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Università di Pisa
Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica
Corso di Laurea in Filologia e Storia dell’Antichità
Tesi di Laurea Magistrale
«Se un dio lo vuole»: gli dèi in Aristofane
Relatore:
Correlatore:
prof. Guido Paduano
prof. Alessandro Grilli
Candidato:
Francesco Morosi
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Alla mia tribù siquid adhuc ego sum, muneris omne tui est
Indice
PARTE PRIMA:INTRODUZIONE
1. Gli dèi (non) compaiono? Possibilità, metodi e prospettive di uno studio p. 2 2. «Mi pare simile a un dio»: questioni di forza p. 8 3. «Credo in un dio crudel»? Alla ricerca di una teodicea p. 18 4. «Se un dio lo vuole»: sovversione limitata p. 29 5. La ‘religione di Aristofane’: panorama critico e alcune ipotesi interpretative p. 32
PARTE SECONDA:PACE
1. Allegro, ma non troppo p. 37
2. Da Diceopoli a Trigeo: questioni di funzionamento drammaturgico p. 51 3. Il banchetto di Polemos: una doppia teodicea p. 65
4. Su e giù: lo spazio della pace p. 89
5. «Se un dio lo vuole»: due eroi e due pacificazioni p. 105 6. Prometeo comico: un paradigma trascurato p. 127
PARTE TERZA:PLUTO
1. Ideologia e fantasia: osservazioni preliminari p. 154
2. Il tempo del Pluto: palingenesi e utopia p. 165
2.1 Un’età dell’oro comica p. 165
2.2 L’età di Pluto: il tempo alterato p. 180 2.3 Palingenesi comica: il «nuovo» dio p. 184 2.4 Ritorno al futuro: spie lessicali p. 189
2.5 La scena della vecchia: il tempo ripristinato p. 193 2.6 Palingenesi e utopia: la Cuccagna ad Atene p. 205
3. Un dio lo vuole? Un’altra teodicea comica p. 214
3.1 Sacrificare o no: questioni di fondo p. 214 3.2 La χάρις infranta: una prima linea narrativa p. 218 3.3 «Se un dio lo vuole»: una seconda linea narrativa p. 225 3.4 Teologia comica, utilità drammatica: una visione d’insieme p. 230
4. Dio, uomo o schiavo: trasmutazioni del sé nel Pluto p. 233 4.1 Funzioni e personaggi: Aristofane e le personificazioni p. 233 42. Trasmutazioni del sé: il caso di Pluto p. 238 4.3 Un sé immutabile: la trascendenza comica di Asclepio p. 251 5. Una filosofa in scena: l’agone tra Penia e Cremilo p. 265 5.1 L’ironia del Pluto: quadro critico p. 265 5.2 L’agone del Pluto: osservazioni formali p. 269
5.3 Una filosofa in scena p. 272
5.4 La Repubblica in scena? Aristofane e Platone p. 292
BIBLIOGRAFIA p. 312
“It is all playacting of course,” he said, “but in her case the difference is that she believes in the role she plays. For myself, I find I do not care.” J. M. Coetzee, Waiting for the Barbarians
I. I
NTRODUZIONE
1. Gli dèi (non) compaiono? Possibilità, metodi e prospettive di uno studio
Nei primi anni del diciassettesimo secolo, il parlamento inglese approvò una serie di nor-me atte a regolanor-mentare la disciplina teatrale. Nel maggio del 1606, in particolare, ne fu pubblicata una che doveva regolare la comparsa in scena della divinità. La legge era ferrea:
For the preventing and avoyding of the greate Abuse of the Holy Name of God in Sta-geplayes, Interludes, Maygames, Shewes, and such like; Be it enacted by our Soveraigne Lorde the Kinges Majesty, and by the Lordes Spirituall and Temporall, and Commons in this present Parliament assembled, and by the authoritie of the same, That if at any tyme or tymes, after the end of this present Session of Parliament, any person or persons doe or shall in any Stage play, Interlude, Shewe, Maygame, or Pageant jestingly or prophanely speake or use the holy Name of God or Christ Jesus, or of the Holy Ghoste or of the Trini-tie, which are not to be spoken but with feare and reverence, [?such person or persons] shall forfeite for everie such Offence by hym of them committed Tenne Pounds, the one moytie thereof to the Kinges Majestie, his Heires and Successors, the other moytie thereof to hym or them that will sue for the same in any Courte of Recorde at Westminster, whe-rein no essoige, Proteccion or Wager of Lawe shalbe allowed1.
Anche la più innocua menzione del nome di Dio, di Cristo, dello Spirito Santo o dell’intera Trinità, insomma, era passibile di un’ammenda piuttosto salata. Conseguenza: la presenza della divinità nel teatro elisabettano era limitata al massimo, fin quasi all’assenza. Dio non compariva.
In tempi ben più recenti, anche lo studio del teatro greco si è dovuto occupare – per quan-to in maniera relativamente tangenziale rispetquan-to alla possibilità di esplorazione del tema2 –
della presenza (o dell’assenza) degli dèi sulla scena: compaiono? E se sì, svolgendo quali funzioni? Detenendo quali poteri? Nel rispondere a queste domande, alcuni critici si sono at-testati su posizioni tutto sommato non dissimili da quelle del parlamento inglese di inizio !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
1 In C
HAMBERS 1923, 338-9. Il fatto è riportato anche da PARKER 2005.
2 In materia, i due studi più completi e recenti sono S
OURVINOU-INWOOD 2003 e PARKER 2005, specialmente
136-52. Questi due studi sono perlopiù dedicati alla tragedia (anche se Parker offre alcune osservazioni prezio-se pure sull’archaia), mentre la commedia è stata scavata molto meno a fondo (cfr. infra, n. 3).!
Seicento. In un suo studio, per esempio, John Given3
ha provato ad affrontare la questione del ruolo degli dèi nella commedia aristofanea. Il titolo del lavoro chiarisce già le conclusio-ni dell’autore: When gods don’t appear. Per Given, cioè, la forte componente di «human agency» delle commedie comporta, come prima conseguenza, una altrettanto forte limitazio-ne del potere divino: «In Aristophalimitazio-nes’ comedies, the gods’ absence from the tragic-style control of humans’ lives throws into relief the way in which Aristophanes constructs human agency»; l’allontanamento degli dèi dalla scena «guarantees their [scil. degli uomini] access to the goods that constitute their happiness»4
. E anche quando appaiono, gli dèi sarebbero «highly ineffective agents»5
, incapaci di influire negativamente o positivamente sulla situa-zione comica di partenza o di arrivo: il loro apporto, come aiutanti o antagonisti del piano del protagonista, sarebbe scarso, quasi fallimentare. Gli dèi, dunque, non compaiono: la commedia aristofanea a noi pervenuta ne farebbe vistosamente a meno, di fatto configuran-dosi come uno dei pochissimi generi letterari antichi a immaginare una realtà non interessa-ta, o interessata marginalmente, dall’azione divina6
.
Basta però un rapido sguardo ad alcuni aspetti del corpus aristofaneo per rendersi conto che la situazione è più complessa. Anzitutto, le commedie condividono con la tragedia un importante feature storico, il contesto della performance. Come è noto7
, infatti, i festival du-rante i quali si svolgevano gli agoni drammatici erano festività religiose. Ciò naturalmente non implica che anche il contenuto delle rappresentazioni fosse a sfondo religioso8
e non de-ve portarci a ride-vedere radicalmente il «secular understanding» del teatro greco; e tuttavia, è ugualmente difficile negare alle opere drammatiche greche una dimensione cultuale di un qualche rilievo, che dovette influenzare lo sviluppo dei generi teatrali e alcune loro peculiari-tà. Ciò vale per la tragedia9, ma anche per la commedia: «a link between the phalloi of
co-!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 3 G
IVEN 2009. Questo, insieme a REVERMANN 2014b e SCULLION 2014, è uno dei rarissimi lavori interamente dedicati alla questione degli dèi comici.
4 G
IVEN 2009, 108.
5 G
IVEN 2009, 108.
6 Su posizioni analoghe a quelle di Given, anche S
CULLION 2014, che parla di «extreme marginalization» degli
dèi nelle commedie aristofanee, e che condivide l’osservazione per cui le divinità «rarely play a very prominent or essential role in the working out of the comic plot».!
7 Cfr. e.g. P
ICKARD-CAMBRIDGE 19883 (1968). 8 In proposito, bene P
ARKER 2005, 136.
9 Cfr. e.g. S
OURVINOU-INWOOD 2003, 1: «… for the fifth-century audiences tragedy was not a “purely
theatri-medy and of Dionysiac ritual is hard to doubt … But much more interesting is the parallel between the abuse hurled against leading citizens ‘from the wagons’ at Dionysiac festivals and the abusiveness of Old Comedy itself. The line of division between festival and play is here in a sense dissolved; for the de facto exemption which Old Comedy enjoyed from Athenian laws of libel is surely continuous with the ritual licence exercised by the young men on the wagons»10. Detto altrimenti, il contesto performativo della commedia era
sostan-zialmente religioso, e ciò aveva probabilmente in parte contribuito alla definizione di alcuni aspetti di genere come la licenziosità gratuita e impunita.
La archaia possiede poi anche una dimensione rituale: essa ingloba e fa volentieri uso di elementi appartenenti al rito e al mito, arrivando spesso ad interagire con la pratica religiosa stessa. Basti citare il caso, ben noto e molto esteso, della Gebetsparodie aristofanea11
: pur sotto il velo della parodia, Aristofane gioca insistentemente con uno dei cardini della religio-sità greca e del suo esercizio, la preghiera. Non è necessario immaginare che la commedia costituisse a sua volta una forma autonoma di ritualità12
, né che esistesse una struttura rituale chiaramente riconoscibile alla base di ogni commedia13
; ma i riferimenti, pur se indiretti e in malam partem, alla dimensione mitica e rituale, e dunque ad una pratica religiosa, sono og-gettivamente troppi e troppo radicati perché si possa dubitare che la composizione comica risentisse di influenze religiose14
.
Come si vede, perciò, la commedia aristofanea intrattiene con la religione una relazione complessa, fatta di costanti scambi reciproci, che delinea un quadro tutt’altro che netto15
: la religione, essendo un elemento centrale della vita della polis in cui l’archaia è attiva e con cui interagisce, ha pieno diritto di cittadinanza in commedia – anzi, ne costituisce il contesto !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
cal experience, simply framed by ritual, but as a ritual performance». Una sintesi dello status quaestionis anche in SCULLION 2005.!
10 P
ARKER 2005, 139 (n. 12 per bibliografia).
11 In proposito, si vedranno utilmente K
LEINKNECHT 1967 e HORN 1970.
12 È la tesi di B
IERL 2001, che individua il Coro comico come elemento portatore di tale ritualità: «Der komi-sche Chor des Aristophanes ist weitgehend eine rituelle Äußerung … Der Chor oder Komos stellt das rituelle Grundelement der Komödie dar» (362).
13 È questa l’ipotesi di C
ORNFORD 1914, in parte ripresa e rielaborata da BOWIE 1993.
14 Per altri esempi di elementi riguardanti i riti coevi menzionati nelle commedie aristofanee, cfr. S
CULLION
2014, 341. Un elenco completo delle testimonianze aristofanee sulla pratica religiosa si trova in PARKER 2005, 524-6.
15 Così anche R
EVERMANN 2014b, 276: «Greek comedy … has a complex and multi-layered relationship with religious practice and belief».
e uno dei referenti. Il rito e il culto degli dèi sono indubitabilmente presenti nel tessuto comi-co: Aristofane non concepisce taboo in questa direzione. Ciò conduce ad una seconda do-manda: l’assenza di taboo specifici è vera anche per gli dèi stessi? Appurato che verso la re-ligione non esistono restrizioni, occorre verificare quale uso faccia il poeta delle figure divi-ne. È corretta la conclusione cui giunge Given a proposito dell’assenza divina? A mio parere no, e credo che una veloce scorsa ad alcune trame aristofanee possa essere in prima battuta già utile a spiegare perché: il contributo di Given, infatti, non tiene nella giusta considera-zione la presenza nel corpus aristofaneo di almeno tre commedie – Pace, Uccelli e Pluto16
– non genericamente popolate dagli dèi, ma specificamente dedicate al rapporto tra uomini e divinità: nella Pace la situazione di guerra iniziale è provocata, secondo una modalità com-plessa che si analizzerà infra (cap. II), proprio dagli dèi, e la pace sarà restituita grazie ad un intervento congiunto di mortali e immortali; negli Uccelli il piano di Pisetero è di aperta sfi-da alle divinità, contro cui viene dichiarato un vero e proprio ἱερὸς πόλεμος (Ar. Av. 556); nel Pluto, la cecità del dio della ricchezza è causata da Zeus, e il disegno di Cremilo condur-rà, almeno in parte, ad una vittoria umana sugli dèi. In sostanza, non soltanto gli dèi non so-no assenti dal disegso-no generale aristofaneo (compaioso-no in scena come in tragedia, benché forse con una frequenza inferiore), ma in molte occasioni costituiscono un nucleo narrativo, poetico, comico e persino ideologico ineludibile per la comprensione di alcune strutture fon-damentali delle opere di Aristofane. Ben lungi dal prefigurare un allontamento degli dèi dal-la scena (e quindi daldal-la vita degli uomini), il poeta comico insiste invece suldal-la loro presenza – problematica e sui generis; ma pur sempre una presenza. Rispetto ad altri generi, anzi, la commedia pare assicurare agli dèi un ruolo di grande rilievo. Persino la tragedia, che pure delle divinità in scena fa un uso consistente, ha per le figure divine delle limitazioni: «it is clear that as the genre matured it placed limits on such portrayals. Outside of a few special cases (apparently early) …, gods tend to be located at the margins of the action, in prologue and exodos»17
. Non solo: la mansione che viene affidata agli dèi è ristretta a due-tre ruoli fis-si. «Visible gods in tragedy may be roughly grouped into those who punish, those who save, !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
16 Non prendo qui in considerazione – e non prenderò in considerazione nel corso di questo lavoro – le Rane,
che pure mettono in scena una divinità, Dioniso. Il caso della commedia del 405, infatti, mi pare significativa-mente diverso: lì infatti un dio è reso protagonista, eroe comico, e viene fatto aderire a quello statuto. Il tratta-mento di Dioniso, perciò, mi pare divergente rispetto al trattatratta-mento delle figure divine in Pace, Uccelli e Pluto. Il caso delle Rane ha naturalmente attirato su di sé molta attenzione da parte della critica: per una disamina ap-profondita, cfr. LADA-RICHARDS 1999.!
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and those who inform»18
. Al contrario, quando li mette in scena, la commedia riserva agli dèi spazio molto più ampio (e non soltanto marginale) e una selezione più completa di funzioni. La loro, dunque, è non solo in termini assoluti, ma anche in termini relativi una presenza de-cisamente prominente. Questa presenza è stata spesso ignorata dagli studiosi, ma può rive-larsi centrale, e condurre anche ad una rivalutazione complessiva di alcune questioni critiche ancora aperte sui testi in esame.
Domandarsi chi siano, come siano descritti e quale ruolo svolgano nelle commedie di Aristofane gli dèi è dunque un esercizio di grande importanza per riguadagnare al corpus aristofaneo e alla sua interpretazione un tassello fondamentale, che in alcuni casi può offrire una nuova chiave per comprendere un’intera opera. Lo studio che segue cerca pertanto, par-tendo da due dei tre testi menzionati sopra, Pace e Pluto, di verificare se l’ipotesi di una completa assenza e di una pressoché totale inefficienza divina sia fondata; ciò non può pre-scindere dalla valutazione dei rapporti tra dèi e personaggi umani (e specialmente il protago-nista: cfr. infra, cap. I § 2). Il lavoro qui proposto, quindi, cerca di ridefinire alcuni tratti sa-lienti dell’azione comica, approfondendo metodi e intenzioni della creazione aristofanea del-le figure divine, e l’apporto di queste ultime all’economia generadel-le dei testi. Per farlo, al cen-tro di questo studio sarà lo statuto narrativo e poetico delle divinità: quale preciso ruolo svolgono gli dèi nel plot comico? E secondo quali canoni Aristofane li descrive? Come ‘co-struisce’ i suoi dèi? Aderisce in modo meccanico al dato religioso o complica la trama? Co-me sempre per questo autore, il processo letterario di definizione di un personaggio è crucia-le per comprendere più in profondità il significato del personaggio stesso e del suo impatto sul disegno complessivo di una commedia; ma, come avviene altrettanto spesso, questo pro-cesso è complesso, articolato su moltissimi livelli sovrapposti. Nel definire una figura, Ari-stofane fa ricorso indiscriminato a strumenti poetici anche molto distanti: la memoria lettera-ria, il gioco con l’attualità, il riferimento ad elementi del culto, la personificazione, etc. Per decifrare questo processo e di conseguenza cercare di comprendere l’intenzione poetica che vi presiede, occorre dunque utilizzare diversi strumenti: le fonti letterarie, quelle storiche, l’analisi dei Realien, gli aspetti cultuali, la critica testuale, lo staging, etc. E tuttavia, nono-stante la sola analisi letteraria non sia sufficiente per apprezzare lo scarto tra le divinità ari-stofanee e la loro controparte ‘storica’, essa è risultata essere di gran lunga la più utile, per-ché la più pertinente: gli dèi aristofanei sono perlopiù costruzioni letterarie originali, che pur dialogando con le figure del culto e del mito, hanno essenza ed esistenza pienamente auto-!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
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nome all’interno del mondo comico. Detto in altri termini, cioè, per la creazione dei ‘suoi’ dèi, Aristofane attinge sì da aspetti documentati nel culto e nella cultura precedenti – utilizza cioè un ‘modello’ di partenza facilmente riconoscibile da un pubblico greco, e in buona mi-sura ricostruibile dagli studiosi moderni –, ma quasi sempre crea variazioni sul tema assolu-tamente inedite, accumulando a sua discrezione diversi livelli di caratterizzazione: il risultato sono figure solo latamente sovrapponibili a quelle ‘tradizionali’, non più dèi propriamente detti ma dèi comici a tutti gli effetti. Questo fatto va tenuto presente ogniqualvolta ci si ac-cinga all’esame delle figure divine in Aristofane, e dà ragione dell’impiego prevalente – an-corché non esclusivo – in questo lavoro degli strumenti dell’analisi letteraria.
Come è stato giustamente notato alcuni anni fa, «una valutazione complessiva del rappor-to di Arisrappor-tofane con la religione resta a tutt’oggi un desideratum nell’àmbirappor-to degli studi mo-derni sulla commedia antica»19
. Si tratta di una lacuna realmente esistente, ma vastissima: essa riguarda un’infinità di aspetti e di prospettive critiche. Resta apertissimo, ad esempio, il dibattito su una delle cruces più spinose: si può parlare di empietà aristofanea? E se sì, a che titolo? E ancor più in generale: ammesso che ve ne sia uno, come va inteso l’atteggiamento generale di Aristofane nei confronti della religione greca?20
Accanto e attorno a questo gran-de interrogativo, vi è un corollario di argomenti quasi impossibile da esaurire, che spesso mette in gioco alcuni aspetti basilari e generalissimi dell’esegesi aristofanea: il rapporto della commedia con la polis, la sua dimensione carnascialesca, il valore testimoniale dei testi co-mici in relazione alla religione, etc. Lo scopo di questo lavoro, perciò, non è senz’altro quel-lo di colmare per intero questo vuoto, ma di contribuire a illuminare una sezione importante della questione della religione in Aristofane: i suoi rappresentanti immortali, gli dèi. E anco-ra più in particolare, gli dèi e le personificazioni divine che compaiono in scena come agenti effettivi: anche in altre commedie si trovano interazioni tra uomini e dèi (i personaggi prega-no, offrono sacrifici, citano le divinità, etc.), ma un’analisi sistematica di questo tema richie-derebbe uno studio a sé stante. Comprendere quale spazio e quale ruolo siano assegnati alle divinità e come venga costruita e definita la loro figura non significa naturalmente avvicinar-si ad una analiavvicinar-si complesavvicinar-siva della ‘religione aristofanea’, ma aiuta a rivalutare il peso speci-fico degli agenti divini nelle commedie in esame e nell’intero corpus; questa operazione può !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
19 P
ERRONE 20062 (2005), 111.
20 Tali questioni sono in piedi da almeno un secolo: per un inquadramento generale del problema e una
biblio-grafia essenziale aggiornata, cfr. e.g. PERRONE 2006, 111-9, PARKER 2005, 149-50 (e nn. 60-61) e SCULLION
rivelarsi molto fruttuosa, e dimostrare una pervasività del tema divino ben superiore alle aspettative. Ma proprio per questo, sia nel caso della Pace che in quello del Pluto, ciò con-durrà ad una rilettura complessiva dei due testi e dei meccanismi drammatici, narrativi, poe-tici, caratterologici alla loro base. Studiare il ruolo degli dèi in queste due commedie signifi-ca di fatto riaprire l’esame di ciascuna delle opere nella sua totalità, e tentare una nuova in-terpretazione completa: i due capitoli che seguono, attraverso una disamina delle figure divi-ne e del loro ruolo divi-nei due testi, non possono che provare ad offrire saggi di commento com-plessivi su Pace e Pluto.
Un’analisi comparata delle due commedie mostra però che, al netto delle specificità pro-prie a ciascun testo, possono essere individuati alcuni temi ed alcuni punti di continuità circa la rappresentazione degli dèi aristofanei e il loro ruolo. Tutte le questioni verranno affrontate con dovizia nei capitoli seguenti, ma alcune considerazioni generali possono essere anticipa-te in questa Introduzione, nel anticipa-tentativo (ancorché parziale, perché mancano all’esame gli Uc-celli, oggetto di uno studio successivo) di scorgere alcune linee di sviluppo generali e avan-zare alcune prime ipotesi interpretative.
2. «Mi pare simile a un dio»: questioni di forza
Se le osservazioni sin qui condotte sono corrette, esse aprono una serie di interrogativi: appurato che sono presenti in commedia e non sono agenti secondari, di quali poteri dispon-gono le divinità comiche? Come, e in quale misura, esse influiscono sulla realtà? Ma soprat-tutto: come può essere definito il loro rapporto con gli uomini? Quest’ultima domanda è quasi di prassi per tutte le opere e tutti i generi che affrontano la questione del divino; ma nel caso della commedia aristofanea è persino più cogente, ed è da questa che conviene partire.
Nel 1961, Cedric H. Whitman teneva all’Oberlin College un ciclo di lezioni, pubblicate nel 1964 con il titolo Aristophanes and the Comic Hero, che avrebbero mutato profonda-mente la prospettiva della critica sulle commedie aristofanee. Da quel momento in avanti, infatti, la grande maggioranza dei lavori su Aristofane si è fondata sulle seguenti premesse, così riassunte da Sommerstein: «The initial situation is always one which from the point of view of at least one major character is extremely unsatisfactory; and the Great Idea is the character’s plan for putting things right, for achieving sōtēria ... The originator of the Great
Idea normally becomes the “hero” of the comedy»21
. L’«eroe comico» – così viene definito il protagonista delle opere aristofanee – è sempre in grado di risolvere problemi anche inso-lubili con metodi altamente irrealistici e talvolta addirittura fantastici. Per dirla con Dover, «the fantasy exhibits in an extreme form two elements which are of great importance in Ari-stophanic comedy: the fulfilment of a grandiose ambition by a character with whom the ave-rage member of the audience can identify himself, and its fulfilment by supernatural means which, altrisolverhough treated almost casually, overturn many of those sequences of cause and effect with which we are familiar in ordinary life»22
. L’eroe comico, insomma, non solo rovescia puntualmente la condizione di difficoltà in cui versa, ma riesce a farlo con mezzi che spesso trascendono la normalità, sovrumani e talora addirittura soprannaturali: così Tri-geo vola sull’Olimpo a cavallo di uno scarabeo stercorario, Dioniso effettua una catabasi e resuscita un morto, Cremilo fa guarire un cieco, Pisetero si trasforma in uccello e costruisce un nuovo regno, e così via.
Volendo formulare la questione in termini concettualmente accettabili per la mentalità greca, si potrebbe dire che l’eroe comico dispone, nel contesto fantastico della commedia, di un potere superiore che rende dynatà, possibili, anche imprese adynata, impossibili. Tale ca-pacità di invertire i normali rapporti di possibilità non è ignota al mondo greco. Essa è anzi prerogativa piuttosto specifica di una categoria, quella divina. Così, ad esempio, l’oracolo di Apollo a Delfi dà ai Lidi questa risposta (Hdt. I 47):
Οἶδα δ’ ἐγὼ ψάμμου τ’ ἀριθμὸν καὶ μέτρα θαλάσσης, καὶ κωφοῦ συνίημι καὶ οὐ φωνεῦντος ἀκούω.
Nel mobilitare questa serie di adynata, Febo offre ai suoi fedeli un’immagine di potenza che supera ogni barriera logica e fisica, e si presenta come onnipotente. Come è stato giu-stamente osservato, infatti, proprio l’abilità di compiere qualcosa di impossibile è spesso vi-sta dai Greci come «the non plus ultra of the divine omnipotence»23.
Bisogna dunque concludere che anche gli eroi aristofanei sono onnipotenti? Benché l’inferenza sia un tantino azzardata e abbia dei vistosi limiti, è sicuramente corretto porsi il
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 21 S OMMERSTEIN 1980, 11. 22 D OVER 1972, 30. 23 V ERSNEL 2011, 428.
problema del potere del protagonista delle commedie24
. E non è certamente superfluo – no-nostante la critica non abbia mai tentato di farlo – porselo in relazione al potere degli dèi25
. Infatti, mentre in molti altri generi (non ultima la tragedia), il rapporto uomini-dèi poggia sul presupposto ineludibile di una assoluta sproporzione, ciò che rende peculiare la commedia è proprio l’incremento del potere umano. Che conseguenze ha questo aspetto sul rapporto mortali-immortali e sulla definizione della figura e del ruolo di questi ultimi?
Con ogni probabilità, la religione greca classica non contemplava la possibilità di un’onnipotenza divina – o quanto meno non in modo coerente e compiuto: come è stato pun-tualmente fatto notare, a proposito di questo tema «consistency is the last thing we should expect to find»26, giacché la letteratura greca è ricca, sin dai tempi dei poemi, di continui
ri-pensamenti e contraddizioni in materia27
. Per dirla altrimenti, la religione greca che giunge all’Atene del V secolo non si pone il problema del potere degli dèi in modo logicamente stringente: il pantheon greco è molto vasto, e non esiste veramente una scala di potere tra le divinità. È corretto dunque concludere che la questione dell’onnipotenza divina è un para-dosso che i Greci accettavano e tolleravano, perché «any of their many gods may have his/her share in omnipotence whenever the occasion requires it»28
. Il fatto che la teologia greca – per come possiamo ricostruirla dalle fonti letterarie, storiche e filosofiche in nostro possesso – non si ponga il problema di un amalgama solido e coerente dei poteri delle varie divinità e non arrivi a definire con precisione e logica la questione dell’onnipotenza, tuttavia, non significa assolutamente che per i Greci gli dèi non disponessero di un potere superiore. Per quanto difficile sia giungere ad una sintesi sulle credenze dei Greci – sempre eterogenee per periodi storici e luoghi geografici – si può comunque concludere con una qualche tran-quillità che uno dei tratti principali delle divinità greche dovesse essere proprio la forza di !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
24 Esperimento già tentato in parte da W
HITMAN 1964 e proseguito da HENDERSON 1990 e HENDERSON 1993.
Ora cfr. ROSEN 2014.
25 Circa gli dèi aristofanei, la critica ha preferito concentrarsi, più che sull’incremento di potere dei mortali, sul
vilipendio dell’auctoritas divina (l’ultima disamina in termini cronologici si trova in REVERMANN 2014b). Questo aspetto è sicuramente interessante, ma ritengo non sia il vero elemento di originalità introdotto dall’archaia: anche nella sola letteratura greca, la messa in burla degli dèi ha una tradizione lunga (si pensi alle critiche rivolte da Platone agli dèi omerici). Al contrario, l’elevamento degli uomini al livello divino è molto più raro e più interessante da analizzare.!
26 V
ERSNEL 2011, 426.
27 Un buon elenco, ancorché ovviamente incompleto, è offerto da V
ERSNEL 2011, 431-436.
28 V
cui esse disponevano. Per limitarsi ad alcuni testi letterari, basta osservare l’aretalogia con cui si aprono gli Erga esiodei (Hes. Op. 1-8):
Μοῦσαι Πιερίηθεν ἀοιδῇσι κλείουσαι, δεῦτε Δί’ ἐννέπετε, σφέτερον πατέρ’ ὑμνείουσαι. ὅν τε διὰ βροτοὶ ἄνδρες ὁμῶς ἄφατοί τε φατοί τε, ῥητοί τ’ ἄρρητοί τε Διὸς μεγάλοιο ἕκητι. ῥέα μὲν γὰρ βριάει, ῥέα δὲ βριάοντα χαλέπτει, ῥεῖα δ’ ἀρίζηλον μινύθει καὶ ἄδηλον ἀέξει, ῥεῖα δέ τ’ ἰθύνει σκολιὸν καὶ ἀγήνορα κάρφει Ζεὺς ὑψιβρεμέτης, ὃς ὑπέρτατα δώματα ναίει.
Come è stato giustamente notato, l’espressione ῥέα μὲν γάρ e l’idea di assoluta facilità per gli dèi che essa veicola sono comunissime nel sentire greco: «Gods are frequently said to do things easily», e ancora più comune è l’osservazione che «the gods, or Zeus in particular, can make the great small and the small great»29. Entrambe queste immagini, naturalmente,
sottolineano il potere delle divinità, cui è facile ogni cosa; entrambe queste immagini trova-no una diffusione larghissima nei testi che possediamo. Ne parla, ad esempio, Archiloco (Archil. fr. 130 West): τοῖς θεοῖς †τ’ εἰθεῖάπαντα· πολλάκις μὲν ἐκ κακῶν ἄνδρας ὀρθοῦσιν μελαίνηι κειμένους ἐπὶ χθονί, πολλάκις δ’ ἀνατρέπουσι καὶ μάλ’ εὖ βεβηκότας ὑπτίους, κείνοις <δ’> ἔπειτα πολλὰ γίνεται κακά, καὶ βίου χρήμηι πλανᾶται καὶ νόου παρήορος.
E se, come è probabile, il fr. 25 è riferito agli dèi, una menzione della semplicità delle azioni divine si trova anche in Senofane (Xenoph. fr. B25 D.-K.):
ἀλλ’ ἀπάνευθε πόνοιο νόου φρενὶ πάντα κραδαίνει.
E questa concezione giunge sino all’Atene del V secolo, dove, nelle parole di Eschilo, la dismisura tra il potere divino (in questo caso di Zeus) e quello dei mortali raggiunge il paros-sismo (A. Supp. 96-104):
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ἰάπτει δ’ ἐλπίδων ἀφ’ ὑψιπύργων πανώλεις βροτούς, βίαν δ’ οὔτιν’ ἐξοπλίζει. πᾶν ἄπονον δαιμονίων· ἥμενος ὃν φρόνημά πως αὐτόθεν ἐξέπραξεν ἔμ- πας ἑδράνων ἀφ’ ἁγνῶν.
Zeus dispone ogni cosa senza fatica (A. Eum. 650-1):
τὰ δ’ ἄλλα πάντ’ ἄνω τε καὶ κάτω στρέφων τίθησιν οὐδὲν ἀσθμαίνων μένει.
E la forza del dèi, la loro abilità di invertire, in qualsiasi momento e a loro piacimento, le sorti dei mortali arriveranno anche al IV secolo, quando Senofonte potrà far pronunciare a Giasone, alleato dei Tebani, questa massima (Xen. Hell. VI 4.23):
καὶ ὁ θεὸς δέ, ὡς ἔοικε, πολλάκις χαίρει τοὺς μὲν μικροὺς μεγάλους ποιῶν, τοὺς δὲ μεγάλους μικρούς.
In sostanza, il potere degli dèi – individuato spesso dalla facilità di compiere ogni cosa e dalla capacità di rovesciare le vicende degli uomini – è un dato di fatto accolto pacificamente dai Greci nel corso dei secoli: benché non sempre e non necessariamente onnipotenti, gli dèi greci dispongono di una forza smisurata, di gran lunga superiore a quella dei mortali, che so-no in balia del loro volere. Benevole o malevole che siaso-no nei confronti degli umani (su que-sto, cfr. infra, cap. I § 3), le divinità hanno comunque, nella tradizione religiosa greca, il po-tere esclusivo di nuocere o giovare agli uomini, che non possono minimamente bilanciare la forza divina. Secondo la sintesi efficace di Dover, «the Greek’s relation with one of his gods was essentialy the relation between subject and ruler»30.
Perciò, i rapporti con gli dèi, sempre basati su un principio di reciprocità espresso dal termine greco χάρις (il concetto-chiave che regola le relazioni umani-divinità per i Greci: cfr. infra, cap. I § 3 e cap. III § 3.2), tanto cari ai mortali, in realtà si fondano su una essen-ziale asimmetria: «the relation between god and man is characterized by asymmetry»31
; «of all the relations brought under the rubric of reciprocity …, that between humans and gods is !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
30 D
OVER 1972, 32.!
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perhaps the most unbalanced»32
. Questo punto fondamentale era chiaro anche ai contempo-ranei di Aristofane, che in più di un’occasione lo teorizzarono, come ad esempio Eutidemo in un passo dei Memorabili senofontei (Xen. Mem. IV 3.15):
ἐγὼ μέν, ὦ Σώκρατες, ἔφη ὁ Εὐθύδημος, ὅτι μὲν οὐδὲ μικρὸν ἀμελήσω τοῦ δαιμονίου, σαφῶς οἶδα· ἐκεῖνο δὲ ἀθυμῶ, ὅτι μοι δοκεῖ τὰς τῶν θεῶν εὐεργεσίας οὐδ᾽ ἂν εἷς ποτε ἀνθρώπων ἀξίαις χάρισιν ἀμείβεσθαι.
«Gods give to humans what they desperately need – health, property, life itself – whereas humans give to gods what they do not need and are not benefited by, a mere luxury as it were, marks of honour»33. Questo squilibrio è un fattore essenziale ed una costante
invariabi-le del rapporto tra mortali e immortali, costruito proprio su di una irrimediabiinvariabi-le asimmetria: detto ancora più brutalmente, gli dèi non hanno bisogno degli uomini, ma gli uomini hanno bisogno degli dèi. Ogni infrazione del rapporto di reciprocità stipulato tra mortali e immorta-li porta gravi danni ai primi, mentre assolutamente nessun detrimento ai secondi.
È proprio su questa base che si inserisce la commedia aristofanea con la sua peculiarità. A differenza dell’uso comune, in commedia gli uomini – e specialmente l’eroe – hanno poteri ben superiori alla norma. Come si diceva prima, il regime di irrealismo che vige nell’archaia consente ai suoi protagonisti di compiere azioni quasi sempre sovrumane e talora persino so-prannaturali. Se gli dèi conservano le prerogative che la tradizione assegna loro, gli uomini incrementano le proprie, riducendo in un certo senso il gap con gli immortali. Ne nasce un campo di forze inedito, non solo per la letteratura precedente (e successiva), ma per l’intera mentalità religiosa greca del tempo: l’idea che un essere umano, mortale e fallibile, possa eguagliare il potere degli dèi, addirittura giungere a dar loro scacco, era impensabile. Questa è un’innovazione clamorosa dell’archaia – perlomeno della parte che conosciamo meglio, il corpus aristofaneo –, ed è un tassello perfettamente coerente con il mondo fantastico della commedia, l’unico che potrebbe tollerare uno squilibrio razionale di questa portata. Se gli uomini possono competere con gli dèi, il potenziale di questi ultimi si riduce di molto: non esiste più uno strapotere discrezionale a completo favore degli immortali, ma ogni offesa può essere vendicata. Per esprimere anche questa considerazione nei termini della χάρις, se gli dèi decidono arbitrariamente di infrangere il rapporto di pacifica reciprocità instaurato con i mortali, questi ultimi non sono costretti a subirne le conseguenze senza poter interveni-!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
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ARKER 1998, 124.!
33 P
re: nel mondo di Aristofane, in cui l’uomo – o meglio la sua variante comica – è pressoché parificato agli dèi, l’eroe comico può ingaggiare una sfida con gli immortali e persino vin-cerla.
E così, negli Uccelli Pisetero può pensare di sostituirsi agli dèi, nella Pace Trigeo può immaginare (contro il parere del servo, che rappresenta – come sempre in Aristofane – il buon senso comune) di salire sull’Olimpo e mettere sotto processo Zeus (Ar. Pax 107
γράψομαι), e nel Pluto Cremilo può progettare di guarire il dio della ricchezza acceccato dallo φθόνος di Zeus. Ciò che è più significativo, però, è che non solo gli eroi elaborano queste strategie, ma riescono a metterle in pratica: in tutti i casi, la sfida agli dèi è vinta dagli uomini34. I mortali assumono una capacità che sin qui era prerogativa unica degli immortali:
la capacità di nuocere.
Ma da cosa deriva agli uomini questa capacità? In commedia, essi non cambiano status o natura, non diventano super-uomini: come è possibile dunque che riescano a rendersi perico-losi per gli dèi? Nelle tre commedie che mettono in scena una sfida agli immortali, si posso-no individuare almeposso-no due elementi, che concorroposso-no separatamente o unitamente a determi-nare il successo dell’eroe: il primo di impronta quasi fiabesca, il secondo invece una specia-lità del genere comico. In primis, il protagonista delle commedie aristofanee dispone di un mezzo più o meno ‘magico’ che gli permette di ovviare alla propria natura di uomo, un mez-zo che gli dèi hanno perduto e non possiedono più: ciò avviene ad esempio nel Pluto, in cui Cremilo riesce ad avere la meglio su Zeus perché si impadronisce di Pluto, inteso non tanto come autonomo dio della ricchezza ma come mero strumento (su questo, cfr. infra, cap. III § 4.2). Lo stesso avviene, in un certo senso, anche negli Uccelli, dove Pisetero riesce a convin-cere i volatili che essi possiedono una dynamis molto superiore a quella degli dèi: saranno loro – e non i mortali – a mettere sotto scacco le divinità. Spesso, dunque, la lotta uomini-dèi non è a due ma a tre: l’abilità dell’eroe consiste nel convincere una terza parte, più potente, ad entrare nella guerra al suo fianco.
In secundis, l’eroe comico può affidarsi ad una delle caratteristiche salienti della comme-dia aristofanea, la sovversione delle regole della logica classica. Ciò avviene in special modo a proposito del cibo, la principale arma che gli uomini hanno nei confronti delle divinità: «la paradossale minaccia (affamare chi è immortale) si innesca come proiezione letterale dalla deduzione … che, se sono i mortali a ‘nutrire gli dèi’, il potere contrattuale del sacrificio per-!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
34 Anche se non sempre la guerra uomini-dèi si conclude con una prevalenza netta di una delle due parti: il
tiene del tutto agli offerenti, non ai sùperi, recettori passivi delle offerte»35
. Poiché gli dèi si cibano dei sacrifici che fanno loro i mortali, basta smettere di sacrificare e si mettono in gi-nocchio gli immortali: Aristofane ribalta i normali rapporti logici (gli uomini sacrificano agli dèi perché gli dèi esistono, non viceversa) e concede agli uomini un’arma potentissima, non a caso utilizzata in tutte le tre commedie a tema ‘divino’ (Pax 941-1059, Av. 188-93, Pl. 1111-43).
Il rapporto tra uomini e divinità, dunque, ha di fatto carattere paritario: uomini e dèi si co-noscono, si parlano, si combattono; ma cosa rende possibile questa interazione? L’archaia, naturalmente, non è l’unico genere letterario che faccia interagire mortali e immortali. Per la verità, che si potesse fare esperienza diretta della divinità doveva essere credenza comune anche al di fuori della fiction letteraria: come giustamente notava Dover, «the average Greek … felt himself to be living in a world populated by superhuman agents»36
. Si pensi ad esem-pio al caso delle epifanie, grazie alle quali i Greci credevano sinceramente di poter raggiun-gere, in particolari circostanze, un contatto reale – benché non fisico – con il dio37
. E tuttavia, la possibilità di un’interazione più completa come quella che Trigeo o Carione hanno con Hermes o quella che Pisetero ha con Posidone ed Eracle non è concepita nemmeno dalla re-ligione greca: «humans could experience the presence of a god with an extreme directness, nearness or reality without, however, ‘seeing’ him in the usual sense of that word. The god is present – no doubt about that – he may even be close enough to be touched and yet the terms in which his presence is described do not refer to the visual senses»38
. L’esperienza di intera-zione non solo sensibile ma anche verbale con gli dèi è invece limitata alla finintera-zione lettera-ria: a titoli diversi e con modalità di volta in volta dissimili, moltissimi autori da Omero in avanti hanno immaginato un coinvolgimento dei loro personaggi o di sé medesimi con gli dèi, da Achille e Atena a Esiodo con le Muse, sino a Saffo e Afrodite, Anchise e la dea dell’amore, e così molti altri. Ma il caso più vistoso è ovviamente quello del teatro ateniese del V secolo: moltissime trame delle tragedie conservateci (quasi la metà) prevedono un in-tervento diretto del dio, che non si limita ad intervenire ‘dietro le quinte’ ma compare diret-tamente in scena. Per come la conosciamo, dunque, la tragedia è il genere che più si avvicina !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
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ABBRO 2013, 101.!
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OVER 1972, 31.
37 Sulla questione cfr. e.g. V
ERSNEL 1987, GRAF DNP, PLATT 2011. Il tema è trattato più estesamente a propo-sito di Asclepio infra, cap. III § 4.3.
38 V
all’archaia per quanto riguarda il trattamento delle figure divine: gli dèi compaiono in scena come soggetti effettivamente agenti e parlanti, interagiscono con i personaggi mortali. E tut-tavia, nell’uso che i due generi fanno di questo feature esistono grandi differenze e grandi spazi di originalità per la commedia.
Al centro di questa differenza è senza dubbio la dimensione temporale. Robert Parker ha dedicato al tema alcune riflessioni molto fini, dalle quali conviene partire. Il cuore della tra-gedia è il mito: con la nota eccezione dei Persiani di Eschilo, non esistono nel corpus tragico a noi conservato altri testi che affrontino temi di attualità; viceversa, è proprio dalla mitolo-gia che i tragediografi pescano a piene mani per i loro plots, è nel tempo mitico che affonda-no le radici le vicende tragiche. Ma il tempo del mito – e quindi il tempo della tragedia – è uno «special time»: il mondo tragico è «simultaneously mythical and contemporary», in una «complex and perpetual oscillation» tra l’‘attualizzazione’ delle vicende e la loro profonda, quasi assoluta, incommensurabilità storica, sicché «tragic heroes are admired as being unlike contemporary Athenians; for the same reason, on occasion, feared and condemned; felt to resemble Athenians in the most important respects …; felt to exist outside time»39
. Il partico-larissimo statuto del setting tragico fa sì che i personaggi delle tragedie appaiano agli spetta-tori perfettamente contemporanei nelle loro caratteristiche e nelle loro azioni, ma al tempo stesso non fa mai perdere la consapevolezza di una profonda antichità: le vicende e gli eroi portati in scena provengono da un’era remota, quasi a-storica. Ciò ha delle enormi ricadute sulla ‘religione tragica’ e sul trattamento delle figure divine fatto in tragedia: «Mythological time is … a time when relations of gods and men had not yet been fixed in their final, histo-rical mould»40. Ad un pubblico ateniese, cioè, era ben chiaro che i comportamenti degli dèi
in tragedia e i loro rapporti con gli uomini fossero retaggio esclusivo di un’età diversa, il tempo mitologico appunto, un passato eterno ed immobile, in cui eroi e divinità si muovono e interagiscono tra loro secondo modalità irrealistiche e impossibili nella contemporaneità. Questo accorgimento depotenzia fortemente il possibile clash tra mortali e immortali: se si verificano contatti o scontri tra divinità e umani, queste sono possibili solo perché apparte-nenti ad un contesto lontanissimo dalla realtà dell’hic et nunc ateniese. In tragedia, ad esem-pio, capita che gli dèi seducano delle donne mortali: ma chiunque assistesse al dramma, sa-peva molto bene che ciò si verificava soltanto nel passato mitologico, e che non esisteva al-cuna possibilità che qualcosa di simile avvenisse anche nel presente. Tenere nettamente e ri-!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
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ARKER 2005, 141-2
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gidamente separati i piani cronologici del mito e della contemporaneità permette alla trage-dia, tra l’altro, di mantenere una distanza di sicurezza molto chiara tra uomini e dèi, e soprat-tutto tra uomini contemporanei e dèi del passato: ciò che accadeva agli eroi e alle divinità che popolano le tragedie non può capitare nel presente dell’Atene del V secolo.
È possibile applicare le osservazioi di Parker anche all’archaia? A mio giudizio, no. In commedia, infatti, le cose vanno diversamente: non esistono livelli cronologici distinti, ma – complice anche la forte componente di metateatralità – ne esiste soltanto uno, un tempo pre-sente che coinvolge non soltanto gli attori in scena ma anche il pubblico a teatro. La comme-dia antica è un genere di completa contemporaneità: l’azione si svolge pressoché sempre ad Atene, i suoi personaggi hanno legami solidi con la società ateniese coeva, e la costante in-frazione della finzione scenica con riferimenti all’attualità della polis non fa che acuire ulte-riormente il profondo senso di appartenenza dei testi comici all’everyday life ateniese. Ma se non esistono limiti cronologici e la commedia ha un solo livello temporale, la complicata co-struzione tragica frana, e i diversi piani cronologici collassano l’uno sull’altro: in commedia non esiste un passato mitologico su cui proiettare le azioni dei personaggi. I due mondi, l’antichità senza tempo del mito e la contemporaneità, diventano come la polis sognata da Prassagora nelle Ecclesiazuse: un’unica casa senza pareti, ὥστε βαδίζειν ὡς ἀλλήλους (Ar. Ecc. 673-4).
Questa dimensione temporale unica ha una conseguenza molto rilevante sui rapporti uo-mini-dèi: non soltanto la relazione tra le due parti è pressoché paritaria, perché il divario di poteri è, come si è visto, ridotto, ma questa relazione non viene ascritta ad un’epoca lonta-nissima e inattingibile, bensì ambientata nella contemporaneità ateniese. Gli dèi vengono sottratti dai «mythological plots» e dal «mythological time» ed entrano nel mondo di tutti i giorni messo in scena dalla commedia: in questo modo, lo scontro tra umani e divinità assu-me una consistenza inedita, non è più una proiezione assu-metaforica o una vicenda mitica, ma un’esperienza più realistica, perché inserita paradossalmente nel tessuto del presente comico. Con supremo effetto di straniamento, il plot comico, ambientato nella quotidiana normalità ateniese, accoglie al suo interno elementi fantastici di enorme portata: tra questi, il fatto che le divinità camminino, parlino e operino nell’Atene – seppur stilizzata – della commedia. Aristofane elimina ogni filtro di sicurezza tra mortali e immortali: le vicende che mette in scena non sono ambientate in un luogo o in un tempo lontani, non riguardano generazioni passate, ma avvengono nella contemporaneità più assoluta, avvengono nell’Atene del pre-sente, riguardano i contadini, gli artigiani, i cittadini sul cui modello Aristofane disegna i
suoi personaggi. La possibilità che essi compaiano ai personaggi e interagiscano con essi è stata significativamente citata come principium individuationis della finzione letteraria: «Such visibility is one of the available conventions for distinguishing the represented world of the performance from ordinary life, and the realm of heroic myth from contemporary hi-story»41
. La grande innovazione aristofanea consiste proprio nell’annullare questa distinzione fra heroic myth e contemporary history, nel confondere questi piani, e nell’ammettere la pos-sibilità che qualcosa di straordinario possa capitare anche nella ordinary life – o meglio nel-la sua rappresentazione drammatica.
Il mondo religioso della tragedia può essere definito «contemporary, with pre-historic in-trusions»42: i personaggi praticano la religione secondo gli standards dell’Atene del V
seco-lo, ma appartengono ad una realtà preistorica, assolutamente passata; al contrario, il mondo comico va definito ‘contemporaneo, con intrusioni contemporanee’: non solo i termini in cui si parla e si pratica la religione sono contemporanei, ma lo sono anche i personaggi e il loro setting: non esistono due livelli temporali, ma un unico piano su cui mortali e immortali agi-scono. Lo scontro tra uomini e dèi può verificarsi perché le divinità piombano nel mondo quotidiano della commedia, perché esiste un canale di comunicazione temporale e spaziale tra umani e divinità, perché sono completamente immanenti e quasi per niente trascendenti: gli uomini (gli uomini di tutti i giorni, e non gli eroi del mito) possono salire al cielo e gli dèi scendere sulla terra. Spazio e tempo collassano sulla scena comica: il tempo e il mondo degli dèi finiscono col corrispondere al tempo e al mondo degli uomini, dell’Atene della fine del V secolo.
3. «Credo in un dio crudel»? Alla ricerca di una teodicea
Nella parabasi della commedia omonima, il coro delle Nuvole si lamenta con gli Ateniesi per la loro ben nota δυσβουλία politica; tuttavia, dice, è parere unanime che i cittadini pos-sano contare su un aiuto molto particolare (Ar. Nu. 587-9):
φασὶ γὰρ δυσβουλίαν τῇδε τῇ πόλει προσεῖναι· ταῦτα μέντοι τοὺς θεούς, !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 41 M ASTRONARDE 2005, 326.! 42 P ARKER 1997, 144.!
ἅττ’ ἂν ὑμεῖς ἐξαμάρτητ’, ἐπὶ τὸ βέλτιον τρέπειν.43
A detta di molti (587 φασί), insomma, gli dèi correggono ogni errore degli Ateniesi, vol-gendolo al meglio44
. Non è questo l’unico luogo aristofaneo in cui venga menzionata la be-nevolenza divina nei confronti degli uomini, e più in particolare degli abitanti di Atene. Nei Cavalieri, ad esempio, i demagoghi gareggiano a chi promette il favore più ricco da parte degli dèi, e il Salsicciaio conclude, parodiando Solone45
(Ar. Eq. 1173-4):
ὦ Δῆμ’, ἐναργῶς ἡ θεός σ’ ἐπισκοπεῖ, καὶ νῦν ὑπερέχει σου χύτραν ζωμοῦ πλέαν.
E nella Pace, in un punto molto complesso (Pax 211 ss.: cfr. infra, cap. II § 3), Hermes rivendica agli dèi l’iniziativa – abortita – di una pacificazione tra Attici e Laconici: sarebbe-ro stati gli dèi a volere e favorire la pace. Qualcosa di simile succedeva già negli Acarnesi, dove erano gli dèi ad offrire, per il tramite di Anfiteo, le σπονδαὶ poi accettate dal solo Di-ceopoli.
L’idea di una benevolenza divina nei confronti di Atene – e più in generale degli uomini – non è un’invenzione comica, ma un luogo comune molto diffuso, e non solo nell’elegia so-loniana citata supra. L’oratoria di IV secolo, per fare un esempio, è colma di riferimenti al favore degli dèi. La χάρις divina, ad esempio, è un topos demostenico (D. XIX 10):
καὶ ἔμοιγε δοκεῖ τις ἄν, ὦ ἄνδρες Ἀθηναῖοι, δίκαιος λογιστὴς τῶν παρὰ τῶν θεῶν ἡμῖν ὑπηργμένων καταστάς, καίπερ οὐκ ἐχόντων ὡς δεῖ πολλῶν, ὅμως μεγάλην ἂν ἔχειν αὐτοῖς χάριν, εἰκότως· τὸ μὲν γὰρ πόλλ’ ἀπολωλεκέναι κατὰ τὸν πόλεμον τῆς ἡμετέρας ἀμελείας ἄν τις θείη δικαίως, τὸ δὲ μήτε πάλαι τοῦτο πεπονθέναι πεφηνέναι τέ τιν’ ἡμῖν συμμαχίαν τούτων ἀντίρροπον, ἂν βουλώμεθα χρῆσθαι, τῆς παρ’ ἐκείνων εὐνοίας εὐεργέτημ’ ἂν ἔγωγε θείην.
La convinzione nella benevolenza divina è talmente salda da superare indenne anche le disgrazie: come spiega lo stesso Demostene nel passo in esame, le sconfitte in battaglia non possono essere addebitate alla loro fallibilità, e in ogni caso il loro favore non può essere messo in dubbio.
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43 Salvo nei casi specificati, il testo delle commedie aristofanee in uso in questo lavoro è quello stabilito da
WILSON 2007.
44 Questa stessa convinzione è riportata anche in Ar. Ec. 473-5, anche qui a mo’ di proverbio (λόγος ... τις). 45 Cfr. Sol. fr. 4 W. 4: la mano che Atena tiene sopra la città è qui sostituita dalla pentola di brodo.
Tuttavia, la bontà e la generosità degli dèi era tutt’altro che un articolo di fede inviolabile per i Greci, che a più riprese si sono dovuti trovare a fare i conti con il problema classico della teodicea: si Deus est, unde malum? Nel V secolo, questo è vero anche – e forse soprat-tutto – per il teatro tragico: con un notevole understatement, è stato infatti osservato che «ac-tive benevolence is scarcely an obvious characteristic of the gods of tragedy»46
. Per essere più chiari, bisogna anzi riconoscere che, ben lungi dall’essere attivamente benevoli, gli dèi tragici sono molto più spesso attivamente malevoli nei confronti degli uomini: «the world of tragedy is a world of angry gods; of mortals afflicted ny inherited guilt, and punished for an-cestral crimes; of individuals and even whole cities faced with the absolute desolation of being ‘hated by the gods’; of terrible divine revenges»47. Non è questo il luogo per
diffonder-si sulla compatibilità tra la ‘teologia tragica’ – ammesso che se ne possa definire una – e la teologia civica48
; al netto di ogni dubbio sulle motivazioni delle azioni degli dèi, comunque, rimane un dato innegabile: le divinità, in tragedia, agiscono spesso contro l’interesse degli uomini, talora addirittura li colpiscono con una violenza inspiegabile. La dialettica uomini-dèi è, nella maggior parte dei casi, ispirata ad una conflittualità profonda e latente: non solo gli immortali possono, ma vogliono nuocere ai mortali. Gli dèi, insomma, possono essere an-che maligni: se nella mentalità greca c’è spazio per immaginarli benevoli, c’è però anan-che spazio per immaginarli invidiosi e vendicativi, all’origine del bene, ma anche del male dell’umanità. La questione, naturalmente, è molto complicata e concettualmente intricata, ma queste brevi osservazioni bastano a chiarire un aspetto essenziale del pensiero greco di fine V secolo: la divinità non è necessariamente ed esclusivamente favorevole, ma può anche essere causa di sofferenza per gli uomini. «Authoritative stories of the heroic age presented negative as well as positive examples, and tragedy too features beneficent as well as malevo-lent, punitive, or destructive interventions of the divine»49
.
Che cosa accade in commedia? Esiste una ‘teodicea comica’? Gli dèi sono sempre bene-voli come a più riprese nei testi aristofanei viene lasciato intendere? Una premessa è d’obbligo: nessuna opera poetica è composta per costituire un complesso filosofico inscalfi-bile. Pertanto, anche quando si parla di dèi occorre tenere presente che mai i poeti si poneva-no in prima battuta problemi di teologia o di teodicea: ciò è a maggior ragione vero per un !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
46 P
ARKER 1997, 144.
47 P
ARKER 2005, 146.
48 Alla questione è dedicato P
ARKER 1997, tutt’ora la trattazione più lineare e condivisibile.
49 M
genere così razionalmente lasso come l’archaia. Non esiste quindi una ‘teologia aristofanea’ coerente; per la verità, non ne esiste una tout court. E tuttavia, è corretto provare ad affronta-re e a definiaffronta-re i limiti di compaffronta-rensibilità e di congruenza di un’opera; e in un testo in cui compaiono anche gli dèi, benché non ci si debba attendere una elaborazione teologica perfet-ta, il comportamento delle divinità, le motivazioni per le loro azioni sono aspetti da indagare con attenzione.
Come si è già accennato, il concetto che regola le relazioni tra umani e divinità è quello della χάρις: al fondo del rapporto tra uomini e dèi esiste una sorta di costante scambio di do-ni e di favori – se non proprio un vero do ut des, quanto meno un sistema di benefici recipro-ci50, che istituisce un «unceasing interchange of delightful gifts and services, a kind of charm
war»51
. E si può senz’altro condividere l’opinione di chi ha osservato che spesso, quando si affrontano questioni riguardanti gli Olimpi, queste ruotano attorno non tanto a problemi on-tologici (gli dèi esistono?), quanto piuttosto a problemi più pratici: si può ottenere il favore degli dèi? Se sì, come? Gli dèi hanno cura degli uomini? Ed è altrettanto corretto, benché ec-cessive generalizzazioni possano essere poco prudenti, sostenere che «in most literary treat-ments the problem of kharis is one that finds a solution; the divine ingratitude turns out to be seeming, not real. The effect of such portrayals is, therefore, ultimately one of reassuran-ce»52
.
Proprio in questo ultimo aspetto si può riscontrare una sostanziale differenza con la com-media aristofanea: anch’essa si misura col problema della χάρις ma, ben lungi dal dare un’immagine di rassicurazione, essa sfrutta anzi il potenziale di conflittualità del rapporto uomini-dèi e fa della reciprocità la chiave comica per comprenderlo. I legami di χάρις sono spesso tutt’altro che lineari, e sono quasi sempre presentati in un momento di crisi: uno dei contraenti è venuto meno ai suoi doveri e ha infranto la reciprocità. Nella Pace, ad esempio, irritati con gli uomini, gli dèi decidono di trasferirsi per non essere più spettatori delle opera-zioni belliche (Ar. Pax 207-9):
αὐτοὶ δ’ ἀνῳκίσανθ’ ὅπως ἀνωτάτω, ἵνα μὴ βλέποιεν μαχομένους ὑμᾶς ἔτι
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ARKER 1998, 109: «One gift or act endowed with kharis, power to please, will call forth another, which will in turn evoke yet another; but a kharis even when given in return for a kharis is not in meaning a recompense, however much it may be so in function … the sense not of recompense but of benefit».
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ARKER 1998, 109.
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μηδ’ ἀντιβολούντων μηδὲν αἰσθανοίατο.
Gli Olimpi non vogliono più ascoltare (e di conseguenza esaudire) le preghiere dei morta-li, e infrangono così il rapporto di reciprocità nei benefici. Allo stesso modo, gli uomini han-no rifiutato le offerte di Eirene (Ar. Pax 665-7):
ἐλθοῦσά φησιν αὐτομάτη μετὰ τἀν Πύλῳ tσπονδῶν φέρουσα τῇ πόλει κίστην πλέαν t ἀποχειροτονηθῆναι τρὶς ἐν τἠκκλησίᾳ.
I fili di questa relazione verranno riannodati al momento della liberazione della Pace: la rappacificazione tra Trigeo ed Hermes, e per loro tramite tra mortali e immortali, avviene proprio tramite la ricostituzione di quel legame basato sulla χάρις che entrambi i contraenti avevano rotto. Prima il Coro ricorda al keryx divino i benefici di cui ha tratto giovamento (Ar. Pax 385-91): Χο. μηδαμῶς ὦ δέσποθ᾽ Ἑρμῆ, μηδαμῶς, μὴ μηδαμῶς, t εἴ τι κεχαρισμένον χοιρίδιον οἶσθα παρ᾽ ἐ- μοῦ γε κατεδηδοκώς, t τοῦτο μὴ φαῦλον νόμιζ᾽ ἐν τουτῳὶ τῷ πράγματι. Τρ. ttοὐκ ἀκούεις οἷα θωπεύουσί σ᾽, ὦναξ δέσποτα; Χο. †μὴ γένῃ παλίγκοτος ἀντιβολοῦσιν ἡμῖν,† tὥστε τήνδε μὴ λαβεῖν· ἀλλὰ χάρισ’, ὦ φιλαν- θρωπότατε καὶ μεγαλο- δωρότατε δαιμόνων.
I Panelleni suggeriscono a Hermes i sacrifici a lui dedicati, e lo fanno con il termine tec-nico χαρίζω; e immediatamente dopo, gli chiedono di restituire il favore, e di nuovo introdu-cono il verbo χαρίζω. I rapporti di reciproci benefici stanno per essere ristabiliti, e Trigeo li suggella con la sua promessa (Ar. Pax 416-24):
πρὸς ταῦτ᾽, ὦ φίλ᾽ Ἑρμῆ, ξύλλαβε tἡμῖν προθύμως τήνδε τε ξυνέλκυσον. tκαί σοι τὰ μεγάλ᾽ ἡμεῖς Παναθήναι᾽ ἄξομεν
tπάσας τε τὰς ἄλλας τελετὰς τὰς τῶν θεῶν, μυστήρι᾽ Ἑρμῇ, Διιπόλει᾽, Ἀδώνια· tἄλλαι τέ σοι πόλεις πεπαυμέναι κακῶν tἀλεξικάκῳ θύσουσιν Ἑρμῇ πανταχοῦ. tχἄτερ᾽ ἔτι πόλλ᾽ ἕξεις ἀγαθά. πρῶτον δέ σοι tδῶρον δίδωμι τήνδ᾽, ἵνα σπένδειν ἔχῃς.
Al momento di insediare Eirene, perciò, gli Ateniesi le indirizzano delle offerte e la pre-gano di accettarle – non è solo bon ton, ma è la ricostituzione della χάρις infranta (Ar. Pax 974-86): Τρ. ὦ σεμνοτάτη βασίλεια θεὰ πότνι᾽ Εἰρήνη, t δέσποινα χορῶν, δέσποινα γάμων, t δέξαι θυσίαν τὴν ἡμετέραν. ttΧο. δέξαι δῆτ᾽ ὦ πολυτιμήτη t νὴ Δία, καὶ μὴ ποίει γ᾽ ἅπερ αἱ μοιχευόμεναι δρῶσι γυναῖκες. t καὶ γὰρ ἐκεῖναι παρακλίνασαι t τῆς αὐλείας παρακύπτουσιν, t κἄν τις προσέχῃ τὸν νοῦν αὐταῖς t ἀναχωροῦσιν, κᾆτ᾽ ἢν ἀπίῃ παρακύπτουσιν. t τούτων σὺ ποίει μηδὲν ἔθ᾽ ἡμᾶς.
La pacificazione tra uomini e dèi e tra uomini ed Eirene si esplicita dunque con il ripristi-no del sistema di reciprocità di doni e di benefici che all’inizio della commedia appariva in-terrotto: la χάρις è il segno tangibile della riconciliazione.
Ciò che è più significativo ai fini di questa analisi è che, almeno in due delle tre comme-die a tema divino, il rapporto di reciprocità tra uomini e dèi è rotto dai secondi: sono gli Olimpi ad infrangere per primi il patto che li univa ai mortali. Ciò è sicuramente vero nel Pluto (cfr. infra, cap. III § 3.2), in cui lo stato miserrimo in cui versano i giusti è causato dall’accecamento del dio della ricchezza compiuto da Zeus in persona: il padre degli dèi, di-ce Pluto, lo ha acdi-cecato ἀνθρώποις φθονῶν (Ar. Pl. 87), irritato dalla minaccia del giovane patrono della ricchezza, che prometteva di frequentare solo τοὺς δικαίους καὶ σοφοὺς καὶ κοσμίους (Ar. Pl. 89). E gli dèi sono implicati anche nella guerra, che è alla base della rottu-ra della reciprocità nella Pace: Zeus è indicato come responsabile attivo del conflitto (Ar.
Pax 58 κατάθου τὸ κόρημα; 63 λήσεις σεαυτὸν τὰς πόλεις ἐκκοκίσας), e, dopo avere abban-donato l’Olimpo, sono gli dèi a collocarvi (205 κατῴκισαν) Polemos come carceriere di Ei-rene e minaccia per l’umanità, che gli immortali hanno volutamente abbandonato (206 ὑμᾶς παραδόντες). Non solo: come spiega Hermes, vige sulla Pace un esplicito divieto di libera-zione, formulato ancora una volta da Zeus, pena la morte.
In entrambe le commedie, dunque, l’immagine della divinità che emerge è decisamente ostile nei confronti dei mortali; l’idea, piuttosto comune nella critica, per cui «tragedy requi-res cruel gods just as comedy requirequi-res kind gods»53
è tutt’altro che condivisibile. Anche gli dèi della commedia si rendono responsabili delle sofferenze del genere umano, della guerra e della povertà. Anch’essi costituiscono a giusto titolo gli antagonisti principali del progetto dell’eroe comico, e anzi divengono il presupposto per l’impresa del protagonista, chiamato a ripristinare una situazione di pace e prosperità rovinata proprio dall’intervento divino. Anche in commedia, le azioni degli dèi sono inique, talvolta addirittura al limite del paradosso: nel Pluto, ad esempio, Zeus acceca Pluto che aveva promesso di accompagnarsi solo agli uomini giusti; ma poiché gli uomini giusti sono gli unici a venerare gli Olimpi e a fare loro offerte sacrificali, impoverire loro significa per il padre degli dèi impoverire anche se stesso. Nel mondo comico, quindi, gli dèi svolgono una funzione simile a quella che capita loro di dover svolgere in tragedia: infrangendo arbitrariamente i rapporti di buona reciprocità con i morta-li, aprono le ostilità che danno il la all’azione comica. Da tempo si è riconosciuto che il ful-cro dei plots aristofanei è un conflitto, più o meno latente, il cui svolgimento e la cui solu-zione costituiscono di fatto l’ossatura basilare di ogni commedia: anche gli dèi possono co-stituire uno dei poli di questa conflittualità; il loro apporto diventa perciò fondamentale per l’intera tenuta dell’azione.
Le divinità, dunque, possono comparire in scena come aiutanti – più raramente: è il caso di Asclepio – o, più spesso, come antagonisti: capita all’Hermes della Pace (il cui impiego è comunque molto più complicato: cfr. infra, cap. II § 5), al Posidone e all’Eracle degli Uccel-li, di nuovo ad Hermes nel Pluto. Ma il dio che forse influisce più di frequente e più effica-cemente sull’azione comica è uno che non compare mai in scena: Zeus. Il caso del padre de-gli dèi è molto significativo, e utile per inquadrare alcuni aspetti del metodo poetico aristofa-neo. Proprio come in tragedia, Zeus non è mai trattato alla stregua di un personaggio54
: le al-!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
53 P
ARKER 1997, 145.
54 Almeno nelle commedie e nei frammenti aristofanei superstiti; è possibile però che altri autori lo mettessero