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2.4.3. Le oscillazioni climatiche tra III e II millennio a.C
Attorno al 2200 a.C. i dati paleoclimatici discussi sopra mettono in evidenza un graduale inaridimento delle condizioni climatiche con una diminuzione delle precipitazioni per quantità e intensità, con riduzione nella disponibilità delle risorse idriche e conseguente difficoltà nel loro approvvigionamento. E’ inoltre probabile che tali cambiamenti abbiano inciso negativamente sull’ambiente, deteriorandolo, e che abbia costituito un fattore di crisi dei sistemi politici del Vicino Oriente, specialmente in regioni dall’equilibrio ambientale fragile, dove un clima costante e stabile era fondamentale per garantire un regime agricolo adatto alla sopravvivenza e al prosperare della civiltà.
A sostegno di tale ipotesi è il Leilan Climate Change Model (LCCM), una ricostruzione delle fluttuazioni climatiche occorse tra III e II millennio a.C. basata sulle evidenze archeologiche e geomorfologiche raccolte a Tell Leilan e Abu Hgeira139.
Per le fasi di Leilan IIa 2300-2200 a.C. i dati geomorfologici indicavano una tendenza all’inaridimento, trend già osservato nelle fasi precedenti e temperature appena più alta di quelle attuali140. La fase
139 Weiss et al. 1993.
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successiva (2200 – 1900 a.C.), chiamata ‘Khabur hiatus 1’, caratterizzata da una forte diminuzione dei siti insediati, coincide con un periodo di deterioramento climatico attestato anche presso lo Wadi Avedji dove sono state condotte ulteriori prospezioni geomorfologiche141. Indagini dei depositi fluviali e analisi palinologiche sono state effettuate anche presso gli Wadi Jaghjagh e Khanzir.
Queste analisi dei suoli effettuate nei contesti archeologici della Siria nord-orientale hanno suggerito che i cambiamenti climatici potessero costituire la prima causa di collasso urbano142. Di fatto gli studi mircromorfologici dei suoli di strati scavati di Tell Leilan nella valle del Khabur hanno isolato livelli di abbandono datati al tardo III millennio a.C. che contenevano uno strato di tefrite assieme ad altri profili di suoli che mostravano un forte deterioramento ambientale, probabilmente siccità.
Da questi dati è stato desunto si fosse verificato un significativo cambiamento climatico, con conseguente intensificazione della circolazione ventosa, aumento nell’atmosfera delle polveri e lo stabilirsi di condizioni sempre più aride che avrebbero minato la produttività agricola, fenomeno forse in parte dovuto ad una eruzione vulcanica particolarmente violenta, capitata alla fine dell’occupazione accadica di Tell Leilan143.
Weiss sostiene che tale cambiamento climatico non fosse su fenomeno locale, circoscritto al Vicino Oriente, ma un evento di
141 Courty 1994.
142 Weiss et al. 1993.
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proporzioni globali, che afflisse diverse regione del mondo antico144. Studi multidisciplinari condotti a partire dai primi anni Settanta del secolo scorso sul collasso dell’Antico Regno e sui seguenti due secoli di instabilità del Primo Periodo Intermedio in Egitto, misero in evidenza che una “Grande Siccità” occorse tra il 2200-2000 a.C.145 Le fonti testuali coeve riportavano diversi riferimenti ad episodi di carestia e descrivono un paesaggio sociale dominato da fame e da interventi necessari per modificare i canali lungo il Nilo, nel tentativo di contrastare l’avanzare dell’inaridimento e salvare campi e raccolti146.
Il collasso del governo centrale avvenuto circa nel corso del 2200 a.C. avrebbe coinciso con un’alluvione particolarmente scarsa del Nilo, la progressiva penetrazione delle sabbie del deserto nella valle fluviale e la desertificazione della pianura alluvionale del Delta, fenomeni documentati dai dati palinologici e geologici147. Un importante indizio geologico di questo collasso è pervenuto da uno studio del un lago presso la Depressione del Fayum, situata a 90 km a sud del Cairo. In epoca preistorica la depressione si riempì d’acqua, andando a formare un ampio lago alimentato dal Nilo. Il livello delle acque rimase lo stesso – stimato tra tra i 18 e i 20 m s.l.m. – fino alla metà del periodo corrispondente all’Antico Regno e copriva gran parte della depressione148. Esami condotti sui sedimenti lacustri rivelarono come i
144 Weiss 1997: 711. 145 Bell 1971. 146 Bell 1971; Kemp 1983. 147 Butzer 1984; Hassan 1997. 148 Kozlowski e Ginter 1993.
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depositi cronologicamente corrispondenti alle ultime fasi dell'Antico Regno fossero stati erosi via suggerendo che il lago si fosse parzialmente prosciugato149.
Analisi sedimentologiche condotte presso il lago Tana in Etiopia e in alcune località del Sudan settentrionale, all’interno del bacino del Nilo Azzurro, evidenziarono condizioni simili di inaridimento climatico con conseguente abbassamento del livello delle acque lacustri e riduzione della copertura arborea sul territorio, che occorsero sempre alla fine del III millennio a.C. ca. Tali fattori erano indice di una diminuzione della portata idrica di alcuni degli affluenti del Nilo150, determinata a sua volta, probabilmente, da un forte calo delle precipitazioni in Etiopia151.
L’ipotesi di Weiss secondo cui il cambiamento climatico globale tra Bronzo Antico e Bronzo Medio sarebbe stato causato da un’eventuale eruzione vulcanica trova sia elementi a sostegno che critiche.
Carotaggi effettuati in Groenlandia e in profondità nel Mediterraneo orientale confermerebbero quanto sostenuto da Weiss152. Ricerche condotte sulla micromorfologia dei suoli nella valle del Khabur ed in particolare nel sito di Tell Brak, permetterebbero di ipotizzare che gli strati di ceneri – erroneamente ritenuti da Weiss trefite – non fossero
149 Jux e Steuber 1990: 262 – 265.
150 Bonnefille e Hamilton 1986; Bonnefille e Ummer 1994.
151 La diminuzione delle precipitazioni in Africa Orientale, che erano tra le fonti principali di approvigionamento idrico del Nilo nel corso della fine del III millenno a.C. sarebbe stato confermato dal rilevamento di un significativo cambiamento nel rapporto degli isotopi di stronzio dei carotaggi effettuati (Bonnefille e Ummer 1994: : 341 – 343).
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quel che restava di un’eruzione vulcanica, ma la traccia di una qualche sorta di cataclisma capitato attorno al 2350 a.C. evento che sembra essere stato più plausibilmente causato da un impatto cosmico - forse dall’esplosione di un meteorite nell’atmosfera - più che dall’ eruzione un vulcano153. Non è stato però possibile dimostrare se fosse stato questo l’evento che scatenò il mutamento climatico tra la fine del Bronzo Antico e l’inizio del Bronzo Medio.
Esistono studi palinologici che invece non hanno rilevato il cambiamento climatico alla fine del III millennio154, sostenendo che il clima sia rimasto pressoché immutato negli ultimi seimila anni, e che sia da considerare come causa principale di impoverimento e di inaridimento l’impatto antropico sull’ambiente, conseguentemente reso meno produttivo e adatto al sostentamento di società divenute complesse e con maggiore pressione demografica. Di fatto esiste una linea di pensiero affermata nella comunità scientifica a partire degli anni Trenta del secolo scorso a favore del cosiddetto “paradigma antropogenico”, secondo il quale alcune attività umane specifiche – come la deforestazione, l’ipersfruttamento agropastorale del territorio, la salinizzazione dei terreni da iper-irrigazione – rappresentavano le cause principali del degrado ambientale, con conseguenze negative e fallimentari su numerosi ambiti della società155.
In realtà è del tutto improbabile che una civiltà pre-industriale, per quanto forte fosse la pressione che esercitava sulle risorse naturali,
153Courty 2001.
154 Gremmen e Bottema 1991; Bottema 1997; Neumann et al. 2006.
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potesse disporre dei mezzi per alterare così pesantemente il clima globale.
E’ invece plausibile che tali fluttuazioni climatiche occorsero simultaneamente ad altri elementi debilitanti, contribuendo al peggioramento ulteriore di un sistema già indebolito156.