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Academic year: 2022

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Apertura dei lavori

dott. Gennaro MARASCA

componente del

Consiglio Superiore della Magistratura

Poche parole per introdurre questo seminario sulle Procure Cir- condariali e, principalmente, sui profili organizzativi delle Procure Circondariali.

Naturalmente un saluto a tutti i presenti ed un augurio di buon lavoro a tutti quanti noi.

Io credo che sia necessario dire, prima di dare la parola ai re- latori, che questo Consiglio, sin dai primi momenti della sua attività, ha cercato di occuparsi dei problemi delle Procure Circondariali, di questi uffici, cioè, di nuova istituzione. Se ne è occupato attraverso vari modi. In primo luogo cercando di dare una copertura imme- diata agli organici di tali uffici che erano vistosamente scoperti quan- do noi abbiamo preso possesso dell’ufficio. Naturalmente abbiamo mandato molti uditori giudiziari negli uffici presso le Procure Cir- condariali essendo, com’è noto, nel nostro sistema, quello degli udi- tori l’unica, mi si consenta la parola, «massa di manovra» che può essere utilizzata per coprire sedi non gradite.

Ma non è stato solo questo l’intervento effettuato: è difatti im- portante, ma, certamente, non risolutivo completare gli organici, es- sendo molte le questioni «sul tappeto». Difatti, su iniziativa di alcu- ni Consiglieri, si è aperto un dibattito in seno al Consiglio, un di- battito che ha cercato di individuare quelli che erano i problemi fon- damentali anche su indicazione e sollecitazione di numerosi Sosti-

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informazione e cercare di capire, effettivamente, quali fossero i pro- blemi che travagliavano e travagliano questi delicati uffici.

Direi che la conclusione logica di questa impostazione è proprio questo seminario, perché io non credo, ed è opinione abbastanza dif- fusa tra i consiglieri, ad interventi di tipo autoritativo in questa ma- teria, ma credo molto al confronto tra gli addetti ai lavori. Quindi questo seminario credo che debba essere visto come un confronto tra varie esperienze in modo tale che una serie di esperienze positi- ve, fortunatamente non tutte sono negative, possano essere diffuse sul territorio nazionale e contribuire ad un migliore funzionamento di questi delicatissimi uffici.

I problemi sono rilevantissimi ed io non dico nulla di tutti i pro- blemi che riguardano la mancanza di strutture e la mancanza di per- sonale, perché sono sicuramente fatti verissimi che riconducono a responsabilità indubbie del Ministero di Grazia e Giustizia, cioè di chi ha consentito il decollo di questi nuovi uffici privi, per lo meno per la metà, di magistrati per tacere della mancanza di personale giudiziario e privi anche di strutture quali edifici giudiziari dove al- locarsi. Voglio dire che questi citati sono tutti fatti noti e probabil- mente riemergeranno anche in questo dibattito. Credo che un impe- gno del Consiglio debba essere quello di farsi veicolo di una serie di proposte che provengano dagli addetti ai lavori perché l’interlocuto- re in questa materia, il Ministero, sia sollecitato a provvedere im- mediatamente alle più vistose carenze.

Credo che le responsabilità ministeriali delle quali parlavo non si limitano sicuramente a questo perché anche la recentissima ini- ziativa legislativa – intendo parlare del Decreto Legislativo 12/91 – ha provocato e può provocare delle difficoltà non irrilevanti.

Sicuramente è vero che c’era la necessità di intervenire per co- prire i vuoti di organico che tutt’ora persistono presso le Procure Cir- condariali e presso le Procure della Repubblica. Era un intervento che, a mio giudizio, doveva essere fatto il 24 ottobre del 1989 per consentire di partire a pieno organico e di consentire un effettivo de- collo del nuovo processo penale. Purtroppo questo intervento è tar- divo perché interviene a distanza di un anno e mezzo dall’entrata in vigore del codice e la copertura degli uffici di P.M., con gli iter bu- rocratici da seguire, non avverrà, non potrà avvenire prima di due anni dal 24.10.89. L’intervento è tardivo perché giunge in un mo- mento in cui già molti affari penali dalle Procure della Repubblica

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si sono riversati nei Tribunali e nelle Preture e, quindi noi rischia- mo, restando immutato il numero dei magistrati, di scoprire questi ultimi uffici per coprire le Procure della Repubblica; tutto ciò con quanto beneficio per una armonica efficacia dell’azione giudiziaria è facile immaginare.

Questo intervento è anche preoccupante per altre ragioni: si pos- sono ravvisare infatti anche profili di incostituzionalità, come da mol- ti è stato rilevato, e, sicuramente, uno di questi può essere un ec- cesso di delega, perché l’articolo 7 – secondo l’opinione di molti – non sembra che dia la possibilità di una modifica di norme ordina- mentali, essendo riservata tale possibilità soltanto alla modifica di norme processuali. Quindi vi sono anche preoccupazioni di questo tipo e non si tratta di preoccupazioni irrilevanti, poiché è evidente che sono da temere numerosi ricorsi avverso i trasferimenti di uffi- cio disposti ai sensi dell’articolo 55 d.l. 12/91 per garantire un’im- mediata copertura degli organici, ricorsi che con le conseguenti so- spensive potranno porre nel nulla lo sforzo massiccio che il Consi- glio sta cercando di fare per dare attuazione, come correttamente de- ve fare, a questo decreto legislativo.

Taccio, ovviamente, degli altri pericoli di questo decreto legisla- tivo perché non è questo il tema dell’incontro ma non posso non ri- cordare che, a mio giudizio, con questo provvedimento si comincia- no a porre i presupposti per una differenziazione normativa tra due categorie di magistrati, il P.M., e i giudici, tanto è vero che vengo- no previsti due diversi periodi di legittimazione per successivi tra- sferimenti; questo potrebbe essere un’inizio di una legislazione che tende sempre più a separare le due carriere, fatto questo che mi tro- va sicuramente contrario per molte e complesse ragioni e che fortu- natamente vede schierata contro gran parte della magistratura.

La verità è che si adottano provvedimenti pubblicitariamente ef- ficaci e di natura demagogica ma non si incide su quelli che, credo, siano i temi essenziali della questione giustizia e cioè quello di ri- vedere dalle fondamenta il nostro sistema delle circoscrizioni giudi- ziarie, quello per es. di garantire che non vi siano vuoti di organico così vistosi, perché quando mancano 1.235 Magistrati e quando, quin- di, vi è un vuoto di organico del 16%, inevitabilmente vi saranno una

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do la possibilità di dimensionarli correttamente, a volte si sono crea- ti dei mostri veri e propri. E’ inimmaginabile, per esempio, una Pro- cura Circondariale che abbia 22 sezioni distaccate da curare, come in Italia accade, perché effettivamente, sul piano organizzativo, tut- to è reso più complicato, più difficile, probabilmente ingestibile o co- munque difficilmente gestibile.

Ora sappiamo benissimo che gli interventi risolutivi, se quelle poche cose disordinate che ho detto sono vere, sarebbero ben altri e ben più complessi che non una legge sui trasferimenti di ufficio.

Si deve parlare e, fortunatamente si comincia a parlare non più di una depenalizzazione, che è un concetto un po’ riduttivo, ma di una vera e propria revisione del diritto penale sostanziale, cercando di individuare i veri valori che debbono essere oggi nel 1991 perse- guiti con sanzione penale. Ciò dovrebbe comportare una forte ridu- zione degli affari penali posto che un sistema processuale così sofi- sticato, come il nuovo processo penale, non può certamente essere utilizzato per affrontare una serie di fatti che la coscienza sociale non considera più come fatti penalmente rilevanti e tali da essere perse- guiti attraverso questo così complesso sistema. E questo – a mio giu- dizio – è sicuramente un indirizzo che va favorito ed incoraggiato.

Ed ancora: essenziale per il sistema è l’introduzione del giudice di pace, che dovrebbe avere una competenza anche penale e quindi comportare un'ulteriore riduzione del carico oggi presente presso le Procure Circondariali. Benissimo! Tutti questi sicuramente non so- no problemi che si risolveranno oggi, però in prospettiva queste so- no, sicuramente, le strade per affrontare alla radice i problemi. Nul- la dico, perché ne parlerà chi ha contribuito a provvedere ad una previsione normativa di tipo diverso, della necessità di modificare subito già alcune norme del nuovo processo penale pretorile per ren- derlo maggiormente utilizzabile e maggiormente efficace; ci sarà Eu- genio Selvaggi che sicuramente ci darà dei lumi su quello che «bol- le in pentola», mi si passi il termine, presso la Commissione Bica- merale a questo proposito.

Quindi sono necessari interventi di tipo radicale per affrontare correttamente il problema, però mentiremmo a noi stessi se non ri- conoscessimo che al di là delle responsabilità ministeriali che, come ho detto, non sono irrilevanti, al di là dei profili di riforma che som- mariamente indicavo, ci sono anche delle deficienze organizzative, anche a noi imputabili, che certamente non sono irrilevanti.

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E uno degli scopi del seminario è proprio questo: cercare di ve- dere quali sono le forme organizzative più efficaci, di affinare i mo- duli organizzativi proprio per cercare di ridurre gli inconvenienti, di rendere un poco più efficace l’intervento delle Procure Circondariali.

Io non so quali potranno essere i risultati di questo seminario;

mi auguro che siano estremamente positivi e mi auguro ovviamente che lo scambio di informazioni sia molto efficace. Credo che, se ne sarà ritenuta la necessità, probabilmente questo può essere il primo di una serie di incontri periodici.

Altre volte, quando sono state varate delle riforme rilevanti, co- me per esempio le prima legge in materia penitenziaria, sono state create delle vere e proprie consulte permanenti del Consiglio e rap- presentanti di grandi uffici giudiziari italiani in modo tale che ci fos- se un organismo agile che facilmente potesse convogliare una serie di richieste, una serie di proposte, una serie di iniziative ed indiriz- zare le richieste al destinatario, in modo da avere immediate rispo- ste e diffondere le nuove metodiche di lavoro. Sarete voi che valu- terete l’opportunità di una soluzione di questo tipo, tenendo anche conto che in tal modo potrebbe essere attivato il meccanismo di cui all’art. 7 con una serie di proposte efficaci.

Sicuramente potrebbe essere quella della consulta una soluzio- ne che ci dà uno strumento efficace ed agile al tempo stesso.

Auguro a tutti buon lavoro e cedo immediatamente la parola al primo relatore che è il collega Luigi Carli, Procuratore della Repub- blica di Vercelli.

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PERSONALIZZAZIONE DELLE FUNZIONI DI P.M.

Relatore:

dott. Luigi CARLI

procuratore della Repubblica presso la Pretura circondariale di Vercelli

1) L’articolazione della locuzione lessicale «personalizzazione delle fun- zioni di p.m.» nelle prospettive di riforma dell’O.G., del p.m. e del c.p.p.

I primi riferimenti ad una «personalizzazione delle funzioni di p.m.» (locuzione in genere inusuale nelle correnti trattazioni penal- processualistiche) in contrapposto alla (allora) quasi assiologicamente ammessa strutturazione gerarchica degli uffici di procura (cfr. VEL- LANI, Il pubblico ministero nel processo, vol. II, Bologna 1970, pp.

402 e ss.) si rinvengono, all’inizio degli anni 70, dapprima come ri- chiamo dell’ideologia connessa ad iniziative politico–giudiziarie di riforma, avanzate da talune parti politiche e impostate su principi opposti e intesi a privilegiare invece l’indipendenza interna agli uffi- ci del p.m. (cfr. GALLI, Il pubblico ministero nella prospettiva del nuo- vo codice di procedura penale, in Pubblico Ministero e Accusa Pena- le, Problemi e prospettive di riforma, a cura di G. CONSO, Bologna 1979, pp. 157 e ss.); in seguito, come vera e propria designazione tecnico–giuridica del principio di indipendenza interna agli uffici del p.m., ispirato ai corrispondenti canoni in vigore negli uffici degli or- gani giudicanti e notoriamente basato sulla rigida precostituzione delle competenze esterne e interne e sulla predisposizione di regole generali ed obiettive di ripartizione del lavoro fra i vari componenti (le c.d. «tabelle organiche»), nonché, in materia di assegnazione e gestione del lavoro, sul ripudio di ogni principio di gerarchia di stam- po amministrativistico (cfr. C.S.M. «Società italiana e tutela giurisdi-

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zionale dei cittadini», Roma 1971, p. 562 e ss. e «L’adeguamento dell’or- dinamento giudiziario ai principi costituzionali e alle esigenze della so- cietà» Roma 1976; CHIAVARIO, «Il pubblico ministero organo di giu- stizia?» in Riv. It Dir. e Proc. Pen. 1971, 714; PIZZORUSSO, voce

«Organi giudiziari» in Enc. Dir., vol. XXXI, Milano 1981, pp. 96-97 e 101; SCAPARONE, voce «Pubblico Ministero (dir. proc. pen.), ivi, vol. XXXVIII, Milano 1988, p. 1107; NEPPI MODONA, Commento all’art. 112 Cost., in Commentario della Costituzione a cura di G.

BRANCA, Bologna 1987, pp. 75 e ss.; ZAGREBELSKY V., Indipen- denza del pubblico ministero e obbligatorietà dell’azione penale, in Pub- blico Ministero e Accusa Penale cit., pp. 26-27; MORELLI M.R., Art.

112 Cost., in Commentario breve alla Costituzione, Padova 1990, p.

677). In effetti, come noto, in ottemperanza al principio della «pre- costituzione del giudice» sancito dall’art. 25, 1° co., Cost. e valido anche rispetto alla competenza interna agli uffici, nessun organo giu- dicante (che eserciti cioè funzioni giurisdizionali), può ritenersi le- gittimamente investito di un dato affare senza una specifica preor- dinazione espressa in un apposito provvedimento, a sua volta in- quadrabile nella predeterminazione legale delle competenze risultante dalle c.d. «tabelle organiche» e, allo stesso modo, non ne può esse- re privato se non in base ad un provvedimento «ad hoc», ancora emesso in conformità a criteri stabiliti in via generale e preventiva (cfr. art. 7 ter O.G.; PIZZORUSSO, voce «Organi giudiziari» cit. pp.

96-97; PERA, L’indipendenza «interna» dei giudici, in Magistrati o fun- zionari?, a cura di MARANINI, Milano 1962, pp. 91 e ss.). Ne resta per definizione esclusa, a questa stregua, ogni possibilità di interfe- renze autoritarie dei c.d. capi degli uffici, cui compete solo un po- tere, ampiamente controllabile e sindacabile, di organizzazione del lavoro giudiziario, sulla base di regole note e prefissate (cfr., in pro- posito, anche: CHIAVARIO, Prospettive di organizzazione del pubbli- co ministero e della polizia giudiziaria, in Riv. It. Dir. e Proc. Pen.

1981, p. 485; BELLONE, voce «Pubblico Ministero (diritto processuale penale)», in Noviss. Dig. It. App., vol. VI, Torino 1986, p. 207). Re- spinto, a questa stregua, ogni rapporto di sovra–sottordinazione fra i vari organi o soggetti che integrano l’ufficio, ne viene conseguen- zialmente esclusa anche la possibilità di ipotizzare, a favore dei c.d.

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potere di «direttiva» che, peraltro, una lunga tradizione storica rico- nosceva invece, anche nel nostro ordinamento, ai capi degli uffici del p.m., proprio in quanto non giudiziari (CARLI, L’avocazione dell’istrut- tore sommaria come residuo di concezioni tramontate, in Riv. It. Dir.

e Proc. Pen. 1976, 1164 e ss.; PIZZORUSSO, op. cit., pp. 93-94).

2) La «personalizzazione delle funzioni» nell’ambito delle competenze interne dell’ufficio del p.m.

Rapportata all’ufficio del p.m., con la giustificazione ideologica fondata principalmente sull’argomentazione per cui se la Magistra- tura nel suo complesso costituisce un potere autonomo ed indipen- dente da ogni altro e se all’ordine giudiziario appartiene, secondo la Costituzione, altresì il p.m., questo vuol dire che ogni magistrato, a prescindere dall’attività processuale svolta in concreto, alla stregua degli artt. 104 e 107 Cost. ha diritto al medesimo «status» di auto- nomia ed indipendenza (CONSO, in Dialectica, 1973, p. 151; CA- VALLARI, Il pubblico ministero nelle prospettive di riforma del pro- cesso penale, in La riforma del pubblico ministero, Milano 1974, pp.

737-738; VIGORITI,Il pubblico ministero nel processo civile italiano, in Riv. Dir. Proc. 1974, pp. 300-301; CHIAVARIO, Riflessioni sul prin- cipio costituzionale di obbligatorietà dell’azione penale, in Scritti in onore di C. MORTATI, vol. IV, Milano 1977, pp. 97 e ss.), la teoria della «personalizzazione delle funzioni», ha implicato, nella prospet- tiva di una riorganizzazione interna delle procure della Repubblica, non solo il ripudio del principio di gerarchia, ma pure significative conseguenze sul piano della gestione del lavoro giudiziario. In effet- ti, si sostiene che al procuratore della Repubblica (ed ai suoi omo- loghi nei vari uffici collocati presso le c.d. giurisdizioni superiori) potrebbero essere riconosciuti, in analogia a quanto previsto dall’art.

38 O.G. per i dirigenti degli organi giudicanti, solo compiti di lata organizzazione ed assegnazione del lavoro, senza possibilità di in- terferenze autoritarie, postulandone il suo assoggettamento, quindi, a precisi obblighi, oltre che di ripartire – come accennato a propo- sito degli organi giurisdizionali – il lavoro giudiziario fra i sostituti in base a criteri generali ed obiettivi, possibilmente di natura auto- matica; di riservare a sé la trattazione di uno o più affari solo in via specifica, con esclusione di qualsiasi potere di revocare ad libitum e

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senza provvedimento scritto, le intercorse assegnazioni o di sostitui- re sé o altri nella conduzione delle cause già attribuite, e ciò sia in relazione al compimento delle stesse che di singoli atti processuali;

nonché di impartire ordini e/o direttive vincolanti, tanto in rappor- to alla gestione delle indagini, quanto alle richieste da proporre al giudice, in udienza o in altri significativi momenti del processo (SCA- PARONE, voce «Pubblico Ministero» cit., p. 1102; BELLONE, voce

«Pubblico Ministero (diritto processuale penale)», in Noviss. Dig. It.

App., vol. VI, Torino 1986, p. 207).

3) La relatività dei presupposti dogmatici del concetto di «personaliz- zazione delle funzioni».

Vi è da rilevare, tuttavia, che le puntualizzazioni di cui sopra, an- che in termini di individuazione dei poteri–doveri del «capo» dell’uf- ficio, scaturiscono più da una faticosa ricostruzione dell’ideologia sot- tesa a posizioni programmatiche, che da vere e proprie esplicitazio- ni concettuali, allo stato irrintracciabili non solo in dottrina. La sin- golare constatazione del lettore, infatti, è quella di un ricorrente di- fetto, tanto nelle proposte politiche di attuazione del principio di «per- sonalizzazione delle funzioni», quanto negli ormai molteplici studi de- dicati all’argomento, di una qualsiasi definizione o di una esaustiva esposizione del contenuto ontologico–funzionale del principio stesso.

Il sostrato tecnico–ideologico di tale principio, che pure viene presupposto in termini quasi assiologici, si rivela in realtà ancora as- sai sfumato e incerto nel suo contenuto, ed appare identificato, in genere, più in senso negativo, come contrapposizione al denegato principio di «gerarchia» che per una esaustiva e didattica proposi- zione degli elementi e criteri che concorrono a qualificarlo ed a cui dovrebbe, in aderenza, assimilarsi l’ottimale tipologia di un moder- no ufficio del p.m. (cfr., in relazione a questo indirizzo concettuale, da ultimo: DI NICOLA, Autonomia del pubblico ministero nell’udien- za, in Commento al nuovo codice di procedura penale, coord. da M.

CHIAVARIO, vol. I, Torino 1989, pp. 272-273).

Non a caso, invero, nelle opere dei vari studiosi che al principio

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duzione e pratica applicazione comporterebbero ai fini di un’ottimale strutturazione delle competenze interne dell’ufficio del p.m. Secon- do tali studiosi, infatti, un principio del genere non realizzerebbe

«tanto l’unità di indirizzo nell’azione del p.m., ma consentirebbe di eliminare in radice omissioni e ritardi che talora si manifestano nel- la persecuzione dei reati» di modo che… «immune dalle influenze dei capi… ogni magistrato del p.m. può meglio concorrere all’inde- fettibile osservanza dell’art. 112 Cost.» (SCAPARONE, op. cit., p.

1107). Tale principio contrasterebbe, poi, coi «pericoli d’inerzia e di omissione insiti nella concentrazione del potere nel capo dell’ufficio»

(NEPPI MODONA, op. cit., p. 83) e scongiurerebbe «il pericolo di centri precostituiti di potere, facenti capo ai singoli procuratori del- la Repubblica, privi di qualsiasi coordinamento fra loro e sottratti a forme di responsabilità adeguate alla concentrazione delle funzioni giudiziarie e paragiudiziarie da essi svolte», (ancora NEPPI MODO- NA, op. cit., p. 77; SCAPARONE, op. cit., p. 1108).

Né per le ragioni che di seguito saranno meglio analizzate , an- corché anche oggi lo si tenti in vario modo, a sostegno di tali at- teggiamenti può essere fondamentalmente invocata la prefigurazio- ne costituzionale di un modello ideale di struttura delle competenze interne dell’ufficio del p.m. Come ha recentemente rilevato il NEP- PI MODONA, infatti, deve ormai prendersi atto del sostanziale agno- sticismo della Carta costituzionale rispetto al problema che ci occu- pa, tanto è vero che le stesse norme sono state utilizzate, con la me- desima fondatezza, per argomentare soluzioni opposte (op. cit., p.

76). E’ vero, invece, che è probabilmente impossibile trarre dalle sin- gole norme della Costituzione indicazioni univoche sul problema dell’indipendenza interna dei magistrati del pubblico ministero, an- che perché dagli Atti dell’Assemblea Costituente non risulta che la questione sia stata espressamente presa in considerazione, essendo il dibattito monopolizzato dal vivace scontro sul problema… dell’in- dipendenza esterna» (ancora: NEPPI MODONA, op. cit., p. 76).

4) Il principio di «personalizzazione delle funzioni d’accusa» e la strut- tura dell’ufficio del p.m.

Per contro, di fronte a siffatta innegabile incompletezza dell’ela- borazione che ha portato taluno perfino a dubitarne della attendibi-

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lità giuridica (cfr. MARAFIOTI, La personalizzazione delle funzioni d’accusa nel codice del 1988, in Giust.Pen., III pp. 76-83), sostan- zialmente ancora indiscussi appaiono, invece, anche alla luce dell’in- tercorsa riforma dell’art. 70 dell’O.G. (che, per quanto si vedrà me- glio in seguito, non sembra però aver innovato in modo determinante sul punto), quei caratteri di «unitarietà», «indivisibilità» e «imper- sonalità» che, tralaticiamente, vengono riconosciuti quali connotati funzionali tipici dell’ufficio del p.m. e che, senza infingimenti, da sempre vengono adottati per giustificare, da un lato, la sua confor- mazione al principio di gerarchia e, dall’altro, proprio quella strut- turazione delle competenze interne, che dai sostenitori della «perso- nalizzazione delle funzioni» in senso tradizionale, è oggetto di viva contestazione (cfr. MANZINI, Trattato di diritto processuale penale ita- liano, vol. II, p. 349 e ss.; SPAGNA MUSSO, Problemi costituzionali del pubblico ministero, in Riv. It. Dir. e Proc. Pen. 1963, p. 424; BEL- LONE, op. cit., p. 201). Né si nega, a questa stregua, che anche se- condo l’attuale sistema, i componenti dell’ufficio del p.m. abbiano ancora «ognuno e tutti nella loro unità, impersonata dal capo dell’uf- ficio», «eguale competenza» e, allo stesso modo che «nell’azione in- dividuale» si abbia «sempre l’azione impersonale dell’ufficio» (MO- RELLI, op. cit., p. 677). E, d’altra parte, lo si giustifica pure, in virtù di una complessa serie di argomentazioni di natura storica, siste- matica e testuale, oggi riproposte da taluni partiti di governo nella più generale prospettiva dello scorporamento del p.m. dall’ordine giu- diziario e del suo assoggettamento all’esecutivo, col legittimo persi- stere della validità del principio di gerarchia interna nello stesso uf- ficio, anche se temperato dall’adozione di criteri idonei ad esclude- re che, una supremazia arbitraria, consenta al dirigente di impiega- re gli altri magistrati in un uso scorretto della funzione d’accusa, sen- za possibilità per costoro di affermare il proprio senso di obiettività (DOMINIONI, Per un collegamento fra ministro della giustizia e pub- blico ministero, in Pubblico Ministero e Accusa Penale, cit. pp. 79- 81; VALIANTE, Il nuovo processo penale, Milano 1975, p. 124).

E dalla ricognizione del complesso sistema vigente, al di là di una intercorsa accurata soppressione dei riferimenti verbali più mar- catamente evocativi del principio di «gerarchia», sembra che, nella

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delle funzioni», se esiste ancora come principio, a ben vedere, sem- bra sussistere in pieno solo in capo al «titolare», potendosi riscon- trare nel resto il permanere, per l’ufficio del p.m., di tutti quei tra- dizionali caratteri di «unità» «individisibilità» ed «impersonalità» di cui sopra si è fatto cenno.

5) L’assetto delle competenze interne dell’ufficio del p.m. nella legisla- zione vigente: la legittimazione ed i poteri dei «titolari dell’ufficio».

L’attuale impostazione delle competenze interne dell’ufficio del p.m. emerge, innanzi tutto, dall’art. 20 del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 449, che ha riformulato l’art. 70 dell’O.G., precisando come i «ti- tolari… dirigono l’ufficio cui sono preposti, ne organizzano l’attività ed esercitano personalmente le funzioni attribuite al pubblico mini- stero… quando non designino altri magistrati addetti…» e, quindi, dagli artt. 53 c.p.p. (emanato in aderenza alla direttiva n. 68 della L.

delega 16 febbraio 1987, n. 81, a sua volta scaturita dalla previsione contenuta nel 4° co. dell’art. 70 O.G., riformulato dal D.P.R. 449/88), il quale ha introdotto anche nel nostro ordinamento, desumendolo dalla liberté de parole sancita dall’art. 33 del codice di rito penale fran- cese, il principio di «autonomia» del rappresentante del p.m. in

«udienza», regolando di conseguenza anche i casi di sostituzione;

dall’art. 570 c.p.p., che riespande in sede di impugnazione i poteri del «capo», compressi per l’udienza dalla «piena autonomia» del ma- gistrato «designato» e, infine, dall’art. 3 d. att. c.p.p., il quale dispo- ne che, «ove possibile», alla trattazione dei procedimenti «provveda- no, per tutte le fasi del relativo grado del giudizio, il magistrato o i magistrati originariamente designati».

Si pone, a questo punto, alla stregua del sistema testé delineato ed al fine di individuare gli effettivi limiti di attuazione del principio di «personalizzazione delle funzioni» nell’ufficio del p.m., la neces- sità di individuare, in primo luogo, quali siano i fondamenti di le- gittimazione ed i termini dei poteri che ancora competono a coloro che l’art. 53 c.p.p. tuttora indica come «capi» degli uffici. Ebbene, al- la luce della normativa su esposta e, in ispecie secondo l’O.G. in vi- gore, ai «titolari degli uffici del p.m.» spetta, come accennato, di:

– a) «dirigere» l’ufficio;

– b) «organizzarne l’attività»;

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– c) «esercitare personalmente», quando non «designino» altri magistrati «addetti all’ufficio», «le funzioni attribuite al pubblico mi- nistero dal c.p.p. e dalle altre leggi» (l’art. 70, 3° co., O.G. prevede pure che, alla trattazione dei singoli affari possono essere «designa- ti» più magistrati).

E se la locuzione «esercizio personale», anche alla stregua del les- sico comune, non sembra di difficile intelligenza, vi è da rilevare, in- vece che, allo stesso modo che per i dirigenti degli uffici giudicanti (artt. 7 bis e 7 ter O.G.), l’ordinamento in vigore non precisa, né espli- citamente, né in via indiretta, in che cosa consistano e come si rea- lizzino la «direzione» e l’«organizzazione», anche se sembra oggi as- sodato che tutti i corrispondenti poteri, almeno rispetto alle procure della Repubblica, non si scontrino, come negli uffici dei giudici, con la «indipendenza» dei singoli magistrati (cfr. Corte Cost. 16.3.1976, n. 52), bensì solo con la loro «autonomia» la quale peraltro, sembre- rebbe entità concettuale diversa dalla prima (v. DI NICOLA, op. cit., pp. 272-273) ed è comunque, «piena», secondo la legge, solo nell’«udienza». Ma ancora né l’O.G., né le norme processuali puntua- lizzano in che cosa consista l’«autonomia» per cui – onde compren- derne valore ed efficacia di tutte le espressioni e dei principi sopra enunciati – sembra opportuno ricercare in altri settori affini dell’or- dinamento complessivo eventuali chiavi di lettura e criteri d’inter- pretazione utili allo scopo. Ed all’uopo, come la stessa terminologia adottata dal legislatore soprattutto nella recente riformulazione dell’O.G. induce a ritenere, sembra conveniente fare riferimento alle categorie giuridiche elaborate in ambito amministrativo e, in ispecie, nel settore dell’organizzazione dei pubblici uffici, in cui, tra l’altro, non solo le funzioni di «direzione» ed «organizzazione», ma anche il principio di «autonomia» risultano sufficientemente individuati ed ap- profonditi, in quanto entità concettuali di quotidiana esperienza.

E che si tratti di soluzione metodologica non arbitraria sembra potersi sostenere anche alla stregua dei rilievi del PIZZORUSSO (v.

da ultimo, sul punto: voce «Ordinamento Giudiziario», in Noviss. Dig.

App.,Torino 1984, pp. 530 e ss. e 544), secondo cui l’ufficio del p.m., sia sotto l’aspetto strutturale che quello funzionale, evoca indubita- bilmente il pubblico ufficio e la sua organizzazione; né potrebbe spie-

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detto», «funzioni», «poteri» etc., le quali appaiono chiaramente mu- tuate dai principi di organizzazione degli enti pubblici (cfr. SAN- DULLI, Manuale di diritto amministrativo, XV ed., vol. I, Napoli 1989, pp. 214 e ss.).

Ebbene, secondo l’art. 70 O.G. il procuratore della Repubblica è, innanzi tutto, il «titolare dell’ufficio del pubblico ministero» e ciò, alla stregua degli accennati criteri, sta a significare che egli, non so- lo gode di quel particolare status che si identifica nella «preposizio- ne all’ufficio», la quale si manifesta nella c.d. «immedesimazione» al- lo stesso, ma altresì che siffatta preposizione è qualificata da una si- tuazione di «primarietà» (SANDULLI, op. cit. p. 220), che si diffe- renzia nettamente dalla situazione dei semplici «addetti», i quali, an- corché incardinati nell’ufficio, non ne sono tuttavia «investiti», così da essere legittimati, ex se, ad esprimere l’ufficio nei rapporti giuri- dici rilevanti (SANDULLI, op. cit., p. 222). E non a caso l’art. 70, af- ferma e ribadisce (cfr. 1° e 3° co.) che le «funzioni del pubblico mi- nistero» che, poi, si compendiano nell’esercizio dell’azione penale ex art. 112 Cost. e nel compimento delle attività a questa connesse, so- no esercitate «personalmente» dal «titolare», il quale, pure «dirige»

e, in aggiunta, «organizza» l’ufficio.

E di particolare rilevanza nel fondare la primazia del «titolare»

nell’ambito dell’organizzazione interna all’ufficio del p.m., con una formula di legge che non trova riscontro alcuno nella disciplina dei poteri dei dirigenti degli uffici giudicanti (artt. 7 bis, 7 ter e 38 O.G.), sembra proprio siffatta «personalizzazione» (con significato opposto a quello fin qui visto) delle funzioni tipiche solo in capo al procu- ratore della Repubblica e non già anche degli altri magistrati dell’uf- ficio, cui la legge pare consentire, invece, l’esercizio in concreto, so- lo a seguito del conferimento da parte del «titolare» dello stesso uf- ficio, con quell’atto che l’O.G. denomina «designazione».

Come accennato è proprio siffatta peculiare «personalizzazione»

delle funzioni che ha tradizionalmente consentito di fondare la par- ticolare struttura dell’ufficio del p.m. in termini di «unità» e di «in- divisibilità», oltre che di gerarchia (cfr. PIZZORUSSO, voce «Ordi- namento Giudiziario» cit., p. 544; MORELLI, op. cit., p 677) ed è si- gnificativo che chi, come anche nel presente convegno di studi, pro- pugna l’intercorsa soppressione dei rapporti di sovra–sottordinazio- ne all’interno dell’ufficio del p.m., è costretto o preferisce ignorare questo importante e perdurante dato normativo.

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Vi è da domandarsi, peraltro, dopo la indubbia espunzione dal testo normativo di ogni esplicito riferimento ai rapporti di gerarchia interna all’ufficio, ma con la correlativa esplicitazione dei poteri del procuratore della Repubblica operata dal D.P.R. 449/1988 e, soprat- tutto, con l’introduzione dell’atto di «designazione» come requisito per l’esercizio concreto delle funzioni di p.m. in capo ai magistrati

«addetti» all’ufficio, quale valore abbiano ancora i rilievi della S.C.

(Cass. 5. 7. 1979, in Cass. Pen. 1980, 1389), secondo cui «non è pos- sibile ritenere che i singoli magistrati del p.m. ripetano i loro pote- ri dal capo dell’ufficio, con conseguente nullità degli atti dei mede- simi compiuti in difetto di delega del dirigente».

Sembrerebbe da escludere, in primo luogo, al proposito, che la

«designazione» di cui all’art. 70 O.G. corrisponda al suo omologo no- to in ambito amministrativo, ove sta notoriamente ad indicare il po- tere di scelta tra uno o più nominativi ai fini di provvedere ad una data nomina (cfr. SANDULLI, op. cit., p 633; GIANNINI M.S., Dirit- to amministrativo, II ed., vol. II, Milano 1988, pp. 554-555; DE RO- BERTO, voce «Designazione», in Enc. Dir., vol. XII, Milano 1964, p.

305). Piuttosto, per gli intrinseci caratteri e per gli effetti che ne con- seguono, essa parrebbe assimilabile, da un lato ad una sorta di «in- vestitura» (cfr. SANDULLI, op. cit., p. 691) per lo specifico «affare»

(ma non può dimenticarsi che, alla stessa stregua del «titolare», i

«magistrati addetti» sono incardinati ex lege nell'ufficio del pubblico ministero e con specifica destinazione ad esercitarvi, in riferimento all’azione penale, funzioni sostanzialmente corrispondenti) e, dall’al- tro, alla «delega», così come è intesa in sede amministrativa (ma pu- re qui deve rammentarsi che l’esercizio delle funzioni del p.m., so- stanziandosi in quello,obbligatorio, dell’azione penale, non appare su- scettibile, come nel caso della delega, delle limitazioni e condizio- namenti a questa connessi).

Ma che «designazione» e «delega» siano fenomeni giuridici affi- ni sembra dimostrato, oltre che dalle varie consonanze formali e so- stanziali dell’O.G. con le norme sull’organizzazione degli uffici pub- blici, anche da quell’istituto che – come si vedrà meglio in seguito – della «designazione» è uno specimen che ne riproduce i tratti essen- ziali, ed è rappresentato dalla c.d. «delega» «nominativa» all’eserci-

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un pubblico ufficio, allorché un soggetto o organo originariamente e primariamente competenti, trasferiscono l’esercizio dei propri po- teri e delle proprie competenze ad un altro organo o a un soggetto diversi, i quali possono così agire in nome proprio e prescindere da qualsiasi ratifica del proprio operato. Reciprocamente, connessi alla

«delega» vi sono i poteri di «revoca» e di «sostituzione» (MIELE, vo- ce «Delega», in Enc. Dir., vol. XI, Milano 1962, pp. 908 e ss.; FAZIO, La delega amministrativa ed i rapporti di delegazione, Milano 1964, passim; SANDULLI, op. cit., pp. 237 e ss.). E di siffatta «delega» la

«designazione» riproduce sicuramente taluni aspetti essenziali. In- nanzi tutto, il procuratore della Repubblica, come il «delegante», eser- cita in via primaria funzioni che «può» attribuire ai suoi «sostituti»;

allo stesso modo – come vedremo in seguito – egli può, pur con i vincoli scaturenti dalla «autonomia» del «designato», riappropriar- sene, sostituendo o autosostituendosi a costui, tanto è vero che l’art.

3 d. att. c.p.p. che pure sancisce la stabilità della «designazione» in via generale, precisa che essa va attuata e mantenuta solo «ove pos- sibile» e l’art. 53 c.p.p. non esclude pure che, anche se con precise formalità e varie cautele dirette a salvaguardarne la «autonomia», re- voca e sostituzione del «designato» possono avvenire altresì nell’udien- za. Tutto ciò sembra sufficiente, in conclusione, per affermare che se la «designazione» di cui all’art. 70 O.G. non è in tutto una «dele- ga», certamente di questa riproduce, sia sul piano sostanziale che su quello funzionale, taluni tratti caratteristici ineliminabili, per cui, for- se oggi in modo ancora più netto che per il passato, i «magistrati addetti» all’ufficio del p.m., allorché siano investiti in concreto del- le corrispondenti funzioni, risultano assimilabili ai «delegati», con la differenza che – come vedremo meglio nel paragrafo successivo – possono opporre al «delegante» quell’autonomia e quei diritti che la stessa legge oggettivamente prevede.

Deve farsi cenno, a questo punto, per evidenti ragioni di com- pletezza, anche dei poteri di «organizzazione» e «direzione» che, se- condo l’O.G., ugualmente competono ai «titolari» dell’ufficio del p.m.

Sul contenuto del primo potere, nonostante qualcuno riconduca il relativo concetto alla predisposizione di indirizzi anche di carat- tere giuridico sembra, invece, che la locuzione adottata in proposito dall’art. 70 O.G., che si esprime con le parole: «ne organizzano l’at- tività» (in esplicito riferimento all’ufficio), indichi più propriamente, sia secondo il lessico comune che le note categorie del diritto am-

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ministrativo, il compito, che spetta al procuratore della Repubblica, in quanto «titolare» di un ufficio pubblico, di coordinare, preparare e predisporre i mezzi e le attività materiali e burocratiche connessi allo svolgimento del servizio che, ex lege, l’ufficio stesso è tenuto a prestare. Non a caso, invero, secondo i principi organizzativi, della pubblica amministrazione, ai dirigenti degli uffici compete, pure in via primaria, un’attività del genere, che si colloca nel più ampio rap- porto di preposizione all’ufficio, proprio in vista del servizio che que- sto è tenuto a fornire alla collettività (cfr. in proposito: PALEOLO- GO, voce «Organizzazione amministrativa», in Enc. Dir., vol. XXXI, Milano 1981, pp. 135-137, 149-150).

Allo stesso modo, il potere di «direzione» evoca categorie am- ministrativistiche, ed a queste è ancora d’uopo fare ricorso per l’ac- cennato difetto di indicazioni desumibili dall’O.G. e dalle norme pro- cessuali. E, al proposito, possono richiamarsi i rilievi del SANDUL- LI (op. cit., pp. 241 e ss.), secondo cui, «alla posizione di direzione ineriscono poteri di propulsione, di coordinazione, di indirizzo e di controllo, i quali sono meno penetranti rispetto ai poteri di supre- mazia gerarchica ed hanno fondamento nel rapporto organizzatorio»

(p. 241). «La più tipica estrinsecazione della posizione di direzione è costituita dalle direttive, che sono atti di indirizzo e che interven- gono in materie in cui il destinatario disponga di una certa possibi- lità di scelta e a differenza degli ordini, non impartiscono disposi- zioni concrete e puntuali… lasciando al destinatario una notevole area di autonoma determinazione» (v. anche D’ALBERGO, voce «Di- rettiva», in Enc. Dir., vol. XXI, p. 603).

Ebbene, rapportando tali connotazioni al p.m. ed alla sua orga- nizzazione, ne consegue che sicuramente al «titolare dell’ufficio» spet- tano tutti quei poteri che integrano il ruolo che, in questo settore, gli è riconosciuto dall’O.G. In più, attesa la ridetta «personalizzazio- ne» delle funzioni di p.m. solo in capo al procuratore della Repub- blica, le «direttive» che lo stesso può adottare, oltre che di caratte- re pratico – a differenza di quanto avviene nell’esercizio del potere di «organizzazione» – possono avere anche natura giuridica, in quan- to sicuramente preordinate – nella più generale prospettiva dell’eser- cizio dell’azione penale – a realizzare quella uniformità di indirizzo

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ni Giudiziari» cit., p. 101), deve rilevarsi che, pur avendo consegui- to il principio di «personalizzazione» delle funzioni del p.m., inteso nel senso corrente di dissociazione delle competenze, «considerevo- li consensi fra gli studiosi ed in sede politica», lo stesso non sembra, tuttavia, essere stato fin qui pienamente accolto dal legislatore che, anzi, ne ha proposto una attuazione solo limitata e settoriale, ac- contentandosi di sancire la generica «autonomia» dei singoli magi- strati del p.m. nell’esercizio delle funzioni di p.m. Sembra doversi ri- tenere, pertanto, che nonostante l’intercorsa riforma del processo pe- nale, indiscutibilmente ancorato su un accentuato garantismo inter- no ed esterno, abbia finito ancora col prevalere il timore di iniziati- ve incontrollate nell’esercizio dell’azione penale, ovvero di interventi contraddittori nell’ambito dello stesso ufficio. Tutto ciò, peraltro, con il reale pericolo che il mantenimento di una (ancorché travestita) ge- rarchia interna degli uffici possa preludere alla scorporazione del p.m. dall’ordine giudiziario ed al suo assoggettamento all’esecutivo, come talune forze politiche auspicano con sempre maggior insisten- za (cfr. NEPPI MODONA, op. cit., p. 81; SCAPARONE, op. cit., p.

1107; ZAGREBELSKY, op. cit., pp. 27-29).

6) L’assetto delle competenze interne all’ufficio del p.m. nella legisla- zione vigente: la legittimazione e l’«autonomia» dei sostituti procu- ratore della Repubblica.

Si pone, a questo punto, il problema della ricognizione dei fon- damenti giuridico–concettuali della legittimazione e dei poteri/dove- ri che fanno capo ai sostituti procuratore della Repubblica nella pro- spettiva delle competenze interne all’ufficio del p.m. E, per quanto visto, legittimazione, poteri e doveri, almeno sotto molteplici aspet- ti, appaiono conseguenziali e/o ideologicamente residuali rispetto a quelli che le norme dianzi accennate attribuiscono al «titolare dell’uf- ficio»; sotto altri aspetti, invece, specie in conseguenza dell’afferma- zione del principio di «autonomia» che, per la prima volta, l’O.G. lo- ro riconosce esplicitamente, si rivelano invece propri ed originari.

Come sopra si è osservato, innanzi tutto sotto il profilo della «le- gittimazione» non sembra che, come i «titolari», anche i magistrati

«addetti all’ufficio», dello stesso siano «investiti» in senso proprio.

Ancorché, infatti, la loro assegnazione all’ufficio, alla stregua di quel-

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la del «capo», sia operata ex lege in vista dell’esercizio di quelle par- ticolari funzioni che si compendiano nell’azione penale, essi, per po- terle esercitare nello specifico sembrano necessitare, almeno secon- do la normativa in vigore, di quel peculiare atto ad hoc che è costi- tuito dalla «designazione». Essi risultano incardinati nell’ufficio, in- vero, come la stessa legge prevede espressamente, nella situazione di

«addetti» allo stesso (art. 70, 3° e 5° co., O.G.), ossia di soggetti che, pur senza esserne, come detto, «investiti», nondimeno in esso sono

«organicamente» inseriti e prestano la propria opera, peraltro in po- sizione di sottordine rispetto al «titolare» che, fin quando non pro- cede alla «designazione», è l’unico soggetto legittimato, in via pri- maria e generale, ad «esprimere» l’ufficio (cfr. SANDULLI, op. cit., p. 222; M.S. GIANNINI, voce «Organi (teoria generale)» in Enc. Dir., vol. XXXI, Milano 1981, p. 50; PIZZORUSSO, voce «Organi Giudi- ziari» cit., p. 100).

E quali siano, almeno nel concreto, natura, contenuto e limiti della «designazione» emerge, oltre che dalle considerazioni di prin- cipio di cui sopra, soprattutto dall’esplicito riferimento alla «desi- gnazione» contenuto nell’art. 3 d. att. c.p.p. e, altresì dal confronto a contrariis con l’affine istituto della «delega nominativa» di cui all’art.

72 O.G., riformulato dall’art. 22 D.P.R. 22.9.1988, n. 449. Con que- st’ultimo atto, peraltro limitato al procedimento pretorile e, in ispe- cie, alla «udienza dibattimentale» o al singolo processo, da celebrarsi in tale «udienza», il procuratore della Repubblica attribuisce nomi- nativamente «le funzioni di pubblico ministero» ad uditori giudizia- ri, a vice procuratori onorari e ad ufficiali di polizia giudiziaria che non abbiano partecipato alle indagini. Costoro, una volta ottenuta la

«delega», godono nell’udienza, delle prerogative di stabilità previste per i magistrati togati, tanto da non poter essere «revocati» se non nei limiti dell’art. 53 c.p.p. (art. 72 cpv. O.G.), il che induce a rite- nere, anche se la legge non lo afferma espressamente, ma altrimen- ti la garanzia della stabilità non avrebbe alcun senso, che essi pure, esercitino le funzioni di p.m. «con piena autonomia».

Quello che significativamente emerge, tuttavia, dal confronto tra la «designazione» e la «delega nominativa» è, innanzi tutto, la co- munanza di origine, promanando entrambe dal procuratore della Re-

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ziale analogia di oggetto fra i due istituti, rappresentato dall’atto di conferimento dell’esercizio delle funzioni di p.m., in quanto l’unica differenza sussistente al proposito sembra consistere nell’ampiezza del «mandato», posto, che al «delegato nominativo» le funzioni di p.m sono conferite solo per taluni atti e momenti del processo, men- tre al «designato», come precisa l’art. 3 d. att. c.p.p., sono attribuite per l’intero procedimento e per «tutte le fasi del relativo grado». «De- signazione» e «delega nominativa» danno, inoltre, entrambe diritto all’autonomia funzionale del soggetto che le riceve, rispetto alla trat- tazione dell’«affare» assegnato, con il rilievo che i «delegati» sono destinati all’udienza dibattimentale ove, come si è visto, l’autonomia è più accentuata e garantita.

Evidente è, invece, la differenza tra i due atti: la «designazione»

coinvolge soggetti che, come si è notato, sono organicamente e sta- bilmente inseriti nell’ufficio del p.m.; nel caso della «delega nomi- nativa», per contro, la devoluzione delle competenze si realizza nei confronti di soggetti che all’ufficio stesso sono, invece, estranei, tan- to da difettare sia della «preposizione» che di qualsiasi «investitura»

(in senso lato), allo stesso. Vi è, comunque, da osservare che anche questi ultimi, come i p.m. togati, nell’ambito delle proprie (limitate) competenze, alla stessa stregua dei primi, rappresentano ed impe- gnano l’ufficio, agendo in nome proprio, con l’accennata autonomia personale e senza necessità di ratifica degli atti compiuti da parte del «titolare».

Altra differenza tra «designazione» e «delega nominativa» si rin- viene rispetto alla forma dell’atto. Nel primo caso, infatti, né diret- tamente, né indirettamente la legge richiede formalità ad hoc, né tan- to meno un atto scritto, per cui può desumersi che la «designazio- ne» possa risultare anche implicitamente, alla predisposizione di or- dini di servizio, di «turni» o dall’assegnazione (materiale) dei singo- li fascicoli. Per contro l’art. 72 O.G. presumibilmente in ragione del- la «nominatività» della delega e della individuazione del «delegato»

fra i molteplici soggetti cui possono essere conferite le funzioni di p.m., sembra sempre presupporre uno specifico atto e, non a caso, l’art. 162 d. att. c.p.p. richiede espressamente, al proposito, l’atto scrit- to del procuratore della Repubblica.

Sembra chiaro, a questo punto che l’indicata diffusa comunan- za di aspetti ontologico–funzionali può essere spiegata solo richia- mando le pregresse considerazioni di principio: tanto la «designa-

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zione», quanto, la «delega nominativa», invero, non sono che diver- se sottospecie della «delega» in generale, di modo che per compren- derne natura, limiti e contenuto, è giuocoforza richiamare – come più volte ammesso – i principi che regolano l’istituto in ambito am- ministrativo. Trattasi, tuttavia, di una «delega» sui generis, come ha rilevato da tempo la stessa Cassazione (v. Cass. 5.7.1979, cit.), che va rapportata alla peculiarità delle funzioni di accusa e che deve, in ogni caso, fare i conti col principio di obbligatorietà dell’azione pe- nale sancito dall’art. 112 Cost., tanto è vero che anche un esercizio improprio e fuori «designazione», pur importando conseguenze di- sciplinari e sul piano della sostituzione personale del singolo magi- strato, non sembra presupporre anche l’invalidità degli atti, almeno sotto il profilo del difetto di costituzione del p.m. ex artt. 178 lett.

b) e 179, 1° co., c.p.p., vizio peraltro non previsto dal vigente codi- ce di rito (cfr. CORDERO, Codice di procedura penale commentato, Torino 1990, p. 204).

Ne consegue, a questo punto, che i soggetti investiti, per «desi- gnazione» o per «delega nominativa» delle funzioni di p.m., sono da considerare, sia pure in un modo del tutto particolare, dei «delega- ti» del procuratore della Repubblica, con la sola differenza che, il

«designato», per la sua preposizione ex lege all’ufficio, gode di pote- ri ben maggiori del «delegato nominativo» e che, come magistrato, ha pure quei diritti e facoltà che la stessa legge prevede a sua ga- ranzia, come si è visto, negli art. 70 O.G., 53 c.p.p. Ma tali norme (anche alla luce dei principi costituzionali di cui dianzi si è fatto cen- no), non gli assicurano le prerogative del giudice; il «designato», in- fatti, non gode di «indipendenza», ma solo di «autonomia» e «stabi- lità» nell’esercizio delle funzioni conferitegli dal «capo» dell’ufficio, e trattasi di «autonomia» e «stabilità» mai assolute. L’art. 3 d. att.

c.p.p. che contiene la previsione della stabilità della gestione dell’«af- fare» contiene infatti, solo una norma di carattere «programmatico»

e non «precettivo», tanto è vero che la dottrina (cfr. CORDERO, op.

cit., p. 62), la reputa mera «raccomandazione», in quanto statuisce che la stabilità vada rispettata solo fin «ove possibile», giustificando così, a contrariis, nell’ipotesi di «impossibilità» o non «possibilità», la revoca e la sostituzione, anche senza suo consenso, dell’interessa-

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scritto e motivato solo in riferimento all’udienza, legittimando così, fuori dell’udienza stessa, la possibilità di adozione di provvedimenti non scritti né motivati; requisiti, peraltro, chiaramente ancorati ad un controllo che, nel caso di specie, nessuna norma impone e nep- pure ipotizza.

L’art. 53. c.p.p., infatti, in perfetta sintonia col 4° co. art. 70 O.G., prevede che il «designato» possa essere sostituito nell’udienza nei ca- si di «grave impedimento», di «rilevanti esigenze di servizio» e nel- le ipotesi di astensione obbligatoria ex artt. 36, 1° co. c.c.p. e 18-19 O.G. E nel 4° co. dell’art. 70 O.G. si legge pure che il provvedimen- to di sostituzione deve essere comunicato (evidentemente a fini dell’accennato controllo) al C.S.M. Nessuna norma di tal genere esi- ste però, come si è detto, per la sostituzione fuori udienza. Tuttavia, anche in relazione a quanto previsto dagli artt. 70 O.G. e 53 c.p.p., può rilevarsi che la innegabile genericità intrinseca di formule qua- li «grave impedimento» e «rilevanti esigenze di servizio» sembra le- gittimare in fatto, al contrario di quanto previsto per le ipotesi di astensione (obbligatoria) ex lege, una certa discrezionalità valutativa, anche se vincolata all’impiego di criteri di particolare cautela e, co- munque oggettivi e verificabili, così come può desumersi dalla va- lenza limitativa degli attributi di cui sopra e, comunque, in quanto attinenti a provvedimenti suscettibili di sindacato, anche nel merito, da parte del C.S.M.

Come già ripetutamente osservato, l’autonomia del «designato»

o del «delegato nominativo», sono «piene» solo in udienza, ma non fuori della stessa, ed un ulteriore conferma, al proposito, si rinviene nell’art. 570 c.p.p. il quale, prevedendo che «il procuratore della Re- pubblica» ed i suoi omologhi possono proporre impugnazione «qua- li che siano state le conclusioni del rappresentante del pubblico mi- nistero», legittima pure una sorta di «riappropriazione» delle fun- zioni di p.m. da parte dello stesso «titolare dell’ufficio», allorché, ter- minata l’udienza, viene a cessare la «autonomia» del «designato» o del «delegato». Ne viene logicamente, allora che, prima, al di fuori, e dopo l’udienza (peraltro da intendersi questa espressione nel sen- so più ampio possibile, dovendosi ritenere come «udienza» sia quel- la «preliminare» che quelle relative al giudizio abbreviato, alla pat- teggiata, all’incidente probatorio, nonché quelle dibattimentali ed in camera di consiglio, cfr. CORDERO, op. cit., pp. 62-63), il sostituto

«designato» è tenuto a soggiacere alla scelta connessa alla «designa-

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zione», senza nulla poter obiettare in merito alla stessa, alle direttive impartitegli ed agli altri tipi di intervento in cui si manifesta la so- vraordinazione del «titolare» dell’ufficio e senza poter opporre la pro- pria «autonomia» e neppure richiedere un provvedimento scritto in caso di revoca o di sostituzione, che il «capo» può adottare ad libi- tum. Non può dimenticarsi, invero, che Corte Cost. 18.3.1973, nn. 143 e 144 ha precisato che l’adozione di un provvedimento scritto e mo- tivato per la revoca e la sostituzione del magistrato è giustificata (so- lo) nei confronti del giudice, a tutela della sua indipendenza, la qua- le, come ha puntualizzato la stessa Corte Costituzionale nella citata sentenza 16.3.1976, n. 52, non esiste all’interno degli uffici del p.m.

Al massimo come si è visto, il «designato» può invocare, nei li- miti dell’art. 53 c.p.p., la propria «autonomia», ma la stessa è cosa – come detto – assai diversa dall’indipendenza ed è pure intrinseca- mente incerta. Come ha rilevato la dottrina, invero (cfr. GIANNINI M.S., voce «Autonomia» in Enc. Dir., vol. IV, Milano 1959, p. 356), il concetto di «autonomia» è indefinibile univocamente nella teoria generale del diritto, in quanto variamente utilizzato in funzione di limite e/o negazione e serve a designare «non tanto l’indipendenza, ma la non dipendenza; non l’autodeterminazione, ma la non etero- determinazione; non la libertà, ma la non soggezione; non l’origina- rietà, ma la non derivazione; non la suità, ma la non implicazione…»

Essendo stata circoscritta l’«autonomia» alla sola udienza (ma anche la destinazione all’udienza potrebbe, a rigore, essere disposta dal «ca- po» col solo limite «programmatico» dell’art. 3 d. att. c.p.p.) ed es- sendo, per contro in analogia a quanto previsto in sede amministra- tiva, mantenuta la strutturazione verticistica dell’ufficio del p.m., può ritenersi giustificato, ex lege, altresì il persistere dei poteri del «tito- lare» anche in relazione ad eventuale (co)gestione degli «affari» con- feriti al «designato» o ai «designati». In effetti, la «designazione» non presuppone – neppure da un punto di vista logico–concettuale – l’ab- dicazione o la decadenza dai poteri di controllo, di indirizzo, di sol- lecitazione e simili che, in quanto titolare in via originaria e princi- pale dell’ufficio, sembrano sempre spettare al suo «capo» e soprat- tutto, essendo solamente a costui riferibile l’accennata «personaliz- zazione delle funzioni». In effetti, anche per gli espliciti riferimenti

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all’ufficio del p.m., ma pure una maggiore accentuazione dello stes- so in termini di incremento dei poteri del «titolare» dell’ufficio non si porrebbe in contrasto con i principi costituzionali; d’altra parte la

«cogestione» degli affari, anche se per linee orizzontali è esplicita- mente consentita dallo stesso art. 70, 3° co., O.G.

Secondo la legge in vigore, pertanto, sembra esistere non solo il dovere dei «sostituti procuratore della Repubblica» di dover sotto- stare alle «direttive» del «capo» e ad adeguarvisi, a pena di revoca o sostituzione (o autosostituzione) senza necessità di formali provve- dimenti ad hoc al di fuori dei circoscritti casi previsti dall’art. 53 c.p.p., ma pure di assoggettarsi ad interventi di eventuale «cogestio- ne» di singoli o plurimi affari, potendo essere opposti a tali inter- venti i soli limiti deontologi indicati in via generale da Cass. 29.5.1968, n. 244 e Cass. 23.6.1970, n. 434, secondo cui, in ogni caso devono essere salvaguardate «la indipendenza di pensiero e la libertà di de- cisione» che spettano, nell’esercizio del suo ministero, a qualsiasi ma- gistrato in relazione a tutti gli «affari» trattati.

Può affermarsi così, in conclusione, che se anche nella Relazio- ne al progetto preliminare ed al testo definitivo del c.p.p. (p. 24), si accenna alla (ormai) intercorsa esclusione di incidenze gerarchiche dei «capi degli uffici» in virtù della nuova legge processuale, la realtà concreta e quella normativa si rivelano ben diverse, in quanto non basta la mera soppressione di taluni aggettivi implicanti la struttu- razione gerarchica dell’ufficio, presenti nelle preesistenti formule, a indurre l’esistenza di un mutamento di struttura degli uffici del p.m., permanendone sostanzialmente intatto il verticismo e, anzi, essen- done accentuata l’impostazione amministrativistico–organizzativa co- me preludio, forse, al formale inserimento tra gli organi della P.A.

7) La «personalizzazione delle funzioni d’accusa» ed il principio delle competenze interne dell’ufficio del p.m. secondo la giurisprudenza costituzionale.

Il principio di «personalizzazione delle funzioni» di p.m. non sem- bra avere avuto particolare eco nella giurisprudenza della stessa Cor- te Costituzionale, la quale, anzi, almeno fino ad oggi, non solo ha re- spinto qualsiasi ipotesi di assimilazione del p.m. ad un organo giudi- cante escludendolo, uti singulo, dal corrispondente status di indipen-

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denza e connesse guarentigie, ma ha pure esplicitamente ammesso la legittimità della strutturazione interna degli uffici del p.m. su basi di gerarchia. Nella nutrita serie di pronuncie dedicate direttamente o in- direttamente al tema dell’indipendenza del p.m. (Corte Cost. 27.11.1963, n. 148; Corte Cost. 2.4.1964, n. 32; Corte Cost. 3.6.1970, n. 190, Cor- te Cost. 19.6.1971, n. 123; Corte Cost. 17.11.1971, n. 177; Corte Cost.

17.12.1972, n. 27; Corte Cost. 19.4.1972, n. 63; Corte Cost. 30.4.1973 n. 49; Corte Cost. 18.7.1973, nn. 143 e 144; Corte Cost. 29.4.1975, nn.

96 e 97; Corte Cost. 16.3.1976, n. 52; Corte Cost. 14.4.1976, n. 87; Cor- te Cost. 10.5.1979, n. 16; Corte Cost. 28.1.1991, n. 88, Corte Cost.

8.2.91, n. 72), infatti, la Consulta ha affermato non solo che, per l’obiet- tiva diversità di funzioni, il pubblico ministero non gode, nel suo com- plesso, né delle prerogative, né delle garanzie spettanti al giudice, ma che ad esso non possono applicarsi neppure, in ispecie, né il princi- pio costituzionale di «precostituzione» sancito dall’art. 25, 1° co., e neanche, sotto l’aspetto interno, quello di indipendenza di cui all’art.

101, 2° co., Cost., posto che siffatto valore ha significato solo in rife- rimento all’ufficio del p.m. nel suo insieme e non relativamente ai sin- goli magistrati che lo compongono, tanto che può ben giustificarsi, dal punto di vista della norma costituzionale (come sopra si è reite- ratamente osservato, la sua strutturazione (interna) in base a criteri verticistici). Né, in tal modo, si ha violazione dell’art. 107, 3° e 4° co., Cost. in tema di salvaguardia delle prerogative e guarentigie spettan- ti al singolo p.m., a nulla rilevando che, come il giudice, esso appar- tiene all’ordine giudiziario, posto che il p.m., è oggi più che mai «par- te» nel processo (cfr. da ultimo, in ispecie: Corte Cost. ord. 249/1990) ed è sfornito di qualsiasi potere o funzione di natura o carattere giu- risdizionali e considerato altresì che la (indiscussa) «impersonalità»

dell’ufficio cui appartiene, implica che solo a questo nel suo complesso e non ai singoli si estende la tutela costituzionale.

In quest’ordine di idee, come ha puntualmente notato la dottri- na, anche il tentativo recentemente proposto (cfr. SCAPARONE, op.

cit., p. 1108) di rileggere il cpv. dell’art. 107 in correlato con l’art.

104 Cost., per indurne l’esistenza di un divieto costituzionale, oltre che alla subordinazione esterna del p.m., anche a quella interna, si rivela come un ulteriore espediente destinato, ancora senza succes-

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8) Cenni sulla «personalizzazione delle funzioni» del p.m. negli ordi- namenti processuali stranieri.

La rilevante peculiarità del p.m. italiano, derivante dalla parti- colare configurazione datagli dagli artt. 104 e 107 Cost. e, in ispe- cie, dal suo inquadramento nell’ordine giudiziario, implica, tra l’al- tro, quei caratteri di indipendenza ed autonomia esterna ed interna che, anche se non compiutamente attuati, nondimeno ne contraddi- stinguono marcatamente natura e funzioni e ne fanno, come sarà agevole constatare, un unicum nel confronto fra le varie legislazioni europee e occidentali in genere.

Una situazione analoga alla «personalizzazione delle funzioni»

del nostro ordinamento, invero, non pare rintracciabile (salvo i li- miti di attuazione del principio di «libertà della parola», di cui all’art.

33 del codice di rito penale nel sistema francese), nei vari ordina- menti stranieri dove dominano, all’opposto, anche se con differen- ti sfumature, il principio di gerarchia, connesso alla estraneità del p.m. all’ordine giudiziario e quello di impersonalità dell’ufficio del- la pubblica accusa, ricollegabile all’inquadramento fra gli organi del- la P.A. e, più precisamente, fra gli uffici pubblici o «politici», ri- spetto a cui domina un’impostazione affatto burocratica dei rap- porti interni.

In ispecie il p.m. d’oltralpe non solo è esternamente sottoposto al potere esecutivo e, in ispecie del ministro della giustizia, ma in particolare, i singoli uffici della pubblica accusa appaiono struttu- rati internamente secondo una rigida organizzazione gerarchica, tanto è vero che non solo i vari membri dell’ufficio di procura ge- nerale presso la corte di cassazione sono funzionalmente soggetti alla volontà del procuratore generale, ma analogo potere esercita- no pure i procuratori generali presso le varie corti d’appello im- partendo ordini circa l’accertamento dei reati, l’esercizio dell’azio- ne penale ed il deposito di requisitorie scritte (cfr. artt. 35, 36, 37 cod. proc. pen.) e altresì i singoli procuratori della repubblica, i quali godono di ampi poteri nei confronti degli organi e dei fun- zionari dipendenti dai loro uffici (art. 39, 1° co., cod. proc. pen.) (MOLINARI, Pubblico ministero e azione penale nell’ordinamento francese, in Pubblico ministero e accusa penale cit., pp. 200 e 201).

Vi è da rilevare, però, che nell’ordinamento francese il p.m. non appartiene all’ordine giudiziario, anche se rispetto a questo rivela

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molteplici interferenze ed inoltre è sempre più evidente l’assimila- zione dello status del rappresentante della pubblica accusa a quello del giudice (MOLINARI, op. cit., p. 197). Non esiste, poi, il potere di avocazione, e la sostituzione del p.m., anche in udienza, è lecita so- lo nei casi assolutamente eccezionali in cui i sostituti procuratore ri- fiutino di eseguire gli ordini del capo dell’ufficio, il quale gode, al proposito, dei poteri di «impulso» e di «resistenza», nel senso di au- tonoma valutazione, rispetto al primo, dei casi e dei modi di eserci- zio dell’azione penale, peraltro retta dai principi di «opportunità» ed

«obbligatorietà» e, nel secondo, di non dar esecuzione agli ordini dei superiori e di escluderne la possibilità di interventi sostitutivi (MO- LINARI, op. cit., p. 202).

Non diversa sembra la posizione del p.m. nell’ordinamento pro- cessuale della Repubblica Federale di Germania, ove il rappresen- tante della pubblica accusa è un pubblico impiegato che dipende dal ministro delle giustizia (MOLINARI, Pubblico ministero e azione pe- nale nell’ordinamento della Repubblica federale di Germania, in Pub- blico ministero e accusa penale cit., p. 220). I singoli p.m., pertan- to, non godono né della autonomia, né della indipendenza e, ove sog- getti ad un capo dell’ufficio, ne dipendono sia burocraticamente che gerarchicamente, tanto da poter essere destituiti senza particolari for- malità. Il capo dell’ufficio vanta nei loro confronti, infatti, una plu- ralità di poteri che vanno dalla ripartizione del lavoro, a quello di disporre avocazioni e sostituzioni, di dare direttive, di compiere con- trolli, di imporre la disciplina e di dare autorizzazioni col mezzo del visto. Per contro, lo stesso capo dell’ufficio, una volta conferito un incarico ad un sostituto, non ha alcun potere, anche in caso di dis- senso, di revocare o modificare i provvedimenti legittimamente as- sunti da costui, i quali restano processualmente validi ed efficaci an- che se costituiscono violazioni interne dei doveri dell’ufficio (MOLI- NARI, op. cit., p. 221).

Quanto ai sistemi di common law, può rivelarsi in via generale che un ufficio non è rintracciabile, sia pure per grandi linee, se non negli ordinamenti giudiziari scozzese e dell’Irlanda del Nord, mentre negli ordinamenti inglese e gallese il compito di perseguire i reati e di sostenere l’accusa in giudizio è peculiarmente frazionata fra vari

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pur difettando, allo stato, secondo il costume anglosassone, una co- dificazione o, quanto meno, l’astratta esposizione dei princìpi orga- nizzativi dei vari uffici, a quanto può tuttavia riscontrarsi dall’esame delle varie regolamentazioni specifiche che, tanto la polizia, quanto il Director of public prosecutions inglese o il Lord Advocate scozzese (i quali ultimi costituiscono gli organi centrali cui in genere compe- te di esercitare l’accusa pubblica sia sotto l’aspetto consultivo che at- tivo), godono di piena indipendenza nell’esercizio delle loro funzioni rispetto ai poteri dello Stato (cfr. HUBER, La posizione degli organi d’accusa in Gran Bretagna, in Pubblico ministero e accusa penale, pp.

238-239; DE FRANCHIS, Law Dictionary, Milano 1984, pp. 108, 361 e 645-646). Per contro, i corrispondenti uffici ed organi sono inter- namente strutturati in attuazione del principio di gerarchia, tanto è vero che il Director dipende dallo Attorney-General ed a questo sotto- stanno, in Inghilterra e nel Galles, vari sostituti e ulteriori organi e funzionari, con capillare distinzione ed attribuzione di competenze di merito, rapportate all’importanza dei reati ed al rilievo della regiudi- canda, anche qui vige il principio per cui l’accusa compete, in gene- re, allo stesso funzionario che ha condotto gli accertamenti. Indiscussa è pure l’organizzazione verticistica e meritocratica della polizia, che non dipende né dall’A.G., né dal Director, né dal Lord Advocate. A cri- teri simili, anche se la gerarchia interna degli uffici è attuata in mi- sura più consistente, si ispira l’ufficio della accusa pubblica scozze- se, rispetto a cui è riscontrabile, però, maggiore unità, non essendo in genere delegabili ad estranei le funzioni d’accusa (cfr. HUBER, op.

cit., pp. 245-246).

Anche se la struttura istituzionale è diversa da quella britanni- ca e deve tenersi conto, da un lato, della presenza di una moltepli- cità di giurisdizioni penali autonome, facenti capo ai singoli Stati della Confederazione e, dall’altro, dell’esistenza di una giurisdizione federale, cui fanno capo pure principi organizzativi diversi (cfr. VI- GORITI, Pubblico ministero e discrezionalità dell’azione penale negli Stati Uniti d’America, in Pubblico ministero e accusa penale, cit. pp.

256 e ss.; DE FRANCHIS, op. cit., p. 656), va tuttavia rilevato che il District attorney o public prosecutor americano non appartiene al po- tere giudiziario e dipende, in genere, o dallo statale Chief Public Pro- secutor o dal federale U.S. Chief Public Prosecutor e svolge, a diffe- renza del p.m. inglese, in via istituzionale e permanente, le funzioni d’accusa.

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L’accennata dipendenza funzionale del public prosecutor assai la- bile e sfumata all’esterno dell’ufficio in rapporto ai vari Attorney Ge- neral dei singoli Stati e solo più accentuata rispetto allo U.S. Attor- ney General (ossia a quegli organi che, anche se impropriamente, so- no assimilabili al nostro ministro della giustizia), e invece assai ac- centuata nei confronti dei Chief Public Prosecutor, ossia dei vari ca- pi singoli uffici delle contee statali o dei distretti federali (VIGORI- TI, op. cit., p. 257; DE FRANCHIS, op. cit., p. 361). Vige, in ogni ca- so, all’interno dei singoli uffici una organizzazione fortemente ge- rarchica, in quanto il Chief, che è unico responsabile dell’esercizio dell’azione penale, ha amplissimi poteri di direzione e di indirizzo nei confronti dei vari sostituti, del cui operato risponde anche poli- ticamente, tanto è vero che i dipendenti riottosi sono passibili di im- mediata destituzione oltre che di sanzioni disciplinari. Tutto ciò per- ché l’attenzione sia dell’ordinamento federale che di quelli statali è tutta rivolta ad assicurare e garantire l’indipendenza degli organi giu- dicanti, mentre per quanto riguarda il pubblico ministero, essendo subordinato l’esercizio dell’azione penale al principio di opportunità, prevale l’interesse al coordinamento delle iniziative d’accusa (VIGO- RITI, op. cit., p. 258).

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RUOLO, FUNZIONE E FORMAZIONE PROFESSIONALE DEL VICE PROCURATORE ONORARIO

Relatore:

dott. Claudio CASTELLI

sostituto procuratore della Repubblica presso la Pretura circondariale di Milano

Gli uffici di procura presso le preture come laboratorio di una nuova impostazione dell’intervento giudiziario

Analizzare il ruolo dei vice procuratori onorari oggi a distanza di quasi un anno e mezzo dall’entrata in vigore del codice può si- gnificare due approcci totalmente distinti: uno di riscontro della realtà, verificando quali risultati abbia dato questa nuova figura, ed uno tutto di prospettiva diretto ad affrontare le possibilità e le po- tenzialità che l’istituzione di questo nuovo ruolo possa dispiegare nell’ambito di un progetto organizzativo.

La mia impressione è che sinora i viceprocuratori onorari siano stati impiegati prevalentemente per colmare vuoti e carenze, utiliz- zandoli, in particolare, per coprire le udienze dibattimentali, ma sen- za un vero inserimento nella complessiva organizzazione dell’Ufficio.

Lo stato di caos iniziale e le drammatiche carenze di personale esi- stenti hanno sicuramente fatto passare in secondo piano le possibi- lità che questa nuova figura presentava ed hanno incoraggiato un impiego non frutto di ragionate analisi, ma teso a coprire i vuoti del momento.

Una tale logica oggi deve essere abbandonata. Per questo e per altri settori non è più possibile muoversi all’insegna del rincorrere continue emergenze ed è necessario cercare di impostare un organi- co progetto organizzativo dell’Ufficio, al cui interno non può essere sprecata una risorsa umana così preziosa.

Le procure presso le Preture, proprio per l’elevatissimo numero

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