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C ROISET 1889, III, 546.

17 M AZON 1904, 87.! 18 M URRAY 1933, 62 . 68. 19 W HITMAN 1964, 104. 20 P LATNAUER 1964, viii. 21 D OVER 1972, 137. 22 N EWIGER 1996, 152.

fantasy: it is a direct comic analogue of what was being enacted in reality»23

. Questa visione comune ha condotto con sé diverse conseguenze, la principale delle quali è forse, prima an- cora della generale svalutazione della commedia in quanto pezzo d’occasione, il forte taglio storico che è stato impresso alla sua interpretazione complessiva: il senso della Pace stareb- be proprio nell’adombrare comicamente fatti realmente accaduti; essa sarebbe quindi ad un tempo una celebrazione, un protrettico ed una allegoria comica.

A C. M. J. Sicking24

va il merito di avere per primo – e, per la verità, senza largo seguito25

– reagito a questa opinione comune, opponendo una serie di osservazioni di buon senso, che dovrebbero consigliare maggiore prudenza nella considerazione generale dell’opera e della sua contestualizzazione storica. Anzitutto, si tratta di ragioni strutturali e per così dire ‘di ge- nere’: la Pace risponde al pattern generale cui rispondono, secondo unanime giudizio della critica, pressoché tutte le commedie aristofanee a noi rimaste: «[…] wäre es wohl richtiger, die Mehrzahl der aristophaneischen Komödien zu interpretieren als fiktive Lösungen einer problematischen oder sogar drohenden Sachlage»26

. La maggior parte delle commedie tra- mandateci si aprono con una situazione di sofferenza iniziale, trovare un rimedio alla quale è impresa impossibile: si tratta di un vero e proprio ἀδύνατον. La forza dell’eroe comico con- siste nello sforzo di immaginazione, che poi diventa sforzo di realtà, di trovare una soluzione all’impossibile: «the comic hero’s achievement is not of the sort which is usually called mo- ral, but is an assertion, in one way or another, of boundlessness, a dethronement of limit, of reason, and even of the gods themselves»27

. La liberazione della Pace e la fine della guerra costituiscono proprio l’adynaton, il «Great Problem»28

con cui il protagonista della Pace de- ve vedersela e al quale deve trovare, con la consueta realizzazione fantastica, una soluzione,

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 23 H ALL 2006, 327.! 24 S ICKING 19982, 77-84 (= 1967, 115-124). 25 Con l’eccezione di M

ACDOWELL 1995, specialmente 197-98. Su questa linea pare anche MOULTON 1981, 82-3 («It is unwise to infer that the progress of negotiations had a limiting effect on Aristophanes’ imagina- tion»).

26 S

ICKING 19982, 81 (= 1967, 121). 27 W

HITMAN 1964, 24. Tale interpretazione dell’eroe comico, formulata in modo coerente per la prima volta da Whitman, trova ora riscontro in quasi tutte le principali trattazioni sulla commedia aristofanea più recenti ed è, almeno nei suoi tratti generali, largamente condivisibile: cfr. e.g. DOVER 1972, 30 ss., HENDERSON 1993, e più recentemente GIVEN 2009, 108 ss.

28 G

una «Great Idea»29

che risolva l’impasse. Sarebbe riduttivo limitare lo sforzo di Trigeo alla sola salita verso il cielo, che costituisce il nucleo narrativo delle scene di apertura; come spesso accade nelle commedie aristofanee30

, al mutare della situazione esterna mutano anche la risoluzione e il compito del protagonista. E così l’impresa del vignaiolo attico consiste an- che e soprattutto nella liberazione della Pace e nel suo insediamento ad Atene. Perciò, quan- do deve vantare dei meriti presso i concittadini, Trigeo allude all’aver fatto cessare la guerra (Pax 918/9-21):

πολλῶν γὰρ ὑμῖν ἄξιος Τρυγαῖος Ἁθμονεὺς ἐγώ, δεινῶν ἀπαλλάξας πόνων τὸν δημότην ὅμιλον καὶ τὸν γεωργικὸν λεών, Ὑπέρβολόν τε παύσας.

E sull’instaurazione della pace ad Atene come vero fulcro dell’impresa di Trigeo ruota tutto il senso drammaturgico e comico della parte conclusiva dell’opera31

. Quella attuata da Trigeo non è altro, dunque, che la tipica fantasia eroica che presiede alla gran parte delle commedie di Aristofane; ciò fa del vignaiolo un eroe aristofaneo a tutti gli effetti32

, e l’operazione impossibile in cui si cimenta è proprio la liberazione della dea e la pacificazione del mondo. È difficile scorgere in questa figura, che si confà perfettamente al modello tipico aristofaneo, il corrispettivo teatrale di una o più persone reali33

; ed è altrettanto difficile leg- !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

29 Già in S

OMMERSTEIN 1980, 11: «The initial situation is always one which from the point of view of ar least one major character is extremely unsatisfactory; and the Great Idea is the character’s plan for putting things right, for achieving sōtēria for himself, his family, his city or (as in Peace and Lysistrata) the whole Greek world. The originator of the Great Idea normally becomes the “hero” of the comedy».!

30 È il caso, ad esempio, degli Acarnesi, in cui Diceopoli ha originariamente il solo scopo di parlare in assem-

blea e fare valere le proprie ragioni (Ach. 37 ss.), ma poi, vista l’impossibilità iniziale di convincere l’assemblea, si volge all’elaborazione di un altro piano (Ach. 128: Ἀλλ’ ἐργάσομαί τι δεινὸν ἔργον καὶ μέγα), che prevede la stipula di trattati di pace separati.!

31 Significativamente, ad esempio, il χρησμολόγος Ierocle non rimprovera all’eroe di essere salito in cielo a

sfidare gli dèi, ma di avere riportato sulla terra la pace (1077-79).

32 A iscriverlo nel novero degli eroi comici potrebbe essere anche la portata ‘generazionale’ che la prima parte

della commedia pare mostrare (notata da TELÒ 2010) e che allineerebbe, tramite un uso molto fine della scrittu- ra paratragica, la parabola di Trigeo a quella di personaggi come Filocleone e Strepsiade.

33 È il tentativo, tra gli altri, di H

ALL 2006, 326 ss. che propone che Trigeo fosse pensato come «Nicias’ sha- dow», anche se è costretta a riconoscere che nulla nel testo lo suggerisca. E la spiegazione ipotizzata per questa incongruenza («the unflattering nature of the established comic image of this politician»: cfr. e.g. Ar. Eq.) sem- bra ancor più sconsigliare una identificazione tra l’eroe comico e il politico. In proposito condivido l’opinione

gere nell’adynaton portato a termine la celebrazione drammaturgica di un fatto reale.

Dunque, nella sua architettura generale – e quindi nella sua concezione originaria, nell’intento del poeta – la commedia del 421 è tutt’altro che una celebrazione di un fatto di attualità stringente, bensì piuttosto la riproposizione, con significative variazioni, di uno schema generativo consueto ad Aristofane e non particolarmente intriso di realtà effettiva, e men che meno politica34. Delle affinità strutturali e semantiche con commedie precedenti si

dirà più avanti, ma per ora basti osservare che la Pace rispetta, nelle sue grandi linee, le basi compositive consuete dell’opera aristofanea. E poiché queste basi sono comuni anche a commedie che della pièce d’occasion hanno poco, e i cui riferimenti alla realtà storica sono comunque differenti e diversificati, non è prudente sbilanciarsi in una interpretazione com- plessiva della Pace che veda in essa una celebrazione costruita ad hoc da Aristofane per ve- nire incontro ad una necessità contigente impostagli dal rapido evolversi della situazione po- litica.

È un peccato, in proposito, non potersi giovare di informazioni più precise sul periodo dell’anno in cui venivano effettivamente composte le opere da sottoporre all’attenzione dell’arconte e sui limiti più o meno stringenti che venivano posti ai poeti per la presentazione e le eventuali modifiche del testo completo. Considerazioni di questo genere aiuterebbero a chiarire anche un possibile problema pratico: Aristofane aveva il tempo necessario per com- porre – e presentare e vedersi approvata – una commedia che celebrasse un evento non solo imminente, ma ancora da venire? Pare accertato che la scelta dei poeti da fare competere fos- se dell’arconte: «The choice of the poets to be allowed to compete at the Dionysia and Le- naia rested with the relevant archon. To him the poets ‘applied for a chorus’ (χορὸν αἰτεῖν); on what principles or evidence he made his choice and assigned the chorus (χορὸν διδόναι) we are never told […] A passage of Plato’s Laws (vii. 817d) suggests that each poet read

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di HENDERSON 1993, 309: «And who were the heroes? Always fictitious: no hero portrays any actual contem-

porary».!

34 Queste considerazioni si offrono anche ad osservazioni più generali sui rapporti tra commedia aristofanea e

attualità e sui legami generativi tra queste. Sull’argomento molto è stato scritto (non ultimi, cfr. HEATH 1987 e

MACDOWELL 1995) e non è questo il luogo per diffondersi. Ad una prima approssimazione, comunque, spesso

le commedie tramandateci traggono lo spunto iniziale da una situazione reale (la guerra, la smania giudiziaria degli Ateniesi, etc.), ma se ne distaccano presto nella struttura generale del plot, che è concepito appunto come una soluzione fantastica ad un problema effettivo, per mantenersi legate all’attualità prevalentemente tramite pointes satiriche di impatto comunque solitamente limitato sullo svolgimento dell’azione.

specimens of his work to the archon»35

. Da queste scarne informazioni non è facile capire né quando l’operazione dovesse avvenire né in cosa consistessero gli specimina (le ᾡδαί di cui parla Platone) che i poeti dovevano presentare: soprattutto, se a quell’altezza dell’anno do- veva essere pronto tutto il testo; e se sì, entro quando fosse possibile apportarvi delle modifi- che. Da Aristotele sappiamo che la scelta della χορηγία doveva essere uno dei primi compiti dell’arconte una volta entrato in carica (Ar. Ath. 56.1ss.): καὶ ὁ μὲν ἄ ρ χ ω ν εὐθὺς εἰσελθὼν … ἔπειτα χορηγοὺς τραγῳδοῖς καθίστησι τρεῖς, ἐξ ἁπάντων Ἀθηναίων τοὺς πλουσιωτάτους· πρότερον δὲ καὶ κωμῳδοῖς καθίστη πέντε, νῦν δὲ τούτους αἱ φυλαὶ φέρουσιν. E tuttavia non è possibile chiarire se in quel momento avvenisse anche l’assegnazione dei cori; se così fos- se, «it would be more than eight months before the Dionysia»36

. Ma se anche così non fosse, è difficile immaginare che almeno l’impianto di base, l’idea originaria, non venissero elabo- rati almeno qualche mese prima; non è possibile accogliere, credo, l’ipotesi di Whitman, se- condo cui «Aristophanes could scarcely have planned the work until the peace negotiations of Nicias had reached a point where their success was assured; and since, according to Thu- cydides, these negotiations began only in the winter, or toward spring, the Peace, in order to be ready for the City Dionysia, must have been written in a matter of weeks»37

. Dal racconto di Tucidide, anzi, pare di poter concludere che i trattati non erano stati nemmeno conclusi al momento della rappresentazione della commedia. Della pace sicuramente in città si parlava da tempo, ma sarebbe stato forse un azzardo mettere in scena un dramma che celebrasse un fatto che non era ancora nemmeno ufficiale.

Avere un’idea più precisa delle scadenze imposte normalmente ai poeti aiuterebbe ad ave- re un’idea più chiara anche dello stato compositivo della Pace, e permetterebbe, nei limiti del possibile, una ricostruzione affascinante delle tappe della composizione della commedia. Faute de mieux, occorre accontentarsi di alcune brevi annotazioni, che rimangono però ipo- tesi di lavoro. Poiché è poco probabile che la scena di Polemos sia una aggiunta posticcia su

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 35 P

ICKARD-CAMBRIDGE 19883 (1968), 84. Per le nostre fonti, cfr. anche C

SAPO –SLATER 1994, 108-109.

36 M

ACDOWELL 1995, 198 n. 35.

37 W

HITMAN 1964, 104. Così anche GELZER 1971, 1454 e CASSIO 1985, 36: «È improbabile che Aristofane ri-

schiasse di presentare una commedia che inneggiava alla pace ritrovata quando la realtà politica poteva rivelar- si ben diversa; quindi è ragionevole pensare che la scelta di rappresentare la commedia che noi abbiamo sia sta- ta fatta molto tardi, quando le Dionisie erano ormai vicine, e questo deve avere influito sulla preparazione degli attori e del coro, che deve essere stata piuttosto frettolosa».!

un canovaccio già stabilito38

, e poiché il perno drammaturgico di questa scena – e a tutti gli effetti il motore della scena successiva, che a sua volta è il cuore dell’opera – è la morte di Brasida e Cleone, la battaglia di Anfipoli dell’estate del 422 è quasi certamente un valido terminus post quem per l’ideazione della commedia. D’altro canto, i riferimenti a Cleone so- no ancora parecchi e di una virulenza sorprendente, tanto da fare pensare ad una vera e pro- pria damnatio memoriae; questo però potrebbe indicare anche una certa vicinanza ai fatti della Tracia. L’assenza di riferimenti pertinenti ai protagonisti delle trattative di pace, d’altronde, oltre al buon senso di concedere qualche tempo per la composizione di un’opera poetica complessa come una commedia39

, dovrebbero sconsigliare una datazione molto bas- sa. Si può ipotizzare, quindi, che la composizione – o quanto meno l’ideazione – della Pace sia avvenuta nella seconda metà del 422 o, al più tardi, all’inizio del 421.

Qualche accenno iniziale merita anche, in questo contesto, la convinzione della critica sull’assenza di un vero polo di tensioni40

: l’elemento gioioso e festivo prevarrebbe nettamen- te sul tipico andamento agonistico della commedia, eliminando de facto contrasti e conflitti da cui l’opera aristofanea trae tradizionalmente la sua forza. Ogni commedia accoglie al suo interno sezioni celebrative, più festose e prive di conflitto: esse di norma corrispondono al trionfo dell’eroe e sono incaricate di dare consistenza effettiva e non solo metaforica al rag- giungimento dell’obiettivo iniziale, illustrando – di norma tramite il ricorso ad alcuni vettori tipicamente comici, come il cibo o il sesso – lo scioglimento della vicenda, nella sua duplice dimensione di apoteosi del vincitore ed umiliazione dei suoi ‘antagonisti’. È però insindaca- bile che, nella Pace, a questa dimensione gioiosa viene concesso uno spazio molto maggiore del solito, e – fatto importante – il distacco tra il ‘prima’ e il ‘dopo’, tra la situazione di par- tenza e quella conclusiva, è molto marcato. Come consuetudine aristofanea, ciò avviene tra- mite una tessitura linguistica e poetica sapientissima: Moulton ha correttamente osservato !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

38 Non mi pare condivisibile l’opinione di L

ANDFESTER 1977, 162: «Sie [scil. la scena di Polemos] könnte weg-

fallen, ohne das Verständnis der Handlung zu beeinflussen».

39 Questa è una questione che fa effettivamente qualche difficoltà a chi sostiene la composizione nelle immedia-

te vicinanze delle Dionisie o perlomeno un legame strettissimo con gli eventi di più stringente attualità durante le feste: non mi pare convincente l’ipotesi di CASSIO 1985, 36 (cfr. supra, p. 44 n. 37).

40 Su tutti, ancora W

HITMAN 1964, 104: «Above all, there is little plot and no real conflict, no spirited agon, to give the play dramatic tension and shape». Cfr. anche THIERCY 1986, 208: «cette comédie manque singulière- ment de conflit, et c’est pour cela qu’elle est en un sens moins comique que les autres». Ma tale interpretazione è in qualche modo avallata anche da CASSIO 1985, 35 ss.: «i contrasti non hanno consistenza perché ad un certo punto vengono dimenticati o trascurati».

che «the motif of festivity is sustained throughout the play in its imagery»41

. Sarebbe tuttavia eccessivo fare del motivo della festa il vero Leitmotiv della commedia, e non dare il giusto peso agli elementi di conflitto. Alla sua prima apparizione in scena, Trigeo viene descritto come fuori di sé (Pax 54 μαίνεται καινὸν τρόπον) per la rabbia (66 χολή) nei confronti di Zeus, al quale si rivolge in modo blasfemo (57 λοιδορεῖται τῷ Διί). All’arrivo presso la di- mora degli dèi (180 ss.), l’accoglienza non è calorosa, e, anzi, tra Trigeo ed Hermes si in- staura una vera e propria sfida, dai toni parimenti se non più accesi del topos aristofaneo del- la scena dell’accoglienza alla porta42

. Il dialogo con Hermes contribuisce anche a chiarire i termini della dialettica uomini-divinità, che si fonda anch’essa su sentimenti di ira (204

Ἕλλησιν ὀργισθέντες) e che la comparsa di Polemos non farà altro che esasperare. All’apice di questa climax di contrasti si colloca il nuovo scontro con Hermes (361 ss.), che segna an- che l’apice drammaturgico della prima parte della commedia. Dopo la parte centrale, la ten- sione si stempera, ma il ricorso finale, e piuttosto insistito (1043-1126, 1197-1301)43

, al pat- tern delle incursioni indesiderate (già impiegato negli Acarnesi e poi presente a vari livelli in altre tragedie) costituisce un ritorno ad uno stato, seppure non esasperato, di efficace conflit- to comico. L’allegria e la gioia di cui Aristofane ha voluto pervadere il suo testo (special- mente la seconda parte) sono un elemento costitutivo importante, su cui occorrerà riflettere, ma la festa deve comunque essere inserita in un contesto tradizionalmente comico. Ciò che però colpisce di più, in una commedia che dovrebbe essere essenzialmente celebrativa e dare quindi spazio alla gioia collettiva per il ritorno ad una situazione di pace, è il livello ancora molto alto di tensione esterna, dell’attacco cioè rivolto da Aristofane ai suoi idoli polemici. Il livore nei confronti di Cleone, ad esempio, non è lontanamente stemperato dalla morte del demagogo. La sua scomparsa viene festeggiata (Pax 271-3):

εὖ γ’, ὦ πότνια δέσποιν’ Ἀθηναία, ποιῶν ἀπόλωλ’ ἐκεῖνος κἀν δέοντι τῇ πόλει. ἢ πρίν γε τὸν μυττωτὸν ἡμῖν ἐγχέαι.44 !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

41 M

OULTON 1981, 83. Per l’illustrazione di molti dei motivi festivi nella Pace, si vedrà utilmente anche il commento di TOTARO 1999 alla seconda parabasi.!

42 Cfr. e.g. Ar. Nub. 131ss., Av. 60-85, Th. 40-68, Lys. 845-869, Pl. 1097-170, etc.

43 All’interno di questa sezione faccio rientrare, per semplicità, anche la scena del certamen poetico tra i παίδια

(1265-1301), che non è classificabile precisamente nel genere degli ‘scocciatori’, ma che, per livello di conflit- tualità, è assimilabile.

44 Il v. 273 dà qualche problema di senso (cfr. O

LSON 1998 ad loc.). Olson utilizza le croci; Wilson, sulla scorta di Dindorf, lo espunge. Per una discussione del passo, cfr. infra, pp. 79-80.

Ma non solo; egli è fatto oggetto di attacchi, anche personali, di sorprendente astio, come ad es. a Pax 43-48: Οι.β οὐκοῦν ἂν ἤδη τῶν θεατῶν τις λέγοι νεανίας δοκησίσοφος, “τόδε πρᾶγμα τί; ὁ κάνθαρος δὲ πρὸς τί;” Οι.α κᾆτ’ αὐτῷ γ’ ἀνὴρ Ἰωνικός τίς φησι παρακαθήμενος· “δοκέω μέν, ἐς Κλέωνα τοῦτ’ αἰνίσσεται, ὡς κεῖνος ἀναιδέως σπατίλην ἐσθίει.”

Gli editori più recenti trovano impossibile che si parli ancora di Cleone al presente, e così al tràdito ἀναιδέως preferiscono la correzione di van Leeuwen ἐν Ἀΐδεω45. Ma la correzione, oltre ad essere palmare, toglie al testo gran parte della sua forza, che consiste proprio nello psogos così virulento anche nei confronti di un defunto. Cleone è additato ancora da Hermes come il principale responsabile delle sorti infelici di Atene (Pax 647-8 ταῦτα δ’ ἦν ὁ δρῶν | βυρσοπόλης), e la battuta offre il destro a Trigeo per un’altra violenta aggressione, questa volta sotto forma di praeteritio (651-656):

ἅττ’ ἂν οὖν λέγῃς ἐκεῖνον, κεἰ πανοῦργος ἦν, ὅτ’ ἔζη, καὶ λάλος καὶ συκοφάντης καὶ κύκηθρον καὶ τάρακτρον, ταῦθ’ ἁπαξάπαντα νυνὶ τοὺς σεαυτοῦ λοιδορεῖς.

E infine, nella riproposizione della parabasi delle Vespe46

, Cleone è ripresentato come il nemico par excellence di Aristofane attraverso la descrizione orribile del mostro che puzza di cuoio (753 βυρσῶν ὀσμάς). Ma Cleone non è l’unico cui è riservato il duro trattamento sa- tirico: anche Lamaco, il grande bersaglio degli Acarnesi, viene preso di mira con insistenza. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

45 Cfr. e.g. O

LSON 1998 ad loc.: «Since Kleon died in summer 422 […] he can scarcely be spoken of in the up- per world in the pres. tense». Così, recentemente, anche WILSON 2007 (cfr. la nota in WILSON 20092 [2007],

100).

46 Su questo aspetto ancora utile R

USSO 1962; per l’analisi dell’immaginario mobilitato da Aristofane, oltre ai commenti, si vedranno utilmente le note di MASTROMARCO 1989 e di LAURIOLA 2004.

E così il Coro celebra la pace dicendo (304): ἡμέρα γὰρ ἐξέλαμψεν ἥδε μισολάμαχος. E du- rante la liberazione della Pace, è proprio il generale a essere ritratto nell’inutile tentativo di opporsi (473-4):

ὦ Λάμαχ’, ἀδικεῖς ἐμποδὼν καθήμενος. οὐδὲν δεόμεθ’, ὦνθρωπε, τῆς σῆς μορμόνος.

E lo sberleffo finale, con tanto di calembour sul nome, arriva con l’insulto al fanciullo che conosce solo i canti di guerra (1290-3):

Τρ. σὺ μέντοι νὴ Δί’.

Π. αʹ υἱὸς Λαμάχου.

Τρ. αἰβοῖ.

ἦ γὰρ ἐγὼ θαύμαζον ἀκούων, εἰ σὺ μὴ εἴης ἀνδρὸς βουλομάχου καὶ κλαυσιμάχου τινὸς υἱός.

Rimane molto accesa anche la polemica con il partito favorevole alla guerra, che diventa destinatario delle araì, anch’esse piuttosto violente, lanciate da Trigeo, dal Coro e forse an- che da Hermes47

(441-52). E anche l’antepirrema della seconda parabasi, pensato per contra- stare in temi ed atmosfera l’epirrema, traccia una descrizione spietata del sistema militare ateniese e dei suoi tassiarchi, e lo fa, significativamente, al presente (1172-87):

μᾶλλον ἢ θεοῖσιν ἐχθρὸν ταξίαρχον προσβλέπων τρεῖς λόφους ἔχοντα καὶ φοινικίδ’ ὀξεῖαν πάνυ, ἣν ἐκεῖνός φησιν εἶναι βάμμα Σαρδιανικόν· ἢν δέ που δέῃ μάχεσθ’ ἔχοντα τὴν φοινικίδα, τηνικαῦτ’ αὐτὸς βέβαπται βάμμα Κυζικηνικόν· κᾆτα φεύγει πρῶτος ὥσπερ ξουθὸς ἱππαλεκτρυὼν τοὺς λόφους σείων· ἐγὼ δ’ ἕστηκα λινοπτώμενος. ἡνίκ’ ἂν δ’ οἴκοι γένωνται, δρῶσιν οὐκ ἀνασχετά, τοὺς μὲν ἐγγράφοντες ἡμῶν, τοὺς δ’ ἄνω τε καὶ κάτω ἐξαλείφοντες δὶς ἢ τρίς. αὔριον δ’ ἔσθ’ ἥξοδος. τῷ δὲ σιτί’ οὐκ ἐώνητ’· οὐ γὰρ ᾔδειν ἐξιών· εἶτα προσστὰς πρὸς τὸν ἀνδριάντα τὸν Πανδίονος εἶδεν αὑτόν, κἀπορῶν θεῖ τῷ κακῷ βλέπων ὀπόν. ταῦτα δ’ ἡμᾶς τοὺς ἀγροίκους δρῶσι, τοὺς δ’ ἐξ ἄστεως !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

ἧττον, οἱ θεοῖσιν οὗτοι κἀνδράσι ῥιψάσπιδες. ὧν ἔτ’ εὐθύνας ἐμοὶ δώσουσιν, ἢν θεὸς θέλῃ.48

Insomma, il livello di livore, personale ma non solo, resta nonostante tutto molto alto, quasi ai livelli di altre commedie senz’altro non celebrative. Se è vero che l’esplosione dell’odio è uno dei features più tipici della archaia, è però anche vero che tutto questo astio, nelle sue forme dell’attacco onomastì e della critica politica più articolata, parrebbe eccessi- vo per una commedia che volesse fare della pacificazione generale (panellenica ma anche sociale: cfr. e.g. Pax 296-8) il suo tema e il suo scopo prevalenti. La gioia e la celebrazione trovano il loro luogo e la loro funzione drammatica, ma sono bilanciate da elementi di ten- sione interna ed esterna che ancora una volta sconsigliano di considerare la Pace unicamente una festa per la pace ritrovata.

Ovviamente, se anche non si può fare del tema della pace il vero motore storico e la chia- ve interpretativa unica della commedia, la sua centralità, riguadagnata a qualche anno di di- stanza dalla messa in scena degli Acarnesi, obbliga però a dare un giusto peso anche al con- testo storico. Le voci sempre più insistenti su un accordo di pace tra Ateniesi e Spartani han- no probabilmente suggerito ad Aristofane di sfruttare nuovamente la vena – comicamente molto efficace – della guerra e della pace. E questa volta, forse convinto dal clima generale che, stando alla testimonianza di Tucidide, in città si respirava già non molto tempo dopo la rotta di Anfipoli, abbia conferito alla sua opera un tono più collettivo e comprensivo, con evidenti ammiccamenti alla situazione attuale49

.

Anche se una conclusione definitiva resterà forse impossibile da raggiungere, porsi il pro-