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PARTICOLARE RIFERIMENTO A LESIONI ED OMICIDI COLPOSI E REATI AMBIENTALI

Nel documento Apertura dei lavori (pagine 60-69)

Relatore:

dott. Francesco PINTOR

procuratore della Repubblica

presso la Pretura circondariale di Bologna

La vastità del tema propostomi comporterebbe una trattazione molto più diffusa di quella che, invece, farò: con soddisfazione ge-nerale, immagino. Questa premessa spiega la delimitazione dell’ar-gomento che svilupperò tenendo conto principalmente del tema ge-nerale, in particolare per ciò che riguarda la direzione effettiva del-le indagini e il rapporto con la polizia giudiziaria: questioni vaste, sulle quali i miei saranno soltanto spunti di riflessione da sottopor-re alla vostra meditazione e al successivo, eventuale, dibattito; spun-ti di riflessione che devono prendere le mosse dalla lettura di alcu-ne norme del codice di procedura che vanno tenute presenti per quan-to intendo esporre.

L’art. 358 del codice di procedura penale dice: «Il pubblico mi-nistero compie ogni attività necessaria ai fini indicati nell’art. 326»;

il quale art. 326, a sua volta, recita: «Il pubblico ministero e la po-lizia giudiziaria svolgono, nell’ambito delle relative attribuzioni, le indagini necessarie per le determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale». Primo spunto di riflessione: l’attività di investi-gazione compete esclusivamente al pubblico ministero perché è sol-tanto questi che si deve determinare in ordine all’esercizio dell’azio-ne penale. Varie, autorevoli opinioni intravedono, dell’azio-nella nuova strut-tura processuale, una sorta di equiparazione fra l’attività del pubbli-co ministero e quella della polizia giudiziaria a causa dell’identità di funzione investigativa. Non è soltanto una diversa concezione o, me-glio, una radicata cultura che ci impedisce di accettare questa af-fermazione; è la stessa disposizione normativa che vuole in capo al

pubblico ministero, ed esclusivamente a lui, la determinazione in or-dine all’esercizio dell’azione penale; e già questo esclude come priva di fondamento ogni possibile equiparazione o parificazione. Ma l’at-tività investigativa è strumentale alle determinazioni che il pubblico ministero deve assumere in ordine all’esercizio dell’azione penale; e ciò comporta, in capo al pubblico ministero, attribuzioni, quindi qua-lificazioni e posizioni ben diversificate. L’art. 370 dice anche «Il pub-blico ministero compie personalmente ogni attività di indagine», e l’avverbio («personalmente») sta a sottolineare che l’attività investi-gativa (che, nella formulazione legislativa previgente, era struttural-mente rimessa quasi esclusivastruttural-mente alla polizia giudiziaria) oggi è funzione precipua del pubblico ministero, quasi la legge abbia volu-to attribuire la responsabilità delle scelte investigative personalmen-te a chi deve successivamenpersonalmen-te impostare la costruzione del proces-so. E anche quando le investigazioni sono compiute dalla polizia giu-diziaria, come ad essa compete secondo il disposto dell’art. 55, que-ste sono sempre subordinate alle direttive del pubblico minique-stero che può intervenire successivamente (art. 348: «fino a quando il pubbco ministero non ha impartito le direttive…») e, pubbcomunque, sono li-mitate all’essenziale, cioè all’individuazione delle fonti principali del-la prova e all’identificazione dell’autore del reato. L’attività di inve-stigazione compete, dunque, personalmente – così vuole la legge – al pubblico ministero. E’ conseguente perciò che gli competa anche la direzione delle indagini, tenendo presente che la parola «dirigere» va intesa nell’accezione particolare di indirizzare, vale a dire indicare la strada sulla quale procedere per le investigazioni. Ciò risulta dalla formulazione letterale dell’art. 327 («Il pubblico ministero dirige le indagini…» in cui «dirige» sta per «indirizza» le indagini. Ora, l’esple-tamento personale dell’attività di investigazione suggerisce qualche riflessione. Esiste, in concreto, la possibilità di espletamento perso-nale e diretto dell’indagine? Qui bisogna purtroppo distinguere la teo-ria dalla prassi perché, mentre sul piano teorico nulla vieta che il pubblico ministero assuma personalmente – come potrebbe – la scel-ta investigativa, sul piano pratico, ciò è reso impossibile dalla inso-stenibile massa di procedimenti che grava sulle Procure pretorili. E’

vero che vi sono uffici dove sono stati istituiti, e con risultati

eccel-violazioni penali che in quel territorio si pongono. Ma la realtà più diffusa è quella che vuole l’ampio e generalizzato ricorso alla delega delle indagini.

E qui si pone l’interrogativo circa il contenuto della delega. Se-condo la relazione ministeriale (ed anche seSe-condo i primi commen-tatori), la combinazione dell’art. 370 e dell’art. 348, terzo comma (“dopo l’intervento del pubblico ministero la polizia giudiziaria com-pie gli atti ad essa specificamente delegati») esclude la cosiddetta de-lega globale, quella dede-lega, cioè, che veniva usata nella normativa previgente. Chi ha espletato le funzioni del pubblico ministero nella vigenza del precedente codice ricorderà che l’incarico alla polizia giu-diziaria si sostanziava nella formula «…per indagini e rapporto”, sin-tesi contenente, appunto, delega totale delle indagini e richiesta di riassumere i risultati delle stesse. Oggi, secondo i primi commenti, ciò sarebbe precluso per il combinato disposto delle norme citate che, trattando della delega, si riferiscono ad atti specifici. Questa in-terpretazione limitativa della possibilità di conferire una delega am-pia alle indagini non sembra persuasiva perché è anche vero che la polizia giudiziaria, secondo l’art. 55 (che ricalca la vecchia norma dell’art. 219) deve prendere cognizione dei reati, individuarne gli au-tori, ricercare le fonti di prova e quindi compiere gli atti necessari per assicurare tutto ciò che è necessario all’applicazione della legge, vale a dire a mettere il pubblico ministero nella condizione di eser-citare l‘azione penale; ed è facile argomento ricavare che ciò che può essere fatto d’iniziativa può essere anche delegato e che se i poteri di iniziativa sono ampi non vi è ragione di limitare i poteri derivanti da delega.

In realtà quando si parla di specificità della delega, si vuole esal-tare l’attività di direzione dell’indagine: perché se la delega è speci-fica, ciò sta a significare che il pubblico ministero (che ha delegato quel tipo di indagine) ha potuto adempiere all’obbligo, che gli deri-va dalla legge, di dirigere, cioè di indirizzare l’indagine.

E qui viene lo spunto per un’altra riflessione.

Quando l’investigazione necessita di una speciale competenza, il dirigere (cioè l’indirizzare) l’indagine presuppone una speciale com-petenza anche nel delegato alle indagini. Tante volte abbiamo senti-to parlare, in questi anni, dell’esigenza di specializzazione in deter-minate materie con riferimento alle tecniche di indagine per acqui-sire, conservare, esaltare la capacità professionale dei magistrati.

Be-ne, la stessa esigenza, a mio avviso, deve essere sentita anche per la specifica capacità professionale degli uffici di polizia giudiziaria; al-trimenti, indirizzare le indagini, delegandole a persone che non ab-biano la specifica competenza tecnica richiesta dal caso, significa svuotare di significato la delega stessa. Il problema si pone per tut-ta una serie di materie specialistiche che sono di strettut-ta e precisa competenza della Procura pretorile e che il tema suggerisce (reati ambientali e reati colposi contro la persona).

Per quanto riguarda i reati di lesione ed omicidio colposo, il pro-blema della specializzazione della polizia giudiziaria (che sia dele-gata al compimento di atti tesi all’acquisizione delle fonti della pro-va per le determinazioni del pubblico ministero) si pone in modo li-mitato, perché, per quanto attiene a lesioni e omicidi colposi con violazione delle norme della disciplina stradale, i corpi specializzati della Polizia di Stato (Polizia stradale) e dei Carabinieri (Nuclei ope-rativi e radiomobili) hanno acquisito capacità tecniche adeguate. Si pone relativamente il problema se riferito ai reati lesivi colposi de-rivanti da responsabilità professionale: qui un’attività delegata è im-praticabile perché in questi casi la direzione delle indagini va assunta personalmente e direttamente dal pubblico ministero che ha i mez-zi (ricorso all’accertamento tecnico: artt. 359 e 360) per potere per-venire all’individuazione degli elementi di colpa. Per ciò che inerisce agli infortuni sul lavoro, l’investigazione delegata necessita di un cor-po specializzato di cor-polizia giudiziaria che abbia conoscenza specifi-ca della legislazione antinfortunistispecifi-ca. Si sa che, ad esempio, non sempre è agevole procedere all’immediata individuazione dei possi-bili destinatari delle norme antinfortunistiche: tra imprenditore, re-sponsabile, preposto, direttore dei lavori, delegato di cantiere, ecce-tera, la normativa antinfortunistica crea tutta una serie di denomi-nazioni e di figure che vanno conosciute e che, durante l’espleta-mento dell’indagine, devono essere tenute presenti per individuare i destinatari delle norme poste a tutela del lavoro e attribuire esatta-mente le violazioni. Il pubblico ministero, in questi casi, può rivol-gersi agli Ispettorati del lavoro e ai servizi di medicina preventiva e di igiene del lavoro delle Unità sanitarie locali.

La particolare esigenza di elevata qualificazione professionale e

scenza della normativa da parte di chi procede all’investigazione, per-ché occorre conoscere la disciplina degli scarichi e dei corpi recet-tori; perché bisogna sapere che significato ha il concetto di insedia-mento produttivo; occorre conoscere la tecnica delle procedure am-ministrative perché vi sono violazioni anche meramente formali; vi è la necessità di conoscere anche la legislazione regionale perché, ad esempio, può differire da un territorio all’altro il dosaggio dei co-siddetti «limiti di accettabilità»; vi sono accertamenti urgenti che a volte occorre compiere e che richiedono particolare competenza per-ché anche una semplice descrizione dei luoghi richiede terminologie tecniche e appropriate; vi è il problema dell’acquisizione dei cam-pioni e delle modalità di campionatura. La legge – è noto – prevede un’attività di vigilanza e di controllo che viene rimessa ai presidi mul-tinazionali, ai laboratori provinciali di igiene e profilassi, ai servizi di igiene pubblica delle Unità sanitarie locali che hanno operatori che conoscono la normativa e sono specializzati nel settore.

Altrettanto dicasi a proposito dell’inquinamento del suolo: anche in questo caso l’investigazione delegata comporta la conoscenza del-la normativa perché bisogna avere presente del-la tipologia di cdel-lassifi- classifi-cazione dei rifiuti e la disciplina di smaltimento degli stessi; occor-re sapeoccor-re che, per esempio, non sono rifiuti i fanghi o che gli olii minerali vanno trattati in un determinato modo; anche in questa ma-teria non viene punito il solo inquinamento, ma sono previste san-zioni per reati formali (mancanza o irregolare tenuta di registri). La conoscenza specialistica è rimessa ai servizi delle Unità sanatorie lo-cali (servizi di medicina preventiva e igiene del lavoro, servizi di igie-ne pubblica) e ai presidii e servizi multizonali.

La repressione dei reati di inquinamento atmosferico richiede la conoscenza della normativa generale (legge 13 luglio 1966 n° 625) e quella specifica degli impianti termici (D.P.R. 24 maggio 1988 n°

203); il che comporta la conoscenza della natura e della classifica-zione delle fonti di inquinamento (impianti termici, impianti indu-striali, autoveicoli); l’attività di vigilanza è devoluta agli organi di po-lizia giudiziaria già menzionati ed anche al Corpo dei Vigili del fuo-co e al Comitato regionale per l’inquinamento atmosferifuo-co che, oltre ai compiti di vigilanza, ha anche funzioni di controllo.

Insomma, come ben si comprende, queste violazioni della legge penale hanno un alto tasso di «complicazione» (mi si passi il termi-ne) che richiede, per converso, un alto tasso di qualificazione

pro-fessionale in chi deve dirigere l’investigazione e in chi deve esple-tarla.

Gli stessi problemi si prospettano nella tutela del territorio, per la quale non è sufficiente conoscere la materia legislativa che tutela le trasformazioni urbanistiche ed edilizie, ma anche la legge che tu-tela il paesaggio e quella che tutu-tela il patrimonio storico–artistico.

Si tratta di leggi che richiedono particolare specializzazione in chi espleta attività investigativa perché occorre, per esempio, effettuare la verifica della rispondenza fra pianificazione generale e iniziativa del privato; occorre avere la conoscenza dei vincoli; occorre cono-scere se quell’immobile è sottoposto a vincolo paesistico, se quell’al-tro e sottoposto a vincolo storico–artistico, eccetera. E qui, il cam-po specialistico si riduce, in definitiva, agli uffici tecnici comunali.

Ecco allora a questo punto che è utile domandarsi cosa signifi-ca direzione effettiva delle indagini. L’art. 327 non dice soltanto che il pubblico ministero «dirige le indagini e dispone direttamente del-la polizia giudiziaria». Dopo quanto ho sommariamente accennato si comprende l’accezione in cui va inteso il termine «direzione» delle indagini: esso sta a significare riconducibilità delle indagini – an-corché espletate dalla polizia giudiziaria – alla mente del pubblico ministero il quale, dovendosi determinare in ordine all’esercizio dell’azione penale, ne assume pienamente la responsabilità.

Ma se il pubblico ministero dirige e indirizza l’investigazione, deve necessariamente disporre di chi investiga in sua vece. Da qui il necessario collegamento logico e funzionale tra titolarità dell’inve-stigazione e della sua direzione, da un lato, e disponibilità piena del delegato all’investigazione, dall’altro; e si comprende che sia la stes-sa norma (art. 327) a stes-sancire e sottolineare il collegamento logi-co–funzionale: «dirige e dispone».

Ora, direzione e disponibilità sono termini che postulano l’ef-fettiva dipendenza della polizia giudiziaria; il problema è tuttora vi-vo e irrisolto, perché se non vi è piena dipendenza non vi può esse-re piena disponibilità. Dice l’art. 56: «Le funzioni di polizia giudi-ziaria sono svolte alla dipendenza e sotto la direzione dell’autorità giudiziaria» dai servizi, dalle sezioni e da altri organi. La norma chia-risce bene le tre articolazioni in cui si distinguono i corpi che

esple-zia giudiesple-ziaria dipendono da magistrati che dirigono gli uffici pres-so i quali pres-sono istituite, e che l’ufficio preposto ai servizi di polizia giudiziaria è responsabile verso il procuratore della Repubblica pres-so il tribunale; nulla si dice in ordine agli altri organi di cui parla l’art. 56. Possiamo perciò affermare che di dipendenza si può parla-re esclusivamente nei confronti degli appartenenti alle sezioni; quan-to ai servizi, la norma prevede la sola responsabilità dell’ufficiale pre-posto, con limitazioni incongrue che bene ha sottolineato la relazio-ne del collega Santacroce; nulla si dice degli altri organi. Il che è spiegato molto chiaramente nella relazione al progetto preliminare del codice che, se mi consentite, vi leggo nel punto che interessa. Di-ce, la relazione:

«… Ad un primo più ampio livello si è previsto che i magistrati possano servirsi di qualsiasi organo di polizia giu-diziaria e correlativamente che tutti gli ufficiali ed agenti han-no il dovere di compiere le attività loro affidate. La han-norma han-non tocca i rapporti di dipendenza amministrativa degli ufficiali ed agenti dai corpi di rispettiva appartenenza e non innova, per-ciò, la disciplina vigente (art. 220, comma 1, e 229, comma 1, c.p.p. 1930), anche se ne dà una formulazione tecnicamente più precisa. Ad un secondo livello, e fermo restando il principio di piena disponibilità, è stata prevista una dipendenza più stretta per i servizi di polizia giudiziaria istituiti ed organizzati, a nor-ma dell’ultinor-ma parte dell’art. 17 L. 1° aprile 1981 n° 121… (ser-vizi istituiti presso le Questure, i Comandi dell’Arma dei Cara-binieri e della Guardia di Finanza, e quelli speciali e interfor-ze) adibiti, in via esclusiva e con carattere di continuità, al com-pimento di indagini conseguenti ad una notizia di reato. La di-pendenza di questi servizi si sostanzia nella particolare re-sponsabilità dei dirigenti, per il buon andamento del servizio svolto, verso il Procuratore della Repubblica (presso il Tribu-nale, n.d.r.), se si tratta di servizi costituiti per attività da svol-gere in ambito territoriale circondariale, e verso il Procurato-re generale del distProcurato-retto ove ha sede il servizio se si tratta di servizi costituiti per attività da svolgere in ambito territoriale più vasto di quello circondariale. Correlativamente si è stabili-to che per l’allontanamenstabili-to dalla sede e la promozione di det-ti dirigendet-ti, occorre rispetdet-tivamente il consenso ed il parere del Procuratore della Repubblica o del Procuratore generale.

An-che questa direttiva non innova la disciplina in vigore; si è ri-tenuto, infatti che una rigida separazione all’interno dei corpi di polizia fra il personale impiegato nella polizia giudiziaria e quello adibito ad altre funzioni, con conseguente destinazione esclusiva alle une e alle altre fosse irrealizzabile ed urtasse con-tro le opposte e pur valide esigenze organizzative dei corpi stes-si. Per contro si è pensato che le anzidette esigenze potessero trovare una più agevole soddisfazione a livello delle sezioni di polizia giudiziaria istituite presso le Procure della Repubblica…

Qui è stato attuato il massimo di dipendenza funzionale attra-verso una destinazione esclusiva all’attività di polizia giudizia-ria di personale qualificato e predeterminato nel numero».

Ora, questo discorso meriterebbe un commento severamente cri-tico che non è il momento di fare. Però bisogna pur dire che tra gli

«altri organi», per i quali la relazione sottolinea che non vengono toccati i rapporti di dipendenza amministrativa degli appartenenti dai rispettivi corpi, ci sono proprio quelli a cui la legge fa obbligo di compiere indagini a seguito di una notizia di reato e tra quelli si annoverano proprio quelli che sono chiamati ad operare in materie in cui si richiede una competenza altamente specifica (uffici sanita-ri, ispettorati del lavoro, unità sanitarie locali). E’ pur vero che l’au-torità giudiziaria può avvalersi di questi organi (il che ribadisce il concetto di disponibilità che il codice ha più volte sottolineato) ma nulla si dice sul rapporto di subordinazione: anzi, la relazione al co-dice lascia intendere l’inopportunità di incidere sulle esigenze orga-nizzative interne degli organi stessi. Ma, allora, la direzione effetti-va delle indagini, vista in rapporto ai servizi e agli organi di polizia giudiziaria che mantengono uno stretto cordone ombelicale sul pia-no amministrativo ed hanpia-no un particolare rapporto di dipendenza amministrativa con i corpi di appartenenza, è direzione effettiva? In-tendiamoci, nessuno vuole avanzare dubbi, ma come sottolinea la stessa relazione ministeriale, si tratta di organi che non hanno solo compiti di polizia giudiziaria e, perciò, la loro disponibilità alle di-rettive del pubblico ministero è certamente limitata. E’ vero che esi-ste l’art. 5 delle disposizioni di attuazione: quando lo richiedono

par-giudiziaria di altri organi. Ma si comprende che, quando la norma fa riferimento a particolari esigenze di specializzazione, sembra po-stulare un’ipotesi eccezionale, mentre negli uffici del pubblico mini-stero pretorile queste particolari esigenze sono una costante quoti-diana, sicché un’applicazione temporanea non sarebbe risolutiva; cioè, il problema sul piano della continuità operativa dell’attività delegata dal pubblico ministero resterebbe immutato; se il pubblico ministe-ro vuole investigare in quelle particolari materie, o si acqueta alle notizie che gli pervengono di iniziativa della polizia giudiziaria o de-ve delegare le indagini a organi che non sono esclusivamente nella sua piena disponibilità perché non sono alle sue dipendenze.

A mio giudizio, si è persa un’occasione. La riforma del codice di procedura penale, una riforma corposa e radicale, poteva davve-ro essere l’occasione per realizzare la vecchia aspirazione dell’ordine giudiziario (ormai la possiamo chiamare un’utopia), quella di vede-re attuato l’art. 109 della Costituzione, ed avevede-re perciò un autonomo corpo di polizia giudiziaria, ampio, articolato, specializzato, alle sue effettive e dirette disponibilità.

Nel documento Apertura dei lavori (pagine 60-69)