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Pandemia, guerra e crisi energetica: il mercato del lavoro del 2022

Marina Barbini, Fedele De Novellis REF Ricerche

In sintesi

La ripresa del 2021, proseguita in diversi Paesi nella prima parte del 2022, ha portato le economie avanzate a recuperare i livelli occupazionali pre-pandemia.

Tuttavia, la ripresa non si è manifestata con la stessa vivacità nei diversi settori. Le ampie divergenze negli andamenti settoriali ripercorrono pattern relativamente simi-li nei diversi Paesi, e rispecchiano fattori comuni alle diverse economie; in alcuni casi si tratta di fenomeni specifici legati alla pandemia, che ha modificato i comportamenti in via transitoria, come nel caso della frenata dei servizi turistici e delle attività legate all’intrattenimento; in altri casi si tratta di cambiamenti di carattere permanente, come l’accelerazione della digitalizzazione, legata alla diffusione dello smartworking, o alla trasformazione nel settore della distribuzione commerciale, a seguito dell’aumento delle consegne e domicilio e delle vendite on-line.

Nel corso dell’ultimo anno abbiamo anche osservato un recupero dell’offerta di la-voro dopo il crollo del periodo della pandemia. Il tasso di attività è tornato sui livelli pre-pandemia nell’area euro, ma è ancora su livelli inferiori negli Stati Uniti. Alla lenta dinamica dell’offerta di lavoro contribuisce anche la componente demografica.

Recupero dei livelli occupazionali e frenata della partecipazione al mercato del lavo-ro hanno portato il tasso di disoccupazione su livelli minimi tanto negli Usa quan-to nell’area euro. Un risultaquan-to apparentemente in contraddizione con l’andamenquan-to dell’economia. A fronte di ciò, le imprese dichiarano inoltre da diversi trimestri di incontrare difficoltà nel reperimento di manodopera. Il numero dei posti di lavoro vacanti è aumentato molto negli Stati Uniti, ma anche nell’area euro ha superato il livello pre-crisi.

Il dibattito attuale si interroga quindi sulla possibilità che sia aumentato il tasso di disoccupazione di equilibrio, a seguito della formazione di mismatch legati al cambia-mento nella struttura dell’economia e della domanda di lavoro. È possibile che questo dipenda dal un mismatch fra caratteristiche della domanda e dell’offerta di lavoro pro-dottosi a seguito della divaricazione negli andamenti dei settori produttivi. Tuttavia, vi sono anche delle frizioni che dipendono dalle difficoltà riscontrate da diverse im-prese nella fase delle riaperture, una volta rimosse le misure di distanziamento legate al Covid-19, e che potrebbero rientrare gradualmente nei prossimi trimestri.

La caduta della disoccupazione si è accostata a un aumento delle pressioni inflazio-nistiche generando negli Stati Uniti una accelerazione della dinamica salariale e del Clup. Nell’area euro la crescita dei salari ha mostrato una maggiore stabilità. Tutta-via, nonostante la moderazione salariale, l’inflazione è partita anche nell’area euro soltanto con qualche mese di ritardo rispetto agli Stati Uniti. Questo perché l’Europa è stata investita dall’impennata delle quotazioni del gas, e dalla crisi energetica che ne è conseguita, registrando un’ampia perdita di ragioni di scambio.

Di fatto, quindi, in presenza di una dinamica salariale inferiore a quella americana, l’aumento dell’inflazione ha provocato nell’area euro una caduta del potere

d’acqui-sto dei salari superiore a quella osservata negli Stati Uniti.

In generale, la moderazione salariale europea dovrebbe limitare i rischi di un avvita-mento in una spirale prezzi-salari. Tuttavia, è chiaro che in Europa i lavoratori stanno sostenendo un costo sproporzionato a causa delle politiche degli anni scorsi che han-no reso le han-nostre ecohan-nomie dipendenti dall’import di commodities energetiche e in par-ticolare di gas naturale, una materia prima che per sua natura ha possibilità limitate di diversificazione dei Paesi di provenienza delle importazioni.

L’economia italiana nell’ultimo anno ha mostrato andamenti che rispecchiano in gene-rale le tendenze descritte per il complesso dell’area euro. In particolare, il mercato del lavoro nella prima metà del 2022 ha mostrato una sostanziale tenuta; l’occupazione in termini di Ula è addirittura cresciuta a un ritmo superiore al Pil, spinta da una risalita sia delle ore per occupato, sia del numero di occupati. Il livello dell’occupazione è dunque praticamente ritornato sui valori antecedenti la pandemia,anche se i dati più recenti segnalano una inversione di tendenza come probabile conseguenza dei rincari energetici e dell’aumento dell’inflazione che stanno facendo rallentare pesantemente l’economia italiana. Il recupero rispetto al periodo pre-pandemia si sta quindi via via assottigliando.

Gli elementi essenziali che hanno determinato il bilancio positivo del mercato del la-voro in questa prima metà d’anno sono stati sicuramente la buona stagione turistica estiva, con le persone che sono tornate a viaggiare dopo due anni di difficoltà tra re-strizioni e regole di ingresso diverse tra i vari paesi, e la dinamica positiva del settore delle costruzioni, dove la domanda di lavoro è stata sostenuta dai generosi incentivi fiscali. Dal punto di vista delle tipologie contrattuali si deve invece sottolineare che recentemente il recupero occupazionale è stato sostenuto anche dalla crescita degli occupati a tempo indeterminato derivante, in particolare, da un incremento delle sta-bilizzazioni di contratti a termine o di apprendistato.

Tuttavia, questi buoni risultati potrebbero ridimensionarsi presto. Le analisi congiun-turali indicano che a settembre, le attese sulla disoccupazione formulate dalle famiglie hanno evidenziato un peggioramento mentre quelle delle imprese sull’occupazione hanno subito una significativa flessione nella manifattura, una più contenuta nei ser-vizi di mercato, mentre permangono segnali favorevoli nelle costruzioni e nel com-mercio al dettaglio.

L’occupazione è tornata sui livelli pre-crisi nella maggior parte delle economie Il biennio 2021-22 presenta diversi tratti peculiari, legati alla pandemia e alle misure di contrasto introdotte dai Governi, che hanno condizionato anche la fase di uscita dalla recessione.

Dal punto di vista dell’attività economica, la crisi del Covid-19 si è caratterizzata per un andamento “a V”: già a fine 2021 il recupero dei livelli produttivi pre-crisi era stato conseguito da tutte le maggiori economie avanzate. In linea con la ripresa dell’e-conomia, anche la domanda di lavoro si era riportata su livelli prossimi a quelli pre-cedenti la pandemia nella maggior parte dei Paesi.

Tuttavia, i dati sugli occupati hanno evidenziato andamenti molto diversi nelle due aree: nel caso Usa questi hanno rispecchiato il profilo delle ore lavorate, mentre nell’a-rea euro gli occupati non hanno seguito il ciclo economico. Le divergenze sono legate soprattutto a fattori di carattere istituzionale, visto che nell’area euro gli schemi di

lavoro a orario ridotto hanno avuto l’effetto di preservare i livelli occupazionali nel periodo più acuto della recessione; per questo motivo le variazioni della domanda di lavoro in Europa hanno portato a cambiamenti nelle ore lavorate per occupato più che del numero di occupati. Questo comportamento ha caratterizzato tanto il periodo di recessione, quando le ore lavorate per occupato si sono ridotte in linea con la caduta del Pil, quanto la successiva ripresa, quando queste sono aumentate.

L’occupazione nei Paesi dell’area euro ha oramai largamente superato i livelli pre-crisi (oltre due milioni di occupati in più nel secondo trimestre del 2022 rispetto al livello di fine 2019) mentre negli Usa sono stati solo approssimati i livelli pre-crisi. Tuttavia, negli Usa le ore lavorate hanno superato i livelli pre-crisi, mentre nell’area euro questo non è ancora avvenuto. Di fatto, quindi, nel corso della crisi le ore lavorate per occu-pato negli Usa sono aumentate, mentre nell’eurozona si sono ridotte ulteriormente, seguendo peraltro una tendenza in atto da diversi anni, legata principalmente alla progressiva diffusione del part-time.

Il recupero della domanda di lavoro osservato in entrambe le aree non è però un se-gnale di ritorno alle condizioni economiche prevalenti prima della pandemia. La fase in corso è tutt’ora fortemente condizionata dalle anomalie di comportamento emerse nell’ultimo biennio, e i mercati del lavoro sono lungi dall’operare in condizioni di

“normalità”.

Elaborazioni REF Ricerche su dati Bls e Eurostat 85

90 95 100 105 110

05 10 15 20

settore privato;; 2015 =100

Stati Uniti, ore lavorate

85 90 95 100 105 110

05 10 15 20

settore privato;; 2015 =100

Area euro, ore lavorate

Fonte: Elaborazioni REF Ricerche su dati Bls e EUROSTAT Figura 1

Divergenze settoriali

Un primo aspetto di rilievo è rappresentato dal fatto che il ritorno dei livelli produttivi e dell’occupazione sui valori prevalenti prima della pandemia non è stato condiviso da tutti i settori.

Nei grafici che seguono si presentano le tendenze dei diversi settori, anche se in forma piuttosto aggregata, confrontandone il livello nella prima parte del 2022 con il dato medio del 2019, precedente la crisi del Covid-19. Per l’area euro, allo scopo di tenere conto dell’effetto di cambiamento delle ore lavorate per occupato, si mostra tanto l’an-damento del numero di occupati, quanto quello delle ore lavorate.

La declinazione dei settori ancora indietro nella fase di recupero rispetto a quelli che avevano più che superato i livelli pre-crisi vede fra i comparti più svantaggiati quelli sottoposti a misure di distanziamento, come le filiere degli spettacoli e del turismo (alberghi, ristorazione, trasporto aereo), insieme ad altri la cui domanda ha evidenzia-to un abbassamenevidenzia-to strutturale a seguievidenzia-to dei cambiamenti negli stili di vita, come nel caso dell’abbigliamento; inoltre, diversi settori, penalizzati da scarsità di semilavorati, hanno mostrato ripetute battute d’arresto, come nel caso dell’auto, per via dei limiti alla disponibilità di semiconduttori.

Viceversa, altri settori hanno fatto bene, come nel caso della logistica e dell’informa-tica, insieme a molti settori manifatturieri che producono beni per l’abitazione e l’ar-redo.

La crisi del Covid-19 ha anche innescato cambiamenti di carattere strutturale, si pensi all’impulso che ne è derivato alla digitalizzazione dell’economia e ai mutamenti di tipo organizzativo legati al lavoro da remoto. La minore frequentazione degli uffici modifica le caratteristiche della mobilità urbana e, insieme alla diffusione del com-mercio on-line, sta aumentando gli occupati nei trasporti e nel magazzinaggio, e ridu-cendoli nel commercio tradizionale. Inoltre, si riduce la domanda di pasti fuori casa, a

Fonte: Elaborazioni REF Ricerche su dati Bls e EUROSTAT Elaborazioni REF Ricerche su dati Bls e Eurostat 135

140 145 150 155 160

05 10 15 20

milioni

Stati Uniti, occupati

140 145 150 155 160 165 170

05 10 15 20

milioni

Area euro, occupati

Figura 2

favore della sostituzione con i consumi alimentari.

La varianza degli andamenti settoriali prodottasi a seguito della crisi del Covid-19 è stata quindi del tutto anomala e, peraltro, caratterizzata da andamenti diversi da quel-li che si riscontrano normalmente nelle fasi di recessione. Difatti, le restrizioni imposte per contrastare la pandemia hanno colpito attività dei servizi che normalmente non sono esposte a fluttuazioni cicliche pronunciate, mentre hanno avuto effetti addirit-tura positivi in alcuni settori, come i produttori di beni di consumo durevoli (al netto dell’auto) che solitamente sono fortemente penalizzati nelle recessioni.

Questa breve descrizione degli andamenti settoriali introduce quindi in maniera ef-ficace il quesito dinanzi al quale si ritrovano i policy maker: si tratta di stabilire in che misura quelli che stiamo osservando sono andamenti legati a risposte specifiche settoriali rispetto alle conseguenze economiche della pandemia, e quindi fenomeni che, pur con sforzi organizzativi importanti, sono destinati a rientrare man mano che (auspicabilmente) la capacità di convivenza con il virus migliorerà, oppure se siamo dinanzi a cambiamenti di tipo strutturale, che richiedono skills e competenze differen-ti ai lavoratori, e che rischiano di mettere moldifferen-ti di quesdifferen-ti definidifferen-tivamente ai margini del mercato del lavoro.

Fonte: Elaborazioni REF Ricerche su dati Bls

-1000 -500 0 500 1000

Manifatturiero Costruzioni Commercio all'ingrosso Commercio al dettaglio Trasporti e magazzinaggio Utilities Informazione Att finanziarie Att immobiliari Att professionali Att ricreative, alberghi, ristorazione Sanità e istruzione Settore pubblico Altri servizi

non farm, migliaia

Stati Uniti, la variazione del numero di occupati per settore:

II '22 - media 2019

Figura 3

Elaborazioni REF Ricerche su dati Eurostat

-500 0 500 1000 1500 2000

Agricoltura Industria ss Costruzioni Commercio, trasporti, serv ricettivi Comunicazione e informazione Att finanziarie Att immobiliari Att professionali Pa, sanità, istruzione Att ricreative

migliaia

Area euro, la variazione del numero di occupati per settore:

II '22 - media 2019

Elaborazioni REF Ricerche su dati Eurostat

-800 -600 -400 -200 0 200 400 600 800 1000 Agricoltura

Industria ss Costruzioni Commercio, trasporti, serv ricettivi Comunicazione e informazione Att finanziarie Att immobiliari Att professionali Pa, sanità, istruzione Att ricreative

migl equivalenti occupati, sulla base di un orario di lavoro standard

Area euro, la variazione delle ore lavorate per settore:

II '22 - media 2019

Fonte: Elaborazioni REF Ricerche su dati Eurostat

Fonte: Elaborazioni REF Ricerche su dati Eurostat

Figura 4

Figura 5

Le scelte di partecipazione: il graduale ritorno dei lavoratori nel mercato del lavoro Fra gli aspetti che hanno caratterizzato le tendenze degli ultimi anni, un punto sul quale si sono soffermate diverse analisi è quello dell’andamento dell’offerta di lavoro.

Le forze di lavoro hanno difatti registrato un vistoso arretramento nel periodo della pandemia, seguito da un recupero nel periodo successivo. Tale andamento ha riflesso principalmente le oscillazioni del tasso di attività, in presenza di una relativa stabilità della popolazione in età lavorativa nelle principali economie avanzate.

Nel periodo della pandemia si è osservata difatti l’uscita di molti lavoratori dal mer-cato del lavoro.

A questo fenomeno hanno concorso diversi fattori. Alcune spiegazioni ripercorrono schemi tradizionali, come l’effetto di “scoraggiamento” che spinge a ridurre gli sforzi di ricerca di un impiego quando le opportunità occupazionali si riducono, e viceversa nelle fasi di ripresa dell’economia. Altre fanno riferimento a comportamenti diretta-mente legati al Covid: impossibilità di azioni di ricerca attiva nei periodi di lockdown;

persone che hanno subito effetti di long-Covid, anche di natura psicologica; uscita dal mercato del lavoro di donne con figli piccoli, in difficoltà nel periodo della didattica a distanza; minori arrivi di immigrati per effetto delle restrizioni sanitarie (i green pass); problemi per alcuni segmenti di lavoratori ad adattarsi all’accelerazione della digitalizzazione. Altre ancora si basano sulle politiche adottate dai Governi per con-trastare gli effetti della pandemia, e soprattutto sull’aumento del livello del salario di riserva, a seguito del potenziamento dei sussidi di disoccupazione.

La caduta del tasso di attività è stata molto marcata negli Stati Uniti, dove si è aperto un ampio dibattito sulla cosiddetta “great resignation”. Anche nell’area euro nel 2020 la partecipazione dei lavoratori al mercato del lavoro si era ridotta, anche se in misu-ra inferiore rispetto al caso americano. La differenza principali fmisu-ra le due aree sta in Europa negli schemi di lavoro a orario ridotto, come ad esempio la Cig in Italia, che tendono a scoraggiare il licenziamento, diversamente dal modello americano, mag-giormente basato sui sussidi di disoccupazione.

Il fatto che il tasso di attività europeo sia tornato sopra i livelli pre-crisi, a differenza di quello americano, che è ancora su livelli decisamente inferiori, è una evidenza a favore dell’utilità degli schemi di lavoro a orario ridotto, che hanno proprio la caratteristica di favorire il labour hoarding, evitando il distacco fra lavoratore e impresa. Questo per-mette di evitare l’abbandono del mercato del lavoro soprattutto da parte dei soggetti più deboli, che più facilmente possono ricadere in una situazione di disoccupazione di lungo periodo o addirittura di uscita definitiva delle attività di ricerca di un posto di lavoro, con effetti negativi sull’offerta di lavoro e sul livello del Pil potenziale.

Elaborazioni REF Ricerche su dati Bls e Eurostat 145.0

150.0 155.0 160.0 165.0 170.0

05 10 15 20

migliaia

Stati Uniti, forze di lavoro

145.0 150.0 155.0 160.0 165.0 170.0

05 10 15 20

migliaia

Area euro, forze di lavoro

Elaborazioni REF Ricerche su dati Bls e Eurostat 60.0

61.0 62.0 63.0 64.0 65.0 66.0 67.0

05 10 15 20

Stati Uniti, tasso di attività

54.0 55.0 56.0 57.0 58.0 59.0 60.0 61.0

05 10 15 20

Area euro, tasso di attività

Figura 6

Figura 7 Fonte: Elaborazioni REF Ricerche su dati Bls e EUROSTAT

Fonte: Elaborazioni REF Ricerche su dati Bls e EUROSTAT

Il paradosso del 2022: disoccupazione ai minimi all’uscita dalla recessione

Anche l’andamento della disoccupazione è stato molto diverso nel caso Usa rispetto a quello europeo. Nell’area euro nel corso della recessione la tenuta relativa del livel-lo degli occupati, accostandosi alla riduzione dell’offerta di lavoro, ha evitato che il tasso di disoccupazione aumentasse molto. Evidentemente però in una situazione di ampio ricorso a schemi di lavoro a orario ridotto, e dati i fattori straordinari che han-no condizionato l’andamento dell’offerta di lavoro, il concetto stesso di disoccupato nella sua accezione standard tende a perdere di significato; definizioni “allargate”

della disoccupazione che tengano ad esempio conto almeno di una quota dei lavora-tori inattivi e dei lavoralavora-tori a orario ridotto per un periodo prolungato risulterebbero certamente più adatte per una quantificazione dell’impatto che la recessione ha avuto sui lavoratori in Europa.

Nel complesso, comunque, uno dei tratti peculiari del quadro più recente è proprio rap-presentato dal fatto che il recupero dei livelli occupazionali, accostandosi a una relativa inerzia delle decisioni di partecipazione al mercato del lavoro, ha portato a una decisa contrazione del tasso di disoccupazione.

Il 2022 vede così un tasso di disoccupazione ai minimi storici tanto negli Stati Uniti, quanto nell’area euro, un risultato che certamente è motivo di sorpresa se si considera che l’economia mondiale è appena uscita da una fase di grave recessione.

Elaborazioni REF Ricerche su dati Bls e Eurostat 0

2 4 6 8 10 12 14

05 10 15 20

Stati Uniti, tasso di disoccupazione

2 4 6 8 10 12 14

05 10 15 20

Area euro, tasso di disoccupazione

Fonte: Elaborazioni REF Ricerche su dati Bls e EUROSTAT Figura 8

Siamo già in pieno impiego?

Se al fenomeno della riduzione della disoccupazione avvenuto nel corso della ripresa del 2021 si accosta quello del mismatch delle competenze associato al cambiamento nella struttura produttiva degli ultimi due anni, si arriva all’esito abbastanza para-dossale di un mercato del lavoro europeo che, al pari di quello americano, è entrato in tensione non appena i livelli occupazionali si sono riportati sui livelli pre-crisi.

Negli ultimi trimestri sono difatti emerse evidenti strozzature d’offerta da parte di diversi indicatori, come ad esempio l’incidenza dei posti di lavoro vacanti. La diffi-coltà di reperimento di manodopera è stata anche confermata dalle survey presso le imprese.

La presenza di un maggiore numero di posti vacanti rispetto a prima della crisi, a parità di tasso di disoccupazione, potrebbe fare pensare a una traslazione della curva di Beveridge (aumentano le vacancies a parità di tasso di disoccupazione) verso l’alto, con un peggioramento del trade-off fra posti vacanti e tasso di disoccupazione e un aumento del tasso di disoccupazione di equilibrio. E in effetti ciò sembra essere avve-nuto negli Stati Uniti.

Nell’area euro lo spostamento della curva è meno evidente, e probabilmente si lega anche al fenomeno sopra discusso della relativa invarianza del tasso di disoccupazio-ne disoccupazio-nel corso del ciclo; i dati suggeriscono un andamento anomalo disoccupazio-nel periodo della pandemia, più che una traslazione della curva. L’aumento dei posti vacanti è comun-que un fattore che porta a rallentare le prospettive di ripresa dell’economia. Potrebbe indicare problemi nel funzionamento del mercato del lavoro che ostacolano la riallo-cazione settoriale della forza lavoro.

Tuttavia, la situazione attuale non si presta a letture univoche; in genere, difatti, situa-zioni di scarsità di manodopera si verificano al termine della fase espansiva del ciclo economico, non all’inizio della ripresa. L’ipotesi peggiore sarebbe quella per cui con il

Elaborazioni REF Ricerche su dati Bls e Eurostat 1

2 3 4 5 6 7

05 10 15 20

Stati Uniti, tasso di posti vacanti

0 1 2 3 4

05 10 15 20

Area euro, tasso di posti vacanti

Fonte: Elaborazioni REF Ricerche su dati Bls e EUROSTAT Figura 9

Covid-19 la struttura produttiva si sia modificata così tanto (per effetto delle vendite on-line, del lavoro da remoto e per la generalizzata accelerazione della digitalizza-zione) da avere cambiato radicalmente le caratteristiche richieste a un gran numero di lavoratori determinando un aumento della disoccupazione di lungo periodo, che peraltro neanche traspare dalle statistiche sui disoccupati avendo questi lavoratori deciso addirittura di interrompere gli sforzi di ricerca e uscire dal mercato.

E’ tuttavia ancora presto per stabilire se veramente siamo dinanzi a un problema di skills mismatch, o se piuttosto le difficoltà attuali non riflettano la reazione di breve rispetto alle anomalie nei comportamenti legate al Covid-19; basti pensare al fatto che con le riaperture molti settori hanno dovuto riorganizzarsi per ricostruire gli organici, andando incontro anche a difficoltà di reperimento anche di molti lavoratori unskilled, come nel caso degli addetti alla ristorazione o dei servizi al trasporto aereo. È possibile cioè che, data l’ampiezza dello shock indotto dal Covid-19, i tempi di riadeguamento dell’offerta alla diversa struttura della domanda di lavoro siano fisiologicamente più lunghi, ma che in ogni caso l’assorbimento delle vacancies possa verificarsi nel giro di alcuni trimestri, risolvendo quindi l’apparente paradosso determinato dalla presenza di fenomeni di scarsità di manodopera all’uscita da una fase di recessione.

La frenata dell’economia

A partire dai mesi primaverili la congiuntura internazionale ha iniziato a mostrare segnali evidenti di rallentamento. La ragione principale è stata rappresentata dal peg-gioramento delle condizioni dal lato dell’offerta aggregata, per effetto di una nuova ondata del Covid-19 che ha determinato una battuta d’arresto dell’economia cine-se e prodotto nuove difficoltà nel funzionamento della logistica e negli scambi com-merciali internazionali. L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha avuto un ruolo determinante nel peggioramento delle prospettive, aumentando l’incertezza, soprattutto nei Paesi europei, e contribuendo ad aumentare i prezzi di diverse

ma-Elaborazioni REF Ricerche su dati Bls e Eurostat 0

1 2 3 4 5 6 7

0 5 10 15

Tasso di posti vacanti

Tasso di disoccupazione

Stati Uniti, Curva di Beveridge

III '09 -I '20 II '20 - II '22

0 1 2 3 4 5

0 5 10 15

Tasso di posti vacanti

Tasso di disoccupazione

Area euro, Curva di Beveridge

III '11 - I '20 II '20 - II '22

Fonte: Elaborazioni REF Ricerche su dati Bls e EUROSTAT Figura 10