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TRA TEOLOGIA E FILOSOFIA

Nel documento Quaderni di studi kierkegaardiani (pagine 159-175)

di GIUSEPPECANTILLO

Come ha fatto osservare Hans-Georg Drescher, è piuttosto sorprendente che Troeltsch, quando nel 1891, dopo l’abilitazione conseguita a Gottinga, presenta il pro-prio curriculum per l’Anstellungsprüfung nella chiesa bavarese, riferendosi ai teolo-gi e ai pensatori che lo hanno influenzato nomina, assieme a Rothe e Harnack, Kier-kegaard1. Sorprendente, perché il pensiero kierkegaardiano qualche decennio più tardi sarebbe divenuto il punto di riferimento della corrente teologica che ha con-testato la teologia liberale o moderna di cui Troeltsch è uno dei maggiori interpre-ti, vale a dire la teologia dialettica, da Karl Barth a Friedrich Gogarten: il pensiero teologico di quest’ultimo, in particolare, viene definito da Troeltsch come «un frut-to dell’albero di Kierkegaard»2. Ma sorprendente anche perché una conoscenza più approfondita di Kierkegaard lo stesso Troeltsch la situa nel corso del periodo di Hei-delberg3, dove ha tenuto corsi su scritti di Kierkegaard nel Wintersemester 1912/13 1 Cfr. H.-G. DRESCHER, Entwicklungsdenken und Glaubensentscheidung. Troeltschs

Kier-kegaardsverständnis und die Kontroverse Troeltsch-Gogarten, «Zeitschrift für Theologie und

Kir-che», Bd.79, 1982, p. 80. Sulla prove dell’esame di assunzione si veda H.-G. Drescher, Ernst Troeltsch.

Leben und Werk, Vandenhoeck u. Ruprecht, Göttingen 1991, pp. 77-80.

2 E.TROELTSCH, Ein Apfel vom Baume Kierkegaards («Christliche Welt», Jg.35, 1921,n.11, Sp. 186-189), in Anfänge der dialektischen Theologie , Bd. II (R. Bultmann, Fr. Gogarten, E. Thurneysen), hrsg. v. J. Moltmann, Kaiser Verlag, München 1963, pp. 134-140.

3 Quando Troeltsch nel 1913 ripubblica il saggio del 1893-1894 Die christliche

Weltan-schauung und ihre Gegenströmungen nel secondo volume delle Gesammelte Schriften, in una

no-ta a proposito del confronto tra visione del mondo cristiana e visione del mondo umanistica os-serva che a quel tempo conosceva molto poco di Kierkegaard, la cui opera «nel frattempo», quin-di negli anni quin-di Heidelberg, ha conosciuto «approfonquin-ditamente (gründlich)». Cfr. E. TROELTSCH,

Gesammelte Schriften, Band 2: Zur religiösen Lage, Religionsphilosophie und Ethik, (1913),

Neu-druck der 2. Aufl. 1922, Scientia Verlag, Aalen 1962, p. 293, nota 17. Mark Chapmann nel suo sag-gio Ernst Troeltsch: Kierkegaard, Compromise and Dialectical Theology ricorda i riferimenti a Kier-kegaard che si trovano in due recensioni di Troeltsch nel «Theologischer Jahresbericht» del 1897 e del 1899 , rispettivamente dedicate alla monografia di H. Höffding Sören Kierkegaard als

Philo-soph del 1896 e all’articolo di P. Graue Sören Kierkegaard’s Angriff auf die Christenheit del 1898,

dove Kierkegaard viene presentato da Troeltsch come una personalità “melanconica” impegnata a sostenere la netta opposizione del cristianesimo verso il mondo e quindi nella contestazione, spes-so accompagnata da una spes-sottile ironia, dei compromessi della cristianità con la cultura moderna. Cfr. M.CHAPMANN, Ernst Troeltsch: Kierkegaard, Compromise and Dialectical Theology, in

Kier-kegaard’s influence on Theology :German Protestant Theology, a cura di J. B. Stewart, Ashgate,

e nel Sommersemester 19144. Tuttavia, oggettivamente, il richiamo kierkegaardiano a una più autentica coscienza cristiana può avere impressionato il giovane teologo e la sua iniziale riflessione, nella situazione culturale caratterizzata, alla svolta dal XIX al XX secolo, dall’ annuncio nietzscheano della «morte di Dio», che simboleggia l’e-vento del declinare della metafisica e dell’etica platonico-cristiana; una situazione che si riflette nella teologia contemporanea, specialmente protestante, come smarri -mento di fronte ai segni di esauri-mento di un «mondo» in cui sembrava radicata la certezza della conciliazione tra cristianesimo e cultura. In pari tempo, nell’ambito del-la teologia protestante deldel-la fine dell’Ottocento, ad approfondire del-la crisi interviene «la scoperta che I’escatologia ha una rilevanza centrale per il messaggio di Gesù e così pure per il cristianesimo primitivo». Come ha osservato Moltmann, questa sco-perta ha avuto un effetto sconvolgente e ha scosso come un terremoto non soltanto le fondamenta della scienza teolo gica, ma anche quelle della chiesa, della pietà e del-la fede. «Molto prima che le guerre mondiali e le rivoluzioni avessero pro vato in oc-cidente la consapevolezza di una crisi – egli scrive – Troeltsch aveva l’impressione, allora quasi inconcepibile, che “tutto [vacillasse]”. La scoperta del carattere esca-tologico del cristia nesimo primitivo mostrava come l’armoniosa sintesi di cristiane-si mo e cultura, da tutti accettata come ovvia, fosse invece una men zogna» . Il riferi-mento è qui alla critica di Franz Overbeck alla teologia moderna 5.

In effetti, mentre una vasta area della teologia tedesca protestante, che alla fi-ne del secolo si ricollegava, in forme diverse, alla Vermittlungstheologie di Albrecht Ritschl, era convinta della possibilità di«essere cristiani anche nel mondo contem-poraneo pieno di reali smo, di naturalismo e di critica storica» attraverso l’accentuazione della «fede pratica»6, Franz Overbeck sostiene con forza l’ orientamento assoluta-mente escatologico del cristianesimo delle origini e trae di qui la conclusione della opposizione radicale della fede cristiana verso il mondo e la scienza: della impossi-bilità, quindi, di armonizzare cristianesimo e cultura, a meno di non produrre una pro gressiva, inevitabile autodissoluzione del cristianesimo. Destino questo che si è deciso, secondo Overbeck, fin dal sorgere di una teologia cristiana come teoria in cui rifugiarsi dinanzi alla «lotta tra la determinazione ascetico-cristiana e quella critico-culturale della vita»7. Nel cristia nesimo moderno – a partire dalla Riforma – si com-pie la fine del cristianesimo: la cristianizzazione del mondo non è tanto la via della «sdivinizzazione del mondo», come apparirà più tardi a Heidegger, quanto quella

4 Cfr. Ernst Troeltschs Heidelberger Seminarberichte. Neuentdeckte Quellen zu seiner

Lehr-tätigkeit, hrsg. von K.-H. Fix und Ch. Nees, in Mitteilungen der Ernst-Troeltsch-Gesellschaft, VII,

Augsburg 1993, pp. 62-64. Nell’avviso per il semestre estivo del 1914 sono indicati anche gli ar-gomenti trattati e i relativi scritti: teologia ed etica di Kierkegaard attraverso l’analisi di 1)

Einü-bung in das Christentum e 2) Stadien auf dem Lebensweg. Invece il resoconto per il WS 12/13

in-dica genericamente «opere di Kierkegaard e Tolstoi».

5 J.MOLTMANN, Teologia della speranza, trad. it. A. Comba, Queriniana, Brescia 1970, p. 33.

6 H. STEPHAN-M. SCHMIDT, Geschichte der deutschen evangelischen Theologie seit dem

deutschen Idealismus, Topelmann, Berlin 1960, p. 252.

della «mondanizzazione del Cristianesi mo», quindi del tramonto della sua origina-ria verità e forza reli giosa: «la semplice fede nella redenzione ad opera di Cristo»8. Troeltsch, da parte sua, pur riconoscendo la gravità della crisi9, non rinuncia però a riprendere il problema della conciliazione di cristianesimo e cultura, di fede e scien-za. Proprio nell’affrontare il tema della scissione che si è prodotta nella seconda me-tà delI’Ottocento tra «teologia scientifica» e «teo logia pratica», egli si riferisce , con un giudizio nettamente critico, a Overbeck :

«Una tale scissione però è soltanto un risultato, agevolmente spiegabile, della situazione storica, nient’af fatto una necessaria conseguenza della teologia scientifica in sé e per sé. In ogni caso questo risultato non può essere mostrato dalla stessa teologia scientifica a meno di non voler sottoscrivere la propria condanna a morte come teologia, come ha fatto Franz Overbeck, che riteneva l’ autocomprensione scientifica come la mor te del cristianesimo e della religione in generale, e considerava il proprio insegnamento teologico come la co-pertura sotto cui poter attuare in modo più sicuro la propria opera demolitrice con una fredda avversione, senza passione, verso il cristianesimo. Questo è però certamente un ca-so singolo . Un’ asca-soluta chiusura della scienza nei confronti della fede religiosa si trova in-fatti solo in colui che per particolari motivi ha lasciato morire o ha distrutto in sé il pen-siero religioso. Chi personalmente continua a vivere religiosamente non potrà mai giudi-care in questo modo, ma sarà sempre convinto che in una forma o in un’altra le differen-ti sorgendifferen-ti della conoscenza devono coincidere ed armoniz zarsi. Con tutta la oggetdifferen-tività e l’autonomia dei metodi e degli inte ressi puramente storiografici, continua parimenti a sus-sistere l’in teresse pratico-religioso e con questo il carattere della teologia come di una scien-za che ha di mira una conoscenscien-za religiosa nor mativa»10.

Questa volontà di tenere comunque insieme la scientificità dell’impianto sto-riografico e quella della teologia è l’indice di una più generale esigenza di concilia-zione e unificaconcilia-zione che nasce da una’acuta perceconcilia-zione della polarità tra i principi della modernità e quelli della tradizione, tra i valori del cristianesimo e quelli della

Humanität, tra orientamento al trascendente e rigido attenersi all’ immanenza, che

angustia la coscienza cristiana della generazione degli anni ottanta-novanta del XIX secolo e che si trova espressa nelle lettere di Troeltsch al suo amico e collega di stu-di Wilhelm Bousset. Ad esempio nella lettera del 30 luglio 1885 Troeltsch riferen-dosi anche al conflitto tra conoscenza scientifica e prassi religiosa accenna ad una più generale condizione di scissione:

«Io due lati e servo due padroni , puoi chiamarli pensiero e sentimento o realismo e idea-lismo, immanenza e trascendenza, meccanicismo e soprannaturaidea-lismo, conoscenza e ticità , o come altro vuoi. Nello sforzo di rendere il servizio dovuto a ciascuno di questi pa-droni, consiste tutto il mio impegno, il mio lavoro[…. Ma] patisco il destino di tutti colo-ro che vogliono accontentare due padcolo-roni, e alla fine non accontentano nessuno dei due.

8 Cfr. F. OVERBECK, Über die Christlichkeit unserer heutigen Theo logie, E. W. Fritzsch, Leipzig 19032 [18731], pp. 34, 28. Sul problema Cristiane simo-cultura in Overbeck cfr. K. LOE

-WITH, Da Hegel a Nietzsche, trad. it. di G. Colli, Einaudi, Torino 1959, pp. 591 ss.

9 Cfr. anche STEPHAN-SCHMIDT, op. cit., pp. 314-15.

10 E. TROELTSCH, Rückblick auf ein halbes Jahrhundert der theologischen Wissenschaft [1908], in Gesammelte Schriften, Bd. 2, cit., p. 198 .

D’altra parte non posso fare altro che servire due padroni, poiché li riconosco entrambi. Io aspiro puramente al punto di unificazione di entrambi, vale a dire al signore che sta al di sopra degli altri due, e quanto più chiara , a questo riguardo, diventerà la mia conoscenza, tanto più coerente e saldo diventerà sotto tutti gli aspetti il mio agire. Perciò ti prego di non arrestarti mai ad un lato soltanto»11.

E in relazione al compito ch’egli assegna alla teologia «di trovare una conci-liazione tra le forme del pensiero moderno e il contenuto spirituale essenziale ( non il contenuto metafisico) del cristianesimo positivo», per il quale non si vede una via di soluzione, osserva in un’altra lettera a Bousset:

«Finora l’impostazione per la soluzione non riesco ancora a scorgerla[…] sono piuttosto molto scettico e quasi desolato rispetto alla cosa. È ben possibile che la chiesa venga com-pletamente distrutta e che nelle forme estetiche di religione soggettiva ora sorgenti si pro-duca una religione fortemente diversificata per le persone colte e per quelle incolte, e per le persone di mezza cultura non si produca affatto una religione; in breve, che religione e religiosità coincideranno e le forme esteriori non avranno più alcun significato»12.

Nel già ricordato saggio del 1893-94 Die christliche Weltanschauung und

ih-re Gegenströmungen Troeltsch osserva che la crisi, investendo le stesse condizioni di

possi bilità di un orientamento religioso della vita, esige una risposta più complessa ed articolata del semplice ap pello alla evidenza della «esperienza cristiana» dei teo-logi ritschliani; esige, cioè, che – di fronte alla cultura mo derna con le sue tendenze all’immanenza, al naturalismo, all’umanismo – la teologia assolva ancora una volta quello che è stato storicamente il suo «compito autentico», il suo «nervo vitale», va-le a dire la verifica della «possibilità di coesistenza» della esperienza cristiana con «gli altri fatti dell’esperienza e le loro elaborazioni scientifiche»13, o, detto con altri ter-mini, del Kompromiss tra la visione cristiana e quella scientifica, culturale, del mon-do. Il che comporta la necessità di riflettere nuovamente sulla relazione tra cristia-nesimo e mondo. Di per sé, secondo il suo spirito più proprio, il cristiacristia-nesimo è «in-differente verso i compiti e gli interessi mondani in quanto tali»14. Il suo scopo ul-timo è la formazione della personalità costituita dal riferimento a Dio e alla sua san-tità. Perciò le idee etiche fondamentali dell’etica cristiana sono la «purezza di cuo-re» e l’«amocuo-re» ed esse devono orientare tanto l’etica individuale quanto l’etica so-ciale, sfuggendo a quelli che sono gli interessi e i beni puramente mondani. Tutta-via questo non comporta una svalutazione assoluta del mondo; vuol dire, invece, che «con l’eternità nel cuore il cristiano compie nel mondo la sua opera quotidiana, co-m’è suo dovere e come Dio gli ha comandato», anche se il suo cuore è altrove, « è

11 Lettera a Bousset del 30 luglio 1885 citata in H.G. Drescher, Ernst Troeltsch. Leben und

Werk , cit., pp. 33-34.

12 Lettera a Bousset del 23 dicembre 1885 , in op. cit., pp. 37-38.

13 E. TROELTSCH, Die christliche Weltanschauung und ihre Gegenströmungen (1893-1894), in E. TROELTSCH, Gesammelte Schriften, Band 2.: Zur religiösen Lage, Religionsphilosophie

und Ethik (1913), cit. , p. 229 ( d’ora in avanti: Chr.W.).

là dov’è il suo tesoro»15, il suo vero essere. Anche «il cristianesimo di Lutero» sarebbe frainteso se vi si volesse vedere di più di una «interiorizzazione» della trascendenza e dello spostamento della relazione con essa «dalla solitudine del chiostro nella vi-ta quotidiana». Lo stesso Beruf non è il termine di una scelvi-ta, la conseguenza di un’au-tonoma considerazione degli scopi mondani, ma è piuttosto l’accoglimento della si-tuazione data in cui il cristiano deve permanere fiduciosamente e fedele al proprio dovere. Dalla valutazione moderna delle attività e dei beni mondani, dello sviluppo delle forze naturali, della realizzazione quindi delle potenzialità della natura umana, il cristiano, anche il cristiano della riforma, resta ancora ben lontano.16In effetti, non solo, o non tanto, dalla secolarizzazione, ma da una vera e propria mondanizzazio-ne è sorta un’autonoma etica specificamente umana, terrena, alternativa all’etica cri-stiana, e anzi pervasiva anche degli stessi atteggiamenti etici della cristianità, da cui è scaturita la crisi della cristianità nel mondo moderno.

Ora, l’emblema dell’autocoscienza cristiana della criticità della situazione moderna è costituita secondo Troeltsch proprio dalla inquietante riflessione critica di Kierkegaard, dalla «ruvida accentuazione ch’egli fa di questa opposizione» pre-sentandola drammaticamente nella forma di «un secco aut-aut», che non ammette mediazioni17. Ma quali conseguenze scaturiscono da questo assoluto aut-aut ? Dob-biamo dire – si chiede Troeltsch – che si presenta qui la drammatica lotta tra Cristo e Satana, tra il principio dell’amore di Dio e quello dell’amore per le cose del mon-do? O anche che qui si prospetta lo scontro tra la civiltà e l’incultura, oppure tra una concezione realistica della vita guidata dalla ragione e l’utopia di una vita assoluta-mente spiritualizzata? Se così fosse, se l’opposizione si mantenesse nei termini di un assoluto aut-aut, «l’ethos cristiano – scrive Troeltsch – starebbe dalla parte della in-cultura e i suoi legami di fatto con la in-cultura spirituale sarebbero negazioni della sua essenza, ovvero autoinganni resi necessari dalla vita. Oppure l’ethos cristiano – con-tinua Troeltsch – sarebbe ristretto nei limiti di una cultura utilitaristica, priva di idee, nei limiti di una rettitudine borghese in cui troverebbe spazio per i suoi ideali […]; mentre sarebbe escluso proprio dalla più raffinata cultura artistica e spirituale»18. La posizione di Troeltsch è, invece, caratterizzata dall’idea di una possibile media-zione tra visione del mondo cristiana e cultura umanistica, tra etica cristiana ed eti-ca umanistieti-ca, mediazione fondata sulla convinzione della presenza nella natura umana, nella ragione e nel cuore dell’uomo, di una scintilla divina, di un lumen che successivamente si accende con la fede. Per Troeltsch v’è quindi una «disposizione morale» che opera «in vista del valore supremo della personalità spirituale», che esi-ge il superamento dell’egoismo e la dedizione a Dio e al prossimo, valore supremo rispetto al cui conseguimento l’eticità umanistica costituisce solo un primo passo, sia pure determinante, in quanto «spezza la naturale determinatezza sensibile» e rende possibile «una conformazione della vita fondata su più alti motivi spirituali».19Un

15 Chr.W., p. 281.

16 Ibidem.

17 Chr.W., pp. 283-284.

18 Chr.W. , p. 284.

valore supremo dell’etica umanistica è certamente la bellezza, la bellezza coincidente con il bene : «L’impulso all’attivazione e al dispiegamento di sé viene sentito come impulso etico , ed è evidente l’inclinazione a trovare la forma e la legge di quest’at-tivazione nella bellezza dell’armonia estetica»20.

Con la cultura umanistica e neo-umanistica non può non confrontarsi la vi-sione del mondo cristiana. Ed è questo un obiettivo che Troeltsch ritrova e mette in luce nell’opera di Kierkegaard, che però perviene a un risultato differente. Anche per la sua natura malinconica e per la sua educazione pietistica egli perviene ad affer-mare un « netto (schroffen) aut-aut» , in base al quale egli spinge fino all’estremo l’a-scesi cristiana, rendendo il cristianesimo una faccenda per «pochi singoli» e con-dannando il compromesso con il mondo perseguito dalle chiese. Al tempo stesso Kier-kegaard mette in guardia rispetto a quei tentativi di soluzione del problema del rap-porto tra cristianesimo e cultura umanistica analoghi a quello da Troeltsch stesso pro-posto, vale a dire la riconduzione delle opposte visioni all’interno di uno «sviluppo» della personalità che si innalza fino alla dimensione del sopramondano. Questo perché Kierkegaard, come si è visto, vuole affermare in modo esclusivo l’ascesi cri-stiana e si muove nella prospettiva del «singolo». Tuttavia, osserva ancora Troeltsch, egli «dispiega appassionatamente e largamente la sua natura estetico-etica», conse-guendo un vero e proprio «svuotamento» e una vera e propria «liberazione» da tut-to ciò che ha a che fare con la dimensione della sensibilità e dell’estetico, e questut-to positivamente vuol dire l’ innalzamento a una dimensione eticamente più elevata: il che vuol dire uno svuotamento dell’estetico a favore dell’etica cristiana, un risulta-to che non appare molrisulta-to lontano dalla posizione dello stesso Troeltsch che, nel suo confronto con il monismo estetico, afferma lo sviluppo dall’etica umanistica all’eti-ca cristiana: «Ma, ora, la proposizione di una istanza di “svuotamento” dell’esteti-co dinanzi alla esigenza cristiana non è in dell’esteti-conclusione un pensiero simile a quello da me sviluppato?»21. Però, si potrebbe obiettare, per Kierkegaard non vi è sviluppo da uno stadio all’altro della vita, da quello estetico a quello etico, a quello religioso. Piuttosto entra in gioco la decisione che implica un taglio, una discontinuità. Come ha finemente osservato Drescher,

«l’aggettivo “schroff” in connessione con il pensiero dell’ascesi rende evidente a che cosa mira la critica di Troeltsch. È l’idea della decisione che secondo lui viene spostata troppo in primo piano e per mezzo di questo il principio dello sviluppo, a cui Troeltsch deve la sua propria soluzione di fronte agli attacchi del monismo verso il cristianesimo, viene spo-stato indietro».22

La distanza dalla soluzione kierkegaardiana segnata specialmente dall’ ac-centuazione in essa dell’idea dell’ascesi cristiana è confermata dalle successive riflessioni

20 Ibidem.

21 Chr. W., p. 293 nota 17. A questo riguardo osserva Drescher che «in questo contesto dei suoi pensieri per Troeltsch ora va bene Kierkegaard che ha preso posizione a favore dell’ethos cristiano contro l’ethos umanistico, pur senza affermare per sé la piena adesione al cristianesimo» ( H.-G. DRESCHER, Entwicklungsdenken und Glaubensentscheidung , cit., p. 82.

di Troeltsch. Da un lato egli riconosce che «l’eticità completa non può affermarsi sen-za sofferenze e purificazione» e che il valore più alto dell’etica religiosa cristiana si mostra proprio nella capacità «di conferire al fenomeno più generale della vita, cioè al dolore, alla sofferenza, una sua posizione positiva, feconda, mentre il monismo este-tico chiude gli occhi il più possibile dinanzi al dolore e alla sofferenza».23Dall’altro lato osserva che il radicalismo morale di Gesù poteva essere accolto perché legato all’attesa della imminente venuta del regno di Dio, ma, una volta caduta quell’atte-sa, il rigorismo può riguardare solo «quelle persone che si dedicano esclusivamen-te alla propagazione del cristianesimo, profeti, apostoli, missionari, sacerdoti, o na-ture specificamente religiose»24, mentre nella dimensione più generale l’etica non può trascurare i principi del comportamento nelle cose del mondo, legato alle

Nel documento Quaderni di studi kierkegaardiani (pagine 159-175)