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Un paradigma trascurato

Nel documento <Se un dio lo vuole>: gli dei in Aristofane (pagine 131-158)

5 «Se un dio lo vuole»: due eroi e due pacificazion

6. Un paradigma trascurato

Si è già visto che uno dei metodi principali con cui Aristofane carica di significati le sue vicende e i suoi personaggi è la parodia letteraria, e specialmente quella tragica. La costitu- zione di legami testuali e performativi tra la commedia e la tragedia non è soltanto un raffi- nato divertissement, come sino a qualche tempo fa si era immaginato, ma un elemento por- tante della struttura semantica delle opere aristofanee. Detto altrimenti, nell’archaia a noi nota la parodia ha quasi sempre una funzione duplice: ad un livello superficiale la detorsio in comicum di un modello riconoscibilmente serio è di per sé strumento di ilarità molto effica- ce; ma ad un livello più profondo il costante interplay tra testo e paratesto (non necessaria- mente usato in senso antitetico) aiuta il poeta a definire con maggiore precisione la caratte- rizzazione dei suoi personaggi, lo svolgersi di un’azione, il senso di una situazione. Come la critica ha giustamente capito, comprendere questo rapporto così fine equivale a comprendere meglio il significato del testo in analisi. Un rapporto che, è bene tornare a precisare, non è esclusivamente e necessariamente testuale; la parodia funziona anche per richiami performa- tivi o anche più semplicemente per evidenti somiglianze narrative o caratterologiche232

. Per questo l’attitudine degli studiosi nei confronti della Pace non è stata dissimile da quella mostrata nei confronti delle altre commedie a noi pervenute: un lavoro di scavo talora minuzioso per rintracciare ed organizzare in uno schema di significati coerente i rimandi pa- rodici presenti nel testo233

. E, come si è visto, da questo lavoro è emersa la convinzione piut- tosto solida (ancorché incompleta, vista la scarsa attenzione dedicata ad Esopo) della forte letterarietà della commedia, e specialmente del suo attacco. Tale sensazione è ulteriormente rafforzata dal finale, dove Aristofane mette con grande coscienza letteraria in scena una sorta di certamen Homeri et Hesiodi (1269-1301)234

, fa apertamente il verso alla poesia esametrica dei χρησμολόγοι (1052-1126, sempre attraverso un filtro che pare prevalentemente omerico), mobilita massicciamente il repertorio lirico (vuoi quello dei giambografi – con la citazione del celebre frammento 5 di Archiloco – vuoi quello dei lirici corali). Non a torto, credo, Edith Hall ha parlato della Pace come di un «comic prism» attraverso il quale vengono ri- !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

232 Sul funzionamento polivalente della paratragedia aristofanea, cfr. M

ASTROMARCO 2006.

233 Cfr. supra, pp. 65 ss. (anche con alcuni essenziali rimandi bibliografici). 234 Alcune osservazioni utili in H

ALL 2006, 344-49; cfr. anche le note testuali di WEST 1967 e DI BENEDETTO

fratte alcune delle più importanti e fortunate tradizioni poetiche dell’epoca235

; non è forse completamente condivisibile la posizione interpretativa di chi vede nella Pace una sorta di commedia meta-letteraria236

, ma lo spunto è senz’altro corretto e ben motivato da una iper- letterarietà che è singolare anche per un’opera aristofanea.

Nel riconoscimento dei componenti della trama letteraria tessuta da Aristofane attraverso tutta la commedia mi pare però che alla critica sia sfuggito un importante paradigma237, che

può gettare ulteriore luce sulla costruzione drammatica della commedia e sul funzionamento dei meccanismi visti in funzione sinora. Il Prometeo incatenato è uno dei casi più misteriosi e dibattuti dalla filologia del secolo scorso, una tragedia su cui le nostre conoscenze sono la- cunose e aperte al dubbio. Tanto per cominciare, è problematica la datazione: le fonti antiche non la ancorano a nessun fatto storico, e occorre dunque cercare nel testo e altrove riferimen- ti che valgano come termini ante e post quem. Correttamente, Griffith individua come limite post quem l’eruzione dell’Etna (475 o 479 a.C.) cui si fa riferimento, tramite una profezia ex eventu, ai vv. 366-9, che intrattengono tra l’altro rapporti intertestuali piuttosto evidenti con la descrizione del fatto contenuta in P. p. I 25 ss.238

Per un terminus ante quem, è proprio Aristofane a venire in aiuto: la tragedia è oggetto di parodia piuttosto insistente nei Cavalieri (424 a.C.)239

. Si tratta dunque di un lasso di tempo molto ampio (circa cinquant’anni), anche se forse è più facile immaginare una datazione piuttosto ‘bassa’, abbastanza a ridosso della parodia aristofanea240

. Ma il problema più annoso riguarda ovviamente l’attribuzione del Prometeo: le fonti antiche offrono perlopiù notizie molto superficiali, anche se danno per scontato che l’autore della tragedia sia Eschilo. L’autorialità eschilea è stata però in tempi più recenti messa in dubbio, in un dibattito molto acceso su cui non è questo il luogo per dif- !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

235 H

ALL 2006, 341.!

236 Oltre a H

ALL 2006, anche DOBROV 2001.

237 Un accenno cursorio solo in A

LBINI 1971, 24 e in CASSIO 1985, 30.

238 Cfr. soprattutto A. PV 351-2 Κιλικίων οἰκήτορα ἄντρων ∼ P. p. I 32 Κιλίκιον θρέψεν πολυώνυμον

ἄντρον, A. PV 368 ποταμοὶ πυρός ∼ P. p. I 41 ποταμοί, A. PV 371 ἀπλάτου ... πυρπνόου ζάλης ∼ P. p. I 40 ἀπλάτου πυρός.

239 Cfr. e.g. A. PV 613 ὦ κοινὸν ὠφέλημα θνητοῖς φανείς ∼ Ar. Eq. 836 ὦ πᾶσιν ἀνθρώποις φανεὶς

μέγιστον ὠφέλημα, A. PV 59 δεινὸς γὰρ εὑρεῖν κἀξ ἀμηχάνων πόρον ∼ Ar. Eq. 758-9 ποικίλος γὰρ ἁνήρ | κἀκ τῶν ἀμηχάνων πόρους εὐμήχανος πορίζειν (cfr. anche A. PV 308 καίπερ ὄντι ποικίλῳ).

240 Parrebbe altrimenti strano che, nel giro di dieci anni (424-415), Aristofane abbia sfruttato il tema di Prome-

teo almeno tre volte, nei Cavalieri, nella Pace e negli Uccelli. Questa ipotesi di datazione pare tra l’altro con- fermata anche da altri fattori strutturali e formali: cfr. JENS 1971, passim e PATTONI 1987, 170 ss.

fondersi241

.

Ma al netto di questi pur seri problemi critici, credo sia pacifico che la tragedia debba avere avuto una vasta risonanza nell’Atene del V secolo, tanto da motivare, tra l’altro, Ari- stofane ad una estesa operazione parodica – onore concesso soltanto ai testi più fortunati. E la Pace può rappresentare una prova convincente, ancorché ignorata, di questa risonanza: si trovano qui i segni di una ampia, anche se piuttosto fine, parodia della figura di Prometeo, che viene, come spesso accade, funzionalizzata al più vasto complesso semantico e dramma- turgico della commedia. La presenza dell’Incatenato, cioè, non si limita alla pur importante (cfr. supra, p. 81) citazione del v. 994 da parte del Coro: essa è comunque utilissima testi- monianza del fatto che l’interesse aristofaneo nei confronti della tragedia era ancora vivo dopo i Cavalieri. E tuttavia il riuso del tema di Prometeo è molto più esteso all’interno della commedia, e funziona per rimandi testuali, tematici e caratterologici; si tratta come sempre di un riuso non casuale ma sempre presieduto da un principio poetico e semantico molto for- te, attraverso il quale seguire e comprendere le linee di sviluppo imposte da Aristofane alla sua commedia.

È noto che alla base del Prometeo incatenato sta un rapporto a dire poco problematico tra il protagonista e il padre degli dèi, Zeus. Tale antagonismo è per la verità la marca distintiva dell’intera vicenda di Prometeo, ed è già perfettamente visibile nella sua prima narrazione completa di cui abbiamo testimonianza, la Teogonia di Esiodo. Prima, raccontando la sorte toccata a Prometeo, è Zeus il soggetto che compie l’incatenamento (Hes. Th. 521-5):

δῆσε δ’ ἀλυκτοπέδῃσι Προμηθέα ποικιλόβουλον, δεσμοῖς ἀργαλέοισι, μέσον διὰ κίον’ ἐλάσσας· καί οἱ ἐπ’ αἰετὸν ὦρσε τανύπτερον· αὐτὰρ ὅ γ’ ἧπαρ ἤσθιεν ἀθάνατον, τὸ δ’ ἀέξετο ἶσον ἁπάντῃ

νυκτός, ὅσον πρόπαν ἦμαρ ἔδοι τανυσίπτερος ὄρνις.

Ma soprattutto, poco più avanti, il racconto del furto del fuoco (reso necessario da una ri- torsione di Zeus proprio contro un inganno ordito a sue spese dallo stesso Prometeo: 535 ss.) !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

241 Una ricognizione bibliografica completa è contenuta nell’Introduzione a P

ATTONI 1987, 15-32. I più recenti ed importanti studi in materia sono comunque (per l’atetesi eschilea) quelli di GRIFFITH 1977, TAPLIN 1977, WEST 1979 e con aggiornamenti (e alcuni ripensamenti) WEST 1990, 51-72, mentre, tra gli altri, CONACHER

1980 e PATTONI 1987 sono per la conferma dell’autorialità eschilea. La questione è molto complicata, ma mi pare che specialmente il lavoro di M. P. Pattoni abbia perlomeno dimostrato che la gran parte degli argomenti dei primi è tutt’altro che definitiva.

mostra con grande forza una dialettica molto accesa tra il padre degli dèi e il figlio di Iapeto (558-69): τὸν δὲ μέγ’ ὀχθήσας προσέφη νεφεληγερέτα Ζεύς· “Ἰαπετιονίδη, πάντων πέρι μήδεα εἰδώς, ὦ πέπον, οὐκ ἄρα πω δολίης ἐπελήθεο τέχνης.” ὣς φάτο χωόμενος Ζεὺς ἄφθιτα μήδεα εἰδώς. ἐκ τούτου δἤπειτα χόλου μεμνημένος αἰεὶ οὐκ ἐδίδου μελίῃσι πυρὸς μένος ἀκαμάτοιο θνητοῖς ἀνθρώποις οἳ ἐπὶ χθονὶ ναιετάουσιν· ἀλλά μιν ἐξαπάτησεν ἐὺς πάις Ἰαπετοῖο κλέψας ἀκαμάτοιο πυρὸς τηλέσκοπον αὐγὴν ἐν κοίλῳ νάρθηκι· δάκεν δ’ ἄρα νειόθι θυμὸν Ζῆν’ ὑψιβρεμέτην, ἐχόλωσε δέ μιν φίλον ἦτορ, ὡς ἴδ’ ἐν ἀνθρώποισι πυρὸς τηλέσκοπον αὐγήν.

Il χόλος è citato due volte in pochi versi: l’ira di Zeus è profonda. Ma l’inimicizia tra i due sarà poi sfruttata al suo massimo nell’Incatenato, dove una caratterizzazione molto abile oppone al νέος τύραννος242 un antagonista di pari peso: «Against this unseen, but all-seeing and ever-threatening Zeus, the dramatist has pitted [sic] a hero of unusual stature […] In Prom., P.’s knowledge and cleverness appear to rival or excel Zeus’. […] P. may be criti- cized for his ‘mistakes’, for his lack of foresight in bringing disaster on himself, and for his inability to ‘cure’ his own troubles: but he himself insists that he knew just what he was doing, if not the precise details of his punishment»243

. In una tragedia senza peripeteia, l’unità organica che in molti hanno riscontrato essere assente nella tragedia è in realtà fornita dalla figura stessa di Prometeo, certamente nelle sue «profonde implicazioni ‘simpateti- che’»244

con il Coro, ma anche nella sua opposizione ferma e salda al nuovo tiranno. Il furto del fuoco è una colpa (o meglio ancora un errore, ἁμαρτία, A. PV 9) di cui Prometeo deve pagare il fio; ma nel corso della tragedia è impossibile liberarsi dalla sensazione della netta !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

242 La negatività della figura di Zeus nel Prometeo incatenato è una vexatissima quaestio su cui si è molto di-

scusso: per un inquadramento generale cfr. CONACHER 1980, 120-137 e PODLECKI 2005, 34-7; per un’analisi approfondita è ancora valido LLOYD-JONES 1956 (con una persuasiva dimostrazione della sostanziale immuta- bilità della caratterizzazione di Zeus nell’opera eschilea a noi pervenuta). Utili osservazioni sul carattere di no- vità del dominio di Zeus in PADUANO 2004.

243 G

RIFFITH 1983, 8-9.

244 P

superiorità del titano rispetto a Zeus. E anzi, nello corso della tragedia, gli spettatori vengono a sapere che Prometeo conosce un segreto da cui può dipendere la durata del regno di Zeus: egli è in una posizione subalterna, di dolore, ma al tempo stesso di netta superiorità rispetto all’avversario. È proprio su questo polo di inferiorità-superiorità che si gioca gran parte della tenuta drammatica del testo; la coppia antitetica Prometeo-Zeus è il vero fulcro dell’opera, come dimostra anche la sua attenta costruzione. Come ha osservato molto correttamente Griffith, infatti, «the personalities of Zeus and P. have much in common. Both are ‘harsh’, ‘bold’, ‘unbending’, full of rage and pride; the same epithets are applied to both (35, 42, 64- 5, 79-80, 404-5, 907-8)»245

. Viene insomma a crearsi, seppure in absentia, un polo di opposi- zioni che innerva tutta la tragedia, e che trova il suo parossismo nelle parole, sempre più dure e violente, che il titano pronuncia contro il nemico, come ad esempio queste (A. PV 186-92):

οἶδ’ ὅτι τραχὺς καὶ παρ’ ἑαυτῶι τὸ δίκαιον ἔχων Ζεύς· ἀλλ’ ἔμπας μαλακογνώμων ἔσται ποθ’, ὅταν ταύτηι ῥαισθῆι· τὴν δ’ ἀτέραμνον στορέσας ὀργὴν εἰς ἀρθμὸν ἐμοὶ καὶ φιλότητα σπεύδων σπεύδοντί ποθ’ ἥξει.

Un rapporto così difficile e contrastato tra un personaggio e il padre degli dèi, e l’uso di questo antagonismo come elemento primario della costruzione drammatica, è quasi un uni- cum nel teatro ateniese del V secolo. Anche Bellerofonte, cui pure Aristofane fa riferimento, non pare mai, almeno dai frammenti in nostro possesso, chiamare in causa direttamente Zeus. Invocazioni, talora anche polemiche, al padre degli dèi sono certamente diffuse in tra- gedia246

, e «the assumption that Zeus deliberately makes things difficult and unpleasant for mankind is not uncommon»247

, ma il Prometeo rientra in una categoria a sé, in cui il conflitto con il padre degli dèi non è episodico ma strutturale: costituisce l’innesco del dramma e, se qualcosa si può dire sulla trilogia del Desmotes, forse anche la sua conclusione248

. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

245 G

RIFFITH 1983, 10.

246 Cfr. e.g. la casistica offerta da R

AU 1967, 171 ad Ar. Eq. 1240.

247 D

OVER 1972, 202 n. 1.

248 È problematico valutare sino a che punto occorra considerare simile al genere del Prometeo l’Inaco di Sofo-

cle, che è sicuramente affine per tema e per vicenda mitica di riferimento, ma di cui ci sono rimasti frammenti troppo lacunosi per prendere una posizione conclusiva – senza contare la difficoltà nella stessa definizione del

Ora, questo tipo di relazione che è alla base dell’Incatenato è esattamente il medesimo che Aristofane costruisce per la Pace. Come si è visto, è l’accusa a Zeus a dare l’avvio all’azione comica; l’attacco mosso da Trigeo è particolarmente duro, quasi blasfemo. Come Prometeo, inoltre, il vignaiolo attico è isolato nella sua ribellione contro il padre degli dèi. Nella tragedia, l’epirrema dei vv. 167-77 segna una svolta nella caratterizzazione del prota- gonista: «scompare, infatti, il personaggio sofferente e al suo posto subentra il ribelle, che si leva con tono di sfida contro il dominatore dell’Olimpo»249

. Le Oceanine, che sino ad allora erano rimaste in grande simpatia con il titano (cfr. e.g. 162-3 τίς οὐ ξυνασχαλᾷ κακοῖς | τεοῖσι δίχα γε Διός;), ora non solo gli ritirano la loro solidarietà, ma lo condannano esplici- tamente (178-85): σὺ μὲν θρασύς τε καὶ πικραῖς δύαισιν οὐδὲν ἐπιχαλᾶις, ἄγαν δ’ ἐλευθεροστομεῖς. ἐμὰς δὲ φρένας ἠρέθισε διάτορος φόβος, δέδια δ’ ἀμφὶ σαῖς τύχαις, πᾶι ποτε τῶνδε πόνων χρή σε τέρμα κέλσαντ’ ἐσιδεῖν· ἀκίχητα γὰρ ἤθεα καὶ κέαρ ἀπαράμυθον ἔχει Κρόνου παῖς.

Questa presa di distanze si trova molto simile anche nella Pace. Si noti, ad esempio, la ri- sposta indignata del servo quando il padrone gli comunica l’intenzione di incriminare Zeus (Ar. Pax 107-9):

Οι.β ἐὰν δὲ μή σοι καταγορεύσῃ;

Τρ. γράψομαι

Μήδοισιν αὐτὸν προδιδόναι τὴν Ἑλλάδα.

Οι.β μὰ τὸν Διόνυσον οὐδέποτε ζῶντός γ’ ἐμοῦ.

Ciò serve anche a creare il tipico clima di isolamento attorno all’eroe comico; ma questa solitudine ha qualcosa di diverso: non nasce tanto dalla stranezza del piano. Significativa- !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

dramma, su cui molti critici si sono esercitati, senza chiarire tutt’ora se si dovesse trattare di un dramma satire- sco o di una tragedia (altri hanno addirittura ipotizzato, a mio giudizio con minore verisimiglianza, una parodia diretta dell’Incatenato). Per un quadro bibliografico della questione, cfr. RADT 1977, 247-8.

249 P

mente il servo quasi non obietta ai problemi tecnici del volo a cavallo di uno scarabeo, e anzi darà quasi per scontato l’esito dell’impresa: 111-2 ὦ παιδί’, ὁ πατὴρ ἀπολιπὼν ἀπέρχεται | ὑμᾶς ἐρήμους εἰς τὸν οὐρανὸν λάθρᾳ. La solitudine di Trigeo deriva dall’obiettivo iniziale del suo disegno, Zeus. Ciò lo rende, agli occhi del servo, un folle (54-5):

ὁ δεσπότης μου μαίνεται καινὸν τρόπον, οὐχ ὅνπερ ὑμεῖς, ἀλλ’ ἕτερον καινὸν πάνυ.

Molti hanno rilevato dei paralleli tra questa situazione di follia e quelle descritte in aper- tura di altre commedie aristofanee: in V. 71 Santia definisce la fissazione di Filocleone per i processi una malattia (νόσον γὰρ ὁ πατὴρ ἀλλόκοτον αὐτοῦ νοσεῖ) e in Av. 31 Euelpide par- la del desiderio di fuggire di Atene sempre nei termini di un disturbo (νόσον νοσοῦμεν). Ma rispetto alla situazione di Trigeo, credo, c’è una importante differenza. Quelle che danno l’inizio alle Vespe e agli Uccelli sono ‘malattie’ effettive, trovare la soluzione alle quali co- stituisce l’intero sviluppo delle commedie; nella Pace, invece, la malattia è evocata soltanto nel giudizio che il servo dà del comportamento di Trigeo, è un fatto soggettivo e non ogget- tivo come negli altri due casi. Il servo non condivide l’eroismo di Trigeo, e non può capire, dunque, che il suo atteggiamento è tutt’altro da quello di un pazzo, e che anzi c’è del metodo (comico) in quella follia. Tra l’altro l’impressione che Trigeo sia matto deriva al servo non tanto dal fatto che abbia progettato di volare sull’Olimpo, ma piuttosto dalle sue critiche quasi balsfeme a Zeus, come si capisce bene dal commento ad una battuta del protagonista (Pax 62-5):

Τρ. ὦ Ζεῦ, τί δρασείεις ποθ’ ἡμῶν τὸν λεών;

λήσεις σεαυτὸν τὰς πόλεις ἐκκοκκίσας.

Οι.β τοῦτ’ ἐστὶ τουτὶ τὸ κακὸν αὔθ’ οὑγὼ ’λεγον·

τὸ γὰρ παράδειγμα τῶν μανιῶν ἀκούετε.

La sola idea di potersi rivolgere al padre degli dèi in quel tono costituisce, a giudizio del servo, che svolge qui il ruolo metateatrale di ‘spettatore-guida’, un sufficiente indizio (παράδειγμα) per una diagnosi di pazzia. L’insistenza su questo giudizio contribuisce all’isolamento di Trigeo, ma non alla sua contestazione; semmai accresce la sensazione di una grandezza eroica incommensurabile rispetto alla ‘normalità’ della vicenda di partenza.

Anche nel Prometeo il protagonista resterà, almeno sin verso la fine, solitario nel suo at- tacco a Zeus. Dopo la presa di distanze del Coro, anche il saggio Oceano lo sconsiglierà

dall’usare toni così aspri (A. PV 311-4):

εἰ δ’ ὧδε τραχεῖς καὶ τεθηγμένους λόγους ῥίψεις, τάχ’ ἄν σου καὶ μακρὰν ἀνωτέρω θακῶν κλύοι Ζεύς, ὥστε σοι τὸν νῦν ὄχλον παρόντα μόχθων παιδιὰν εἶναι δοκεῖν.

Il consiglio di Oceano diventa poi una aspra contestazione dei modi di Prometeo (317- 23): ἀρχαῖ’ ἴσως σοι φαίνομαι λέγειν τάδε· τοιαῦτα μέντοι τῆς ἄγαν ὑψηγόρου γλώσσης, Προμηθεῦ, τἀπίχειρα γίγνεται. σὺ δ’ οὐδέπω ταπεινός, οὐδ’ εἴκεις κακοῖς, πρὸς τοῖς παροῦσι δ’ ἄλλα προσλαβεῖν θέλεις. οὔκουν ἔμοιγε χρώμενος διδασκάλωι πρὸς κέντρα κῶλον ἐκτενεῖς […]

E così, il titano, cui pure tutti garantiscono solidarietà per il dolore, rimane però una figu- ra solitaria, proprio a causa della sua irriducibile inimicizia con Zeus.

Dunque la situazione di partenza di Trigeo è esemplata sulla falsa riga di quella di Prome- teo: non solo l’odio nei confronti del padre degli dèi, ritenuto responsabile dei mali propri e dell’umanità, ma anche la condizione di isolamento che l’inimicizia gli provoca sono tratti comuni ad entrambi i personaggi. Questo generale rimando ha ovviamente importanti conse- guenze anche sulla figura che di Zeus finisce col delinearsi nella prima parte della comme- dia, una figura che, come si è visto, è ingiusta e nemica: il confronto con il Desmotes, dove non solo Zeus è il consapevole aguzzino di Prometeo, ma sarebbe stato anche il vero respon- sabile della fine del genere umano se il titano non gli si fosse opposto (228 ss.), rafforza que- sta iniziale caratterizzazione. Ma i tratti di somiglianza non si limitano ad una generica so- miglianza strutturale250

. In un momento di grande importanza per l’economia del testo, la presentazione da parte di Trigeo del proprio piano, il vignaiolo si spiega così (Ar. Pax 92-4):

Οι.β ποῖ δῆτ’ ἄλλως μετεωροκοπεῖς;

Τρ. ὑπὲρ Ἑλλήνων πάντων πέτομαι,

τόλμημα νέον παλαμησάμενος.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 250 Come pensava A

Non è difficile trovare in commedia termini afferenti al campo semantico della τόλμα, il coraggio, la sfacciataggine. E però il sostantivo τόλμημα è piuttosto sorprendente. In com- media, in effetti, gli eroi parlano spesso e volentieri del loro disegno, per esporlo al pubblico o per convincere della sua bontà altri personaggi. Normalmente, però, Aristofane opta per parole piuttosto neutre, come βούλευμα, di gran lunga la più invalsa nell’usus aristofaneo (cfr. e.g. Ar. Ach. 837, Eq. 108, Av. 162, Lys. 706, Ecc. 17, Pl. 493), o μηχανή (cfr. e.g. Ari- stoph. Lys. 111, Th. 87). Al contrario, è rarissimo l’impiego di un sostantivo come τόλμημα

per definire la natura del piano comico251

. Perché Trigeo sente invece la necessità di ricorrere ad un termine così particolare, che si presta anche ad essere inteso in malam partem? Credo che qui il poeta volesse fare riferimento ad un luogo tragico. In un punto altrettanto cruciale dell’Incatenato, Prometeo sta narrando alle Oceanine come è arrivato a guadagnarsi l’odio di Zeus, e illustra dunque il cuore della sua azione (A. PV 228-36):

ὅπως τάχιστα τὸν πατρῶιον ἐς θρόνον καθέζετ’, εὐθὺς δαίμοσιν νέμει γέρα ἄλλοισιν ἄλλα καὶ διεστοιχίζετο ἀρχήν, βροτῶν δὲ τῶν ταλαιπώρων λόγον οὐκ ἔσχεν οὐδέν’, ἀλλ’ ἀιστώσας γένος τὸ πᾶν ἔχρηιζεν ἄλλο φιτῦσαι νέον. καὶ τοῖσιν οὐδεὶς ἀντέβαινε πλὴν ἐμοῦ, ἐγὼ δ’ ἐτόλμησ’· ἐξελυσάμην βροτοὺς τὸ μὴ διαρραισθέντας εἰς Ἅιδου μολεῖν.252

Dinanzi all’ingiustizia di Zeus e al rischio mortale per l’umanità (la medesima situazione in cui versano gli uomini all’inizio della Pace), Prometeo è l’unico ad essere intervenuto, e il suo è stato, come quello di Trigeo, un atto di τόλμα, di coraggio. Aristofane pare voler strin- gere scientemente un legame caratterologico tra il titano e il suo eroe, che passa attraverso la sfida al potere iniquo di Zeus, la solitudine nella propria battaglia e il coraggio !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

251 Un caso simile, a quanto mi consta, si trova soltanto molto più tardi nella produzione aristofanea, Aristoph.

Ec. 106: τόλμημα τολμῶμεν. Ad Aristoph. Lys. 284 e Pl. 419, invece, il termine ha evidentemente connota- zione negativa (LSJ s.v.: ‘shameless act’; cfr. e.g. E. Ba. 1222), e non fa dunque testo: nella Lisistrata sono gli anziani a lamentarsi della sfacciataggine delle donne, mentre nel Pluto è Penia a contestare e criticare il disegno di Cremilo.

252 Per il v. 235 stampo il testo di W

EST 19982 (1990), e rimando, per la scelta, alla spiegazione fornita da G

RIF- FITH 1983 ad loc.

nell’affrontare l’impresa. Peraltro, anche il verbo scelto dal comico, παλαμᾶσθαι, potrebbe non essere libero da un gioco intertestuale con il Desmotes. Aristofane lo impiega già in Ach. 659-60 πρὸς ταῦτα Κλέων καὶ παλαμάσθω | καὶ πᾶν ἐπ’ ἐμοὶ τεκταινέσθω, dove è una paro- dia tragica, probabilmente del Telefo (E. fr. 918 Kn.); già in quel contesto il verbo si presta ad un’interpretazione figurata, come spiega Taillardat: «Παλαμᾶσθαι, proprement créer quelque chose de ses mains, s’emploie figurément, dans le style noble, comme synonyme du banal μηχανᾶσθαι, combiner un projet, un complot, etc.»253

. E il sostantivo collegato,

παλάμη, si presta alla medesima interpretazione figurata, come in Ar. V. 644-5 δεῖ δέ σε παντοίας πλέκειν | εἰς ἀπόφευξιν παλάμας. Taillardat considera, credo giustamente, il

παλαμησάμενος di Pax 94 come una parodia dello stile tragico; forse Aristofane pensava ad un altro luogo del Prometeo, dove le Oceanine, parlando di Zeus, menzionano la fine del suo regno, e lo fanno utilizzando proprio παλάμη (A. PV 163-7):

ὁ δ’ ἐπικότως ἀεὶ θέμενος ἄγναμπτον νόον δάμναται οὐρανίαν γένναν, οὐδὲ λήξει πρὶν ἂν ἢ κορέσηι κέαρ ἢ παλάμαι τινὶ τὰν δυσάλωτον ἕληι τις ἀρχάν.

La scelta del verbo è già di per sé molto significativa, e conferisce alla missione che lo stesso Trigeo si propone di compiere una carica sovversiva molto forte; ma se qui il comico voleva veramente rimandare a questo passo del Desmotes, il quadro si completerebbe con un ulteriore e più chiaro rinvio non solo al contesto prometeico ma al rovesciamento del regno di Zeus.

Un altro carattere molto tipico del Prometeo eschileo, che emerge già dai vv. 228-36, è la enorme benevolenza nei confronti degli uomini, che lo porta ad inimicarsi persino gli dèi. Quello del titano è quasi un sacrificio, visti soprattutto i dolori cui è sottoposto. E la dimen- sione del dolore è una delle principali in cui viene connotato il protagonista della tragedia, che nel corso dell’Incatenato è raffigurato secondo tutti i crismi dell’eroe sofferente. Così si presenta in scena (88-95): ὦ δῖος αἰθὴρ καὶ ταχύπτεροι πνοαί, ποταμῶν τε πηγαὶ ποντίων τε κυμάτων !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 253 T AILLARDAT 1963, § 417, 232-3.

ἀνήριθμον γέλασμα παμμῆτόρ τε γῆ, καὶ τὸν πανόπτην κύκλον ἡλίου καλῶ, ἴδεσθέ μ’, οἷα πρὸς θεῶν πάσχω θεός. δέρχθηθ’ οἵαις αἰκείαισιν διακναιόμενος τὸν μυριετῆ χρόνον ἀθλεύσω.

Il primo verbo usato per se stesso, subito dopo quello dell’invocazione (καλῶ) è, signifi- cativamente, πάσχω: e questo dà il tono dell’intera tragedia. Ma questa sofferenza, il poeta lo sottolinea più di una volta, è una sofferenza altruista, che cioè Prometeo si è consapevolmen- te procurato in difesa degli uomini. Glielo ricorda subito, irridendolo, Kratos (83-4):

ἐνταῦθα νῦν ὕβριζε καὶ θεῶν γέρα συλῶν ἐφημέροισι προστίθει. τί σοι οἷοί τε θνητοὶ τῶνδ’ ἀπαντλῆσαι πόνων;

Ma lo riconosce anche lo stesso figlio di Iapeto (237-8):

τῷ τοι τοιαῖσδε πημοναῖσι κάμπτομαι, πάσχειν μὲν ἀλγειναῖσιν, οἰκτραῖσιν δ’ ἰδεῖν.

E poco dopo chiarisce ulteriormente il concetto (266-7):

ἑκὼν ἑκὼν ἥμαρτον· οὐκ ἀρνήσομαι. θνητοῖς ἀρήγων αὐτὸς ηὑρόμην πόνους.

La sopportazione di molti dolori è tema tra i più tipici della tragedia; ma qui si trova un elemento di novità assoluta: i πόνοι cui il titano si sottopone sono scelti coscientemente, e

Nel documento <Se un dio lo vuole>: gli dei in Aristofane (pagine 131-158)