I RIFERIMENTI EPISTEMOLOGIC
4.2 Orientamenti di fondo della ricerca empirica
MelArete rientra all’interno delle ricerche che possono essere definite educative (Mortari, 2009), poiché prevede la realizzazione di un percorso educativo e lo svolgimento di una ricerca su di esso.
La ricerca educativa realizzata si pone quindi obiettivi educativi ed obiettivi euristici. L’obiettivo educativo del progetto è quello di portare i bambini a riflettere su alcuni concetti eticamente rilevanti, oltre che sulla loro esperienza di azioni virtuose. L’obiettivo euristico consiste nel comprendere come si qualifica il pensiero etico dei bambini e verificare l’efficacia delle attività proposte lungo il percorso educativo. I criteri epistemici assunti nella presente ricerca fanno riferimento alla filosofia fenomenologica perché ritenuta la più sintonica all’oggetto di studio, ovvero al mondo dell’educazione, dove l’intricata problematicità dei vissuti educativi rende necessario “un approccio pensosamente critico e cautamente rispettoso” (Mortari, 2007). Tale filosofia, rifacendosi ad un approccio naturalistico (Lincoln and Guba, 1985), evita metodi sperimentali e assume come irrinunciabile punto di partenza l’esperienza vissuta perchè si presuppone che l’essenza dell’esperienza umana così come è vissuta sia accessibile solo incontrando le persone là dove quotidianamente vivono (Van Manen, 1990).
Gli elementi caratterizzanti l’approccio naturalistico sono:
- lo svolgimento della ricerca all’interno dei contesti educativi dove i bambini vivono quotidianamente;
- l’utilizzo di strumenti sintonici con i dispositivi educativi che le insegnanti adottano nel loro lavoro quotidiano;
- il riferimento a metodi principalmente qualitativi perché più adatti all’indagine di fenomeni complessi come la dimensione etica e quindi a trattare – analizzare - significati, pensieri, idee e percezioni dei soggetti coinvolti;
- la definizione del disegno di ricerca non stabilito a priori ma costruito induttivamente a partire dal lavoro con i bambini;
- la collaborazione tra ricercatori e "pratici" (insegnanti) acquisisce rilevanza centrale perché viene considerata la sola opportunità per attivare dinamiche di cambiamento nei contesti educativi.
Il lavoro descritto in queste pagine si inscrive quindi in un paradigma di ricerca di tipo ecologico (Mortari, 2007) ed entro una tradizione empirica di tipo qualitativo, che
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privilegia un approccio idiografico volto alla descrizione, comprensione e interpretazione dei fenomeni “educativi” situati e circoscritti. Entro tale quadro acquisiscono rilevanza l’unicità e la particolarità dell’esperienza analizzata e una postura del ricercatore volta ad andare in profondità nei “dati”, evidenziandone la “qualità”, piuttosto che tendere alla standardizzazione e alla quantificazione con pretese di validità generale.
In questo quadro è una filosofia fenomenologico-ermeneutica (Bertolini, 1988; Tarozzi, 1997; Tarozzi, Mortari 2010; Caronia, 2011), che offre la prospettiva idonea per valorizzare le potenzialità della relazione tra soggetto e oggetto della conoscenza, il cui rapporto si struttura sull’idea che non esiste oggetto senza soggetto, così come quest’ultimo non può prescindere dall’oggetto che sta guardando. Entrambi fanno parte di un fenomeno, il cui senso e significato è imprescindibile dall’intenzionalità del soggetto stesso, che richiede cura e rigorosità descrittiva, non finalizzati a cogliere l’oggettività e la comprensione definitiva della realtà, ma la sua significatività.
LA FINALITÀ
Ulteriore aspetto che qualifica epistemologicamente la ricerca in oggetto è il suo carattere pragmatico.
La ricerca pedagogica può essere di tipo “constatativo-ricognitivo”, quando si prefigge di raccogliere dati per comprendere un fenomeno così come accade e incrementare la conoscenza esistente su un determinato tema, oppure di tipo “esperienziale- trasformativo”, quando si prefigge di realizzare nuove esperienze che possano apportare miglioramenti all’interno di un contesto o nella pratica educativa (Mortari, 2007; Mortari, 2009). Compito specifico della ricerca di tipo educativo attivata risiede nel provocare cambiamenti migliorativi attraverso la sua capacità di innescare nel contesto quei processi che intensificano la capacità critica e riflessiva degli individui.
I PARTECIPANTI
MelArete si qualifica come ricerca per i bambini e ricerca per le insegnanti. Il percorso di ricerca è guidato dall’intenzione di realizzare una “children centred research”, non semplicemente una ricerca “con” i bambini, ma più propriamente una ricerca “per” i bambini (Mortari, 2009), in quanto animata dall’intenzione di offrire esperienze positive e significative ai partecipanti, una ricerca che mette al centro l’esperienza dei
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bambini e i processi di significato che elaborano con l’intento di offrire loro buone esperienze. Non si tratta cioè soltanto di coinvolgere i bambini in una ricerca per conoscere il loro punto di vista su un determinato fenomeno, ma si tratta anche di progettare e realizzare attività che possano contribuire alla loro fioritura interiore e, nello specifico, allo sviluppo del loro pensiero etico.
In questa direzione la ricerca educativa mentre si attualizza, si propone di contribuire a un incremento della qualità delle esperienze di apprendimento vissute dai più piccoli (Mortari, 2009).
Anche il coinvolgimento delle insegnanti al progetto in un’ottica partecipativa oltre a permettere di restituire la parola ai soggetti, valorizzando il loro sapere, e di comprendere il loro punto di vista, restituendo descrizioni e interpretazioni della realtà coerenti con i loro sguardi, permette di innescare nei soggetti processi riflessivi sulla realtà e sul proprio agire. La dimensione partecipativa rappresenta così anche il luogo in cui si può realizzare il suo risvolto formativo (Mortari, 2007; Bove, 2009). Sebbene non fosse nelle finalità di questo lavoro intraprendere con le insegnanti un vero e proprio processo di formazione si ritiene che la possibilità di prendere parte attiva alla ricerca esprimendo idee e punti di vista sul suo oggetto (attraverso l’intervista, scambi informali e la partecipazione nella conduzione delle attività e nella raccolta dei dati) possa aver costituito l’occasione per le insegnanti di ripensare al proprio agire educativo. In questo senso il risvolto formativo della ricerca si proietta in una dimensione futura, attraverso il tentativo di elaborare alcune indicazioni utilizzabili dalle e/o con le insegnanti per riflettere su alcuni aspetti della dimensione discorsiva nella scuola dell’infanzia, evidenziando l’opportunità e i termini in cui è auspicabile porre al centro della riflessione pedagogica tale aspetto della realtà.
La ricerca si pone quindi al servizio dei pratici per l’attivazione di un processo trasformativo del contesto capace di rendere la pratica meno legata alle abitudini e più scientifica (Dewey, 1984). I pratici, infatti, spesso si lasciano prendere dentro azioni routinarie (la pratica inerte che ruba il fine, come dice Aristotele). Oppure, in ossequio alle scienze, utilizzano i risultati delle ricerche come ricette da applicare.
La ragione d’essere della ricerca educativa è quella di consentire a chi è impegnato in essa (sia ricercatori accademici, sia educatori) di acquisire quella pensosità critica sull’esperienza necessaria per valutare come agire in modo adeguato in una situazione
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educativa e tale competenza si costruisce nel tempo coltivando un’attenzione riflessiva sul fenomeno educativo e sui processi discorsivi che lo istituiscono.
“Una visione chiara e distinta delle cose non ci viene da altri, ma può essere solo l’esito di un impegno personale di ricerca della conoscenza”(Habermas, 1983).
Le insegnanti di scuola dell’infanzia hanno fatto ricerca sulla loro esperienza e sulle loro pratiche qualificandosi per certi aspetti come co.ricercatori perché hanno partecipato alla fase ideativa del progetto di ricerca avendo avuto la possibilità di proporre attività specifiche, e andando poi successivamente a prendere parte attiva nella raccolta dei dati. Questo ha permesso ai pratici di concepirsi non come esecutori di procedure decise da altri, ma come ricercatori-pratici, protagonisti di percorsi grazie ai quali acquisire maggiore consapevolezza e capacità di intervento nell’esperienza quotidiana.
LE TECNICHE DI INDAGINE
I dispositivi scelti per la raccolta dei dati fanno riferimento ad una metodologia di tipo qualitativo. Se intendiamo rivolgerci al mondo dei significati, la loro comprensione non sarà resa possibile da una quantificazione, ma da processi di interpretazione degli eventi discorsivi. In tale processo il ricercatore non è interessato a raccogliere dati per una ricerca ricognitiva ma vuole comprendere quali significati le persone attribuiscono alla loro esperienza e agli eventi di cui sono partecipi.
Dare voce all’altro in modo che possa esprimersi secondo i suoi modi propri su questioni sensibili significa raccogliere dati che richiedono un’analisi qualitativa. Il mondo dei significati in cui un bambino vive, per essere compreso, richiede procedure di ricerca differenti (Mortari, 2009). Innanzitutto l’indagine si deve sviluppare negli ambienti reali di vita del bambino.
A lungo la vita e l’esperienza dei bambini è stata esplorata attraverso lo sguardo e le parole degli adulti poiché si pensava che i bambini non avessero le competenze per capire il loro mondo e mancassero di abilità linguistiche necessarie a mettere in parola i loro pensieri (Docherty, Sandelowski, 1999).
Con gli studi di Piaget e la successiva svolta interazionista e costruzionista, i bambini divengono soggetti competenti, attivi e produttori sapienti di pensiero. Secondo tale tipo di prospettiva i bambini sono soggetti che costruiscono il pensiero nello scambio
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con altri ed è dunque assumendo tecniche di ricerca che valorizzano la loro posizione di produttori di pensiero che si accede al loro punto di vista (Vygotskij , 1973). Il processo di indagine in questo caso diviene quindi un processo di ascolto che implica fondamentalmente per i ricercatori-insegnanti una dimensione di passività, di ricettività, uno stare in attesa del dirsi dell’altro: da qui la scelta di utilizzare la conversazione guidata ma non direttiva come strumento d’indagine.
All’interno di tale quadro di riferimento acquista un valore primario il processo attraverso cui la persona del ricercatore si prende cura di sé per modellare quelle disposizioni intellettuali e quelle posture relazionali che gli consentono di divenire uno strumento etico nella relazione. Le posture etiche fondamentali sono riconducibili all’ascoltare e al dare tempo (Mortari, 2019). Per cogliere in pienezza il vissuto dell’altro il ricercatore è chiamato a stare autenticamente nel reale mettendo tra parentesi ogni contenuto pre-dato della mente (Husserl, 2002), e ad abbandonare logiche efficientistiche per dedicare tempo all’altro anche in una direzione di creatività e cura estetica dei materiali.
Nel progetto di ricerca realizzato abbiamo cercato di esplorare i pensieri etici originari dei bambini attraverso l’utilizzo dei seguenti strumenti di indagine che hanno costituito anche occasioni di apprendimento per i bambini in quanto coincidenti con le esperienze che qualificano il progetto educativo:
- Le conversazioni socratiche: vengono utilizzate le conversazioni per promuovere il pensiero intersoggettivo secondo il modello socratico: formulare una questione eidetica e poi sollevare domande in modo da individuare chiarezze e ombre dei pensieri espressi. Porre una domanda eidetica secondo il pensiero socratico significa chiedere di dire l’essenza di una cosa; questa domanda costituisce il nucleo del metodo maieutico. Le domande chiave delle conversazioni socratiche realizzate con i bambini sono le seguenti: Che cosa è la virtù? Che cos’è la generosità? Che cos’è la giustizia? Che cos’è il rispetto? Tale pratica promuove la capacità di esaminare in profondità i concetti cercando di guadagnare uno sguardo attento sul campo semantico delle parole che vengono usate e di argomentare le idee che si intendono sostenere.
-La riflessione sull’esperienza: i bambini sono stati coinvolti in processi di riflessione, attraverso il linguaggio grafico e narrativo, sull’esperienza etica personalmente vissuta. Ogni bambino, lungo l’intero anno scolastico, è stato invitato a raccontare e/o disegnare le azioni virtuose agite, ricevute, viste accadere. Questo diario dei pensieri
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stimola a esternalizzare gli atti mentali e i prodotti degli atti mentali e sostiene i bambini nella riflessione sulle loro azioni.
IL METODO DI ANALISI DEI DATI
Le conversazioni in classe sono state audioregistrate, trascritte fedelmente e anonimizzate nel rispetto del diritto alla riservatezza dei bambini coinvolti. L’analisi dei dati è stata effettuata sulla base di un “metodo meticciato” (Mortari, 2007, pp. 193 e ss.), che combina elementi del metodo fenomenologico-eidetico (Giorgi, 1985; Moustakas, 1994) e della grounded theory (Glaser & Strauss, 1967). Prima di spiegare quali sono le azioni euristiche in cui si è concretizzato il metodo adottato, occorre soffermarsi sul perché sia considerato scientificamente legittimo meticciare i metodi. La combinazione di più approcci metodologici risulta opportuna se guidata dall’obiettivo di comprendere il fenomeno nel modo più adeguato possibile e risulta efficace se i metodi che si decide di meticciare condividono alcune assunzioni di base. Nel nostro caso, si è scelto di combinare il metodo fenomenologico-eidetico con la
grounded theory per i seguenti motivi (cfr. Mortari, 2007, p. 194):
− entrambi perseguono l’obiettivo della fedeltà al fenomeno, che si raggiunge attraverso un’analisi il più possibile aderente ai dati;
− entrambi invitano a sospendere tutte quelle precomprensioni che potrebbero condizionare il processo d’indagine, impedendo o inquinando la conoscenza del fenomeno nella sua specificità;
− entrambi si configurano come metodi induttivi, che mantengono il processo di concettualizzazione saldamente radicato nei dati.
La scelta del metodo da adottare deve essere guidata dal principio della “libertà rigorosa”, che consente al ricercatore di meticciare elementi caratteristici di approcci metodologici diversi ma che, al tempo stesso, gli prescrive il dovere di esplicitare e argomentare le proprie scelte di meticciamento (Mortari, 2007, p. 194).
Il metodo meticciato adottato per l’analisi delle “conversazioni socratiche” ha previsto le seguenti azioni euristiche:
− lettura ripetuta dei testi delle trascrizioni; − identificazione delle unità significative;
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− elaborazione di una categoria concettuale per ciascun gruppo di etichette riferibili alla stessa area semantica.
L’obiettivo dell’analisi è tipicamente fenomenologico, in quanto consiste nell’individuazione del significato essenziale che i bambini attribuiscono ai concetti etici, mentre la modalità di codificazione, che prevede le due fasi dell’etichettatura e della categorizzazione, è tipica della grounded theory. Impegnandosi nell’esercizio dell’epoché, che consiste nel “mettere tra parentesi” presupposizioni e precomprensioni rispetto al fenomeno oggetto di indagine (Husserl, 2002, pp. 71 e ss.; Mortari, 2007, pp. 89 e ss.), i ricercatori perseguono l’obiettivo di una codificazione che sia il più fedele possibile ai dati .
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