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ORGANIZZAZIONE GIUDIZIARIA E CRIMINALITÀ ORGANIZZATA

Nel documento Consiglio Superiore della Magistratura (pagine 155-169)

A.

Considerazioni introduttive

Le successive note hanno lo scopo di rappresentare, in una rapida visione d’insieme, la relazione che correla la struttura organizzativa giudiziaria dei Tribunali dei distretti di Corte di Appello delle quattro Regioni del Meridione oggetto del presente studio e l’imponente presenza che in esse assume, sovente in termini drammatici, il fenomeno della criminalità organizzata di stampo mafioso.

Si intende osservare, in sostanza, in che termini la lotta alla mafia incida nell’espletamento dell’attività giudiziaria in tali Tribunali, visualizzando l’adeguatezza delle relative strutture, le situazioni organizzative specifiche, le eventuali soluzioni adottate ovvero le proposte di intervento che, anche a livello legislativo, possano comunque favorire un contrasto maggiormente efficace alla criminalità mafiosa.

Nel fare questo il Consiglio Superiore della Magistratura ha inteso evitare una mera rappresentazione plastica di tali realtà, fondata sulla fredda elencazione di dati statistici (pure comunque raccolti ed elaborati), ma ha preferito avere, e quindi offrire, una rappresentazione dinamica ed effettuale delle situazioni concrete, in particolare affidandosi alle risposte fornite dai dirigenti degli uffici interessati.

Si è così proceduto, nella giornata del 3 luglio 2009, all’audizione del Procuratore Nazionale Antimafia e dei Procuratori della Repubblica delle dieci città sede di Corte di Appello di Campania, Puglia, Calabria e Sicilia, guardando, in particolare, alla veste di costoro come coordinatori delle rispettive direzioni distrettuali antimafia. Per avere, poi, una visione completa delle suddette realtà, vi è stato in data 9 ottobre 2009 un successivo incontro con i Presidenti dei Tribunali ed i Presidenti o coordinatori delle Sezioni GIP dei medesimi uffici giudiziari.

Ne sono scaturite delle risultanze assolutamente di interesse e significative che è compito dell’Organo di autogoverno rielaborare e riproporre, sia pure in maniera sintetica e solo con riguardo alle tematiche risultate di maggiore interesse.

In termini introduttivi, deve essere evidenziato come tutti i Procuratori della Repubblica interpellati, nel raffigurare la situazione obiettiva in cui si manifesta la presenza della criminalità organizzata nel distretto di rispettiva spettanza, abbiano rappresentato delle situazioni particolarmente gravi rispetto alle quali è risultato quasi sempre sproporzionato, per difetto, il numero di personale e mezzi posti a loro disposizione per contrastare le differenti espressioni della criminalità mafiosa.

A titolo esemplificativo, con riferimento alla situazione in cui opera la Procura di Salerno, è stato evidenziato come in ambito locale vi sia una presenza massiccia della criminalità organizzata di stampo mafioso, soprattutto dedita alla commissione di delitti scopo particolarmente invasivi nell’economia e nel sociale, come l’estorsione e l’usura. Assai frequenti sono anche le infiltrazioni della camorra, per lo più proveniente dal napoletano e dal casertano, nel sistema degli appalti pubblici.

Il distretto di Messina, poi, è stato descritto come zona di grande espansione del fenomeno mafioso, sempre più organizzato in maniera capillare sul modello della “Cosa nostra” palermitana.

Soprattutto diffusa è l’estorsione, con conseguente imposizione del pagamento di tangenti molto elevate, ovvero con acquisizione di proprietà immobiliari o con esercizio diretto di attività imprenditoriali, come in concreto accertato in sede di applicazione di numerose misure di prevenzione di tipo patrimoniale. Parallelamente a ciò, è stato segnalato il pericolo della mancanza

di acquisizione di un’adeguata consapevolezza investigativa e giudiziaria da parte degli organi inquirenti dell’entità raggiunta nella realtà locale dal fenomeno mafioso.

Nel territorio catanese, invece, si registra la presenza di una criminalità organizzata in permanente espansione, che si presenta con organizzazioni molto particolareggiate, e cioè con differenti “famiglie” mafiose soprattutto prolifiche nel settore degli appalti di opere pubbliche ed in quelli della distribuzione (grossi centri commerciali), della ristorazione, della fornitura di materiale per l’edilizia, oltre che nel tradizionale settore del traffico di droga, in cui opera in collegamento con la criminalità organizzata campana.

A Lecce, poi, si è registrato nell’ultimo anno una pericolosa ripresa di omicidi commessi dalla criminalità organizzata, in particolare dedita, invero in modo massiccio, al traffico di sostanze stupefacenti.

Anche nella realtà del distretto di Caltanissetta si ravvisa una situazione di grande evoluzione della criminalità organizzata, che ha una struttura particolarmente composita, essendovi la contestuale presenza di una mafia tradizionale più vicina a quella palermitana e di un’altra invece connotata da fattori moderni ed innovatori. Oltre ad esse, poi, vi è la presenza di una mafia locale meno organizzata, ma altrettanto cruenta, denominata “Stidda”.

Nel distretto di Catanzaro, infine, oltre alla massiccia presenza mafiosa, di cui sono prova i frequenti provvedimenti di scioglimento delle amministrazioni comunali, vi è anche una consistente infiltrazione della criminalità organizzata proveniente dall’est europeo.

Orbene, a fronte di drammatiche realtà come quelle esemplificativamente rappresentate, le strutture dei Tribunali interessati non appaiono organizzate in maniera tale da poter garantire il massimo sforzo che la materia di competenza della DDA impone, sia nel corso dell’espletamento delle indagini preliminari che, successivamente, nelle fasi dell’udienza preliminare e del dibattimento.

Rinviando ai successivi paragrafi alcune valutazioni afferenti alle tematiche singolarmente trattate, deve essere osservato come i dirigenti ascoltati, e in particolare i vari Procuratori della Repubblica, abbiano fornito alcune generiche indicazioni de iure condendo che, sia invitando ad evitare interventi legislativi già preannunciati che invocando talune specifiche modifiche normative, sono da costoro ritenute di ausilio nello svolgimento dell’opera di contrasto alla criminalità organizzata.

Ad esempio, numerosi Procuratori della Repubblica hanno fatto riferimento alla ricorrenza di un ottimo rapporto con i locali organi di polizia giudiziaria che, a loro dire, potrebbe essere minato qualora si dovesse provvedere a ridefinire il rapporto tra publico ministero e polizia giudiziaria, rinforzando ruolo e poteri di quest’ultima a discapito dell’autorità giudiziaria nel corso delle indagini preliminari (come invece previsto dal disegno di legge n. 1440/S). E’ stato altresì osservato al riguardo che:

- l’auspicio che si eviti ogni separazione normativa tra polizia giudiziaria e publico ministero é anche proprio della stessa polizia giudiziaria, ben abituata a lavorare con questo sistema di rapporti;

- è indispensabile mantenere una dinamica interazione tra polizia giudiziaria e pubblico ministero, e ciò non per mantenere un particolare status di favore per i magistrati, bensì solo per garantire una maggiore efficienza nelle indagini;

- sarebbe negativo allentare il vincolo funzionale tra la polizia giudiziaria dal pubblico ministero, perché, altrimenti, diverrebbe impossibile svolgere indagini in modo adeguato a causa della mancanza di un coordinamento centralizzato.

Sempre a livello propositivo, poi, si è sostenuta l’opportunità di inquadrare sistematicamente la figura dei Procuratori Aggiunti nelle DDA, eventualmente anche mediante un intervento di normazione secondaria da adottarsi da parte del CSM. Si è denunciato, al contempo, come sia normalmente difficoltoso provvedere alla raccolta delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia nel limitato termine di 180 giorni previsto dalla legge. E’ stata segnalata, poi, l’esistenza di un

grosso problema organizzativo esistente presso alcuni uffici giudiziari (come ad esempio presso la Procura di Caltanissetta), derivante dal fatto che il personale amministrativo ivi presente sta invecchiando, senza che sia previsto alcun ricambio mediante l’effettuazione di nuove assunzioni.

Da ultimo, i dirigenti degli uffici requirenti ascoltati hanno espresso un diffuso negativo giudizio su ogni proposta di riforma che preveda la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, ritenendo che, con specifico riguardo alla lotta alla mafia, appare assai utile che uno stesso magistrato possa accumulare esperienze formative presso tutti i diversi settori professionali della carriera magistratuale.

Rappresentati i superiori aspetti, dunque, appare opportuno procedere alla trattazione di alcune peculiari tematiche ed istituti processuali che, in ragione della loro particolare importanza, peraltro desunta anche dall’audizione dei dirigenti degli uffici giudiziari interessati, appaiono meritevoli di un approfondimento specifico e particolareggiato.

B.

Rapporti delle Direzioni distrettuali antimafia le procure ordinarie e con le procure circondariali

Come anticipato nelle note introduttive, il principale problema operativo che sconta la realtà organizzativa degli uffici giudiziari posti nelle quattro Regioni del Sud del Paese principalmente esposte nella lotta alla criminalità organizzata di stampo mafioso è quello della drammatica ristrettezza degli organici, che rendono invero improbo il contrasto a strutture criminose invece ben radicate e forti nel tessuto socio-economico.

Tale situazione é soprattutto ricorrente presso le Procure della Repubblica, rispetto alle quali si sono pure poste in termini antitetici le più recenti riforme normative che hanno escluso la possibilità di copertura dei vuoti di organico presenti in tali uffici attraverso l’assegnazione ad essi dei m.o.t..

Particolarmente preoccupanti sono le situazioni di difficoltà esistenti in talune delle suddette Procure.

Così, ad esempio, è stato evidenziato come l’organico della Procura della Repubblica di Reggio Calabria sia numericamente assai modesto e come diversi sostituti, tra i pochi ancora presenti, preferiscano addirittura lasciare Reggio Calabria per altre sedi calabresi disagiate, così da poter avere la possibilità di lucrare i vantaggi e gli incentivi espressamente previsti dalla legge.

Ciò appare vieppiù grave tenuto conto che si tratta di un fenomeno che si verifica in un ambito territoriale in cui la criminalità è molto ben organizzata e forte (si pensi, a titolo esemplificativo, che molte amministrazioni comunali del distretto reggino sono state di recente sciolte per infiltrazioni mafiose).

Del pari, presso la Procura di Messina, dove pure per anni vi era stata una buona copertura dell’organico, la situazione si sta evolvendo in senso chiaramente negativo, tenuto in particolare conto che il suddetto ufficio non è considerato come sede disagiata, così scoraggiando la richiesta di trasferimento presso di essa da parte dei magistrati.

Troppo sottodimensionata, pure, risulta la Procura della Repubblica di Catania, e ciò sia sotto il profilo del numero dei magistrati presenti in organico che delle scoperture del personale amministrativo.

A fronte di una criminalità organizzata particolarmente incisiva e operante nel territorio del distretto, la Procura di Caltanissetta presenta una forte scopertura dell’organico (superiore al 50%) oltre ad una riduzione del budget rimesso alle Forze dell’ordine, il che incide pesantemente in termini concreti sulla possibilità di svolgimento delle indagini. Il principale problema di tale ufficio, in ogni modo, appare quello del “reclutamento” di nuovi sostituti, di fatto bloccato dalle

più recenti modifiche normative. In alcune Procure del distretto nisseno, addirittura, è ormai presente solo la persona del Procuratore, con un desolante vuoto di organico.

Anche presso la Procura della Repubblica di Catanzaro la principale difficoltà operativa è da individuare nello scarso numero di magistrati presenti in organico. Soprattutto drammatica è la situazione della Procura ordinaria, in cui si sono registrati ritardi imbarazzanti perfino in fase di iscrizione delle notizie di reato, solo di recente ridotti. Anche la DDA però, per poter operare ha avuto bisogno del fondamentale supporto dei sostituti delle Procure circondariali, che, tuttavia, verrà meno con il progressivo svuotamento delle Procure.

Orbene, appare evidente come la descritta carenza degli organici finisca per condizionare pesantemente le modalità di svolgimento dei rapporti della DDA con la Procura ordinaria e con le Procure circondariali presenti nel distretto.

In termini di relazioni umane quasi ovunque è stata riscontrata l’esistenza di rapporti ottimi tra i magistrati addetti alla DDA e gli altri colleghi dello stesso ufficio di procura, che si trasforma in un costruttivo spirito di collaborazione, determinante una fluidità di scambi tra magistrati dei due settori e frequenti applicazioni di sostituti della Procura ordinaria a processi per reati di mafia.

Il fenomeno che si determina in queste realtà, però, è quello della c.d. “coperta corta”, per cui interventi effettuati in favore di un determinato ufficio finiscono per cagionare corrispondenti difficoltà presso altre strutture inquirenti del distretto.

E’ stato da poco aumentato, ad esempio, il numero dei sostituti presenti nell’organico della DDA di Reggio Calabria e di Napoli, soprattutto al fine di dare risposta al recente drammatico incremento dell’azione della criminalità mafiosa in tali realtà, ma ciò ha inevitabilmente determinato dei negativi contraccolpi per i colleghi della Procura ordinaria.

Presso la Procura di Catania un problema segnalato è rappresentato dall’esuberanza dei sostituti della DDA rispetto a quelli della Procura ordinaria, con contenimento del lavoro del GIP

sulle materie ex art. 51, comma 3 bis, c.p.p., perché la DDA è costretta ad aiutare la Procura ordinaria nell’adempimento dei compiti di relativa spettanza. Addirittura si verificano delle situazioni in cui vengono inviate all’ufficio GIP richieste di archiviazione dopo che le indagini sono già scadute da 4 o 5 anni, così, di fatto, impedendo al GIP di poter compiere alcunché, trattandosi di fattispecie di reato spesso già prescritte.

Anche presso la Procura di Palermo deve ormai ravvisarsi un problema di limitatezza del numero dei sostituti presenti in organico, che logicamente non aumenteranno in futuro, che soprattutto rischia di determinare delle negative conseguenze in termini di indebolimento dell’azione della DDA (anche se, a dire il vero, vi sono molte applicazioni di sostituti della Procura ordinaria a processi di competenza della DDA).

I sostituti della Procura distrettuale di Salerno risultano essere spesso inviati presso le Procure del distretto per ivi provvedere a svolgere delle attività ordinarie, con conseguente discapito delle attività investigative svolte dalla DDA avverso la criminalità organizzata.

Unica realtà (fortunatamente) distonica rispetto alle altre considerate appare quella della Procura di Lecce, in cui non si ravvisano problemi di scopertura di organico e risulta tranquillizzante la situazione generale della DDA, essendovi da anni una sostanziale stabilizzazione del numero dei procedimenti e delle notizie di reato sopravvenute.

Ad appesantire ulteriormente la già difficoltosa situazione generale ravvisabile nei sottodimensionati uffici di Procura, si pone inoltre l’elevata quantità di lavoro che su alcuni di essi grava per essere competenti, ex art. 11 c.p.p., per i procedimenti riguardanti altri magistrati appartenenti a distretti quantitativamente assai numerosi.

E’ il caso, ad esempio, della Procura di Salerno, che disperde molte energie per la trattazione dei numerosi fascicoli riguardanti i colleghi di Catanzaro, ovvero della Procura di Reggio Calabria, competente ex art. 11 c.p.p. sui magistrati del distretto di Messina, nonché, ancora, della Procura di Catanzaro, in modo assai gravoso chiamata a trattare fascicoli riguardanti magistrati di ben due distretti di Corte di Appello (Potenza e Reggio Calabria).

Soprattutto imponente, naturalmente, è l’impegno richiesto ai pochi sostituti in organico presso la Procura di Caltanissetta, obbligati, dalla competenza ex art. 11 c.p.p., ad una grande responsabilità, dovendo trattare le indagini relative alle stragi di mafia ed agli omicidi commessi in danno di colleghi palermitani. Tale impegno è recentemente perfino aumentato con le risultanze delle ultime acquisizioni probatorie determinate dalle rivelazioni dei collaboratori di giustizia.

Con riguardo, poi, ai rapporti intercorrenti tra le Procure distrettuali (e relative DDA) e le Procure circondariali, il panorama degli uffici interessati offre delle situazioni assai diversificate tra loro.

In alcuni di essi si registrano delle situazioni certamente non positive.

E’ il caso, ad esempio, dei certamente migliorabili rapporti ricorrenti tra la Procura distrettuale e le Procure circondariali del distretto di Salerno. In passato risultano esservi stati taluni problemi di comunicazione, in particolare nella trasmissione delle notizie di reato provenienti da una determinata Procura circondariale, tanto da indurre alla realizzazione di apposite riunioni con i magistrati e la locale Polizia Giudiziaria.

Parimenti non ottimali sono risultati i rapporti tra la Procura della Repubblica di Palermo e le relative Procure circondariali, e ciò nonostante sia stata effettuata la redazione di appositi protocolli di intesa. In genere ciò risulta avvenire per il timore degli uffici circondariali di essere

“espropriati” di talune importanti indagini.

Anche presso la Procura di Lecce sono stati sottoscritti diversi protocolli di indagine con le Procure circondariali, anche se il loro rispetto è risultato essere talora parziale, soprattutto in ragione di riscontrate difficoltà di natura comunicativa tra tali uffici.

A fronte di ciò, tuttavia, si registrano alcune differenti situazioni in cui i rapporti tra Procura distrettuale e Procura circondariale sono risultati essere ottimali.

E’ il caso, ad esempio, della Procura di Reggio Calabria, ove pure, però, la carenze degli organici delle Procure circondariali costringe molti sostituti del capoluogo calabrese a recarsi spesso presso tali sedi per consentire la celebrazione dei processi, con notevole dispendio di tempo e di energie.

A Catanzaro sono frequenti le riunioni tra la Procura distrettuale e quelle circondariali per operare scambi di informazioni e per coordinare le indagini in modo da evitare duplicazioni di provvedimenti su stessi beni e persone, così da poter soprattutto adottare misure di aggressione patrimoniale effettive e diverse, che sono la principale forma di attacco alla criminalità organizzata.

Talune interessanti opzioni, infine, sono state effettuate a livello organizzativo in alcune strutture di DDA.

Così, ad esempio, presso la Procura di Lecce é stato creato una sorta di gruppo di lavoro

“cuscinetto”, collocato tra la Procura ordinaria e la DDA, che si occupa di tutti i reati di criminalità organizzata diversi da quelli elencati nell’art. 51, comma 3 bis, c.p.p., con previsione che un magistrato di tale gruppo possa far parte della DDA, così da svolgere un importante e specifico compito di raccordo.

La DDA di Catanzaro, invece, è stata articolata in due grandi aree geografiche (quella tirrenica e quella ionica), rispettivamente affidate ad uno dei Procuratori aggiunti.

C.

Rapporti tra Direzioni distrettuali antimafia e uffici GIP

In relazione ai rapporti intercorrenti tra gli uffici di Procura (e della DDA in particolare) con gli uffici GIP si ravvisa una sostanziale identità di giudizio nel definire tali ultimi buoni, se non addirittura ottimi, oltre che improntati a un fattivo spirito di collaborazione.

Tale armonia tra uffici si sostanzia, ad esempio, in accordi aventi ad oggetto differenti modalità operative che facilitano una migliore gestione delle funzioni giudiziarie rispettivamente rimesse alla competenza di tali uffici.

A livello esemplificativo, tra tali positive prassi deve segnalarsi che:

- a Catanzaro ogni tre mesi si svolge una riunione tra Procura e ufficio GIP, che ha già permesso di risolvere diversi problemi di natura organizzativa;

- a Palermo, attraverso intese di fatto, la Procura è solita segnalare all’ufficio GIP le situazioni di maggiore urgenza, in genere per chiedere di trattare in anticipo una richiesta di misura cautelare rispetto ad un’altra;

- sempre a Palermo, la DDA è solita avvertire l’ufficio GIP, prima dell’avviso ex art. 415 bis c.p.p., dell’esistenza dei fascicoli più delicati, riguardanti persone e crimini maggiormente pericolosi, onde favorirne una trattazione adeguata e celere;

- anche a Caltanissetta e Bari vengono segnalate dalla DDA le misure da trattare con urgenza, che viene poi valutata dal Presidente della Sezione GIP e dallo stesso GIP assegnatario, i quali possono decidere di disattendere l’indicazione effettuata dalla Procura;

- sempre a Bari, la Procura e l’ufficio GIP stanno congiuntamente studiando un modello di predisposizione delle richieste cautelari che possa favorire una più rapida decisione su di esse;

- a Napoli la Procura è solita evidenziare al GIP le specifiche situazioni di sofferenza.

Le uniche perplessità hanno riguardato la possibilità che in taluni casi la Procura distrettuale provveda a riunire strumentalmente un procedimento ad un altro allo scopo di determinare il GIP

chiamato a decidere (soprattutto ai fini dell’adozione di una misura cautelare). Sono state evidenziate, poi, anche le difficoltà pratiche che vengono ingenerate presso gli uffici del GIP nei casi in cui vengano depositate richieste di rinvio a giudizio nei confronti di imputati i cui termini di durata della custodia cautelare siano prossimi alla scadenza.

I più significativi problemi relazionali esistenti nei rapporti tra i due uffici, però, appaiono originati da problematiche di carattere strutturale.

In molte realtà (Reggio Calabria, Bari, Caltanissetta, Palermo), infatti, è stata evidenziata la difficoltà operativa connessa alla ristrettezza di organico di cui soffre l’ufficio GIP, peraltro impossibilitato ex lege a servirsi del contributo dei m.o.t., a fronte di uno sperequato numero di sostituti, ed in generale di forze e di mezzi, di cui gode la Procura, e la DDA in particolare, rispetto ad esso. Il reale problema, cioè, sembra essere l’esiguità del numero dei GIP che si occupano di mafia rispetto ai pubblico ministero che compongono le DDA

Ciò non toglie, tuttavia, che possano sorgere anche problemi determinati da cause di altra

Ciò non toglie, tuttavia, che possano sorgere anche problemi determinati da cause di altra

Nel documento Consiglio Superiore della Magistratura (pagine 155-169)