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La protezione sociale dei liberi professionisti non ordinistici: la messa a regime dell’Iscro

La protezione sociale dei liberi professionisti tra pubblico e privato

4. La protezione sociale dei liberi professionisti non ordinistici: la messa a regime dell’Iscro

misura a favore di imprese e lavoratori autonomi relativi all’emergenza Covid-1946. Sebbene l’importo complessivo delle prestazioni assistenziali erogate sia nettamente inferiore rispetto alle prestazioni pensionistiche, e non incida sulla sostenibilità degli enti, giacché le prestazioni sono finanziate con specifici contributi di scopo o tramite contribuzioni integrative che non comportano impegni permanenti nel futuro, si pone in ogni caso il problema della natura, obbligatoria o facoltativa, dell’adesione e del contributo a questi servizi per i professionisti47. Ed infatti, nel descritto contesto di progressivo allargamento dalla sfera previdenziale “pura” delle Casse di previden-za privatizpreviden-zate alla sfera assistenziale, non può non constatarsi un allontanamento dall’impostazione originaria delle funzioni pubbliche di questi enti, come prefigurata dalla Costituzione e dalla legislazione di riferimento. La funzione pubblica fonda-mentale per cui le Casse privatizzate sono state costituite è infatti quella previdenzia-le, che certamente ha natura obbligatoria. Negli ultimi anni, l’intento del legislatore è stato quello di allargare ed ampliare le finalità inderogabili ed obbligatorie delle Casse di previdenza privatizzate, includendo la funzione assistenziale tra i compiti istitu-zionali degli enti privatizzati48. Anche a prescindere, peraltro, dalla natura facoltativa dell’adesione del libero professionista a questi servizi – che peraltro, come si è visto, vanno spesso molto al di là delle prestazioni assistenziali e configurano piuttosto un sostegno di categoria per lo sviluppo dell’attività economica – è necessaria in prospet-tiva una riflessione approfondita sul ruolo delle Casse come soggetti a fini generali.

4. La protezione sociale dei liberi professionisti non ordinistici: la messa a regime

decreto-legge 3 settembre 2019, n. 101, convertito con legge n. 128/2019.

Proprio ragionando sulla variegata composizione sociale della platea dei liberi pro-fessionisti iscritti alla gestione separata, e sulla perdurante carenza di tutele di questi lavoratori, la Consulta del lavoro autonomo, istituita all’interno del Cnel, promosse l’iniziativa di un intervento di sostegno reddituale nei casi di crisi del fatturato, volto a salvaguardare, unitamente alle condizioni economiche del lavoratore, la continuità operativa dell’attività economica. La proposta, formalizzata in un progetto di legge adottato dal Cnel e presentato alle Camere, sarebbe poi confluita – con talune modi-fiche che ad onor del vero non hanno contribuito a migliorare la chiarezza del testo normativo – nella legge di bilancio per il 2021 (art. 1, commi 386-401 della legge n.

178/2020)49.

Non sempre, nei commenti di alcune parti sociali e della dottrina, si è registrata un’a-deguata presa di coscienza circa la duplice funzione che è attribuita all’Iscro, di esse-re cioè una misura di assistenza al lavoratoesse-re e al contempo di supporto all’attività economica, volta dunque a scongiurare il fenomeno, molto frequente, della chiusura della partita Iva e della sospensione dell’attività economica, con la conseguente per-dita degli strumenti di produzione e del portafoglio di clientela. La misura nasce, dunque, con lo specifico obiettivo di intercettare le condizioni di fragilità del lavo-ratore in costanza di attività lavorativa, e non come misura di assistenza a fronte di una condizione di disoccupazione. Ed infatti, se è apparso giustificato chiedere alla generalità degli iscritti alla gestione separata un contributo volto ad offrire sostegni a carattere mutualistico per favorire la continuità produttiva in settori connotati da volatilità maggiore che in altri ambiti produttivi, non è sembrato opportuno, invece, appesantire in modo più intenso la già gravosa contribuzione per finanziare presta-zioni di assistenza a fronte dell’interruzione dell’attività lavorativa – una prestazione, quest’ultima, su cui è sembrato ragionevole, piuttosto, richiamare un coinvolgimento della fiscalità generale in ragione del preponderante interesse sociale all’assistenza in caso di disoccupazione e della presenza nella legislazione vigente di strumenti a vocazione generale, quali, anzitutto, il Reddito di cittadinanza. È dunque sembrato corretto imputare alla mutualità di categoria il sostegno economico del lavoratore in crisi che manifesti, con il mantenimento della partita IVA, l’intenzione di prosegui-re la propria attività e di tornaprosegui-re, dunque, a contribuiprosegui-re alla gestione separata, e di imputare allo stato, invece, il pur doveroso sostegno al lavoratore che, chiudendo la partita IVA, versi in una condizione di disoccupazione. Si può certo lamentare che il lavoratore autonomo libero professionista difetti ancora oggi, specie in confronto al lavoratore dipendente e al titolare di rapporto di lavoro in regime di collaborazione coordinata e continuativa, di uno specifico sistema di accompagnamento e sostegno nella fase della prima disoccupazione; ma non si poteva pensare che questo supporto, tanto essenziale quanto oneroso, potesse essere finanziato con la contribuzione della categoria, a fronte di un prelievo contributivo già molto lievitato nel corso degli ultimi

49. Sulla proposta di legge del CNEL da cui ha preso le mosse la riforma legislativa sia consentito rinviare ad A.

Buratti, Quali tutele per il lavoro autonomo professionale? in Il Menabò, 2020. Per un’analisi della normativa v. A. Zop-po, L’ammortizzatore sociale per i lavoratori autonomi (Iscro): un altro tentativo di «attuare» l’art. 35 Cost.?, in Bollettino ADAPT, 18 gennaio 2021, n. 2.

anni e per di più in un frangente particolarmente critico per i redditi del settore50. L’Iscro nasceva però – tanto nella proposta del Cnel quanto nei lavori delle Camere – con un difficolta iniziale: la poca puntualità delle informazioni relative ai risultati gestionali della gestione separata Inps, che impediva una quantificazione reale, in particolare, delle spese per interventi assistenziali finanziata dalle speciali aliquote destinate. Ed infatti, la tradizionale ritrosia dei lavoratori autonomi ad avvalersi degli strumenti di assistenza – conseguenza di prassi tradizionali, ma anche della totale assenza di campagne informative da parte dell’ente gestore – rendeva probabile la presenza di significativi avanzi finanziari, disponibili ad essere reinvestiti in ulteriori e più articolate misure di assistenza. Un dato che, in assenza di adeguate informa-zioni, era impossibile tuttavia far valere, con la conseguenza che la nuova indennità venne finanziata con una ulteriore e specifica contribuzione , pari allo 0.26% nel 2021, destinata poi a crescere allo 0.51% per gli anni 2022 e 2023.

L’andamento di questi primi tre anni di sperimentazione ha suscitato legittime aspet-tative di consolidamento dello strumento, mentre l’analisi dei dati di gestione permet-te di valutare accorgimenti della disciplina in una prospettiva di efficienza ed equità.

I dati forniti dall’Inps in occasione della sua audizione presso il Cnel del 3 maggio 2022 attestano che nel 2021 sono state presentate circa 9.500 domande di accesso all’In-dennità. Di queste, meno di 3.500 sono state accolte. L’importo medio dell’indenni-tà complessiva è stato di 4.069 euro, corrispondente all’84% del massimo erogabile.

L’importo complessivo erogato è stato pari a 14 milioni di euro (4 milioni e 778 mila euro per il 2021 e 9 milioni e 696 mila euro per il 2022): cifre molto minori rispetto alla previsione legislativa, che prevedeva 70 milioni per il 2021 e 35 milioni per il 2022.

A fronte dei 4 milioni e 778 mila euro erogati nel 2021, i contributi versati per il 2021 ammontano a 9 milioni e 700 euro, per un saldo netto di poco meno di 5 milioni di euro. È evidente, peraltro, che la coincidenza tra il triennio di sperimentazione e la gravissima crisi sanitaria ed economica ha spinto il ricorso all’Iscro ben oltre quanto sia ipotizzabile in fasi di crescita o stabilità economica.

Alla luce del primo triennio di applicazione, è dunque possibile avanzare un piano di manutenzione dell’Iscro, che possa stabilizzarla e renderla più funzionale ed equa.

Si tratta, in primo luogo, di rimodulare le soglie di accesso al beneficio, sia riducendo il requisito del periodo di pregressa contribuzione, che è attualmente di 4 anni, sia ridefinendo la soglia reddituale che non deve essere superata per poter accedere al beneficio, che è di 8.145 euro nell’anno e necessiterebbe un innalzamento. Allo stesso tempo, i dati raccolti nel primo triennio indicano che il previsto aumento dell’aliquota contributiva, dallo 0.26% allo 0,51% del fatturato, non risulta giustificato. Andrebbe pertanto ripensata la scelta operata, a suo tempo, dal legislatore, confermando l’ali-quota attuale anche nella prospettiva a regime.

50. Per una analisi delle forze e delle criticità della misura v. M. Barbieri – D. Guarascio, La pandemia e la necessità di riformare il sistema degli ammortizzatori sociali, in Pol. soc., 3/2021, p. 501; R. Zucaro, L’impatto della pandemia sul reddito da lavoro non subordinato, possibili scenari, in Lavoro Diritti Europa, 3/2021; A. Alaimo, Il lavoro autonomo fra nuove «debolezze» e deficit di protezione sociale: tutele prima, durante e dopo la pandemia, cit.