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TRIADE DELLA LOGICA HEGELIANA ALLA LUCE DELLA “MEONTOLOGIA” DI SCHELLING1

Nel documento Quaderni di studi kierkegaardiani (pagine 41-57)

di INGRIDBASSO

Vorrei cogliere l’opportunità offertami dalla giornata di oggi per esaminare bre-vemente il rapporto tra la riflessione kierkegaardiana e la filosofia dell’ultimo Schel-ling prendendo in particolare le mosse dall’opera Il concetto dell’angoscia. In tal sen-so credo possa essere d’aiuto assumere come punto di partenza proprio il concetto di angoscia e l’opera ad esso dedicata, o, per meglio dire, credo essi possano funge-re da “occasione” per analizzafunge-re il modo in cui Kierkegaard ha attinto alcune intui-zioni filosofiche, idee e concetti dalla filosofia dell’ultimo Schelling.

Quel che intendo fare è tracciare una sorta di breve itinerario kierkegaardia-no lungo il “fiume” Schelling, un fiume concettuale che Kierkegaard sembra aver se-guito con scrupolosa attenzione e al quale sembra essersi abbeverato più volte. Mi interessa mostrare in particolare come nel concetto di possibilità (così come nella trat-tazione del tema della libertà, nella non necessità della storia) sia nel Concetto

del-l’angoscia che nell’opera contemporanea Briciole di filosofia2per esempio, sia pos-sibile rintracciare la cosiddetta meontologia schellinghiana. Mi riferisco con questo termine alla trattazione relativa al concetto di possibilità che Schelling deriva dalla distinzione ripresa dal Sofista3 platonico tra la negazione “soggettiva” e la negazio-ne “oggettiva” espresse in greco dalle particelle m¬ e o‹k (dunque m¬ ◊n e o‹k ◊n) al fine di fondare la libertà divina nel creare, laddove la negazione greca o‹k nega totalmente la realtà di qualcosa sia nel pensiero che nella realtà, mentre la

negazio-1 L’argomento di questo paper è stato oggetto di discussione in più occasioni, non da ul-timo nella giornata di studi dedicata a Søren Kierkegaard dalla Société Française de Philosophie:

Hommage International à Kierkegaard (1813-1855), 30 novembre 2013: Entre l’être et le néant: la «méontologie» de Schelling interprétée par Kierkegaard, di prossima pubblicazione nei relativi

At-ti. Per una trattazione più estesa del rapporto tra la riflessione kierkegaardiana e la speculazione dell’ultimo Schelling mi permetto di rimandare alla mia monografia Kierkegaard uditore di

Schel-ling. Tracce della filosofia schellinghiana nell’opera di Søren Kierkegaard, Mimesis, Milano 2007, in

particolare sulla tematica in oggetto alle pp. 178 ss.

2 Le Briciole filosofiche uscirono il 13 giugno del 1844, ma furono verosimilmente com-poste in un periodo che va da marzo alla fine di maggio 1844, mentre Il concetto di angoscia, usci-to il 17 giugno sempre del 1844, pare essere stausci-to scritusci-to in un periodo antecedente alla stesura del-le Briciodel-le. Sulla datazione dell’elaborazione dei testi cfr. i relativi commentari ai Søren Kierkegaards

Skrifter [SKS] 4, in K 4, rispettivamente alle pp. 171-196 per Philosophiske Smuler (a cura di J.

Knudsen e J. Kondrup), e pp. 305-339 per Begrebet Angest (a cura di S. Bruun).

ne m¬ nega soltanto l’essere attuale di qualcosa, ma non la sua possibilità, dunque definisce qualcosa come “non esistente”, ma ancora possibile.

Le radici dell’ultima speculazione di Schelling, la cosiddetta “filosofia posi-tiva” hanno origine nel tentativo di cogliere, di raggiungere filosoficamente il cosiddetto

positivo, ovvero la realtà vera, storica, reale, evitando di cadere nel panteismo

logi-co. Una cosa, questa, che stava a cuore anche a Kierkegaard.

Certo, come è noto, l’intera discussione relativa alla possibilità di elaborare una prospettiva filosofica che fosse in grado di uscire dalla filosofia negativa (questo il mo-do in cui Schelling indica una prospettiva meramente logica) al fine di afferrare la realtà, ma senza rinunciare a un approccio scientifico, era stata all’epoca una preoc-cupazione che aveva impegnato molti altri pensatori, oltre Kierkegaard e Schelling. Già prima della morte di Hegel si era sollevato un gran numero di voci (an-che tra gli stessi seguaci di Hegel) per criticare alcune lacune dei Sistema, in parti-colare l’interpretazione della prima categoria della Logica, l’Essere puro, e la sua iden-tità con il Nulla, dalla quale scaturirebbe il Divenire.

Non mi addentrerò naturalmente nella lunga e complessa discussione relati-va a questo punto4, ma mi limiterò a sottolineare soltanto alcuni nodi teoretici utili al fine di comprendere l’interesse kierkegaardiano per la cosiddetta Spätphilosophie di Schelling, dal momento che la posizione del filosofo tedesco ha la peculiarità di presentare anche una pars construens e non soltanto una pars destruens mirata a col-pire il sistema hegeliano.

Ricorderò soltanto che l’obiezione più significativa alla prima triade della lo-gica hegeliana si era focalizzata appunto sull’identità tra Essere e Nulla: tale identi-tà sarebbe soltanto una sterile tautologia dalla quale non potrebbe affatto risultare alcun movimento e alcun divenire, a meno che l’Essere non sia già qualcosa di de-terminato. Così in realtà, nell’Essere di Hegel non sarebbe veramente pensato nul-la, ma tale Essere sarebbe semplicemente un «non pensiero». Questo era quanto af-fermò già Karl Werder nel 18415e la medesima obiezione era stata espressa dallo stes-so Schelling nel corstes-so del suo secondo stes-soggiorno a Monaco a partire dal 1827. An-che Feuerbach nel 1839 aveva sollevato un’obiezione analoga, sostenendo con Ari-stotele che il Nulla non può essere pensato, poiché nel momento in cui viene

pen-sato diviene già un qualcosa di determinato, il che significa che è già qualcosa di

esi-stente e non più “Nulla”. Il pensiero insomma può pensare soltanto qualcosa che è. Inoltre il pensare stesso è un’attività esistente, ovvero qualcosa di reale.

Ciò che, dunque, agli occhi degli oppositori o semplicemente dei “riforma-tori” dell’hegelismo, la Logica aveva sacrificato era la determinatezza reale e soggettiva dell’atto stesso del pensare di contro all’astrattezza priva di contenuto dell’Essere pu-ro6. Sempre in questa direzione potremmo menzionare nello stesso periodo anche

4 Su questo punto rimando ancora alla mia monografia del 2007 e alla bibliografia in es-sa contenuta: in particolare pp. 17-39.

5 Karl Werder, Logik. Als Commentar und Ergänzung zu Hegels Wissenschaft der Logik.

1. Abteilung, Berlin 1841, pp. 35 ss.

6 Va tra l’altro fatto notare che le analogie tra le posizioni dei pensatori, talvolta anche fra loro distanti, che in questi anni portavano avanti una critica delle istanze hegeliane, erano già

i cosiddetti Spätidealisten Immanuel Hermann Fichte e Christian Hermann Weisse con la loro «Zeitschrift für Philosophie und spekulative Theologie», alla quale Kier-kegaard era abbonato, con la loro accusa di “verità formale” e “falsità materiale” al-la logica hegeliana. In breve, l’accusa che veniva fatta a Hegel era in sostanza quel-la di aver spinto quel-la logica oltre i suoi limiti intrinseci, di essere trapassata in qualco-sa che non era, ovvero, per dirla con Schelling, in una “filosofia positiva”. Secondo i suoi critici, infatti, la logica hegeliana era incapace di pervenire a un “positivo” a meno di non introdurlo surrettiziamente dall’esterno, come aveva già affermato con ironia polemica Schelling nel 1834 nella sua famosa Prefazione alla traduzione tedesca dei Fragments philosophiques di Victor Cousin, un testo che lo stesso Kierkegaard possedeva nella sua biblioteca e che nel frattempo era divenuto una sorta di mani-festo polemico contro la logica hegeliana:

...l’automovimento logico del concetto (e di quale concetto!) reggeva sinché il sistema si manteneva nei limiti di una dimensione puramente logica; quando invece doveva venir me-no il filo conduttore del movimento dialettico, ecco diventar necessaria una seconda ipo-tesi, cioè che l’Idea – non si sa perché, se non per ammazzar la noia della sua esistenza pu-ramente logica – si decide a spezzarsi nei suoi vari momenti: e di qui ha origine la natura. Il primo presupposto di questa filosofia che si pretendeva libera da ogni presupposto era che il puro concetto logico, come tale, abbia come sua proprietà o natura il trapassare (cioè rovesciarsi) da se stesso (infatti la soggettività di colui che filosofa dovrebbe venir del tut-to esclusa) nel suo contrario, ritut-tornando poi ancora a rovesciarsi in se stesso; cosa che può essere pensata di un’entità vivente e reale, ma che del puro concetto non può essere né pen-sata né immaginata ma, al più, soltanto detta. Il separarsi dell’Idea, cioè del concetto compiuto, da se stessa, non era che una seconda finzione, poiché questo passaggio (alla na-tura) non è più un passaggio dialettico, ma un’altra cosa, per cui non esiste alcuna cate-goria in un sistema puramente razionale, e per cui nemmeno il suo scopritore sa trovare una categoria nel suo sistema. Questo tentativo [...] costituisce un episodio della storia del-la filosofia che, se non è servito ad un suo sviluppo, è almeno stato utile per mostrare che è impossibile pervenire alla realtà concreta per una via puramente razionale7.

state tematizzate in taluni casi anche dagli stessi contemporanei di Hegel. Desta particolare attenzione, per esempio, il fatto che già nel 1845 il teologo danese Christian Fenger Christens avesse sottoli-neato in questo senso proprio le somiglianze tra Kierkegaard e Feuerbach nel suo scritto En

Parallel mellem to af den nyere Tids Philosopher [Un parallelo tra due filosofi della modernità], in

«For Literatur og Kritik», 3 (1845), pp. 1-17. Sul rapporto tra Kierkegaard e Feuerbach si è scrit-to molscrit-to, qui si segnala per la completezza il breve ma ben documentascrit-to saggio di I. Czakó,

Feuer-bach: a Malicious Demon in the Service of Christianity, in J. STEWART(ed. by), Kierkegaard and His

German Contemporaries, op. cit., pp. 25-47 (dello stesso autore cfr. anche il precedente Kierkegaards Feuerbach-Bild im Lichte seiner Schriften, in Kierkegaard Studies. Yearbook 2001, ed. by N.J.

Cap-pelørn and H. Deuser, Berlin-New York 2001, pp. 396-413.

7 Cfr. Schelling, Vorrede a Victor Cousin, Über französische und deutsche Philosophie. Aus

dem Französischen von Dr. Hubert Beckers. Nebst einer beurtheilenden Vorrede des Herrn Gehei-menraths von Schelling, Stuttgart und Tübingen 1834, pp. XIV-XV, tr. it. di M. Ravera, Prefazio-ne a uno scritto filosofico del signor Victor Cousin (1834), in «Filosofia», 28 (1977), pp. 503-504.

Sullo stesso punto cfr. ancora Schelling in Philosophie der Offenbarung, in F.W.J. Schelling’s

Sämt-liche Werke [SW, II, 3], Stuttgart und Augsburg 1856-1861, pp. 80; tr. it. a cura di Adriano

Bau-sola, Filosofia della Rivelazione, Milano 1997 (1972), p. 133: «La filosofia esposta da Hegel è la fi-losofia negativa spinta oltre i propri limiti; essa non esclude il positivo, ma lo ha, a suo parere, in

E lo stesso argomento si può trovare nella prima serie di lezioni che Schelling tenne a Berlino, in particolare alla lezione n. 9 (inizio di dicembre 1841), di cui pos-siamo leggere il contenuto negli appunti delle lezioni di Kierkegaard:

...quando l’esigenza che il negativo ha del positivo non viene appagata, esso stesso scivo-la nel positivo. Questo fece Hegel: egli ha fatto delscivo-la filosofia dell’identità scivo-la positiva ed uni-ca filosofia. Si può certo esser d’accordo con la definizione hegeliana della filosofia, che essa è scienza della ragione nella misura in cui diviene cosciente di sé come tutto l’essen-te, solo deve essere ricordato che non tutto il Seyn è il Seyn attuale. La ragione si mostra

der Materier nach come Alles Seyn. Propriamente questo ora non dovrebbe mancare

nel-la definizione. Se Hegel l’abbia tacitamente considerato, oppure egli stesso non ne sia stato

consapevole, non è noto8.

Ora, l’obiettivo della filosofia era dunque il recupero del divenire non

logica-mente deducibile, ma senza rinunciare alla possibilità di un discorso scientifico,

filo-sofico. E questo era precisamente l’intento di Schelling, come possiamo leggere nella sua lezione inaugurale a Berlino del 15 novembre 1841, quando citò l’hegelia-no Eduard Gans e la sua obiezione secondo la quale «un sistema può essere confu-tato solo da un sistema»9.

Si trattava di un’esigenza che Schelling aveva già avanzato nelle sue Erlangen

Vorträge due decenni prima, nel 1821, parlando della natura della filosofia come

scien-za e chiedendosi come fosse possibile concepire e realizscien-zare un Sistema che com-prendesse degli esseri viventi. Una cosa è infatti la Geometria, ma tutt’altra cosa è il Soggetto della filosofia, che è semplicemente indefinibile, poiché in movimento in-cessante, poiché la sua essenza è la libertà. Parlando proprio el soggetto della filo-sofia, Schelling citava con una certa enfasi la frase del Vangelo che dice «chi vorrà conservarlo lo perderà, e chi lo abbandonerà lo ritroverà»10.

sé, come a sé sottoposto [...]. Questa filosofia che si gonfia a positiva – mentre, secondo il suo ul-timo fondamento può essere solo negativa – io l’ho combattuta a lungo nelle mie pubbliche dis-sertazioni già prima d’ora». Allo stesso modo cfr. inoltre anche le Münchener Vorlesungen, in SW, I, X, pp. 126 ss., tr. it. a cura di G. Durante, Lezioni monachesi sulla storia della filosofia moderna, Roma-Bari 1996, pp. 101 ss. Si noti tra l’altro che nella Prefazione a Cousin, Schelling non men-ziona mai esplicitamente il nome di Hegel. Sulle reazioni sollevate all’epoca dallo scritto di Schel-ling cfr. p. es. X. Tilliette, SchelSchel-ling. Une philosophie en devenir, Paris 19922(1969), pp. 125-133. Della Vorrede schellinghiana – è importante notarlo – lo stesso Kierkegaard possedeva una copia, come attesta il catalogo della sua biblioteca personale, Auktionsprotokol over Søren Kierkegaards

Bogsamling, udg. af H.P. Rohde, Det Kongelige Bibliotek, København 1967, in cui al testo citato

corrisponde il numero di catalogo 471.

8 Not11:9 [Papirer III C 27], in SKS 19; tr. it. a cura di chi scrive in Appunti delle

lezio-ni berlinesi di Schelling sulla «Filosofia della Rivelazione» (1841-1842), Bompialezio-ni, Milano 2008, p.

25.

9 F.W.J. Schelling, Erste Vorlesung in Berlin, 15. November 1841, in Philosophie der

Of-fenbarung, op. cit., pp. 364-65; tr. it. di A. Bausola, Prima lezione di Berlino. 15 Novembre 1841,

in Filosofia della Rivelazione, op. cit., pp. 1483.

10 Matt., X, 39; XVI, 25; Marc., VIII, 35; Luc., IX, 24; XVII, 33; Giov., XII, 25. Cfr. Con-ferenze di Erlangen, in Scritti sulla filosofia, la religione, la libertà, a cura di Luigi Pareyson,

A questa preoccupazione “epistemologica”, si può dire, anche Kierkegaard dedica le prime righe della sua Introduzione a Il concetto dell’angoscia, un’opera in cui – insieme alle Briciole filosofiche –, gli echi della filosofia schellinghiana sono par-ticolarmente evidenti, anche se poi il filosofo danese seguirà un’altra strada. Qui Kier-kegaard cerca in qualche modo di calibrare, per così dire, i suoi strumenti

scientifi-ci al fine di evitare un “lanscientifi-cio” filosofico che vada oltre i propri limiti, correndo in

tal modo il rischio di perdere l’oggetto che intende afferrare:

Se non si richiama all’ordine in nome della scienza, se non si sta attenti per impedire ai sin-goli problemi di passare di corsa l’uno accanto all’altro, come se si trattasse di arrivare per primi in una mascherata, si riesce forse talvolta a essere spiritosi, a sorprendere col far vi-sta di aver già afferrato cose dalle quali si è ancora molto lontani, a trovare tra cose diver-se accordi di mere parole. Questo guadagno però si sconta dopo come ogni acquisto ille-gale, al quale non si ha diritto di possesso né nella vita civile né in quella della scienza. Così se si intitola l’ultima sezione della Logica “La realtà”11, si ottiene il vantaggio di de-stare l’apparenza che nella logica sia stato raggiunto il punto più alto o se volete, quello più basso. Il danno, invece, è evidente; infatti, ciò non giova né alla logica né alla realtà. Non giova alla realtà; perché la casualità, che è una parte essenziale della realtà, non può entrare

nella logica. E neppure giova alla logica, perché una volta che ha pensato la realtà, essa ha ac-colto in sé qualcosa che non può assimilare. […]

Nella logica ci si serve del negativo come della forza motrice che mette in movimento tut-to. E il movimento ci vuole nella logica, comunque ci si arrivi, colle buone o con le catti-ve. Ora c’è il negativo che aiuta; e se il negativo non serve, c’è il gioco di parole e il gergo, giacché il negativo stesso è divenuto un gioco di parole.[…]Nella logica nessun movimento può divenire perché la logica è, e tutto ciò ch’è logico è […]: l’impotenza del logico è il pas-saggio dalla logica al divenire, dove si presentano l’esistenza e la realtà. Quando la logica si sprofonda nella concretezza delle categorie, non dice niente di più di quanto aveva det-to fin da principio. Ogni movimendet-to, per servirsi un momendet-to di questa espressione, è un movimento immanente, il quale, in un senso più profondo, non è movimento. Di questo ci si può convincere facilmente se si pensa che il concetto del movimento stesso è una tra-scendenza che non può trovare un posto nella logica. Allora il negativo è l’immanenza del movimento, è ciò che scompare, ciò che è tolto. Se tutto diviene in questo modo, niente diviene, e il negativo diventa un fantasma. Ma appunto per far divenire qualche cosa, nel-la logica il negativo diventa qualcosa di più, diventa ciò che produce il contrasto, cioè non una negazione, ma una contra-posizione.12

11 Il riferimento qui è in realtà non è a Hegel come fonte diretta, ma al testo di A.P. Ad-ler, Populaire Foredrag over Hegels objective Logik, København 1842, dove il concetto di “Realtà” compare nel titolo degli ultimi tre paragrafi: § 28: «Det Hele og Dele. – Kraft og Yttring. – Vir-kelighed», §29: «Formel Virkelighed – Mulighed - Tilfældighed» e § 30: «Real Virkelighed (rela-tiv Nødvendighed) – Absolut Nødvendighed», pp. 252, 161 ss., 166. Cfr. Kommentar til Begrebet

Angest, K 4, p. 350. Hegel in realtà sia nella Scienza della logica che nell’Enciclopedia delle scien-ze filosofiche tratta il concetto di realtà nella “Dottrina dell’essenza”, ovvero la seconda (non

l’“ul-tima”) delle tre parti in cui sono suddivise le trattazioni di Hegel. Era la trattazione di Adler che si fermava alle prime due parti del Sistema hegeliano (Dottrina dell’Essere e Dottrina dell’essen-za), tralasciando la “Logica soggettiva”, o Dottrina del Concetto. Cfr. anche Jon Stewart,

Kierke-gaard’s Relation to Hegel Reconsidered, Cambridge University Press, Cambridge 2003, p. 384 ss.

12 Begrebet Angest, SKS 4, pp. 281-82, 285-86; tr. it., a cura di C. Fabro, Il concetto del-l’angoscia, in Opere, Piemme, Casale Monferrato 1995, vol. I, pp. 313-315.

In quest’opera la psicologia costituirà per Kierkegaard uno strumento episte-mologico atto a rendere possibile un discorso sulla realtà – e in tal caso la realtà è il

fatto del peccato, ovvero il fatto della libertà stessa. La psicologia è in qualche modo

lo strumento grazie al quale Kierkegaard ritiene sia possibile parlare del negativo. At-traverso la psicologia, il negativo non viene colto nella sua essenza metafisica (il che è impossibile, lo si è visto), ma può venire analizzato da un punto di vista che si po-trebbe definire “fenomenologico”. Infatti Kierkegaard analizza la sola possibile com-prensione del negativo data all’essere umano esistente, ovvero il negativo non come un concetto astratto, ma nella sua realtà esistenziale: ossia attraverso l’idea della

pos-sibilità, un’idea che causa angoscia. Leggiamo ancora nel Concetto dell’angoscia:

«[…] La scienza che si occupa della spiegazione è la psicologia, la quale però può spiega-re soltanto il modo per arrivaspiega-re alla spiegazione e, soprattutto, deve guardarsi dal voler far credere di spiegare ciò che nessuna scienza può spiegare […] [il fatto del peccato] Come questo sia avvenuto, nessuna scienza lo può spiegare. La psicologia vi si avvicina di più, spiegando l’ultima approssimazione che è il “mostrare-a-sé-per-sé” della libertà nell’angoscia della possibilità, ovvero nel nulla della possibilità o nel nulla dell’angoscia […] «[…] quale effetto ha il nulla? Esso genera l’angoscia […] La realtà dello spirito si mostra continuamente come una figura che tenta la sua possibilità, ma appena egli cerca di afferrarla, essa si dilegua; essa è un nulla che può soltanto angosciare. […] L’angoscia è la realtà del-la libertà come possibilità per del-la possibilità. […] La possibilità è il potere. In un sistema lo-gico è abbastanza facile dire che la possibilità trapassa nella realtà. Nella realtà questo non è così facile e occorre una determinazione intermedia. Questa determinazione è l’angoscia.

Nel documento Quaderni di studi kierkegaardiani (pagine 41-57)