• Non ci sono risultati.

dei

fenomeni

di

intrusione

marina

nelle

regioni

meridionali

Diverse sono le soluzioni adottate per controllare il fragile equilibrio fra le acque dolci, le salmastre e quelle del mare, che si introducono attualmente nei mezzi porosi, fratturati e carsici, richiamate dalla depressione della piezometrica prodotta dai pom- paggi, o rimastevi intrappolate in varia epoca per il variare del livello del mare dovuto ai cambiamenti climatici o a subsidenza. I limiti della zona di interfaccia sono variabili e strettamente dipendenti dai processi in atto nell’ecosistema, cosicché essi non possono essere semplicemente definiti solo sulla base delle caratteristiche del paesaggio e degli impatti visivi.

E’ fondamentale che le cause e i differenti meccanismi di salinazione siano ben chia- riti per una razionale gestione degli acquiferi costieri, per quanto attiene sia le modalità di captazione e uso delle risorse sia gli interventi di ripristino degli acquiferi degradati.

Il problema è particolarmente serio nelle aree fragili con limitate risorse come le isole e le regioni transfrontaliere, per le quali non si devono considerare solo i limiti ammi- nistrativi ma anzitutto quelli del bacino idrogeologico e dei bacini di utenza della risorsa, spesso esterni al bacino idrogeologico. Esso è spesso sottovalutato se non trascurato, e ciò diviene causa ineluttabile di costi economici e infine di compromissione e perdita di risorse ambientali.

L’eccesiva urbanizzazione, gli insediamenti turistici e industriali e le pratiche di agri- coltura intensiva possono produrre nelle aree costiere degrado delle acque e dei suoli per salinazione e inquinamento. La limitata disponibilità delle risorse idriche si manifesta soprattutto nei periodi di punta dei mesi estivi, quando maggiore è la domanda mentre gli afflussi meteorici sono nulli o del tutto trascurabili.

5.1 Procedura d’intervento

Secondo la procedura italiana diffusa in ambito accademico idrogeologico, di recente adottata anche dall’UNESCO per il progetto MED-PLAN che riguarda le acque costiere dei paesi mediterranei extra UE, sono previste le seguenti fasi:

– definizione delle caratteristiche geologiche, strutturali, morfologiche, pedologiche, idrologiche e microclimatiche dell’area d’interesse del bacino idrogeologico; – identificazione degli stakeholders e dei vincoli esistenti;

– rilievo idrogeologico per la determinazione dei parametri geometrici, idraulici e idrochimici del sistema acquifero, con costituzione di una rete di osservazione di pozzi censiti indispensabile per il monitoraggio automatico continuo o manuale periodico dei dati piezometrici, con i quali costruire le isoidroipse, e di salinità, temperatura e pH, rappresentabili con le relative isolinee. I primi rilievi permet-

teranno di definire le aree d’interesse prioritario per condurvi indagini più ap- profondite, con logging geoelettrici, di t°, pH, e radioattivi, campionamenti per indagini idrochimiche ed isotopiche, e prove di portata. Tutti i dati devono essere georeferenziati e raccolti in banche dati relazionali;

– elaborazione delle carte di vulnerabilità intrinseca alla contaminazione salina ed all’inquinamento diffuso e puntuale, processi che spesso coesistono e possono modificare le caratteristiche idrauliche dei terreni acquiferi e dei suoli. Si sono sperimentati i metodi di rappresentazione e valutazione della vulnerabilità SIN- TAX-5 e GALDIT e si sta mettendo a punto un metodo integrato che permetta di considerare gli effetti di entrambi processi e quindi di valutare la vulnerabilità integrata, per la quale si tenga conto della vulnerabilità intrinseca e di tutte le fonti possibili di intrusione salina e di inquinamento. La vulnerabilità intrinseca e l’integrata devono essere rappresentate su GIS, cosicché ne è possibile il continuo aggiornamento con i dati del monitoraggio;

– valutazione del rischio, fatta sulla base della vulnerabilità integrata, consideran- do i danni possibili, in termini di degrado alle risorse idriche e alle colture e alla perdita di valore dei terreni contaminati e delle relative infrastrutture di impianti non ammortizzati;

– modellazione e rappresentazione dei diversi scenari che permettano di prevedere e rappresentare in scala opportuna i possibili scenari di evoluzione dei processi di contaminazione e di inquinamento. I modelli dovranno essere validati e tarati perché le loro previsioni siano per quanto possibile realistiche.

– gli scenari dei modelli di gestione saranno utilizzati per la pianificazione degli interventi a breve e medio termine, tenendo conto delle esigenze di tutti gli stake- holders e dei vari vincoli.

è evidente che, stabilita la disponibilità della risorsa di acque sotterranee di una cer- ta qualità, se ne deve pianificare l’uso in funzione delle effettive necessità presenti e future. Se i fabbisogni sono maggiori delle risorse effettivamente disponibili, queste devono essere integrate facendo ricorso a risorse alternative, superficiali o sotterranee di altra origine, così da disporre di una qualità standard adeguata alla richiesta. Considerati gli andamenti dei costi energetici, il ricorso alla dissalazione per usi irrigui comporta oneri elevati ed im- prevedibili per il futuro anche immediato. In un contesto di mercato globale, gli impianti di dissalazione, e l’attrezzamento di aree agricole per le colture irrigue che da essi dovrebbero esser approvvigionate, comportano investimenti ad alto rischio, difficilmente sostenibili per gli operatori agricoli. Oltretutto in Italia gli impianti di dissalazione sono osteggiati anche per ragioni ambientali, come l’impatto che le acque di scarico, di cresciuta salinità, avrebbero sugli ecosistemi marini.

Considerato il frazionamento delle proprietà, i criteri di gestione e gli interventi strutturali ed infrastrutturali delle aree di interesse suscettive di miglioramento per uno sviluppo sostenibile devono essere adottati a livello consortile. Se la gestione delle acque superficiali per gli usi irrigui sembra agevole, anche se con le dovute eccezioni, più com- plessa è la gestione delle acque sotterranee. Queste, come le superficiali, appartengono al demanio che le dà in concessione ad enti pubblici e a privati per limiti di portate edotte in genere poco rispettati; sfuggono al controllo le migliaia di pozzi non censiti, scavati e trivellati anche a grandi profondità da privati senza autorizzazione. Ne deriva che lo sfrut- tamento delle acque sotterranee è stato selvaggio e smodato e le forti depressioni delle piezometriche sono state le cause scatenanti dei processi di intrusione salina di vario tipo.

è evidente che nessun tentativo di razionalizzazione del comparto può avere succes- so se non attraverso il coinvolgimento di tutti gli interessati.

Come primo passo, definite le caratteristiche attuali dell’area di interesse e quantifi- cate le risorse e le riserve idriche disponibili in termini di qualità per i diversi possibili usi, si devono incentivare le colture che al momento risultino più adatte, considerando non solo i costi di produzione ma anche il loro possibile mercato.

Ipotizzato quindi un piano di utilizzo delle risorse idriche integrate, superficiali e sotterranee, si tratta di decidere a quali fare ricorso. E’ evidente che il problema dell’intru- sione salina non sussisterebbe se vi fosse piena disponibilità di acque superficiali per sod- disfare i fabbisogni. Oltretutto l’irrigazione rappresenta un intervento di ricarica artificiale diffusa, che, accompagnata da sistemi di drenaggio opportunamente realizzati, garantisce per quanto possibile la lisciviazione dei terreni salsi.

Nelle aree vulnerabili dove l’irrigazione è soprattutto, o in parte, effettuata ricor- rendo alle acque sotterranee, è necessario iniziare a disciplinare le eduzioni informando bene gli interessati dei pericoli e dei rischi che può comportare il mancato rispetto delle prescrizioni. Si deve poi attivare da subito il monitoraggio delle acque e dei suoli per defi- nire l’evolversi di eventuali processi di degrado. E’ possibile che il monitoraggio metta in evidenza che nei periodi di ricarica vi è un esubero di risorse idriche sotterranee. Si deve allora stabilire se le acque in esubero, al momento non necessarie per l’irrigazione, anzi- ché essere lasciate defluire a mare inutilizzate, non possano essere pompate e stoccate per l’uso futuro in serbatoi (grandi laghi e laghi collinari) esistenti o da costruire.

Si devono poi studiare le possibilità d’impiego per l’irrigazione di acque reflue rila- sciate da impianti di trattamento di vicini insediamenti civili e industriali.

Stabilito sperimentalmente, in condizioni di esercizio, il modo di evolversi dei pro- cessi di salinazione, si può decidere se ricorrere ad altri interventi che modifichino i rap- porti di interfaccia fra le acque di diversa salinità.

Si ritiene che sia decisamente da escludere la creazione di barriere fisiche come dia- frammi e veli di cementazione. Si è visto che esse, quando siano efficaci, interrompendo in modo irreversibile il deflusso naturale a mare delle acque sotterranee, determinano a mon- te l’accumulo crescente di sostanze inquinanti delle acque e del suolo, che così subiscono un definitivo degrado. Oltretutto le barriere fisiche sono molto costose.

Alla fine degli anni ’80 il Dipartimento di Ingegneria del Territorio dell’Università di Cagliari fece nella piana di Muravera degli esperimenti di barriera geoelettrica per contra- stare l’intrusione salina e proteggere la qualità delle risorse idriche sotterranee. Questa barriera, prima sperimentata con successo su modello fisico in laboratorio, fu costituita nel terreno disponendo una serie di elettrodi energizzati con corrente alternata secondo un allineamento parallelo ad una delle derivazioni del delta per il quale entra acqua di mare per mancanza di deflusso di acqua dolce. Tutti gli esperimenti, eseguiti mentre si pompava in continuazione in condizioni di equilibrio stabile, indicarono un sensibile decremento del TDS in tutta l’area in osservazione fino ad un massimo del 22,2% misurato a valle della barriera nel pozzo più vicino (Barbieri et al., 1990). Gli esperimenti non ebbero seguito per disinteresse degli organismi preposti.

Perché sia efficace nel tempo, la barriera geoelettrica deve essere mantenuta con continuo funzionamento delle apparecchiature e quindi, pur essendo di grande interesse scientifico, è di limitato interesse pratico.

quiferi costieri e per gli interventi di risanamento è la ricarica artificiale, non tanto per rimpinguare un serbatoio dove i prelievi superino gli afflussi, come avviene lontano dal mare, ma per costituire una barriera idrodinamica di ricarica, eventualmente accoppiata con una barriera di depressione, così da modificare l’equilibrio idrodinamico dell’interfac- cia. In tal modo si possono estrarre le acque sotterranee salate, si impedisce il richiamo d’acqua dal mare o dai livelli profondi dell’acquifero, e si favorisce a monte l’accumulo di acque dolci defluenti dal sottosuolo dell’entroterra, così da stabilizzare la qualità della ri- sorsa disponibile.

La possibilità di realizzare una barriera idrodinamica è stata verificata con prove di pompaggio e di ricarica artificiale nel sistema acquifero di Capoterra. Le prove di ricarica sull’acquifero freatico sono state eseguite in un trincerone appositamente scavato, quelle sull’acquifero confinato sottostante con dei pozzi trivellati. Le variazioni di livello idrodi- namico di entrambi gli acquiferi sono state registrate in pozzi di osservazione. Non essen- dovi disponibilità di altre acque, per la ricarica si sono usate le acque trattate rilasciate a mare dall’impianto di trattamento dei reflui industriali del Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale di Cagliari (CASIC). E’ stato così possibile valutare gli effetti degli interventi di ricarica, risultati efficaci, e validare il modello matematico sviluppato per i processi di flusso e trasporto.

Si è constatato che la qualità delle acque reflue trattate era adatta e non ha deter- minato deterioramento delle acque sotterranee. Esperimenti positivi di ricarica artificiale sono stati effettuati sotto la guida del Prof. A. Aureli anche in Sicilia, nell’acquifero di Priolo Augusta, per ostacolare l’intrusione marina nell’area prodotta dai forti emungimenti effettuati con pozzi profondi nell’area industriale. In Puglia, infine, si è sperimentata con successo la captazione di copiose sorgenti sottomarine. Le acque salmastre così captate sono state dolcificate miscelandole con acque superficiali. Le opere di captazione sottoma- rine, esposte ad usura, comportano continui controlli e manutenzioni onerose eseguite da sommozzatori specializzati, ed infatti sono state lasciate decadere.

capitolo 6

La

vaLutazione

deL

rischio