• Non ci sono risultati.

UNA INDICAZIONE PROPOSITIVA

Nel documento Consiglio Superiore della Magistratura (pagine 169-172)

1. L'esperienza consiliare di questo quadriennio conferma l’indicazione che emerge dall’analisi sin qui svolta: l’amministrazione della giustizia nelle regioni del Sud con elevata presenza di criminalità mafiosa presenta caratteri particolari e richiede, conseguentemente, risposte specifiche e talora diverse da quelle necessarie per gli uffici giudiziari in genere.

Accade infatti che in quelle regioni, in cui si concentra il 37% dell’organico dei magistrati, le scoperture siano maggiori che nel resto d’Italia, che si concentrino gran parte delle sedi disagiate, che ci siano sedi di dimensioni così ridotte da superare ogni razionalità, che il tourn over dei magistrati sia in assoluto il più elevato. Ne consegue un quadro complessivo particolarmente grave in cui i tempi processuali non accennano a diminuire ed anzi tendono talora a dilatarsi ulteriormente (soprattutto in appello), l’impossibilità (o la difficoltà) di adottare tempestivamente i provvedimenti urgenti (per esempio in materia cautelare) ha portato finanche a distorsioni dei ruoli processuali, alcuni dibattimenti per vicende assai delicate si prolungano per anni con effetti destabilizzanti anche in punto credibilità dei relativi esiti. Ma non c’è solo questo. Sulla situazione descritta, già di per sé problematica, si innesta la necessità di dare risposte convincenti a fenomeni criminali particolarmente complessi e a situazioni sociali spesso assai pregiudicate (con evidenti ripercussioni anche sul versante giudiziario, per esempio, in materia previdenziale)

Di ciò si sono mostrati consapevoli i dirigenti degli uffici coinvolti negli incontri realizzati nei diversi distretti e nei seminari appositamente organizzati dal Consiglio, che hanno sottolineato alcuni snodi di particolare rilievo: non solo l’insufficienza delle risorse umane e materiali (che ostacola una razionale e adeguata resa del servizio) ma anche il deficit di organizzazione (fonte di ulteriori lentezze e, a volte, difficoltà nella proficua collaborazione tra uffici, in particolare DDA e procure ordinarie), la insufficiente percezione del ruolo strategico nell’azione di contrasto della criminalità organizzata della aggressione ai patrimoni mafiosi (con notevoli diversità di interventi da sede a sede), i rischi connessi con talune prospettive di riforma del sistema processuale (quali la riduzione della possibilità di svolgere intercettazioni telefoniche e il ridimensionamento del ruolo del pubblico ministero nei suoi rapporti funzionali con la polizia giudiziaria nel corso delle indagini preliminari) e molto altro ancora.

Si tratta, all’evidenza, di alcuni soltanto dei molti problemi che affliggono la giustizia nelle regioni del Sud, sufficienti, peraltro, a evidenziare ulteriormente la necessità di interventi specifici soprattutto con riferimento alle necessità proprie del contrasto della criminalità mafiosa.

Ciò, del resto, è emerso in diversi momenti della attività consiliare di questo quadriennio: le visite e gli incontri realizzati ad hoc da parte della I e della VII Commissione a Reggio Calabria e della VII Commissione a Napoli, gli incontri preparatori della presente relazione nelle diverse corti d’appello, alcune procedure – in particolare in prima Commissione – in cui si sono toccate con mano la specificità e la difficoltà ambientale di affrontare in modo adeguato le sfide proposte dalla criminalità organizzata.

In estrema sintesi è di tutta evidenza che la criminalità organizzata di stampo mafioso continua a rappresentare un grave pericolo per l’assetto della società e per lo stesso funzionamento delle istituzioni e che la risposta giudiziaria riveste, al riguardo, un ruolo di primaria importanza.

2. Non si parte certo da zero. Negli ultimi decenni l’intervento giudiziario di contrasto alle mafie ha segnato una rilevante crescita di incisività e ha conseguito significativi successi. Ma le organizzazioni mafiose dimostrano una straordinaria capacità di modernizzazione e rinnovamento e rinviano alla necessità di una azione giudiziaria sempre più determinata e con caratteristiche qualitative di eccellenza.

Per questo la magistratura tutta, e il Consiglio superiore in primis, deve essere consapevole che il fenomeno mafioso costituisce una grande questione nazionale che impone una mobilitazione permanente sul piano della tensione morale, della cultura professionale e dell’impegno generalizzato. Tale impegno peraltro, per quanto forte e decisa sia la determinazione del Consiglio e dei magistrati, non potrà avere risultati realmente positivi, come l’esperienza giudiziaria dimostra, senza un contesto di iniziative dirette a rinnovare le strutture della giustizia e ad adeguarle alla situazione da fronteggiare.

Ne viene la necessità di iniziative coordinate che chiamano in causa una pluralità di attori: il Parlamento, il Governo e il circuito di governo autonomo della magistratura, a cominciare dal Consiglio superiore. I settori di intervento sono molteplici. A mero titolo di esempio: la questione degli organici e delle modalità per assicurarne la copertura; quella delle sedi disagiate e degli strumenti per incentivare, in esse, la permanenza di magistrati motivati ed esperti; le ricadute sulla effettività del servizio giustizia dei vincoli ordinamentali in tema di assegnazione dei magistrati di prima nomina e di passaggio di funzioni; l’opportunità di una revisione delle circoscrizioni giudiziarie più irrazionali (anche a prescindere da un più generale e complessivo riordino); le misure per far fronte a carenze temporanee di organico (con una rimeditazione dello strumento dei magistrati distrettuali); la politica tabellare del Consiglio; gli interventi consiliari sulle situazioni di sofferenza degli uffici (con un ripensamento dell’art 2 legge guarentigie e del sistema di accertamento delle incompatibilità parentali); la strutturazione della formazione anche come veicolo di crescita organizzativa mediante la stabilizzazione dello scambio di esperienze tra uffici; i necessari aggiustamenti della normativa sostanziale e processuale di contrasto alla criminalità organizzata e via elencando.

Su molti di questi temi in Consiglio è intervenuto anche nell’ultimo periodo con diverse importanti risoluzioni, ma l’esperienza dimostra l’insufficienza di iniziative, pur in sé valide, ma disorganiche, occasionali, dettate da situazioni di sofferenza specifica.

La difficoltà (spesso la drammaticità) della situazione richiede un Consiglio costantemente in prima fila nelle sue funzioni di governo dell’istituzione giudiziaria, nel ruolo di riferimento culturale per i magistrati e come elemento di stimolo e interlocuzione, nel rispetto delle specifiche competenze, del Parlamento e del Governo. La vicinanza del Consiglio – per dare e per ricevere degli input – è stata, del resto, sollecitata in diverse occasioni dai magistrati operanti nelle realtà più difficili.

Di qui la scelta di fornire a tutte le istituzioni interessate la fotografia ragionata della situazione e dei problemi su cui ci si è sin qui soffermati, accompagnata da una indicazione metodologica – offerta anche alla riflessione del nuovo Consiglio – su soluzioni organizzative che consentano una più continuativa e organica attenzione al tema della risposta giudiziaria alla criminalità mafiosa.

3. La ricerca di soluzioni siffatte è stata una costante nella storia del Consiglio superiore, che già nella sesta consiliatura, con delibera del 15 settembre 1982, istituì al proprio interno un Comitato antimafia che promosse, tra l’altro, incontri seminariali tra i magistrati delle sedi più calde e un’indagine conoscitiva, con visita di quattro delegazioni del Consiglio nei distretti interessati dal fenomeno mafioso, predisponendo all’esito una relazione articolata (approvata

dal plenum il 14 luglio 1983) con proposte di straordinaria modernità, molte delle quale tradottesi, negli anni successivi, in concrete iniziative.

Nelle consiliature successive – come risulta dalla analitica ricostruzione effettuata nel parere 13 dicembre 2004 della Commissione per il regolamento interno sottoposta al plenum dell’8 giugno 2005 – le soluzioni organizzative adottate, oggetto di specifici interventi del Capo dello Stato, sono state diverse, anche per tener conto della riduzione del numero dei consiglieri e della mutata articolazione delle commissioni referenti, ma fermo è rimasto – come si legge nell’oggetto di una delibera del Comitato di presidenza del 19 maggio 2004 –

«l’impegno del Consiglio in materia di contrasto alla criminalità organizzata per l’individuazione di strumenti organizzativi più adeguati per assicurare impulso e coordinamento delle diverse iniziative, anche attraverso monitoraggi e visite agli uffici giudiziari più esposti». Ciò è stato da ultimo ribadito dal vicepresidente nel plenum del 5 maggio 2010 all’esito del dibattito su intimidazioni e minacce nei confronti di pubblici ministeri palermitani.

La prospettiva merita di essere riproposta al termine di questa relazione, come necessario complemento della analisi ragionata della situazione e dei problemi principali che la caratterizzano. Non è questa la sede per indicazioni organizzative – che saranno, casomai, di competenza del prossimo Consiglio – ma va sottolineato che, alla luce dell’esperienza di questi anni, un luogo di attenzione trasversale alle commissioni e con carattere di stabilità appare indispensabile al fine di contribuire a realizzare interventi tempestivi nei punti di maggior sofferenza, ad assicurare il coordinamento e la crescita professionale e culturale degli uffici interessati e a realizzare un opportuno collegamento con le altre istituzioni.

ALLEGATI

Nel documento Consiglio Superiore della Magistratura (pagine 169-172)