Dalla teoria all’analisi empirica: framework concettuali e modelli causal
3.1. Prospettive di analisi contemporanee: dalle micro-storie alle meta-teorie
Che nel lungo periodo i tassi di fecondità si sarebbero ridotti era un evento annunciato fin dalla teoria della prima transizione demografica. Tuttavia, la rapidità con cui la natalità è diminuita, soprattutto a partire dalla fine degli anni Settanta del secolo scorso, il verificarsi della transizione al regime di bassa fecondità con modalità e tempi diversi da quelli previsti e, soprattutto, il mancato arresto della caduta dei tassi di fecondità una volta raggiunta la soglia di sostituzione (proseguita, in molti paesi, fino ad attestarsi su valori definiti lowest-low ovvero inferiori ad 1,5 o addirittura 1,3 figli per donna) hanno sorpreso non poco gli studiosi (Kohler, Billari, Ortega, 2002). Tali avvenimenti non solo hanno reso insostenibile qualsiasi approccio esplicativo basato sull’esistenza tanto di una “mano invisibile” della demografia quanto di una legge universale di regolazione delle popolazioni, ma hanno pesantemente ipotecato anche la possibilità di costruire una teoria unificante che rendesse conto dell’andamento della fecondità nei diversi paesi attraverso una spiegazione comune (Wrigley, 1978; Freedman, 1979b; Lesthaeghe, 1980; Hirschman, 1994; Kirk, 1996).
Se fino ad alcuni decenni or sono vi era un sostanziale consenso sulle cause della contrazione dei tassi di fecondità e una sorta di monopolio incontrastato da parte di alcune teorie “cardine” (tra cui, in primo luogo, la teoria dela transizione
demografica e la teoria micro-economica del costo dei figli), man mano che si è
approfondita la comprensione di dinamiche specifiche (grazie anche alla maggiore disponibilità di dati), tale accordo si è affievolito (Greenhalgh, 1990, 85) cosicché oggi, gli studi sui comportamenti riproduttivi, secondo alcuni studiosi si troverebbero a fare i conti, oltre che con la mancanza di una teoria esplicativa universale, anche con l’assenza di framework concettuali sufficientemente condivisi (Szretzer, 1993;
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de Bruijn, 2006). D’altra parte, va segnalato come numerosi autori, soprattutto dopo la fine delle grandi narrazioni (Lyotard, 1981; McDonald, 2001), abbiano cominciato a ritenere una teoria generale – intesa come «corpo coerente di analisi che legano una specifica società o economia, aggregata o locale, alle decisioni e agli esiti della fecondità individuale, in grado di sostenere una verifica empirica» (McNicoll, 1980, 441) – impossibile da sviluppare all’interno della sola demografia (Schofield, Coleman, 1986; Freedman, 1987; Greenhalgh, 1996; van de Kaa, 1996) e, considerandolo un esercizio inutile, si siano orientati piuttosto verso l’elaborazione di teorie di medio raggio che «possano servire per scoprire e spiegare dimensioni distinte ma correlate del cambiamento della fecondità, tenendo conto dei loro specifici contesti sociali, economici e istituzionali» (Szoltysek, 2007, 31; McDonald, 2001).
In realtà, la quantità di approcci parziali, descrittivi e causali (presentati nel capitolo 2), che formano il corpus attuale di conoscenze in materia di comportamenti riproduttivi, sembra rendere un traguardo difficile da raggiungere anche quello della costruzione di teorie di medio raggio, soprattutto a causa dell’eterogeneità che caratterizza e rende poco conciliabili tra loro contributi spesso identificati con una singola persona o scuola di pensiero (Burch, 1996; Mason, 1997)119.
Indubbiamente, una simile pluralità di punti di vista, creando altrettante micro- storie, ha permesso di approfondire un numero crescente di situazioni specifiche, di cogliere separatamente l’influenza esercitata da singoli aspetti e singole variabili, di valutare il funzionamento dei meccanismi esplicativi120 in contesti diversificati ed eterogenei (Szoltysek, 2007). Tuttavia, la corrispondente varietà di obiettivi e di percorsi analitici, rendendo teoricamente ammissibile qualsiasi forma di relazione causale, ha ostacolato tanto l’identificazione di analogie tra le dinamiche di fecondità registrate in tempi e luoghi diversi quanto la formulazione e la verifica empirica di ipotesi di più ampio respiro. Oltretutto, il moltiplicarsi da un lato degli studi di caso
119 Si richiama, sinteticamente, la successione delle principali proposte esplicative per matrice disciplinare da cui emerge l’eterogeneità del quadro interpretativo accumulatosi fino ad oggi: dall’inclusione delle dinamiche di fecondità all’interno delle grandi narrazioni della modernità (Notestein, 1953) e dagli studi focalizzati sulle variabili antecedenti biologiche e demografiche (Davis, Blake, 1956) del secondo dopoguerra, si è passati dapprima all’introduzione dei modelli economici e psicologici di analisi del costo (Becker, 1960; Easterlin, 1975) e del valore dei figli (Fawcett, Arnold, 1973; Fishbein, Ajzen, 1975), poi alla ricerca di relazioni tra le trasformazioni familiari e i mutamenti ideazionali e istituzionali (Lesthaeghe, 1983; van de Kaa, 1987; Caldwell, 1981; McNicoll, 1994) e infine all’approfondimento delle preferenze individuali e della dimensione culturale dei più recenti approcci psicologici, antropologici e di genere (Miller, 1992; Greenhalgh, 1995; Hakim, 1998; Mason, 2001; McDonald, 2000). Ulteriori divergenze sono riscontrabili per quanto riguarda i piani di analisi su cui, anche all’interno della medesima disciplina, si muovono i vari contributi che non solo adottano ottiche diverse – trasversali o longitudinali (Mason, 1997), contestualizzate o comparative (Morgan, Taylor, 2006) – ma indagano anche due classi di oggetti, esteriormente simili eppure concettualmente diversi, come i comportamenti riproduttivi individuali e le tendenze di fecondità aggregate (de Bruijn, 2006).
120 Il termine meccanismo, in questo par., è utilizzato nel senso letterale del termine. Si rinvia al par. 3.2 per la definizione proposta nell’ambito della sociologia analitica e per un’analisi della funzione euristica che tale “strumento” può avere nella ricerca empirica.
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condotti sul campo con metodi qualitativi ed etnografici121 e dall’altro delle analisi statistiche basate su sofisticati modelli matematici non sempre provviste di solide basi teoriche122 hanno in alcuni casi contribuito ad esporre anche le conclusioni raggiunte al rischio di eccessive generalizzazioni/particolarismi e di fallacia ecologica/atomistica (Wunsch, 1984; Schofield, Coleman, 1986; van de Kaa, 1996; Fricke, 1997; de Bruijn, 2006).
La consapevolezza dei limiti di molte proposte interpretative ed il timore che ciò rappresenti un limite anche per la comprensione delle variazioni della fecondità hanno stimolato, a partire dagli anni Novanta, una critica serrata alla frammentazione degli studi e posto al centro del dibattito l’esigenza di acquisire una prospettiva più ampia che consenta di sostenere l’elaborazione di ipotesi esplicative sufficientemente articolate. Abbandonata l’idea di poter giungere a teorie onnicomprensive basate su leggi universali123, l’obiettivo degli studiosi contemporanei è diventato così lo sviluppo di un sistema organico e coerente di assunti teorici, una sorta di meta-teoria che possa rendere conto dei cambiamenti della fecondità avvenuti in condizioni e contesti diversi grazie all’utilizzo di quadri concettuali comuni, ibridabili di volta in volta con elementi di mediazione specifici (Wunsch, 1984; Kreager, 1991; de Bruijn, 1996; van de Kaa, 1996; Burch, 1999):
[…] nessuna teoria onnicomprensiva nelle scienze sociali può essere mono- paradigmatica o mono-causale. Quindi deve essere posizionata ad un livello più elevato di generalità, ma in modo tale che rimanga sufficientemente flessibile da consentire di formulare più rigorosamente specificazioni che dovrebbero essere fatte su misura per le vicende storiche e le loro variazioni. Contingenza storica e path- dependency nell’analizzare e nel comparare casi specifici non possono mai essere eliminate. Le teorie generali in demografia è dunque probabile che siano […] “multi- causali con forti variazioni contestuali (Lesthaeghe, 1998, 12).
Nonostante la condivisione dell’obiettivo teorico, i risultati concreti appaiono quantomeno incerti, soprattutto quando l’ottica adottata è di tipo interdisciplinare (Lesthaeghe, 1998)124. Ciononostante, l’individuazione di una serie di elementi
121 Si veda in proposito Greenhalgh (1997) sul diverso significato attribuito dalla demografia e dall’antropologia agli studi di popolazione condotti con metodi qualitativi – conversazioni casuali, interviste semistrutturate, focus group: in demografia servono per confermare le istituzioni sociali esistenti (e, nello specifico, promuovere la visione eurocentrica che valorizza le famiglie di piccole dimensioni), in antropologia, invece l’obiettivo è comprendere il mondo e la varietà culturale delle popolazioni per quello che sono, senza pretendere di rendere oggettive e razionalizzare le sue diverse manifestazioni e logiche di comportamento.
122 La diffusa tendenza all’utilizzo di tecniche statistiche avanzate per tenere sotto controllo un numero crescente di variabili individuali e contestuali senza tuttavia possedere un quadro concettuale di riferimento è stata sottolineata da diversi autori, tra questi si segnala in particolare Burch (1996). 123 Tra i tentativi recenti di elaborare una teoria generale si segnala Caldwell et al. (1997).
124 Dall’incontro/scontro tra teorie può emergere una nuova teoria, sovraordinata e multicausale, in grado di combinare i meccanismi specificati da singole teorie in una comprensiva di respiro più ampio; possono convivere, rimanendo distinte, teorie non mutuamente esclusive ma caratterizzate da meccanismi esplicativi concernenti ambiti d’azione diversi; possono formarsi soluzioni intermedie e, in particolare, teorie multicausali con variazioni contestuali, in cui la connessione di alcuni meccanismi esplicativi si affianca all’autonomia predittiva di altri all’interno di contesti specifici; si può giungere ad una teoria innovativa che identifica nuove connessioni tra i meccanismi specificati
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comuni ai diversi approcci realizzata da alcuni autori rivela come l’assenza di una prospettiva teorica egemonica non implichi in realtà l’assenza di accordo intorno alle questioni fondamentali per la comprensione delle dinamiche della fecondità125.
Secondo Hirschman (1994), indipendentemente dalla matrice disciplinare, quattro sarebbero i temi al centro delle spiegazioni dei cambiamenti della fecondità: la struttura della famiglia, il processo di modernizzazione, la dimensione culturale e la pianificazione familiare. I modelli di convivenza e i livelli di fecondità, infatti, varierebbero di luogo in luogo e di tempo in tempo innanzitutto in base alla rappresentazione condivisa di ciò che è “famiglia” e al tipo di norme che ne definiscono direttamente e indirettamente la struttura, regolando matrimoni, nascite, residenza dei coniugi e trasmissione ereditaria. In secondo luogo, le trasformazioni connesse alla modernizzazione, nonostante i limiti relativi al concetto stesso di modernizzazione e le incertezze nella specificazione degli elementi e delle connessioni in gioco, non costituirebbero solo uno sfondo per i comportamenti riproduttivi ma assumerebbero un ruolo di primo piano nel definire in modo non univoco i contesti socio-economici in cui si attuano. Un ulteriore fronte sarebbe rappresentato dagli aspetti legati alla cultura e alla circolazione delle idee che sempre più si troverebbero ad agire in combinazione con le caratteristiche socio-economiche anziché in contrasto con esse e, a dispetto delle difficoltà e delle divergenze nell’operazionalizzazione e nell’interpretazione delle variabili, contribuirebbero a spiegare le variazioni della fecondità superando le letture mono-paradigmatiche e mono-causali. Infine, benché controverso e difficile da misurare, un ruolo non trascurabile spetterebbe ai programmi di pianificazione familiare che, mettendo a disposizione di individui e famiglie gli strumenti necessari per controllare la fecondità, modificherebbero i comportamenti riproduttivi, diminuendo la natalità nei paesi in via di sviluppo e, al contrario, mediante politiche e mezzi di tipo diverso, potrebbero favorirla in quelli industrializzati.
Per cogliere meglio la complementarità tra i diversi approcci Hirschman propone di sostituire il paradigma interpretativo causale, basato sull’idea di un evento, la transizione, da spiegare attraverso una serie di predittori intrecciati tra loro e con altre variabili, con un paradigma di tipo sistemico, fondato sul principio di omeostasi126 valido per tutti i fenomeni demografici, sociali ed economici che coinvolgono una comunità (Hirschman, 1994). Se sul piano teorico l’interdipendenza tra gli elementi in gioco consente di spiegare andamenti della fecondità diversi in luoghi e situazioni diverse, sul piano empirico un framework di tale ampiezza e
dalle singole teorie e/o la possibilità di ottenere esiti diversi nell’applicazione a contesti diversi (Lesthaeghe, 1998).
125 Le panoramiche teoriche che approdano a tentativi di sintesi dello stato dell’arte in tema di fecondità sono ovviamente molto più numerose di quelle riportate in questa sede. Tra gli altri si segnalano i contributi di Knodel, van de Walle (1979), Freedman, (1979b), Mason (1997), Cleland, Wilson (1987), Tabutin (1998), Burch (1999) e Morgan, Taylor (2006).
126 Una proposta analoga è avanzata anche da Kirk, secondo cui l’utilizzo di un principio omeostatico consentirebbe una migliore comprensione dei livelli di fecondità post-transizione, interpretabili come “sovra-correzioni” (Kirk, 1996, 386).
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astrazione risulta difficile da verificare all’interno di contesti concreti; oltretutto la predeterminazione di un esito, il raggiungimento dell’equilibrio della popolazione nel lungo periodo, non consente di approfondire adeguatamente i meccanismi regolatori diversi dal legame natalità-mortalità e riporta in campo le obiezioni sollevate a proposito dell’approccio basato sul concetto di sistema demografico.
La sistematizzazione del panorama teorico, condotta attraverso un’articolata operazione di sintesi concettuale, è l’obiettivo anche di un’interessante rassegna curata da Bulatao (2001). La sua lettura trasversale dei vari contributi esplicativi, particolarmente approfondita, cerca di cogliere non solo i temi condivisi, ma anche i meccanismi proposti per spiegare le variazioni della fecondità giungendo ad elaborare una possibile base di partenza per un vero e proprio framework concettuale. L’aspetto più innovativo è costituito, infatti, dal tentativo di mettere in evidenza, attraverso la sintesi dei modelli causali più diffusi, l’esistenza di una struttura interpretativa di base, ovvero di una sorta di ossatura comune ai diversi contributi esplicativi, riconoscibile anche dietro alla varietà delle proposte teoriche contemporanee.
Otto sarebbero i nuclei concettuali, comprendenti altrettante spiegazioni del modo in cui si realizza il mutamento della fecondità, presenti in varia misura e in varia combinazione in tutti gli approcci esplicativi:
- Riduzione della mortalità: l’ipotesi di un equilibrio tra morti e nati è alla base della maggior parte delle teorie di matrice demografica in cui i due fenomeni vengono considerati strettamente correlati; anche se il legame risulta meno deterministico di quanto previsto nelle prime narrazioni della transizione, una diminuzione della mortalità (soprattutto infantile) provoca una contrazione della fecondità.
- Riduzione del contributo economico offerto dai figli: col procedere dello sviluppo socio-economico i figli sono impegnati nell’istruzione per un numero crescente di anni e non possono più contribuire al bilancio della famiglia lavorando; l’utilità economica di avere un figlio diminuisce mentre il costo per allevarli aumenta, come evidenziato dalle teorie di matrice economica.
- Costo-opportunità della maternità: l’allevamento dei figli interferisce con le attività dei genitori (e in particolare della madre) che si trovano a sottrarre tempo al lavoro, alle attività sociali e ai consumi; l’eventuale rinuncia al lavoro femminile provoca una riduzione del reddito familiare che aumenta ulteriormente il costo legato alla decisione di avere un figlio.
- Trasformazioni della famiglia: l’enfasi sui bisogni individuali e la diffusione di modelli di genere meno tradizionali hanno modificato sia le modalità di formazione della famiglia sia il ruolo della maternità nella realizzazione delle aspirazioni femminili; la riduzione dell’importanza di famiglia e figli a fronte di una molteplicità di stili di vita possibili favorisce il declino della natalità;
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- Indebolimento del sostegno culturale nei confronti della maternità: nelle società tradizionali i precetti religiosi e le norme collettive valorizzano la famiglia e promuovono un’elevata fecondità, nelle società moderne il controllo sociale si riduce e la fecondità diventa una scelta individuale; l’ideale normativo della famiglia contemporanea prevede un numero limitato di figli.
- Aumento dell’effettiva possibilità di regolare la fecondità: pratiche di controllo della fecondità si riscontrano anche nelle società tradizionali, tuttavia la disponibilità di metodi anticoncezionali efficaci rende semplice ed accessibile a tutti limitare le nascite al numero desiderato; la diffusione e la legittimazione dell’utilizzo di tali mezzi favorisce la riduzione della fecondità.
- Rinvio dei matrimoni: l’accresciuta scolarità, i cambiamenti del mercato del lavoro e la destandardizzazione dei corsi di vita contribuiscono a ritardare la formazione della coppia; pur non costituendo un fattore diretto di riduzione della fecondità per le unioni già costituite, ciò comporta, generalmente, un rinvio della prima maternità con ripercussioni anche nella cadenza e nel numero delle nascite. - Diffusione di nuove idee: gli individui non agiscono in un perfetto isolamento, ma
interagiscono, si scambiano idee e si influenzano l’un l’altro; i nuovi valori dell’individualismo e dell’autorealizzazione, i nuovi modelli di famiglia e i nuovi stili di vita, diffondendosi nelle società e penetrando nelle coscienze, non provocano direttamente la riduzione della fecondità, ma contribuiscono a definirne le dinamiche.
Nonostante il diverso livello di approfondimento di temi e meccanismi di azione, le analisi dei due autori giungono a conclusioni sostanzialmente simili per quanto riguarda gli elementi di base: cambiamento dei modelli familiari, trasformazioni socio-economiche, diffusione di nuovi valori e disponibilità di nuovi mezzi di regolazione delle nascite. A cambiare è il percorso seguito per giungere alla sintesi finale che se per Hirschman richiede una radicale modifica del paradigma interpretativo, per Bulatao fa perno sulla costruzione di una cornice di riferimento ampia, contenente una serie di concetti comuni, e sull’identificazione di una sequenza di eventi base, declinabili in modo diverso a seconda delle condizioni di partenza e dunque in grado di condurre a traiettorie di riduzione della fecondità differenti.
Il punto di partenza del ragionamento di Bulatao è costituito dall’idea che il declino della fecondità sia un processo del tutto razionale127. La riduzione del numero delle nascite, infatti, avrebbe un significato e un valore in quanto tale (misurabile in termini economici, sociali e/o fisiologici) e, come tutte le azioni razionali, sarebbe determinata dall’esistenza di motivazioni e mezzi idonei, rappresentati, in questo caso, dal desiderio di una famiglia più piccola e dalla
127 Per una discussione sul ruolo e sull’utilizzo del concetto di scelta razionale nella sociologia si rinvia, tra gli altri, a Boudon (2003), mentre per un interessante confronto tra il punto di vista degli economisti e dei sociologi a Hedström, Stern (2008).
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disponibilità di metodi per controllare la fecondità. In secondo luogo, proprio perché frutto di un processo razionale, le dinamiche di fecondità registrate in un territorio in realtà non devono essere intese come un evento unico o come una semplice reazione ad uno stimolo ambientale, ma come il frutto di una moltitudine di decisioni individuali che è necessario inquadrare in concreti spazi di vita, ovvero all’interno del panorama di fattori economici, sociali, culturali ed istituzionali che caratterizza un determinato territorio. Gli individui, infatti, prendono le loro decisioni a partire dal contesto definito da tali fattori e, nell’effettuare le valutazioni relative alla scelta di avere o meno un figlio, fanno riferimento ad obiettivi, preferenze e valori personali e sociali che non sempre e non necessariamente sono razionali, ma derivano spesso da impressioni, opinioni e percezioni incomplete e/o imprecise. Ciononostante, il percorso per giungere alla realizzazione del comportamento – avere o non avere un figlio – nell’insieme mantiene le caratteristiche di un processo decisionale razionale e come tale può e deve essere analizzato.
Sebbene Bulatao nel suo contributo non proceda ad un’operazionalizzazione dei concetti e dei passaggi che identifica, limitandosi ad una descrizione teorica delle dinamiche alla base della diminuzione della fecondità, l’integrazione e l’articolazione in sequenza dei diversi meccanismi generativi in una sorta di macro- processo128 costituisce un utile punto di partenza per giungere a specificare un framework concettuale con relazioni empiricamente verificabili. In particolare, come si vedrà, tanto gli elementi individuati – i concetti – quanto il macro-processo – la sequenza di meccanismi – si rivelano compatibili e integrabili con il modello concettuale-operativo disegnato da Coale che si adotterà per l’analisi dei dati.
3.2. Tra teoria e ricerca empirica: dai framework concettuali ai meccanismi