di GIORGIOBRIANESE
La dignità dell’intelligenza sta nel riconoscere che essa è limitata e che l’universo ne è fuori... (FERNANDOPESSOA, L’educazione dello Stoico,
Einaudi, Torino 2005, p. 75).
1. È più che verosimile supporre che Søren Kierkegaard abbia potuto dete-stare il “vanitoso Schopenhauer” (lo descrive in questo modo Cornelio Fabro nel-l’introduzione alla traduzione italiana del diario del filosofo danese da lui curata di-versi anni fa per l’editrice Morcelliana1). Ed è certo che, in una annotazione che ri-sale al 1854, Kierkegaard si è spinto sino al punto di raccomandare agli studenti da-nesi di teologia “di prendere ogni giorno una piccola dose dell’Etica di Schopenhauer per immunizzarsi dall’infezione di queste chiacchiere”2, come si potrebbe fare im-pegnandosi a combattere omeopaticamente una malattia o una pestilenza che met-tano a rischio la nostra stessa sopravvivenza. Nello stesso tempo, tuttavia, Kierkegaard ha senza dubbio provato anche un senso di ammirazione nei confronti del filosofo tedesco e, almeno entro certi limiti, gli è potuto capitare persino di riconoscersi nel-la sue parole e di farle, magari inconsapevolmente, proprie. Ce lo suggerisce egli stes-so quando, in una pagina del suo monumentale diario3 , annota queste parole: “In
1 Cfr. Diario, vol. 1, p. 72. Indico qui di seguito, una volta per tutte, le abbreviazioni che utilizzerò per citare le opere di Kierkegaard e di Schopenhauer:
a) SCRITTI DISØRENKIERKEGAARD:
Diario = S. KIERKEGAARD, Diario, terza edizione riveduta e aumentata a cura di Cor-nelio Fabro, Morcelliana, Brescia 1980-1983, 12 voll.
EE = S. KIERKEGAARD, Enten-Eller, trad. ital. a cura di Alessandro Cortese, Adelphi, Milano 1976-1985, 5 voll.
Ironia = S. KIERKEGAARD, Sul concetto di ironia in riferimento costante a Socrate, trad. ital. a cura di Dario Borso, Rizzoli, Milano 2002.
Opere = S. KIERKEGAARD, Opere, trad. ital. a cura di Cornelio Fabro, Sansoni, Firen-ze 1993.
b) SCRITTI DIARTHURSCHOPENHAUER:
Etica = A. SCHOPENHAUER, I due problemi fondamentali dell’etica, trad. ital. a cura di Sossio Giametta, Mondadori, Milano 2008.
Mondo = A. SCHOPENHAUER, Il mondo come volontà e rappresentazione, trad. ital. a cu-ra di Giorgio Brianese, Einaudi, Torino 2103.
Supplementi = A. SCHOPENHAUER, Supplementi a “Il mondo come volontà e
rappre-sentazione”, trad. ital. a cura di Giorgio Brianese, Einaudi, Torino 2013.
2 Diario, vol. 10, p. 161.
3 Sull’importanza del diario di Kierkegaard non si insisterà mai abbastanza: “Il Diario, che egli scrisse per sé, è molto discontinuo come compilazione e come contenuto. Ma indubbia-mente esso rivela il suo animo come nessun altro scritto, se non sempre per la perfezione dello sti-le, certamente per l’intimità e sincerità, per una profondità di analisi dell’uomo interiore ed una
un certo senso quasi mi dispiace che mi sia capitato di leggere Schopenhauer. Sen-to una paura, uno scrupolo indescrivibile di servirmi di espressioni di un altro sen-za avvertire. Ma le sue espressioni spesso son così affini alle mie ch’io, forse per uno scrupolo esagerato, finisco per attribuire a lui ciò che tuttavia è mio”4. In ogni caso, sebbene non ne condivida mai fino in fondo il pensiero, Kierkegaard non manca di riconoscere con onestà intellettuale la grandezza della figura e dell’opera del filoso-fo tedesco: Schopenhauer, ai suoi occhi, è in ogni caso “innegabilmente uno scrit-tore importante”5, anzi, “molto importante”6, non solo per quel che riguarda la fi-losofia in senso stretto, ma “anche per il Cristianesimo”7, il quale ha bisogno di es-sere riconsiderato a fondo e che non va assolutamente inteso in modo hegeliano, poi-ché, come è stato scritto, “se Hegel avesse ragione, il cristianesimo scomparirebbe nella sua essenza”8.
Di Schopenhauer Kierkegaard valuta positivamente innanzitutto l’ostilità nei confronti del mondo accademico e il disprezzo nei confronti di quelle vere e proprie “canaglie” che sono, in ogni tempo, i mestieranti della filosofia e i servi del potere: “che tutta la sua esistenza, la storia della medesima, sia una profonda ferita inferta alla filosofia professorale – scrive Kierkegaard –, glielo concedo con gioia e gratitu-dine”9. Tuttavia, anche se è stato trattato in modo indegno ed è diventato il bersa-glio “dell’infamia marcia dei professori”10, Schopenhauer non sembra affatto a Kierkegaard una vittima vera e propria (quanto meno non da un punto di vista eti-co, che è quello che a lui sta maggiormente a cuore), dato che chiunque può senza troppa difficoltà rendersi conto che, se soltanto fosse dipeso da lui, Schopenhauer avrebbe senza dubbio desiderato ricevere l’approvazione e l’acclamazione (anche) di quel mondo accademico che pure aveva criticato con tanta asprezza11 e
volentie-commozione di stile che lo avvicinano alle Confessioni di sant’Agostino. Il Diario soprattutto co-glie allo stato nascente i pensieri che poi hanno riempito” sia le Opere pseudonime sia quelle pub-blicate da Kierkegaard con il proprio nome (C. Fabro, Introduzione, in S. Kierkegaard, Diario, edi-zione ridotta, Rizzoli, Milano 19884, p. 12).
4 Diario, vol. 11, p. 162, corsivi miei.
5 Diario, vol. 10, p. 146.
6 Diario, vol. 11, p. 101.
7 Diario, vol. 10, p. 166.
8 D. Antiseri, Come leggere Kierkegaard, Bompiani, Milano 2007, p. 94.
9 Diario, vol. 11, p. 101.
10 Diario, vol. 10, p. 150.
11 Si legga ad esempio ciò che Schopenhauer scrive nella Prefazione alla prima edizione del Mondo come volontà e rappresentazione: “ora che i governi fanno della filosofia un mezzo per i loro scopi politici, gli intellettuali vedono nelle cattedre di filosofia un mestiere che, come qualun-que altro, dà da mangiare a chi lo esercita: ed ecco che fanno ressa per ottenerle, garantendo le lo-ro buone intenzioni, ossia il plo-roposito di porsi al servizio di quegli scopi. E mantengono la palo-rola: la loro stella polare non sono né la verità, né la chiarezza, né Platone, né Aristotele, bensì gli scopi al servizio dei quali sono stati posti e che diventano subito anche il criterio di ciò che è vero, giu-sto, importante e del loro contrario, ciò che, viceversa, non si accorda con quegli scopi, si tratti pu-re della cosa piu importante ed eccezionale nel proprio ambito, viene o condannato oppupu-re, ove cio appaia rischioso, soffocato dall’indifferenza generale” (Mondo, Prefazione alla prima edizione, p. 15). Per toccare rapidamente con mano la veemenza della sua critica si veda soprattutto A. SCHO
ri le avrebbe accolte: Schopenhauer “va troppo ansimando dietro la fama”, “l’ha de-siderata, ne spasima”, sentenzia con tono di rimprovero il filosofo danese12, e que-sto, ai suoi occhi, è un difetto davvero imperdonabile, poiché la verità appartiene sem-pre alla singolarità dell’esistenza che la sperimenta e la fa vivere, e non ha alcun bi-sogno di andare alla ricerca del consenso a tutti i costi, tanto meno di quello dei me-stieranti della cultura o delle masse. Anzi, “quando una verità vince per opera di die-cimila uomini in agitazione, anche supponendo che ciò che vince sia una certa veri-tà, per la forma e il modo con cui vince, vince una falsità ancora più grande”13. Con buona pace di Kierkegaard e dei suoi rimproveri, ho l’impressione che Schopenhauer avrebbe potuto, nella sostanza, essere d’accordo con lui (fermo restando che la ve-rità alla quale pensa Kierkegaard è quella del Dio cristiano, sia pure ripensato e ri-vissuto in modo originale ed esistenzialmente connotato14, oltre che risospinto ver-so la purezza delle origini15, mentre quella alla quale si riferisce Schopenhauer è sen-za alcun dubbio una verità che viene testimoniata in assensen-za di Dio e che anzi, in cer-to senso, inaugura, prima e forse persino più di Nietzsche, l’epoca della sua morte16). Per fare un esempio soltanto, si può leggere quello che Schopenhauer scrive nella pagina con cui si conclude la Prefazione alla prima edizione del Mondo come volontà
e rappresentazione:
presento il mio libro con profonda serietà, convinto come sono che esso presto o tardi rag-giungerà coloro ai quali soltanto può essere rivolto, anche se sono serenamente rassegna-to al fatrassegna-to che anche a quesrassegna-to libro rassegna-toccherà lo stesso destino che è sempre rassegna-toccarassegna-to in sor-te alla verità in ogni ambito del sapere, soprattutto in quello più importansor-te, ossia di
con-12 Diario, vol. 10, pp. 148-149.
13 Diario, vol. 4, p. 137. Come ha scritto Salvatore Spera, “la non verità viene rappresentata nella sua espressione estrema, dal fatto che la folla può decidere, col criterio maggioritario, anche di realtà non adeguabili con tale criterio; nasce, così, la confusione tra un criterio ‘empirico’ di mag-gioranza e valori non qualificabili” (S. SPERA, Introduzione a Kierkegaard, Laterza, Roma-Bari 1986, p. 75).
14 “L’intonazione che Kierkegaard ha di fatto conferito al pensiero della fede, analogamente a quella che Nietzsche ha impresso alla passione filosofica, ritrova questo andamento, che oggi si conviene per lo più di designare come esistenziale” (P. SEQUERI, Fede e sapere in Kierkegaard, in
Il religioso in Kierkegaard, a cura di I. Adinolfi, Morcelliana, Brescia 2002, p. 169).
15 “... la tonalità di fondo e la finalità del cristianesimo kierkegaardiano [...] in definiti-va altro non è che una riproposizione del cristianesimo delle origini, un ritorno a una lettura sine
glossa del Vangelo nel secolarizzato secolo XIX, uscito dall’illuminismo e dominato dall’idealismo,
una difesa della fede nell’epoca che si vantava di ‘andare oltre’ e la considerava come qualcosa d’im-perfetto che doveva necessariamente essere ‘superato’ nel sapere filosofico. La grandezza di Kier-kegaard come pensatore religioso consiste proprio nell’aver saputo difendere mediante una dia-lettica raffinatissima, confrontandosi alla pari con i maggiori pensatori dell’epoca sul loro stesso terreno, il nucleo originario della fede cristiana, serbandone intatta la dura semplicità contro l’ag-guerrita filosofia del suo tempo che in modo subdolo mirava ad assorbirla e a trasformarla in spe-culazione” (I. ADINOLFI, Studi sull’interpretazione kierkegaardiana del cristianesimo, il melangolo, Genova 2012, pp. 15-16).
16 Quella di Schopenhauer può essere descritta proprio come una religiosità senza Dio, come suggerisce ad esempio un vecchio ma ancora importante e attualissimo saggio di Giuseppe Faggin, Schopenhauer. Il mistico senza dio, La Nuova Italia, Firenze 1951.
seguire soltanto una breve vittoria tra due lunghi periodi di tempo nei quali essa viene con-dannata come paradossale o disprezzata come triviale. e il primo destino colpisce anche, insieme alla verità, colui che l’ha trovata. ma la vita è breve e la verità opera lontano e vive
a lungo: diciamo, dunque, la verità17.
Detto questo, va rilevato anche che Kierkegaard apprezza e condivide talu-ne intuizioni e talutalu-ne immagini che Schopenhauer ha proposto talu-nei suoi libri. Si ve-da ad esempio quella pagina18nella quale, a proposito del rapporto tra l’azione e la contemplazione, Kierkegaard si richiama all’analogia che era stata suggerita da Schopenhauer nel paragrafo conclusivo del Libro primo del Mondo come volontà e
rappresentazione: se nella vita concreta, aveva scritto Schopenhauer in quella sede,
l’uomo “è in balia di tutte le tempeste della realtà”, quando invece riflette pacata-mente “è come un attore che ha recitato la propria parte e che, mentre attende il mo-mento in cui dovrà ripresentarsi sulla scena, prende posto tra gli spettatori osservando tranquillamente tutto ciò che può ancora accadere […], dopo di che torna in scena e agisce e soffre come deve fare”19. O si veda anche quell’altra pagina20nella quale Kierkegaard non nasconde di apprezzare e di condividere la (peraltro attualissima, come non si farà fatica a comprendere) definizione schopenhaueriana dei giornali-sti come persone che danno a nolo questa o quella opinione a una massa che, per pro-pria natura e non per caso, è incapace di avere idee proprie e si affida come un greg-ge ai luoghi comuni21. La si può leggere alla fine del capitolo 7 dei Supplementi al
“Mondo come volontà e rappresentazione”:
Nella maggior parte degli uomini la capacità di giudizio è presente solo nominalmente […]. Le teste comuni mostrano anche nelle più piccole faccende una mancanza di fiducia nel loro proprio giudizio, proprio perché sanno per esperienza che esso non ne merita affatto. Il suo posto è preso in loro dal pregiudizio e dal seguire il giudizio altrui; ragion per cui essi vengo-no mantenuti in una sorta di condizione di mivengo-norità permanente, dalla quale uvengo-no su mille ri-esce a liberarsi [...]. Mentre chiunque si vergognerebbe di andare in giro con un abito, un cap-pello o un mantello presi a prestito, tutti costoro non hanno altre opinioni se non quelle pre-se a prestito: le raccolgono dovunque riescano a trovarle e poi, facendopre-sene vanto, le spacciano per proprie. Altri poi le prendono di nuovo in prestito da loro, e fanno la stessa cosa. Il che spiega la rapidità e l’ampiezza con cui si diffondono gli errori, come anche la fama di cui go-de tutto ciò che è cattivo; giacché coloro i quali fanno di professione i prestatori di opinioni, cioè giornalisti e simili, distribuiscono di regola solo della mercanzia fasulla, al modo in cui coloro i quali danno a noleggio gli abiti danno in prestito solo gioielli falsi22.
17 Mondo, Prefazione alla prima edizione, p. 11, corsivo mio.
18 Cfr. Diario, vol. 10, p. 165.
19 Mondo, § 16, pp. 130-131.
20 Cfr. Diario, vol. 11, pp. 161-162.
21 Come ha scritto Emanuele Severino, l’attenzione di Kierkegaard per la realtà del ‘sin-golo’ non equivale di per sé all’affermazione della ‘singolarità’ di ogni individuo: “immediatamente l’uomo vive come un ‘genere’, folla, massa, cittadino, cioè come elemento di una struttura che l’at-teggiamento epistemico attribuisce al divenire. Ma ogni uomo deve e può diventare un singolo, se comprende il senso proprio del divenire e cioè della propria esistenza: essere un singolo significa esistere al di fuori di ogni ‘ordine stabilito’” (E. SEVERINO, La filosofia contemporanea, Rizzoli, Mi-lano 1986, p. 75).
Nel suo diario Kierkegaard riassume, parafrasandolo, questo passo di Scho-penhauer, e lo commenta osservando che il giornalista
prima mette in azione le sue energie per convincere ch’è necessario che ogni uomo abbia un’opinione – e poi, poi spiffera il suo assortimento. Il giornalista rende gli uomini ridi-coli in due modi: prima, col far loro credere ch’è necessario avere un’opinione – e questo è forse il lato più ridicolo della faccenda. Basti pensare a un qualsiasi malcapitato Tizio bor-ghese, che potrebbe stare tanto bene, mentre i giornalisti gli fanno credere ch’è necessa-rio avere un’opinione. Poi con il noleggiare un’opinione che, malgrado la sua qualità ven-tosa, però si indossa e si porta come – un articolo di necessità!23.
Il punto di vista dei due filosofi mi sembra davvero interessante e, come ac-cennavo poc’anzi, appare di una sconcertante attualità, soprattutto per noi che abi-tiamo da tempo l’epoca della “cultura terapeutica”24e, ammaestrati da sempre più accorte e seduttive strategie di mercato, siamo sempre più disposti a raccogliere le briciole delle pseudo-opinioni altrui, dispensate da questo o quel giornalaio o dal gran-de fratello mediatico, oppure a lasciarci affascinare, sempre più criticamente disar-mati, dallo pseudo-carisma dei sedicenti leader che volta per volta si affacciano sul-la scena pubblica.
Quando si arriva al dunque, ad ogni modo, Kierkegaard ritiene che il pensiero di Schopenhauer sia in generale poco o niente affatto condivisibile (soprattutto per quel che riguarda l’etica e il rapporto tra filosofia e Cristianesimo), e che l’uomo Scho-penhauer abbia vissuto in modo quanto meno non coerente, se non senz’altro anti-tetico, rispetto ai dettami della propria filosofia. Per questo, fatte salve talune tematiche che sente maggiormente vicine alla propria sensibilità, Kierkegaard si considera in
23 Diario, vol. 11, p. 162. Cfr., su questo tema, anche Diario, 10, pp. 199-200: “In fondo il corruttore è Il giornalista. Egli vive (peggio di quanto un qualsiasi tenutario di bordello non vi-va delle passioni degli uomini) del diffondere nell’uomo il principio del male: il numero […]: se fossi padre e avessi avuto una figlia che fosse stata sedotta, non l’abbandonerei affatto; ma se un figlio si mettesse a fare il giornalista, lo riterrei perduto”. Ivi, p. 203: “I giornali rappresentano la caduta più profonda dell’umanità […]; con essi è stata inventata un’arma immensa fatta apposta e diretta ad uccidere tutto ciò ch’è qualcosa, così che solo le nullità stanno al riparo dai suoi col-pi”. Diario, vol. 11, p. 32: “Questa gente ha il nome dal ‘giorno’ (giornalisti). A me sembra che si potrebbero chiamare meglio della notte. Per questo propongo […] di chiamarli: ‘notturni’, ‘il sin-dacato dei notturni’. A me non sembra affatto che codesto termine di ‘notturni’ convenga a quel-li a cui ora è appquel-licato, agquel-li addetti alla puquel-lizia dei pozzi neri. Son veramente i giornaquel-listi i ‘notturni’; essi non portano via le immondizie di notte […]; essi immettono le immondezze di giorno o, per essere ancora più precisi, riversano sugli uomini ‘la notte’, le tenebre, la confusione”. Non è pos-sibile approfondire qui questo tema, pure importante; aggiungo soltanto che ha a che fare con il livellamento e con la massa, con il progetto, più o meno consapevole, di far diventare ciascuno ugua-le a tutti: “‘Essere come gli altri’: è l’espressione dell’avvilimento umano, della degradazione a co-pie, a numero: è notissimo. Ma poiché questa forma di esistenza è la più comoda e vantaggiosa, ecco che la si dipinge ipocritamente come se fosse vera serietà morale” (Diario, vol. 10, p. 228).
24 Cfr. ad esempio F. FUREDI, Il nuovo conformismo. Troppa psicologia nella vita quotidiana, trad. ital., Feltrinelli, Milano 2005. Ho proposto qualche rapida osservazione a questo riguardo nel saggio Mi fa male il mondo. Figure filosofiche della solitudine, in I. ADINOLFI-M. GALZIGNA,
certo qual modo l’opposto del filosofo tedesco. Un’importante e ampia annotazio-ne intitolata Su Arturo Schopenhauer, a proposito della quale dirò qualcosa in più tra breve, ad esempio, si apre con queste parole: “A. S. [Arthur Schopenhauer, s’intende] (strano abbastanza: io mi chiamo S. A. [Søren Aabye], noi ci rapportiamo così in
mo-do inverso!)”25. Ciononostante Kierkegaard non si nasconde affatto – ed è una co-sa della quale in un certo senso pare sorprendersi egli stesso – di essersi imbattuto, incontrando Schopenhauer, in “uno scrittore il quale, malgrado un completo disac-cordo, ha con [lui] molti punti di contatto”26. A separare i due filosofi è dunque una dissonanza di fondo che riguarda talvolta anche tematiche essenziali, la quale però non esclude affatto, tutt’altro, momenti di convergenza anche significativa, dovuti forse anche alla condivisione di fatto di un clima storico-culturale complessivo27.
2. Prima di tutto, però, ci dobbiamo chiedere, mentre accostiamo l’uno all’altro il pensiero di Schopenhauer a quello di Kierkegaard, che cosa quest’ultimo abbia po-tuto conoscere del filosofo tedesco. Niels Jørgen Cappelørn – che dirige la Fonda-zione Søren Kierkegaard Forkningscenteret di Copenhagen ed è uno studioso au-torevole del filosofo danese –, in un saggio recente28, ci ricorda quali libri di Scho-penhauer fossero presenti nella biblioteca personale di Kierkegaard nel 1855, al mo-mento della morte di quest’ultimo. Apprendiamo così che le opere principali del fi-losofo tedesco c’erano tutte: Sulla volontà nella natura, nell’edizione del 1836; I due
problemi fondamentali dell’etica, nell’edizione del 1841; Il mondo come volontà e rap-presentazione, nell’edizione del 1844 (la seconda, arricchita da numerose integrazioni
complementari all’opera principale; come è noto, non si tratta ancora dell’edizione definitiva dell’opera, che apparirà solo nel 1859, e dunque solo dopo la morte di Kier-kegaard); la prima edizione (1851) di Parerga e paralipomena. Mancavano dunque solamente, a quanto pare, la dissertazione Sulla quadruplice radice del principio di
ra-gione sufficiente (ossia la tesi di laurea di Schopenhauer, pubblicata in prima edizione
25 Diario, vol. 10, pp. 145-146, corsivo mio.
26 Ivi, p. 146. L’annotazione non è datata. N. J. Cappelørn ritiene, sulla base di quelle che la precedono, che possa essere stata scritta prima del 21 giugno 1854 e un po’ dopo il 28 giugno dello stesso anno. Cfr. N. J. CAPPELØRN, When and why did Kierkegaard begin reading
Schopen-hauer?, in «Kierkegaard Studies», Monograph Series, n. 26: Schopenhauer-Kierkegaard. Von der Me-taphysik des Willens zur Philosophie der Existenz, hrgs. von N. J. Cappelørn , Lore Hühn, S. R.
Fauth e P. Schwab, De Gruyter, Berlin 2012, p. 19.
27 “En efecto, Schopenhauer y Kierkegaard son dos filosofos diferentes, pero las diferencias