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LA PROCURA CIRCONDARIALE E GLI ALTRI UFFICI DEL P.M

Nel documento Apertura dei lavori (pagine 99-113)

Relatore:

dott. Franco PROVIDENTI

procuratore della Repubblica presso la Pretura circondariale di Reggio Calabria

Il tema assegnatomi può essere esaminato sotto un duplice pro-filo. Vedremo prima i rapporti fra uffici del pubblico ministero che attengono alla organizzazione; successivamente passeremo all’esame dei rapporti conseguenti all’esercizio della funzione e, quindi, alla concreta attività d’indagine.

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L’organizzazione degli uffici del P.M. nel nuovo codice di pro-cedura penale è segnata dalla struttura gerarchica. In ciò si con-traddistingue da quella del giudice che, di contro, è caratterizzata dall’autonomia di ogni collegio giudicante e di ogni singolo giudice sia esso monocratico o collegiale.

La gerarchia prevista però per gli uffici del P.M. è sui generis poiché si sviluppa attraverso poteri conferiti ai dirigenti o agli uffi-ci superiori, che non comportano il pedissequo obbligo di unifor-marsi alle direttive, ma piuttosto la possibilità di avocazione, sosti-tuzione, coordinamento, sorveglianza.

Ci occuperemo in particolare soltanto dei rapporti fra i vari uf-fici, essendo escluso dal tema della relazione l’analisi dei rapporti tra dirigenti e sostituti nei vari momenti dell’attività e del procedimento.

Il principio gerarchico tra uffici diversi assume rilevanza in due

b) avocazione delle indagini da parte del procuratore generale nei casi consentiti.

Il contrasto sulla competenza è regolato dall’art. 54 del c.p.p. ed è del tipo negativo; è previsto cioè il caso in cui il P.M. che ha rice-vuto l’informativa di reato ritenga di non essere competente per ma-teria o per territorio ed investa altro P.M., che a sua volta non condi-vide la decisione di colui che gli ha trasmesso gli atti. Si realizza un vuoto che viene colmato con la procedura prevista dal 2° comma dell’art.

54. Sarà il procuratore generale presso la Corte di Appello, ovvero, qua-lora il secondo P.M. appartenga ad un distretto diverso, il procurato-re generale pprocurato-resso la Corte di Cassazione, a dirimeprocurato-re il caso.

Da osservare che la procedura seguita è priva di ogni formalità a differenza di quella prevista per i giudici dagli artt. 28 e segg. c.p.p..

Ciò, perché il problema può porsi soltanto nella fase degli atti pre-liminari e non investe in alcun modo né il giudice né le altre parti;

si esaurisce nell’ambito della struttura organizzativa del P.M. con il semplice riferimento al criterio gerarchico.

La norma non regola ovviamente i contrasti «positivi», dato che in questo caso si trasformano in conflitti di competenza tra giudici.

E’, infatti, possibile, e lo vedremo meglio allorché tratteremo delle in-dagini collegate, che più uffici del P.M. svolgano inin-dagini prelimina-ri sullo stesso fatto, salvo la necessità di precisare la competenza nel momento in cui si passa dall’indagine allo svolgimento di atti che com-portino la decisione del giudice ed il confronto con le altre parti.

Il conflitto negativo, risolvendosi all’interno della parte proces-suale P.M., comporta che il procuratore generale investito deciderà con immediatezza poiché dovrà tener presente i limiti temporali di durata delle indagini preliminari, che potrà avvalersi dell’intero fa-scicolo (in copia o in originale) non essendovi alcun motivo di se-gretezza che consigli limitazioni nel trasferimento degli atti, e che in-fine possa designare un ufficio diverso da quelli in contrasto, radica-to presso un giudice del medesimo o di altro distretradica-to. La semplicità del rito e della forma evita il ricorso a qualsiasi adempimento pro-cessuale diverso dalle semplici richieste dei giudici in conflitto.

L’ultimo comma dell’art. 54 sancisce il principio della conserva-zione degli atti compiuti prima della trasmissione o della designaconserva-zione.

Anche questa disciplina è diversa da quella prevista dall’art. 26 relativa alla sorte delle prove acquisite dal giudice incompetente. Evi-dentemente il legislatore ha voluto attribuire prevalenza alla

neces-sità di utilizzare gli atti, spesso di notevole importanza, acquisiti dal-la polizia giudiziaria e dal P.M. incompetente, anche in redal-lazione ai ritmi che la brevità del termine impone alle indagini preliminari.

Non rientrano nell’ambito dei contrasti di attribuzione tra uffi-ci diversi del P.M. i casi in cui la divergenza deriva da un provvedi-mento del G.I.P.. E’ evidente infatti che se il giudice rifiuta di emet-tere un provvedimento adducendo di essere incompetente e restitui-sce gli atti al P.M., a quest’ultimo non resta che trasmetterli a sua volta al giudice competente, essendo l’eventuale prosecuzione delle indagini preliminari frustrate dall’impossibilità di avvalersi di even-tuali provvedimenti del G.I.P..

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La avocazione delle indagini da parte del Procuratore Generale presso la Corte di Appello, costituisce una eccezione così limitata da potersi ritenere che si sia voluto escludere il medesimo dall’esercizio dell’azione penale.

I casi consentiti sono regolati dagli artt. 412 e 372 c.p.p..

L’art. 412 prevede due diverse fattispecie che consentono l’avo-cazione. La prima è costituita dall’inerzia del P.M. per decorrenza del termine previsto dall’art. 405, 2° comma o eventualmente per de-correnza anche del termine prorogato ai sensi degli artt. 406 e 407.

In questo caso vi è un potere–dovere del procuratore generale di sostituirsi all’ufficio dipendente che è rimasto inerte e di promuove-re l’azione penale o l’archiviazione.

Il codice però non ha previsto alcun meccanismo che consenta la sicura ed immediata informazione al procuratore generale dei ca-si di inerzia. Ne deriva che l’indicato potere–dovere ha scarsa inci-denza concreta. Il P.G., infatti, ha normalmente notizia della sca-denza del termine quando l’azione penale, sia pure in ritardo, è sta-ta esercista-tasta-ta e si è già verificato l’effetto preclusivo previsto dall’ul-timo comma dell’art. 407, ovvero, nei casi in cui vi sia stata richie-sta di avocazione da parte della persona sottoporichie-sta alle indagini o della persona offesa dal reato (art. 413 c.p.p.).

La seconda ipotesi di avocazione regolata dall’art. 412 ha

carat-ma, prevede che il G.I.P. se non accoglie l’istanza di archiviazione fissa la data dell’udienza in camera di consiglio ed a norma del 3°

comma ne dà comunicazione al P.G..

Per il procedimento davanti al Pretore si applica l’art. 554. Non essendo prevista l’udienza preliminare, il G.I.P. che non accoglie l’istanza di archiviazione, restituisce con ordinanza gli atti al P.M., disponendo che entro dieci giorni questi formuli l’imputazione per il decreto di citazione a giudizio. Anche in questo caso l’ordinanza è comunicata al P.G.. Qust’ultimo può disporre l’avocazione.

Si tratta di un’avocazione che si differenzia nettamente da quella prevista dal 1° comma dell’art. 412, poiché non vi è stata inerzia del procuratore della Repubblica, ma semplicemente una valutazione ne-gativa in ordine alla configurabilità di un reato non condivisa dal G.I.P..

La mancanza di inerzia del P.M. pone seri dubbi sulla confor-mità alla direttiva N. 42 della legge delega della disposizione accol-ta dal codice.

Altra caratteristica, non prevista dalle direttive di delega, è costi-tuita dal carattere discrezionale del potere conferito al P.G., che, do-vrà fare una valutazione di opportunità senza obbligo di motivazione.

Si desume comunque dall’insieme dell’istituto che il P.G. dovrà ga-rantire il corretto svolgimento della dialettica processuale e quindi do-vrà ritenere opportuno il suo intervento nei casi in cui la presenza at-tiva del P.M. sia necessaria. Ciò si ricava soprattutto dal fatto che l’ob-bligo di informazione del P.G. è stato previsto per i reati di compe-tenza del tribunale soltanto nei casi in cui il G.I.P., a fronte della ri-chiesta di archiviazione da parte del P.M., abbia fissato l’udienza in vista dell’eventuale effettuazione di nuove indagini da indicare allo stesso P.M. Il combinato disposto degli artt. 412 e 409, 5° comma, non consente l’avocazione al P.G. nei casi in cui il G.I.P. inviti diret-tamente il P.M. a formulare l’imputazione, salvo evidentemente quan-to previsquan-to in senso diverso per il giudizio prequan-torile dall’art. 554 c.p.p.;

L’avocazione prevista dal 1° comma dell’art. 412, cioè per iner-zia del procuratore della Repubblica, presenta la caratteristica di con-ferire al P.G. soltanto trenta giorni per formulare le sue richieste. Si tratta di un termine irrisorio che parte della dottrina ritiene non conforme all’art. 112 Cost. poiché non consentirebbe le indagini ne-cessarie per potere esercitare l’azione penale.

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Un’altra possibilità di avocazione è stata prevista dall’art. 372 c.p.p.

L’ipotesi prevista è quella dell’«inerzia» non dipendente dalla vo-lontà dell’organo inquirente, ma dall’impossibilità di provvedere alla tempestiva sostituzione in casi di astensione o di incompatibilità del magistrato delegato, ovvero dal fatto che il dirigente dell’ufficio del P.M., non ha provveduto alla tempestiva sostituzione del magistrato delegato quando questi avrebbe dovuto essere sostituito in applica-zione delle leggi di ordinamento giudiziario, per la sua astensione.

Il P.G. deve disporre con decreto motivato, assunte, quando oc-corre, le necessarie informazioni. Non ha però largo margine di ap-prezzamento, dato che deve soltanto limitarsi a verificare l’esistenza del blocco dell’indagine e la non rimediabilità senza il suo intervento.

Conclusivamente, per quanto riguarda il potere di avocazione del P.G., può osservarsi che esso, oltre ad avere carattere eccezionale, ha la caratteristica di essere previsto solo per i casi in cui si sia ve-rificata «inerzia» nelle indagini, ovvero situazioni di stallo in con-trasto con le esigenze dinamiche del processo (art. 412, 2° comma).

Si tratta quindi di uno strumento che non altera il principio se-condo il quale l’esercizio dell’azione penale è affidato soltanto ai Pro-curatori della Repubblica ma lo conferma attribuendo al P.G. solo poteri che per i loro limiti e le caratteristiche peculiari sono stretta-mente correlati al potere di sorveglianza ed all’esigenza di consenti-re in ogni caso il corconsenti-retto svolgimento della dinamica processuale.

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Un’istituto diverso dall’avocazione ma che comporta un inter-vento del P.G. attributivo di funzioni è quello contenuto nell’art. 370, 3° comma. Si tratta di una delega che il P.G. conferisce all’ufficio del P.M. che ha presentato le conclusioni in primo grado di rappre-sentarlo nel giudizio di appello.

Perché ciò si verifichi sono però necessarie due condizioni:

a) il P.M. che ha presentato le conclusioni deve fare espressa-mente richiesta nell’atto di appello di partecipare al giudizio di se-condo grado.

Non pare quindi possibile la partecipazione nel caso in cui il

garantire al P.M. di primo grado che abbia sostenuto l’accusa senza ottenere dal primo giudice l’accoglimento delle sue tesi, la possibi-lità di riproporle personalmente in secondo grado, allorché le stesse siano condivise anche dal P.G..

Ciò consente la sostanziale facilitazione e l’accellerazione del giu-dizio d’appello.

I rischi di personalizzazione dell’accusa paventati da qualche au-tore, ritengo siano minimi, visto che il decreto di delega del P.G., comporta acquisizione di corresponsabilità dell’organo delegante in ordine alle tesi sostenute in primo grado.

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Dobbiamo adesso occuparci di un istituto sorto con il nuovo co-dice di procedura penale ed ignoto alla legislazione precedente: le in-dagini collegate.

Esuliamo quindi dall’esame dei rapporti di tipo organizzativo fra uffici del P.M. per entrare, in particolare, nel campo delle indagini e del loro contenuto.

La materia è regolata dagli artt. 371 c.p.p. e 118 bis decr. leg.

28.7.1988, n. 271, mod. dall’art. 9 del decr. leg. 14.1.1991 n. 12.

Il legislatore ha affrontato il problema delle indagini che si pro-spettano, in fase di avvio del procedimento e durante il suo corso, co-me interessanti una pluralità di episodi o, comunque, che siano espres-sione di attività criminale associata, posta in essere il più delle volte da organizzazioni criminali che operano a vasto raggio su territori ben più ampi dei confini del circondario o del distretto. Rompendo con la tradizione legislativa e giurisprudenziale che tendeva a privi-legiare in ogni caso il simultaneus processus, nel nuovo codice è sta-ta ridotsta-ta notevolmente la possibilità di spossta-tamento di competenza per connessione, prevedendo poche e tassative ipotesi di svolgimento unitario del processo per imputazioni connesse. Si è voluto così ren-dere difficile la costruzione dei cosiddetti «maxiprocessi», ma ovvia-mente si rischia, frammentando le imprese criminali in una miriade di processi, di perdere di vista l’unità del disegno criminale delle as-sociazioni a delinquere e la pericolosità delle loro attività.

Negli intenti del legislatore le disposizioni contenute nell’art. 371 dovrebbero ovviare a queste difficoltà. Si è sancito quindi che la ri-duzione dei casi di connessione non influisce sulle attività del P.M.;

anzi, le indagini preliminari possono spaziare senza limiti, purché si riferiscano a fatti specifici. L’art. 371 prevede infatti un’ampia pos-sibilità di collegamento tra le indagini preliminari avviate da due o più uffici del P.M..

La scelta è fondata sull’esperienza delle indagini svolte sotto la vigenza del vecchio codice da più magistrati di diversi uffici di pro-cura o di giudici istruttori, collegandosi e talvolta agendo congiun-tamente. Presenta però la sostanziale differenza che il collegamento previsto dall’art. 371 avviene solo nella fase delle indagini prelimi-nari e non interessa la fase processuale vera e propria. Si è detto che si è voluto consentire le «maxi–inchieste», eliminando i «maxipro-cessi». E’ discutibile che ciò basti a risolvere il problema della spe-ditezza, economia ed efficacia delle indagini in funzione di una uti-le attività di repressione del crimine organizzato.

I casi in cui sia possibile attivare le indagini collegate sono pre-visti dal 2° comma dell’art. 371 c.p.p. La lettera a) del predetto ma indica le fattispecie in cui può verificarsi lo spostamento di com-petenza per connessione a norma dell’ art. 12 c.p.p.

Questa prima indicazione consente di osservare che nella fase delle indagini preliminari per il P.M. le regole sulla competenza non sono rigide. I singoli PP.MM. che operano per reati connessi pos-sono utilmente continuare ciascuno la propria indagine, collegan-dosi fra di loro fino al momento in cui la necessità di far interve-nire il giudice determini l’esigenza dello spostamento della compe-tenza.

Sotto la stessa lettera sono previsti anche due casi che possono determinare la riunione dei processi, se pendenti davanti allo stesso giudice e nello stesso stato: i casi di reato continuato e di reati com-messi da più persone in danno reciproco le une delle altre. E’ evi-dente che il collegamento può avvenire allorché sia concretamente possibile la riunione ai sensi dell’art. 17, ed anche quando i proces-si non potranno essere riuniti.

Le lettere b) e c) ampliano notevolmente la possibilità del colle-gamento delle indagini, rispetto agli istituti della connessione e del-la riunione dei procedimenti. E’ previsto infatti il collegamento se del-la prova di un reato o di una sua circostanza influisce sulla prova di

sti al fine di soddisfare le esigenze investigative presenti nelle inda-gini riguardanti la criminalità organizzata e, comunque, le indainda-gini particolarmente complesse che devono essere estese a fenomeni cri-minali in un ambito più ampio di quello circondariale.

Il 3° comma dell’art. 371 c.p.p. al fine di evitare ogni equivoco e distinguere nettamente fra connessione e collegamento ha stabili-to che quest’ultimo non ha effetstabili-to sulla competenza. Quindi, le in-dagini tra loro collegate seguiranno ciascuna la propria strada, non appena i singoli tronconi dell’inchiesta, temporaneamente coordina-ti tra loro, saranno «maturi» per essere avviacoordina-ti all’udienza prelimi-nare o, per le procure circondariali, al dibattimento.

Il 1° comma dell’art. 371 ha tentato di precisare in che cosa con-siste il collegamento, definendo sia le motivazioni che lo ispirano, sia in quali atti esso si esprime.

La parte relativa alle motivazioni deve ritenersi essenziale, nel senso che non sia possibile dar adito al collegamento se non al fine di perseguire una maggiore speditezza, economia, ed efficacia delle indagini. Non sono quindi ammissibili collegamenti non essenziali che appesantiscono le indagini non aggiungendo nulla sul piano dell’efficacia. La norma però sotto questo profilo si affida al buon senso ed alla prudenza degli uffici del P.M., non essendo previsti con-trolli che possano limitare la eventuale decisione di collegarsi.

Il contenuto del collegamento è dato da tre distinti comporta-menti:

1) scambio di atti ed informazioni;

2) comunicazione delle direttive rispettivamente impartite alla polizia giudiziaria;

3) compimento congiunto di specifici atti. L’esempio classico è quello dell’interrogatorio di persona imputata di reati connessi che abbia assunto la veste di collaboratore della giustizia. Può aggiun-gersi anche il conferimento di incarico di consulenza ex art. 359 c.p.p.

da parte di più uffici agli stessi periti.

La gamma degli atti attraverso i quali effettuare il collegamen-to deve ritenersi ampia data la genericità delle categorie indicate nel 1° comma dell’art. 371 c.p.p.. Non sono da escludere neanche deci-sioni comuni dei vari uffici in ordine all’indirizzo delle indagini, al-la scelta degli organi investigativi ed alle fonti di prova da acquisi-re. Il collegamento però in ogni caso non vincola i singoli uffici, che rimangono autonomi e «padroni» del loro processo con la

conse-guenza che possono in qualsiasi momento procedere separatamente per il reato attribuito alla loro competenza e possono svolgere, a tal fine, le indagini ritenute opportune in modo autonomo ed indipen-dente.

Sorge il problema della possibilità di utilizzare nella successiva fase tipicamente processuale le prove acquisite nei procedimenti col-legati.

Dobbiamo muovere dal principio che i procedimenti penali sin-golarmente presi operano in assoluta autonomia; devono però po-tersi riversare in essi le fonti di prova acquisite durante le indagini collegate, in modo tale da realizzare la massima economia proces-suale ed efficacia probatoria. Autonomia dei procedimenti e conver-genza delle fonti di prova sono però due concetti che non sempre vanno d’accordo ed il nuovo codice non ha inteso privilegiare i pro-cedimenti collegati. Non vi è quindi un percorso privilegiato per le fonti di prova o le prove in qualsiasi modo accertate nel corso delle indagini collegate. Ne deriva che non tutti gli atti raccolti dai PP.MM.

troveranno posto nei singoli procedimenti, ma per acquisirli è ne-cessario che sussistano le condizioni previste dall’art. 238 c.p.p. Quin-di, in ogni caso, è acquisibile la documentazione di atti compiuti in altri procedimenti che abbiano la caratteristica di non essere ripeti-bili. Questa categoria non subisce alcuna limitazione, né in ordine al procedimento di provenienza, né all’eventuale dissenso di una par-te. L’acquisibilità si estende anche agli atti non ripetibili posti in es-sere dalla polizia straniera a norma dell’art. 78, 2°, delle Disp. Att..

Una seconda categoria di atti acquisibili riguarda i verbali di prova di altri procedimenti penali anche stranieri (art. 78 cit.). In questo caso prevale una linea restrittiva trattandosi di documenti pro-venienti ab–externo rispetto al processo nel quale dovrebbero essere acquisiti; ne deriva che l’acquisizione è subordinata ad una duplice condizione. E’ necessario, cioè, sia il consenso delle parti, sia che si tratti di prove assunte nell’incidente probatorio o nel dibattimento, ovvero di verbali letti in sede dibattimentale. Vi è comunque una pos-sibilità di introduzione parziale, dato che è fatta salva, in ogni caso, per i verbali di prova di cui non sia consentita l’acquisizione, il di-ritto delle parti di farne uso nel dibattimento ai fini delle

contesta-corso delle perquisizioni , ovvero sul luogo e nell’immediatezza del fatto, nonché le dichiarazioni assunte ai sensi dell’art. 503, 5° e 6°

comma.

V’è disparità fra la portata della possibilità per il P.M. di otte-nere documenti, atti, verbali di altri processi, avvalendosi soprattut-to delle indagini collegate, e la stretsoprattut-toia dell’acquisizione al proces-so. In realtà si ha l’impressione di una spreco di attività o di un P.M.

che può sapere molto ma far valere processualmente poco e quindi un P.M. sociologicamente valido, ma giudiziariamente limitato.

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Passiamo adesso a verificare in che modo possano promuoversi le indagini collegate.

L’art. 371 tratta dell’attività di coordinamento per indagini col-legate, ma non disciplina le modalità attraverso le quali sia possibi-le per più uffici requirenti pervenire alla decisione di colpossibi-legare possibi-le

L’art. 371 tratta dell’attività di coordinamento per indagini col-legate, ma non disciplina le modalità attraverso le quali sia possibi-le per più uffici requirenti pervenire alla decisione di colpossibi-legare possibi-le

Nel documento Apertura dei lavori (pagine 99-113)