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UNA IPOTESI DI “NUOVA” RIFORMA

Nel documento Apertura dei lavori (pagine 147-171)

Intervento a cura del dott. Eugenio SELVAGGI

sostituto procuratore della Repubblica presso la Pretura Circondariale di Roma

Sommario: 1. La lunga marcia del pretore - 2. Il nuovo codice di procedura penale - 3. Primo bilancio e proposte di modifica - 4. I lavori preparatori - 5. La ventilata soppressione del GIP: considerazioni di ordine generale - 6. La bozza di articolato contenente le modifiche.

1. La lunga marcia del pretore.

Chi volesse scrivere la “storia” del pretore nella esperienza giu-diziaria degli ultimi trenta anni, la descriverebbe sicuramente come una lunga marcia nella direzione di una maggiore centralità (“im-portanza”) di questo organo dalle caratteristiche peculiari e, si po-trebbe dire, uniche.

Le radici di questa trasformazione risalgono indietro nel tempo.

Va, infatti, ricordato che con l’art. 14 del r.d.l. 31 maggio 1946, n. 511, venne trasferito al presidente del tribunale il potere di sor-veglianza sull’attività del pretore, in precedenza esercitato dal pro-curatore del Re. Il significato profondo di tale modifica risiedeva nel-la conseguenziale sottrazione del pretore al vincolo di subordinazio-ne alla magistratura inquirente/requirente (con correlativa sottoli-neatura della sua qualità di giudice).

Ma la vera svolta va individuata nella sentenza n. 88/62 della

re della Repubblica poteva, con provvedimento discrezionale e in-sindacabile, sottrarre al pretore la cognizione di reati di sua compe-tenza, trasferendoli alla cognizione del giudice superiore. Svolta tan-to più significativa se si considera che, all’indomani dell’entrata in vigore del codice Rocco, il più autorevole commentatore giustifica-va la subordinazione del pretore all’ufficio del pubblico ministero con il fatto che trattandosi (i pretori) di “magistrati generalmente poco esperti, residenti in piccoli centri isolati, e talora di reggenti onora-ri, la completa indipendenza potrebbe nuocere alla buona ammini-strazione della giustizia” (così MANZINI, Trattato di diritto proces-suale italiano secondo il nuovo codice, vol. II, Torino UTET, 1931, 260); sicché opportuna era parsa (così la Relazione al progetto del codice, p. 15) la sottrazione della competenza in ordine “a quei pro-cedimenti che richiedono indagini complesse, o che implicano la va-lutazione di interessi economici e morali di particolare rilevanza”.

Ancora, e più chiaramente: “per evitare che siano giudicati dal pre-tore reati, la cui cognizione possa implicare la valutazione di inte-ressi particolarmente delicati o la risoluzione di questioni molto ar-due, ho accolto una proposta della Corte di cassazione e della Fa-coltà di giurisprudenza di Padova, permettendo che il procuratore del Re possa disporre con provvedimento assolutamente discrezio-nale, e quindi non formale né motivato, che un procedimento, che sarebbe di normale competenza pretoria, sia invece rimesso al tri-bunale” (v. Codice di procedura penale illustrato con i lavori prepa-ratori, Tipografia della Camera dei deputati, Roma MCMXXX-IX, 37).

Esattamente è stato fatto risalire a questa dichiarazione di ille-gittimità il maggiore rilievo sociale assunto dal pretore nel settore penale.

Da qui nasce la figura nuova e moderna del giudice-pretore che ha caratterizzato l’esperienza giudiziaria fin dall’inizio degli anni set-tanta. Da una parte l’ampia fascia di popolazione coinvolta nella cri-minalità di competenza del pretore, dall’altra il suo forte radicarsi nella realtà sociale, hanno consentito al pretore di proporre una nuo-va impostazione culturale del proprio ruolo, sensibile ai nuo-valori san-citi nella Carta costituzionale, tesa alla tutela di interessi collettivi e diffusi che, in precedenza, non avevano trovato ingresso nelle aule giudiziarie.

L’aumento di competenza disposto con la legge n. 339 del 1984 (addirittura più esteso, secondo il disegno di legge Martinazzoli, che

aveva ricompreso anche i reati di omicidio colposo) ha costituito un ulteriore segmento della indicata tendenza “espansiva”.

A fronte di questa mutata situazione, appariva ancora più ana-cronistica e non in linea con i principi generali e costituzionali il cu-mulo delle funzioni inquirenti e giudicanti (con una delle ultime de-cisioni sul tema - la n. 286/B6 - la Corte costituzionale si astenne da una (preannunciata) dichiarazione di incostituzionalità in previsione della entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale; la leg-ge delega, infatti, era in dirittura di arrivo).

Con il nuovo codice la lunga marcia del pretore è giunta al ter-mine.

2. Il nuovo codice di procedura penale.

Il ruolo che il pretore si era ritagliato (che la storia sociale, po-litica, economica e giudiziaria del nostro paese negli ultimi venti an-ni gli avevano assegnato) era, come abbiamo visto, strettamente col-legato alla sua posizione di indipendenza nell’ordinamento giudizia-rio e, soprattutto, alla concentrazione nella sua persona di funzioni inquirenti e giudicanti.

Questa linea di sviluppo, con le sue luci e le sue ombre, si è con-clusa con il nuovo codice (che questo sia un bene o un male, è que-stione che, oramai è rimessa agli storici).

La figura tradizionale del pretore, infatti, non esiste più: esso è stato sostituito - replicando lo schema predisposto per il procedi-mento davanti al tribunale - da tre organi: il p.m., il GIP, il pretore del dibattimento.

Seguendo la direttiva (n. 103) contenuta nella legge delega, il procedimento pretorile è stato costruito (tendenzialmente) secondo un criterio dettato dalla massima semplificazione, ed è caratterizza-to dalla mancanza dell’udienza preliminare.

Se si volessero individuare le novità salienti del nuovo sistema, queste possono essere indicate (cfr. Pignatelli, Marasca) nelle se-guenti: 1. il pretore è al centro dell’organizzazione giudiziaria pena-le, perché viene a trattare la maggior parte degli affari penali; 2. il

cedimento davanti al tribunale) e promozionale in ordine alla chiu-sura anticipata del procedimento, significativamente espresso dalla emissione diretta del decreto di citazione a giudizio da parte del pub-blico ministero.

3. Primo bilancio e necessità di avviare un processo di modifiche Costituisce un dato di comune constatazione che la prima espe-rienza del nuovo processo di pretura non ha presentato un bilancio del tutto positivo.

Le ragioni di ciò non risiedono (solo) nella disciplina positiva (pure opinabile, come tutte).

Le ragioni di quello che da taluni è stato definito il quasi “sfa-celo” che è sotto gli occhi di tutti (dal quale, peraltro, sembra che ci si stia allontanando; il che dimostra che gran parte delle cause del-la vischiosità deldel-la prima attuazione non risiedono neldel-la disciplina codicistica) stanno soprattutto: nella mancata predisposizione di ade-guate strutture personali e materiali; nella non tempestiva emana-zione del provvedimento di amnistia (che avrebbe dovuto essere adot-tato prima dell’entrata in vigore del codice, con conseguente elimi-nazione di un pesante arretrato e con possibilità, di utilizzare, per ciò, un organo - il pretore - anziché due - p.m. e gip - ); nella man-cata predisposizione di una incisiva depenalizzazione; nella manca-ta istituzione del giudice di pace, nella non attuamanca-ta revisione delle circoscrizioni giudiziarie.

Però anche la disciplina positiva non è esente da critiche.

E non ci si riferisce solo a lacune normative, ad aspetti miglio-rabili, a norme che danno adito a dubbi interpretativi (non può tut-tavia non rilevarsi come gli operatori abbiano espresso la singolare tendenza a sollevare questioni di costituzionalità anziché sforzarsi a interpretare le norme - nel che consiste essenzialmente la funzione giurisdizionale - secondo i principi ricavabili dalle linee informatri-ci del nuovo sistema).

Uno dei punti che ha sollevato maggiori critiche è rappresenta-to dal - sofisticarappresenta-to - meccanismo della citazione a giudizio.

Sicché non desta meraviglia che proprio questo aspetto è stato preso, per primo, in esame in relazione alle modifiche consentite dall’art. 7 della legge delega.

4. I lavori preparatori.

Come è noto, con D.M. 2/1/1990, è stata istituita la Commissio-ne per l’individuazioCommissio-ne dei settori normativi del c.p.p. da sottoporre a modifica (Commissione Casadei Monti).

Con successivo D.M. è stata istituita la Commissione per l’inte-grazione e correzione delle norme sul nuovo processo penale (Com-missione Pisapia).

Già nel maggio 1990, la Commissione Casadei Monti aveva so in esame la disciplina del passaggio dalla fase delle indagini pre-liminari a quella del giudizio, caratterizzata dalla diretta emissione del decreto di citazione ad opera del pubblico ministero.

Secondo la ricostruzione proposta dai compilatori del codice, la previsione del decreto di citazione a giudizio davanti al pretore qua-le atto del p.m., e la sua definizione quaqua-le atto compqua-lesso “che pro-duce effetti a seconda di quello che sarà l’atteggiamento dell’impu-tato nei confronti delle possibilità che gli vengono offerte di defini-zione anticipata del procedimento, rappresentano elementi che con-feriscono originalità alla soluzione data dal legislatore in materia di introduzione al giudizio in un procedimento che è caratterizzato dal-la mancanza dell’udienza preliminare”. Neldal-la redal-lazione si legge an-cora: “i motivi di economia e di convenienza di tale meccanismo so-no di tutta evidenza. Con un atto unico si ottengoso-no due effetti: sol-lecitare l' imputato ad avvalersi di un rito abbreviato e contestual-mente citarlo per il giudizio ad una data già fissata ove tale solleci-tazione non venga accolta” (p. 123).

Ora, la Commissione Casadei Monti aveva raccolto un numero consistente di rilievi alla disciplina così predisposta (provenienti da quasi tutti gli uffici giudiziari) dalla quale deriva la potenziale con-corrente competenza di due organi (il gip e il pretore). Inoltre era stato rilevato che spesso la predeterminazione dei processi da trat-tare nella stessa udienza dibattimentale costituisce dato soggetto a modifica, di tal che può capitare che l’udienza all’uopo fissata risul-ti stravolta perché nel frattempo è intervenuta la definizione di tut-ti o gran parte (o anche solo di pochi, il dato quantut-titatut-tivo e irrile-vante) dei procedimenti. Con le gravi conseguenze che è facile

im-più imputati, l’aggravio aumenta proporzionalmente) al fine di veri-ficare se sia decoroso il termine di quindici giorni, entro il quale l’imputato può attivare i riti alternativi: solo a questo punto, infatti, viene individuato il giudice naturale e il p.m. potrà espletare gli in-combenti previsti dalla legge (formazione del fascicolo per il dibat-timento, presentazione della lista testi).

A ciò è da aggiungere che, poiché il decreto di citazione costi-tuisce atto introduttivo del giudizio e, al tempo stesso individuativo della competenza a decidere, e poiché esso è atto del pubblico mi-nistero, ove la citazione debba essere rinnovata (perché nulla o omes-sa, oppure perché il pretore ha applicato la disposizione contenuta nell’art. 485. 1) il procedimento deve necessariamente (secondo l’in-terpretazione che sembra più corretta) regredire perché l’imputato deve essere nuovamente messo in condizioni di esprimere la propria scelta in ordine ai riti alternativi e, qualora ciò avvenga, il giudice naturale sarà il gip e non il pretore.

Va qui rilevato che per porre rimedio a tale ultimo inconveniente, avrebbe potuto procedersi con una modifica legislativa in base alla quale la rinnovazione della notificazione o del decreto costituisse adempimento del pretore e, ove l’imputato si avvalesse di un rito al-ternativo, fosse appunto il pretore a rimettere gli atti al gip (al qua-le, a sua volta, il pubblico ministero avrebbe trasmesso il proprio fa-scicolo) oppure al pubblico ministero (il quale avrebbe poi attivato il giudice per le indagini preliminari). E’ evidente che una tale scel-ta si sarebbe tradotscel-ta in una ulteriore complicazione processuale. Co-me pure sarebbe stata causa di appesantiCo-mento la previsione di un previo “interpello” dell’imputato (antecedente alla emissione del de-creto di citazione), che avrebbe comportato una doppia notifica: in-fatti questa soluzione, proprio per tale motivo, era stata respinta dal-la Commissione che aveva redatto il codice.

Sicché alla Commissione Casadei Monti parve proponibile la so-luzione che assegna al pretore del dibattimento anche la competenza in ordine ai riti alternativi dopo l’emissione del decreto di citazione.

A questo punto va messo in rilievo che la Commissione si è po-sta il problema delle eventuali incompatibilità che nello schema in-dicato avrebbero dovuto essere fissate al fine di evitare che il preto-re divenisse un giudice “ppreto-regiudicato”.

Questo tema, anzi, è stato al centro di una attenta riflessione an-che in seno alla Commissione Pisapia in occasione dell’esame della

indicata proposta. In linea teorica le incompatibilità possono ri-guardare: a) il caso in cui il giudice ritenga di non potere decidere allo stato degli atti nell’ipotesi di giudizio abbreviato; il caso in cui il giudice respinga la richiesta di patteggiamento; c) il caso in cui siano stati presi provvedimenti particolarmente significativi nel cor-so delle indagini preliminari (ad esempio misure cautelari).

Senza la pretesa di trattare esaustivamente l’argomento, può però rilevarsi:

1) che la presa visione degli atti non dovrebbe esplicare alcun effetto sul giudizio, posto che il giudice deve porre a base delle de-cisioni solo le prove utilizzabili. L’asserita “ignoranza” del giudice, prima ancora che impossibile ad essere assicurata in modo assolu-to, è principio che non risulta formalmente recepito in alcuna parte del codice, perché il meccanismo positivamente espresso è quello del-la utilizzabilità/inutilizzabilità.

2) che in ogni caso il principio della c.d. ignoranza del giudice conosce rilevanti eccezioni: a) nel caso del giudizio direttissimo, che si instaura davanti allo stesso pretore che ha proceduto alla conva-lida dell’arresto, e inoltre, nella stessa ipotesi, nel caso di trasfor-mazione del rito (art. 452. 2); b) nel caso di patteggiamento, perché il giudice può chiedere in visione gli atti al pubblico ministero onde verificare l’esattezza delle coordinate giuridiche dell’accordo (art. 135 att.); c) in ogni caso in cui siano state emesse misure cautelari per-sonali in corso, in quanto i relativi provvedimenti vanno inseriti nel fascicolo per il dibattimento (art. 432 c.p.p.).

Assolutizzare il principio dell’ignoranza fino a fare scattare l’in-compatibilità ogni qualvolta il giudice abbia comunque messo gli oc-chi nel fascicolo del pubblico ministero, vorrebbe dire precostituire una situazione difficilmente gestibile. Ad esempio, dovrebbe darsi ri-lievo a qualsiasi richiesta avanzata nel corso delle indagini prelimi-nari, che essa sia accolta oppure respinta.

Infatti se “ignoranza” vuol dire assenza di “pregiudizio”, è evi-dente che questa esigenza si presenta non solo a tutela e garanzia dell’imputato, ma altresì, del rappresentante della pubblica accusa, il quale a buon motivo potrebbe ritenere “pregiudicato” il pretore il quale, nel corso delle indagini, abbia respinto una richiesta

ritenen-Ma torniamo al succinto excursus storico.

Quello che più mette conto rilevare, è che dalla modifica pro-posta dalla Commissione Casadei Monti conseguiva la tendenziale eliminazione del gip quale organo a sé stante, ferme restando, natu-ralmente, le funzioni allo stesso attribuite dalla legge nel corso del-le indagini preliminari.

Quest’ultimo punto, che secondo la riflessione della Commissio-ne propoCommissio-nente costituiva un posterius rispetto alla proposta di mo-dificare la modalità di introduzione al giudizio, divenne un punto fondamentale nelle discussioni della Commissione Pisapia (maggio 1990), nel corso delle quali emersero due antitetici orientamenti, due linee di intervento radicali tendenti l’uno alla soppressione dell’uffi-cio (non delle funzioni) del gip, l’altro al suo potenziamento, even-tualmente attraverso il conferimento di nuove funzioni. Convenendo sulla opportunità di modifiche radicali, la Commissione Pisapia ap-prova in linea di massima la soluzione proposta, che comunque an-dava approfondita e riesaminata.

I successivi passaggi dei lavori preparatori testimoniano l’ap-profondimento del tema.

Sicché in una successiva riunione (novembre 1990), la Commis-sione Pisapia, convenendo sul rilievo che uno dei nodi del nuovo pro-cesso fosse rappresentato dal meccanismo dei rapporti tra l’instau-razione dei procedimenti speciali e il dibattimento, e restando dell’idea che la proposta della Casadei Monti fosse una ottima base di discussione, ampliò l’esame a tre alternative che erano già emer-se nel corso della precedente riunione:

1) decreto di citazione del pubblico ministero a comparire da-vanti al pretore del dibattimento, con possibilità di instaturare i pro-cedimenti speciali nella fase degli atti preliminari al dibattimento.

Tale soluzione comportava la tendenziale eliminazione del gip; inol-tre poneva il problema della eventuale opportunità di stabilire tra la persona fisica del pretore che sovraintende agli atti preliminari al di-battimento e il pretore che, in una udienza necessariamente separa-ta, sarebbe stato eventualmente chiamato a celebrare il dibattimen-to (o comunque di fissare criteri di incompatibilità).

2) Decreto di citazione del pubblico ministero davanti al giudice per le indagini preliminari, con facoltà dell’imputato (ed eventual-mente del pubblico ministero) di chiedere la celebrazione del dibat-timento. Tale soluzione comportava un rafforzamento della figura del

gip, destinato a divenire l’organo esclusivo dei procedimenti speciali.

3) Affidare al pubblico ministero la scelta tra disporre la cita-zione dell’imputato davanti al gip oppure davanti al pretore del di-battimento, a seconda della natura del procedimento, dei risultati delle indagini preliminari, della propensione a prestare il consenso ai procedimenti speciali. Tale soluzione comportava, di converso, un consistente rafforzamento del ruolo del pubblico ministero (ma po-neva delicati problemi in ordine alla individuazione di parametri al-la luce dei quali il p.m. avrebbe operato le varie scelte, sì da evitare una assoluta discrezionalità che avrebbe dato adito a censure di in-costituzionalità).

Veniva pertanto sollecitato un nuovo intervento della Commis-sione Casadei Monti, la quale avrebbe dovuto operare una ricogni-zione presso alcuni uffici giudiziari.

Appare evidente come qualunque soluzione proposta o astratta-mente proponibile presentava pro e contro che bisognava valutare da un duplice angolo visuale: da una parte il rispetto di uno sche-ma che conservasse corretti aspetti di sistesche-maticità; dall’altra l’atten-zione all’esigenza di predisporre una disciplina che avesse costi ade-guati (comunque non eccessivi) rispetto ai risultati.

Ad esempio il previo, necessario, passaggio attraverso il gip, avreb-be potuto determinare un’attività processuale in superfetazione (si pensi al caso in cui, in quella sede, venisse richiesto il giudizio di-battimentale, ovvero a quello in cui l’imputato - o anche uno solo tra gli imputati - fosse stato contumace: la conseguenza sarebbe stata la necessaria emissione di altro decreto di citazione a giudizio, con al-tre notifiche ecc.). Inolal-tre non andava trascurato un rilievo fonda-mentale: che la possibilità di definire anticipatamente il procedimen-to con i riti alternativi decresce proporzionalmente quanprocedimen-to più il mo-mento della scelta si allontana da quello del dibattimo-mento (le remis-sioni di querela in dibattimento la dicono lunga su questa tendenza).

Ancora una volta la Commissione Casadei Monti individuava nell’attuale meccanismo introduttivo del giudizio uno dei nodi da scio-gliere. In particolare veniva rilevato che il decreto di citazione a giu-dizio davanti al pretore presenta caratteri di non chiara intelligibi-lità, fatta eccezione per la indicazione essenziale - ed evidenziata nei

dell’udienza. Da qui ancora, due conseguenze. a) che risulta preclu-so, oramai, il ricorso al giudizio abbreviato; b) che residua un con-sistente margine temporale (“fino all’apertura del dibattimento”) per esperire il patteggiamento o la procedura di oblazione: in entrambi i casi l’udienza dibattimentale risulterà inutilmente fissata (e i testi-moni inviati a tornare a casa, con evidente calo della credibilità del-la giustizia). L’ultima conseguenza (stravolgimento dal ruolo di udien-za) consegue anche al ricorso ai riti alternativi a norma dell’art. 557 c.p.p. (nel termine di quindici giorni dalla notifica del d.c.).

Per la prima volta, peraltro, la Commissione esaminava attenta-mente la questione relativa alla soppressione del gip, giungendo a una conclusione in tal senso. In particolare veniva rilevato, da un lato, che nelle preture piccole o medio piccole, la promiscuità di funzioni (co-munque la mancata istituzione di un ufficio a sé) rappresenta dato normale e costante. Dall’altro, di converso, che nelle grosse preture so-no state realizzate strutture rigide - le sezioni dei gip - con impiego consistente di personale di cancelleria, di locali e di altre risorse per-sonali e materiali. La soppressione del gip avrebbe consentito una ot-timale utilizzazione dei giudici operanti nel settore penale, quindi tan-to i gip quantan-to i pretan-tori, in quantan-to il lavoro sarebbe risultatan-to distri-buito equamente e razionalmente tra tutti i magistrati.

L’orientamento della Commissione all’esito di una approfondita discussione fu nel senso che le modifiche al procedimento pretorile

L’orientamento della Commissione all’esito di una approfondita discussione fu nel senso che le modifiche al procedimento pretorile

Nel documento Apertura dei lavori (pagine 147-171)