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L a vaLutazione deL rischio di saLinizzazione nei suoL

6.2 I suoli salini e la loro gestione 1 Presupposti teoric

6.2.4 Suoli affetti da salinità secondaria a causa dell’irrigazione

I processi di salinizzazione secondaria dei suoli indotti dall’irrigazione non sono nuo- vi nella storia del mondo. Il declino della civiltà mesopotamica (4-5.000 a.C.) viene attribu- ito dagli storici anche alla salinizzazione dei suoli conseguente allo sviluppo della pratica irrigua. Il declino di civiltà più recenti, come quella india della bassa valle del Viru in Perù, o della civiltà Harappa delle pianure dell’Indo, in India e Pakistan, o degli Indiani Hohokam della valle del Salt River in Arizona, sono da attribuire anche a processi di salinizzazione secondaria del suolo (fig. 94).

Nonostante le esperienze negative, la salinizzazione delle aree irrigue, e talora anche di quelle circostanti, non diminuisce ma, al contrario, aumenta. Secondo stime della FAO non recentissime (1971), ogni anno 10 milioni di ettari di territori irrigui vengono abban-

donati a causa degli effetti negativi causati da processi di salinizzazione e/o alcalizzazione secondaria dovuti alla pratica irrigua.

Almeno in 75 Paesi del mondo vi sono gravi problemi di salinizzazione secondaria dei suoli e nulla fa presagire che nel futuro la situazione migliori. Stime proiettate al 2020 sullo sviluppo dell’irrigazione e della conseguente salinizzazione secondaria indicano non solo che gli andamenti nell’incremento delle aree irrigue e delle aree salinizzate sono quasi paralleli, ma anche che i territori con salinizzazione secondaria sono più estesi dei territo- ri irrigui. Ciò avviene sia perché nei primi sono compresi pure i territori affetti da vecchi processi di salinizzazione, sia perché la salinizzazione secondaria influenza, in genere, una superficie maggiore rispetto a quella irrigua. Particolarmente soggetti ai problemi della sa- linizzazione secondaria sono i suoli dei Paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo, in particolare laddove il clima è tendenzialmente caldo-arido. In questi ambienti, infatti, il ricorso all’irrigazione consente di ridurre i rischi legati ai deficit di umidità, di stabilizzare le produzioni e, fatto oltremodo positivo, di ampliare la gamma di scelta delle coltivazioni.

Negli ultimi 25 anni le aree irrigue nei Paesi del bacino del Mediterraneo hanno su- bito un incremento stimato intorno al 20 %. Esse sono di solito localizzate in prossimità di zone ad alta concentrazione urbana ed industriale, ove si consuma per gran parte acqua di buona qualità. Ne consegue che, per scopi irrigui, si ricorre ad acque di scarsa qualità (principalmente saline), di reflui urbani o di effluenti industriali. A ciò si aggiunga il sovra sfruttamento delle falde lungo le pianure costiere, che conduce frequentemente ad intru- sione nell’acquifero di acque marine, ed anche l’eccessivo ricorso a fertilizzanti e pesticidi che, usati in grande quantità nell’agricoltura irrigua, possono contaminare le acque super- ficiali o di falda impiegate per scopi agricoli (e anche civili). Questi problemi sono destinati ad aggravarsi per effetto dei cambiamenti climatici globali previsti per il prossimo futuro (Barrow, 1993). Si ritiene che nell’Europa mediterranea tali cambiamenti dovrebbero con- durre ad un incremento dell’indice di aridità che, influenzando il regime di umidità ed il bilancio salino dei suoli, finirebbero col determinare una minore lisciviazione ed una mag- giore salinizzazione, fino a raddoppiare, nei prossimi 40 anni, le aree affette da salinità.

La salinizzazione indotta dall’irrigazione è il processo antropico che maggiormente interessa i contesti esaminati dal presente progetto. Le aree costiere, condizionate dalla presenza del mare, possono subire l’infiltrazione di acqua marina (contenente dallo 0,05 al 3% in peso di sali) nelle falde. L’emungimento dai pozzi impostati su queste falde provoca il richiamo di acqua nelle direzioni radiali rispetto al loro asse. Se il volume d’acqua emunto supera quello della ricarica di acqua dolce proveniente dalle zone interne, la superficie fre- atica (o la superficie piezometrica in caso di acquifero confinato) si abbassa in vicinanza della costa, fino al punto che il carico piezometrico nella porzione di acqua dolce diviene inferiore a quello della porzione contigua di acqua salata. Questo fa sì che l’interfaccia tra acqua dolce e acqua salmastra (cuneo salino) si sposti progressivamente verso l’interno della costa (intrusione salina, figura 95), fino a raggiungere, nei casi più critici, i pozzi stessi (Celico, 2004), secondo il cosiddetto fenomeno di upconing (Civica, 2005). Oltre ad una conseguenza diretta dovuta dalla risalita capillare di acque altamente saline verso la superficie dei suoli, si verifica anche che l’acqua prelevata dai pozzi, usata nell’irrigazione, sia già salmastra, innescando quindi un circolo vizioso che alimenta l’accumulo dei sali nei terreni irrigati. (Rivelli et al., 1999).

Figura 95. Intrusione del cuneo salino e upconing (da lenntech inc.)

Questo fenomeno è la principale causa di salinità secondaria nei suoli italiani, e ciò è reso evidente dalla distribuzione dei suoli salini, presenti soprattutto in aree costiere, dov’è registrato anche un processo avanzato d’intrusione marina.

è importante notare che si può avere accumulo di sali anche utilizzando acqua qua- litativamente “dolce” contenente una quantità di sali ottimale per l’irrigazione. Irrigando anche con un’acqua allo 0,05% in peso in sali disciolti, e considerando dei volumi irrigui di 5000÷6000 m3/ha all’anno (ad es. per il pomodoro), si apportano al suolo ogni anno da 2,5 a 3 tonnellate ad ettaro di sali. Anche in questo caso, se le precipitazioni nelle stagioni più piovose non sono sufficienti a lisciviarli, o non vengono rimossi con metodi artificiali,

essi andranno a costituire una grave anomalia per gli equilibri chimico-fisici e biologici del terreno (Rose, 2003).

Esiste anche un altro tipo di salinità secondaria caratteristico delle terre non irrigue, la cosiddetta “dryland salinity”. Essa è dovuta all’eradicazione della vegetazione spontanea (specie poliennali e soprattutto arboree) ed alla sua sostituzione con colture agrarie (an- nuali ed esclusivamente erbacee), contraddistinte da apparati radicali meno profondi ri- spetto alla vegetazione preesistente e, in genere, assai superficiali (figura 96). Gli apparati radicali ridotti delle nuove specie vegetali richiedendo minori quantità d’acqua delle piante originarie ad alto fusto, provocano l’innalzamento della tavola d’acqua e della frangia capil- lare, con le stesse conseguenze indicate precedentemente.

In rapporto alle condizioni morfologiche del suolo ed alla orografia del paesaggio, particolarmente in presenza di pendici o versanti, lo squilibrio arrecato al bilancio idro- logico, che si è detto consistere in una maggiore ricarica della falda, può dare origine a movimenti di infiltrazione e di flusso idrico laterale sempre accompagnati da una conse- guente mobilitazione dei sali. Questi ultimi, quindi, possono essere trasportati dai luoghi dove l’acqua si infiltra e permea il suolo (richarge) verso i luoghi dove quest’acqua evapora o viene utilizzata dalla vegetazione naturale o dalle coltivazioni a seguito dell’evapotraspi- razione (discharge).

Figura 96. Fenomeno della salinizzazione dei suoli nelle aree aride e semi-aride (da Dept. of

Questo fenomeno di flusso idrico laterale o trasversale, attraverso il profilo del pae- saggio, prende il nome di “seepage” e la salinità a cui esso dà origine è detta seepage sali- nity (figura 97 A, Monteleone, 2006). L’origine può essere sia naturale che indotta dall’at- tività antropica.

Per esempio, nelle aree irrigue la presenza di canali non impermeabilizzati può origi- nare delle infiltrazioni idriche nel suolo che, a lungo andare, determinano lungo una fascia che segue l’andamento del canale medesimo, un fenomeno di risalita idrica con conse- guente evaporazione dell’acqua e progressiva concentrazione dei sali (figura 97 C). Un altro esempio è quello che si realizza fra aree agrarie soggette ad irrigazione ed aree limitrofe che possono essere coltivate o meno ma che non vengono irrigate. Nei terreni sottoposti ad irrigazione l’acqua tende a spostarsi verso il basso e vi è pertanto un rischio assai limi- tato di salinizzazione (a condizione che il drenaggio non sia in qualche modo ostacolato); nei campi adiacenti, quelli non irrigati, il movimento prevalente dell’acqua è invece verso l’alto; l’acqua, evaporando, concentrerà i suoi sali in prossimità della superficie (figura 97 B). A seguito del verificarsi di tale fenomeno, spesso si osserva una bordura, più o meno ampia, attorno ai margini di aree irrigue. Un altro aspetto, minoritario, è quello derivante dallo spargimento sulla rete viaria di sali in funzione antigelo. Col passare del tempo si ha la tendenza all’accumulo cronico nei suoli circostanti, in orizzonti posti sempre alla stessa profondità, le cui concentrazioni di sali possono arrivare ad essere anche 2-3 ordini di grandezza superiori rispetto a quelle presenti in origine nel suolo.