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L’EDUCAZIONE ALL’ETICA NELLA SCUOLA DELL’INFANZIA

2.4 Riflessioni e connessioni con MelArete

Dopo la presentazione degli approcci e delle pratiche di educazione morale nei contesti prescolari documentati nella letteratura scientifica è possibile e opportuno condividere

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alcune riflessioni di sintesi generale e identificare gli elementi di comunanza e differenza di tali approcci e pratiche con il progetto al centro del presente studio. Una prima considerazione da cui partire nella riflessione è che non può non esserci un’educazione morale: in ogni scuola accade l’educazione morale, ciò che fa la differenza è la consapevolezza e l’intenzione con la quale questa avviene.

La riflessione sui valori e sull’educazione morale rischia di essere relegata all’interno del dominio del curricolo nascosto, dell’abitudinarietà irriflessa (Gariboldi, 2007), con conseguente scarsa consapevolezza e controllo circa i riferimenti etici che i bambini comunque apprendono.

A partire dalla considerazione che ogni giorno e ogni momento all’interno del contesto prescolare i bambini costruiscono il loro senso etico in relazione a ciò che vivono all’interno delle relazioni significative che li coinvolgono, e che le proposte educative- didattiche e le parole e le azioni che l’insegnante ogni momento esprime veicolano in ogni momento riferimenti e messaggi morali, ogni scuola è chiamata a:

- divenire consapevole dell’influenza decisiva svolta in un momento della vita in cui i bambini apprendono la visione etica e gli standard della moralità;

- assumersi la responsabilità di definire intenzionalmente una chiara visione e coerente strategia di educazione all’etica;

-coinvolgere tutto il personale in una formazione su tali tematiche;

-riferirsi ad un approccio olistico all’educazione all’etica che non può essere relegata all’insegnamento diretto di valori e riferimenti morali;

La responsabilità etica della scuola rimette inequivocabilmente al centro della questione educativa la figura dell’insegnante. Gli insegnanti sono chiamati a svolgere un ruolo centrale nell’educazione etica dei bambini ma spesso gli studi e le considerazioni esposte in questo studio non fanno parte del patrimonio di conoscenze in possesso degli insegnanti, che, come evidenziano diverse ricerche sviluppate in ambito europeo non si sentono attrezzati per farlo in modo adeguato (Osguthorpe e Sanger 2013). In un’indagine svolta in Svezia pochissimi professori descrivono spazi didattici all’interno dei corsi di formazione dei futuri insegnanti dedicati all’approfondimento dell’educazione etica ( Franberg 2004). Questa sorta di ‘vacuum etico’ nella formazione degli insegnanti (Osguthorpe e Sanger 2013) potrebbe spiegare anche la carenza di un linguaggio professionale nell’ambito dell’educazione ai valori riscontrato in una ricerca

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azione sviluppatasi all’interno di scuole dell’infanzia dell’Islanda (Sigurdardottir e Einarsdottir 2016). In questa esperienza le insegnanti si mostravano molto in difficoltà a definire il concetto di valori e il loro punto di vista su questi aspetti.

Queste considerazioni richiamano l’attenzione di ciascuno sulla necessità di dedicare e difendere spazi e tempi personali e collettivi in cui mettere al centro l’educazione all’etica, le visioni personali del ‘bene’, dei ‘valori’ che guidano la prassi quotidiana all’interno dei contesti scolastici e attraverso la quale essi vengono veicolati ai bambini. Tutto ciò nella consapevolezza che l’educazione etica in quanto educazione non può ridursi a tecnica o strategie da mettere in campo in modo acritico ma consiste in una proposta di buone esperienze che si rivolgono a persone originali e irripetibili, alla libertà sempre nuova e imprevedibile dei bambini.

In tutti gli ambiti educativi, inclusa l’educazione etica, noi facciamo un errore se pensiamo che un particolare insieme di contenuti o una particolare strategia didattica o una particolare disposizione degli studenti e dello spazio possa garantirci il risultato desiderato. La risposta è più difficile e più semplice al tempo stesso: noi, genitori e insegnanti, dobbiamo vivere con i nostri bambini, parlare loro, ascoltarli, compiacerci della loro compagnia e mostrare loro attraverso ciò che facciamo e le nostre parole che è possibile vivere con riconoscenza con le altre persone. Anche se facciamo tutto questo non abbiamo garanzie che i nostri figli diverranno buone persone. Nonostante ciò dobbiamo fare il nostro meglio e continuare a stare in una relazione di cura e di fiducia con i nostri bambini. (Nel Noddings, 1994)

La specificità del progetto MelArete all’interno del panorama sopra esposto trova sia elementi di comunanza e sia elementi di differenza (Mortari & Ubbiali, 2017).

Rispetto agli approcci presenti soprattutto nel panorama americano, quali la moral education e la character education, MelArete si distingue dalle proposte di moral education perché, pur insistendo sul lavoro critico della ragione nell’analizzare e comprendere pensieri, affetti ed effetti in gioco nelle azioni orientate al bene, non riduce l’etica a una questione di mero ragionamento separato dalla vita vissuta in prima persona, ricordando che la virtù ha a che fare con l’agire buono; come la character education, insiste sulla formazione di un modo d’essere della persona che sia orientato all’agire bene, senza però ridursi a una mera socializzazione o introduzione dentro i codici morali di una comunità.

Come la values education anche MelArete riconosce come primaria urgenza l’attenzione ai valori che guidano le vite delle persone, ma preferisce parlare di virtù, perché il concetto di valore rimane astratto, teorico e declinabile anche in senso

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negativo e inoltre spesso tale approccio è riconducibile ancora a pratiche di modellizzazione e socializzazione morale dei bambini.

All’interno di MelArete vengono quindi compresi elementi caratteristici del moral reasoning quali la centralità assunta dal ragionare insieme sulle cose degne di valore, elementi caratteristici della character education, quale l’importanza assegnata all’esperienza come ambito dell’azione etica, e alla values education come l’attenzione ai valori positivi all’interno dei contesti educativi.

Oltre però a tali aspetti i riferimenti teorici di MelArete riconoscono un posto centrale all’etica della cura così come presentata dai suoi maggiori teorici (Mayeroff, 1971; Noddings, 1984; Held, 2006; Kittay, 1999; Tronto, 2006). L’essenza dell’etica della cura è data dal cercare il bene dell’altro e la specificità quindi di questa prospettiva etica consiste nel facilitare l’altro a dare forma alla sua umanità. Dunque, prendendo a riferimento l’etica della cura, l’approccio di Ricoeur, l’etica delle virtù di Aristotele e il metodo dialogico socratico, MelArete si propone come un approccio nuovo all’educazione etica: il nome stesso nasce proprio dalla fusione tra le due parole greche che indicano le direzionalità fondative del progetto, ossia melete (cura) e arete (virtù). Alla base di questo progetto c’è una domanda dal carattere squisitamente pedagogico: come orientare le persone a prestare attenzione alle virtù e a riflettere sul valore che esse possono assumere al fine di realizzare una buona qualità della vita?

Per cercare di rispondere a tale domanda MelArete propone attività a misura di bambino per educare all’etica (alla ricerca aperta del bene) delle virtù (puntando sull’azione finalizzata al bene, ma continuamente posta sotto l’esame critico della ragione), all’interno del quadro della filosofia della cura (dove il bene dell’altro è cercato insieme al proprio). Situandosi all’interno delle pratiche esplicite e dirette di educazione etica MelArete propone in particolare attività che facilitano il pensare per storie, il ragionare insieme, il riflettere sull’esperienza, e il riflettere e giocare.

Rispetto alle pratiche etiche utilizzate all’interno di contesti prescolari e descritte all’interno della letteratura scientifica MelArete si pone in continuità per quanto riguarda l’utilizzo di storie, dei dilemmi etici, e delle conversazioni, mentre si differenzia per l’importanza che in essa viene assegnata alla riflessione sull’esperienza per promuovere il “pensare a quel che si fa”.

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Attraverso l’elaborazione di una sorta di diario esperienziale i bambini sono invitati a descrivere e nominare utilizzando il linguaggio grafico e la narrazione orale le esperienze virtuose delle quali hanno fatto esperienza nella giornata.

Aiutare i bambini a lasciare traccia di queste azioni mettendole in parola permette di passare dal piano del mero vissuto al piano dell’esperienza, cioè un vissuto accompagnato dalla riflessione, unica condizione per un autentico apprendimento. L’utilizzo di diverse attività permette inoltre l’intercettazione dei diversi stili di apprendimento dei bambini e la possibilità di coinvolgere in modo olistico le diverse dimensioni di crescita della persona.

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CAP. 3

IL DIALOGO SOCRATICO COME PRATICA EDUCATIVA