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A PARTIRE DA UNO SPUNTO DI HEIDEGGER *

Nel documento Quaderni di studi kierkegaardiani (pagine 31-41)

di LEONARDOAMOROSO

1. In un seminario tenuto alla metà degli anni Trenta e dedicato alle Lettere

sull’educazione estetica dell’uomo, Heidegger1fa balenare un confronto singolare fra questo autore e Kierkegaard a proposito dell’estetico. Riferendosi al secondo, Hei-degger afferma che il suo “uomo estetico è lo stato estetico di Schiller, frainteso. In Kierkegaard scorgiamo per così dire la malessenza dell’estetico”2. Per suffragare que-sta tesi, Heidegger cita, subito dopo, un passo della prima parte di Enten-Eller, cioè delle Carte di A, e più precisamente dei Diapsalmata, in cui questo pseudonimo sen-za nome, indicato con la lettera A, dice di non aver voglia di nulla3. Questa affer-mazione, o piuttosto negazione, di A lascia intravedere in che senso Heidegger par-li, a proposito di Kierkegaard, di una “malessenza [Unwesen] dell’estetico”. Ma per comprendere questo singolare confronto occorrono ulteriori chiarimenti, anche perché di esso non c’è traccia alcuna in Kierkegaard, il quale, anzi, non cita mai quel-l’opera di Schiller4.

* Ringrazio Simonella Davini ed Ettore Rocca per i loro preziosi consigli.

1 Di questo seminario tenuto nel 1936-37 possediamo per ora solo una Nachschrift al-quanto frammentaria: M. HEIDEGGER, Übungen für Anfänger. Schillers Briefe über die ästhetische

Erziehung des Menschen, 2005, tr. it. di A. Ardovino, Id., Introduzione all’estetica. Le Lettere

sul-l’educazione estetica dell’uomo di Schiller, Roma, Carocci, 2008. Ricordo di sfuggita che la formazione di Heidegger avvenne anche sotto il segno della rinascita kierkegaardiana di inizio Novecento. Nel-la sua prima grande opera filosofica, Heidegger riprende non pochi temi di Kierkegaard, per es. quelli dell’angoscia e dell’istante. Ma anche proprio in relazione a questi temi, e in generale nella sua impostazione, Kierkegaard non si solleva, secondo Heidegger, a un livello ontologico-esistenziale (cfr. M. HEIDEGGER, Sein und Zeit, 1927, tr. it. di P. Chiodi rivista da F. Volpi, Id., Essere e tempo, Milano, Longanesi, 2005, p. 232 n. 4, p. 401 n. 3 e p. 283 n. 6). Dopo la cosiddetta “svolta” degli anni Trenta, Heidegger nega ancor più decisamente la qualifica di “pensatore” a Kierkegaard, con-siderandolo piuttosto uno “scrittore di cose religiose, e, certo, non uno qualsiasi, ma l’unico a mi-sura del destino del suo tempo” (IDEM, Holzwege, 1950, tr. it. di V. Cicero, Id., Sentieri erranti

nel-la selva, Minel-lano, Bompiani, 2002, p. 295).

2 M. HEIDEGGER, Introduzione all’estetica, op. cit. p. 42.

3 Cfr. S. KIERKEGAARD, Enten-Eller, 1843, tr. it. di A. Cortese, Id., Enten-Eller, Milano, Adelphi, 1976-89, tomo I, p. 74. Di qui avanti quest’edizione sarà citata con la sigla EE seguita dal-l’indicazione del tomo (in numero romano) e delle pagine (in numeri arabi).

4 Schiller è presente negli scritti di Kierkegaard soprattutto come poeta e drammatur-go: cfr. ANDRÁSNAGY, Schiller: Kierkegaard’s Use of a Paradoxical Poet in Jon Stewart (ed.),

Kier-kegaard and His German Contemporaries, Tome III: Literature and Aesthetic, Ashgate, Aldershot,

La concezione schilleriana dell’estetico è uno sviluppo in parte critico della filosofia di Kant, la quale a sua volta presuppone, come termine di confronto per lo più critico, la nuova disciplina fondata da Baumgarten e da lui denominata appun-to col neologismo di “estetica”. Per comprendere la concezione schilleriana dell’e-stetica è opportuno dunque cominciare con un sia pur rapido riferimento a questi due autori5.

Baumgarten usa il latino aestheticus (e il tedesco ästhetisch) come calchi del greco aisthetikos, che deriva da aisthesis, “sensibilità”, e significa dunque “sensibi-le”. Riprendendo e sviluppando Leibniz, Baumgarten fonda l’estetica quale scien-za delle rappresentazioni sensibili, così come la logica è la scienscien-za delle rappresen-tazioni razionali. Ma siccome per lui la “perfezione della conoscenza sensibile” è la bellezza, ecco che l’estetica è al contempo scienza del bello, nonché scienza delle ar-ti belle. Ed “estear-tico” può significare, parallelamente, non solo “sensibile”, ma an-che “bello” e “artistico”. Inoltre, può talvolta anan-che riferirsi non all’oggetto dell’e-stetica, ma all’estetica stessa e significare dunque ciò che oggi possiamo anche chia-mare “estetologico”.

Anche il sostantivo maschile “estetico” può avere in Baumgarten una molte-plicità di significati: un estetico può essere chi è portato per natura alla conoscenza sensibile, al bello e all’arte (che sono cose sì collegate, ma non identiche), chi ha svi-luppato queste doti naturali grazie a un esercizio apposito, più o meno scientifica-mente organizzato, chi, infine, è in grado di definire le regole di questo esercizio per-ché conosce, più in generale, i principi dell’esperienza estetica. Sono significati che, per quanto diversi, sfumano l’uno nell’altro, tanto che talvolta il termine li assom-ma contemporaneamente in sé. Questa polisemia risuonerà anche nell’uso schille-riano e poi in quello kierkegaardiano (ancora più intricato) di queste parole.

Prima di lasciare Baumgarten, segnaliamo un ultimo punto, fondamentale. La sua proposta non consiste solo nell’aggiungere una nuova scienza alle discipline fi-losofiche, ma fa valere anche un ideale di uomo: un vero estetico è infatti per Baum-garten una personalità armonica, che non sacrifica la sensibilità alla ragione. Qual-cosa di simile dirà anche Schiller, ma in un contesto postkantiano anziché prekan-tiano. Ricordiamo dunque, brevissimamente, il ruolo – per più versi paradossale – di Kant nella storia delle nozioni di estetico e di estetica.

Nella prima Critica anche Kant usa, come titolo di una scienza filosofica, il neo-logismo di Baumgarten, ma questa estetica (ovvero dottrina della sensibilità) di Kant è trascendentale e non psicologica. La diversa impostazione fa sì che in essa non ci sia alcuno spazio per una tematizzazione di argomenti quali il gusto, la bellezza e l’arte. Ma poi, nella terza Critica, Kant recupera questo significato dell’aggettivo “este-tico”, riferendo però l’esperienza estetica così intesa non alla sensibilità, ma al sen-timento, e più precisamente ancora a una facoltà conoscitiva superiore alla quale il sentimento risulta connesso: la capacità di giudizio. Come la critica che le è dedica-ta unifica il sistema delle tre critiche, così l’esperienza estetica fa in qualche modo

5 I loro passi richiamati nel testo sono disponibili nella mini-antologia A.G. BAUMGAR

da ponte fra l’esperienza scientifica e quella morale. In questo contesto ci sono già in Kant alcuni spunti6che indicano in direzione del tema che sarà centrale in Schil-ler: l’uomo estetico come uomo integrale. E veniamo appunto a Schiller.

In polemica contro il rigorismo etico kantiano tutto basato sul concetto del “dovere”, Schiller fa valere l’ideale suddetto dapprima nei termini dell’“anima bel-la”7e poi in quelli di un’“educazione estetica”8che curi i mali della modernità e ri-pristini l’armonia negli individui. Quei mali sono esemplarmente rappresentati da-gli opposti tipi umani del “selvaggio” e del “barbaro”9, dominati in modo esclusi-vo rispettivamente da una sensibilità sfrenata e da una razionalità astratta. Ma i due impulsi fondamentali dell’uomo, quello “sensibile” e quello “formale”10o raziona-le, devono e possono entrare in “azione reciproca”11dando così luogo a un terzo e “nuovo impulso”12, l’impulso estetico (o impulso al gioco)13.

Schiller chiarisce in questo modo il significato – amplissimo – che egli attribuisce al termine “estetico”14: a seconda che una cosa si rapporti a questa o quella delle fa-coltà dell’uomo, essa è considerata per esempio nella sua “qualità fisica” o “logica” o “morale”; ma quando si rapporta “alla totalità delle nostre diverse forze, senza es-sere un oggetto determinato per una sola di esse, questa è la sua qualità estetica”15.

Lo stato estetico è pertanto per Schiller uno stato di “determinabilità attiva”16, che a differenza di quello della “determinabilità passiva”, che è poverissimo (anzi “me-ra indeterminazione”), è ricchissimo, perché “unifica ogni realtà” ed è dunque un’“infinità piena”17. Si tratta di “uno stato di suprema realtà” perché “abbraccia la totalità dell’umanità” e quindi “deve racchiudere in sé, in potenza, ogni singola ma-nifestazione di essa”: “proprio perché non prende sotto la sua protezione in manie-ra esclusiva una singola funzione dell’umanità, favorisce ciascuna senza distinzione, essendo il fondamento della possibilità di tutte”18.

Possiamo dunque parafrasare il termine “estetico”, nel significato che esso ha

6 Cfr. per es. I. KANT, Kritik der Urteilskraft, 1790, tr. it. di L. Amoroso, Id., Critica

del-la capacità di giudizio, Midel-lano, BUR, 19982, § 5, pp. 165-67.

7 Cfr. F. SCHILLER, Über Anmut und Würde (1793), tr. it. di D. Di Maio e S. Tedesco, Id.,

Grazia e dignità, Milano, SE, 2010, sp. pp. 46-53.

8 Cfr. IDEM, Über die ästhetische Erziehung des Menschen in einer Reihe von Briefen (1795), tr. it. di G. Pinna, Id., L’educazione estetica, Palermo, Aesthetica, 20092.

9 Op. cit., lettera IV, p. 29.

10 Op. cit., letera XII, p. 48.

11 Op. cit., lettera XIV, p. 51.

12 Op. cit., lettera XIV, p. 52.

13 Cfr. op. cit., lettera XV, p. 54.

14 In realtà Schiller presenta la sua nuova definizione come un “chiarimento” “per i let-tori che non hanno grande familiarità con il puro significato di questo termine, di cui per ignoranza si è tanto abusato” (op. cit., lettera XX, p. 100, n. 68).

15 Cfr. ibidem. Anche M. HEIDEGGER, op. cit., p. 38, rimanda a questo passo.

16 F. SCHILLER, op. cit., lettera XX, p. 62. Schiller distingue quattro stati: determinabili-tà passiva, determinazione passiva, determinabilideterminabili-tà attiva e determinazione attiva (cfr. op. cit., let-tere XIX-XXII, pp. 62-71). Il primo è una tabula rasa, gli altri tre corrispondono, nell’ordine, al-l’impulso sensibile, a quello estetico e a quello formale (cfr. op. cit., lettere XI-XV, pp. 45-57).

17 Op. cit., lettera XXI, pp. 67-68.

in Schiller, con “onnilaterale”19. Ma “onnilaterale” significa “armonico” e, dunque, “bello” (se la bellezza viene fatta consistere – classicamente – appunto nell’armonia). Secondo il progetto di Schiller, l’“educazione al gusto e alla bellezza” ha appunto “co-me intento quello di formare il complesso delle nostre forze sensibili e spirituali nel-la più grande armonia possibile”20. E “l’arte bella” è lo “strumento” che può “apri-re fonti che, quale sia la corruzione politica, si mantengano pu“apri-re e limpide”21, lo stru-mento, dunque, che può essere usato per curare i mali (pur necessari) della civiliz-zazione. L’arte bella è così quell’“arte più elevata” grazie alla quale si può tentare di “ricostituire” la “totalità” che “l’arte” – qui intesa come distacco dalla natura – “ha distrutto”22.

Accenniamo solo rapidamente agli sviluppi del significato di “estetico” e del ruolo dell’estetica nel periodo che intercorre fra Schiller e Kierkegaard, cioè in quei movimenti del romanticismo e dell’idealismo che, per un verso, sviluppano il pen-siero del primo e, per l’altro, fanno parte del retroterra culturale del secondo. In que-sta cultura romantica e/o idealistica l’estetica si definisce ormai come una filosofia dell’arte bella, mettendo in ombra il nesso etimologico con la sensibilità.

Il giovane Schelling, anche riprendendo e sviluppando – in compagnia dei suoi amici romantici – istanze schilleriane, indica nell’arte l’esperienza suprema23. Ma pro-prio per questo, Schelling tende a prendere progressivamente le distanze dal termi-ne “estetica” perché troppo legato alla sfera empirica24e parla piuttosto di “filoso-fia dell’arte”.

Anche lo Hegel maturo non ama quel termine, ma non ne fa una questione di principio25. Quello che invece gli preme molto è mostrare che nel mondo moderno l’arte non può più essere l’esperienza più alta26. Per questo Hegel critica i romanti-ci, che hanno a suo avviso estremizzato malamente il pensiero proprio di Schiller, e presenta invece implicitamente se stesso come colui che l’ha inverato27. In questo con-testo Hegel critica fra l’altro la concezione di “vita ironico-artistica”28di alcuni ro-mantici (in particolare di Friedrich Schlegel): quella sedicente “genialità” è a suo av-viso qualcosa di vacuo e inconsistente. Questo tema hegeliano è ripreso esplicitamente

19 Di qui la ripresa da parte di H. MARCUSE. Eros and Civilisation, 1955, tr. it. di L. Bas-si, Id., Eros e civiltà , Einaudi, Torino, 1968, pp. 194-214.

20 SCHILLER, op. cit., lettera XX, p. 100, n. 68.

21 Op. cit., lettera IX, p. 39-40.

22 Op. cit., lettera VI, p. 35.

23 Così in F.W.J. SCHELLING, System des transzendentalen Idealismus, 1800, tr. it. di G. Bof-fi, Id., Sistema dell’idealismo trascendentale, Milano, Bompiani, 2006, per es. p. 585: “La filosofia raggiunge bensì il supremo, ma conduce fino a questo punto, per dir così, soltanto un frammen-to dell’uomo. L’arte conduce l’uomo intero, così com’esso è, fino a quel punframmen-to, cioè alla conoscenza del supremo, e su questo riposa l’eterna differenza e il miracolo dell’arte”.

24 Cfr. F.W.J. SCHELLING, Philosophie der Kunst (postuma), tr. it. di A. Klein, Id., Filosofia

dell’arte, Napoli, Prismi, 19972, per es. pp. 68-69.

25 Cfr. G.W.F. HEGEL, Vorlesungen über die Ästhetik (postume), tr. it. di N. Merker e N. Vaccaro, Id., Estetica, Torino, Einaudi, 1997, p. 5.

26 Cfr. op. cit., pp. 14-15.

27 Cfr. op. cit., pp. 72-75.

da Kierkegaard nella sua dissertazione sull’ironia29, ma in parte anche, implicitamente, nella descrizione dell’esistenza estetica proposta in Enten-Eller. Adesso possiamo ri-tornare al confronto, suggerito da Heidegger, appunto tra questa forma di esisten-za e l’uomo estetico di Schiller: abbiamo ormai infatti tutti gli elementi per com-prenderlo e discuterlo.

2. Secondo Heidegger, dunque, in Kierkegaard c’è “la malessenza dell’esteti-co”, mentre in Schiller c’è l’essenza positiva. Quest’ultima consiste nel fatto – abbiamo visto – che lo stato estetico di Schiller abbraccia tutte le possibilità dell’essere uomo, tutta la sua ricchezza. La “malessenza dell’estetico” è la negativa, l’ombra, quasi la parodia di quest’essenza positiva colta da Schiller. Lasciamo la parola a uno pseu-donimo di Kierkegaard: a B (ovvero al magistrato Wilhelm), autore delle tre lettere indirizzate ad A che costituiscono la seconda parte di Enten-Eller30. Nella prima di esse B scrive qualcosa che può richiamare (ma solo di primo acchito) lo stato este-tico di Schiller: “Tu sei la somma di ogni possibilità”31.

Già i Diapsalmata (dai quali Heidegger cita) mostrano che A è capace di di-ventare ogni cosa, ma solo nella possibilità, nel pensiero: si balocca con ogni possi-bilità senza realizzarne nessuna. Siamo perciò agli antipodi dello stato estetico di Schil-ler. Per A, il fatto d’avere sempre “ragioni tanto numerose, e nella maggior parte dei casi reciprocamente contraddittorie”32si traduce, nella realtà, in una paralisi della volontà. La scelta, l’aut-aut, viene neutralizzato e ridicolizzato in un nec-nec: sia che (enten) tu faccia una cosa sia che (eller) tu faccia l’opposto – dice A in uno dei suoi

Diapsalmata –, te ne pentirai in ogni caso33. B discute e commenta questo atteggia-mento nichilista-ironico34di A come una forma (la più raffinata, come ricorderemo fra un momento) di vita estetica.

È solo qui che compare, in Enten-Eller, l’accezione esistenziale di “estetico” (e quindi la possibilità del confronto con lo “stato estetico” di Schiller). Nelle

Car-te di A, infatti, il Car-termine “esCar-tetico” ha invece il significato (tradizionale già al Car-

tem-po di Kierkegaard) di “relativo all’arte”. A scrive saggi “estetici” in questo senso (per es. quello sul Don Giovanni di Mozart)35, come precisa del resto fin dall’avverten-za il curatore di Enten-Eller, Victor Eremita36. A, dunque, è un “estetico” innanzi

29 Cfr. S. KIERKEGAARD, Om Begrebet Ironi med stadigt Hensyn til Socrates, 1841, tr. it. di D. Borso, Id., Sul concetto di ironia in riferimento costante a Socrate, Milano, Guerini, 1989, pp. 211-247.

30 La terza lettera è costituita in realtà solo da un breve accompagnamento a un allegato: una predica di un pastore amico di B. Nella prospettiva di B (diversa da quella di pseudonimi suc-cessivi, nonché dello stesso Kierkegaard) non c’è soluzione di continuità fra l’etico e il religioso.

31 EE IV 33.

32 EE I 81.

33 Cfr. EE I 98.

34 Si ricordi quanto detto sopra a proposito della critica di Hegel a Schlegel.

35 Cfr. EE I 105-213.

36 Cfr. EE I 60 e 62. In realtà Victor Eremita usa la parola “estetico” anche nel suo si-gnificato esistenziale quando dice che le Carte di A contengono anche “gli abbozzi di una conce-zione estetica della vita” (EE I 68). Ma può farlo solo perché, quando scrive la sua avvertenza, ha già letto le Carte di B.

tutto nel senso di “cultore di estetica” o, come si può anche dire, di “estetologo”. Ma è anche un uomo estetico nel senso di uno che vive un’esistenza estetica (in un si-gnificato ancora da chiarire) e, anzi, una peculiare forma di esistenza estetica che po-trebbe anche essere definita estetizzante ovvero come estetismo37. In questo senso A può essere detto un “esteta”38.

Se non ogni vita estetica è perciò stesso qualificabile come estetismo, occor-re allora compoccor-rendeoccor-re perché B usa il termine “estetico” non solo per definioccor-re la for-ma di esistenza di un esteta, for-ma anche altre forme di esistenza. La celebre definizione di B dell’“estetico nell’uomo” è: “L’estetico che è nell’uomo è ciò per cui egli è im-mediatamente ciò che è”39. Qui non c’è nessun riferimento all’arte, bensì all’imme-diatezza. L’equivalenza di “estetico” e “immediato” può essere compresa se si risa-le al significato etimologico di “estetico”, cioè “sensibirisa-le”40, come si trova in Baum-garten e, più ancora, nella prima Critica di Kant. Schiller non usa più il termine “este-tico” in questo senso, ma ciò che B chiama “uomo este“este-tico” corrisponde in larga mi-sura a ciò che in Schiller è l’uomo dominato dall’impulso sensibile41. Per B il prin-cipio generale di ogni forma di vita estetica è quello del godimento42. Ma si può go-dere di molte cose, dalle più sensibili alle più intellettuali. Solo le forme più raffinate (e più “spirituali”)43dell’edonismo proprio di ogni vita estetica sono qualificabili co-me estetismo.

A è senz’altro una possibile figura di esteta44. È del resto lui stesso a consigliare, per fuggire la noia, di “vivere artisticamente”45. L’estetismo, dunque, è quella

for-37 Cfr. P. D’ANGELO, Estetismo, Bologna, Il Mulino, 2003, pp. 7-19 (sulla storia del ter-mine) e pp. 111-143 (su Kierkegaard).

38 Ma è sviante la traduzione, da parte di Cortese, di Æsthetiker con “esteta”: lo è mol-tissimo nelle Carte di A (cfr. per es. EE I 110 e 114, EE II 20 e 55), perché qui la parola significa “estetologo”. Ma lo è anche nella Carte di B, perché un uomo estetico non è necessariamente un esteta. La scelta migliore sarebbe quella di tradurre Æsthetiker sempre con “estetico”, che ha uno spettro semantico altrettanto ampio: da “esteologo”, attraverso “uomo estetico”, fino a “esteta”. Cfr. E. ROCCA, Tra estetica e teologia. Studi kierkegaardiani, Pisa, Edizioni ETS, 2004, p. 35, n. 3 e IDEM, Kierkegaard, Roma, Carocci, 2012, pp. 117-18.

39 EE V 46. Per converso, come si legge subito dopo, “l’etico è ciò per cui egli diventa ciò che diventa”.

40 Cfr. S. DAVINI, La maschera estetica del seduttore in L. Amoroso (a cura di), Maschere

kierkegaardiane, Torino, Rosenberg & Sellier, 1993, pp. 189-191.

41 Analogamente, si può ben considerare almeno alcune delle forme di “vita estetica” co-me una traduzione esistenziale della dialettica della certezza sensibile di G.W.F. HEGEL,

Phäno-menologie des Geistes, 1807, tr. it. di G. Garelli, Id., La fenomenologia dello spirito, Torino, Einaudi,

2008, pp. 69 sgg.

42 Cfr. EE V 48. Segue la fenomenologia dettagliata delle varie forme di vita estetica.

43 Fra virgolette, perché lo spirito non è qui in ogni caso spiritualmente determinato, ma è abbassato a oggetto di godimento.

44 Anzi, la più raffinata, perché gode paradossalmente della disperazione propria della vita estetica (cfr. EE V 67 sgg.). Ma già anche chi vive senza la consapevolezza della disperazione, ma comunque in modo riflesso (cioè non tanto dell’oggetto, quanto di se stesso, compiacendosi del fatto di godere: cfr. EE V 63) è un esteta.

45 EE III 30. B, quasi in risposta all’”ironia” di A, ironizza sul fatto che un “artista” del vivere come lui si trovi accomunato, in base al principio del godimento, a “chicchessia gaudente” (E V 49).

ma particolare di vita estetica che consiste nel rapportarsi alla vita come se fosse ar-te. A monte c’è un fraintendimento denunciato da B nella sua prima lettera: il “fraintendimento di scambiare ciò che è esteticamente bello con ciò che in modo este-ticamente bello si lascia rappresentare”46, insomma l’estetico della poesia e dell’ar-te e quello dell’esisdell’ar-tenza. Ma nel caso dell’esdell’ar-teta lo scambio è voluto: è l’applicazio-ne alla vita delle regole dell’estetica come dottrina dell’arte.

La distinzione ricordata e l’argomentazione relativa è presentata da B come “l’umile offerta di un povero marito sull’altare dell’estetica”: poco male – dice – “se tu [cioè A] e tutti i sacerdoti dell’estetica l’avrete a sdegno”47. Lo stesso B, dunque, ha un’estetica nel senso tradizionale di filosofia delle arti belle. Riassumendola in po-che parole, essa consiste in una radicalizzazione della nota distinzione lessinghiana fra arti del tempo e arti dello spazio48(ripresa, fra gli altri, anche da Schiller)49. La storia interiore, ciò che dà autentica continuità all’esistenza, non può essere rap-presentata, ovviamente, dalle arti dello spazio come la pittura. Ma nemmeno un’ar-te del un’ar-tempo come la poesia può farlo davvero. Quella storia, infatti, è nella realtà «piuttosto lunga e affaticante»50e una sua rappresentazione dettagliata non

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