle declinazioni contestuali, che rappresenta l’aspirazione di molti autori contemporanei (de Bruijn, 1999; Lesthaeghe, 1998; Burch, 1999) e a cui si è fatto riferimento in precedenza. Anche per questa ragione, a differenza dello schema di Morgan e Taylor (di cui si segue comunque la logica), la scelta delle coordinate attraverso cui presentare e rileggere i diversi contributi teorici è caduta su categorie potenzialmente più analitiche poiché entrambe traducibili in

continua attraverso cui cogliere al meglio le sfumature delle diverse teorie, definite

dalle opposizioni concettuali individuo-società (micro-macro) e materiale-ideale (economia-cultura).

2.2. I quattro quadranti: le teorie esplicative rilette alla luce del duplice continuum

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