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2. C ONTESTUALISMO FUNZIONALE E CREATIVITÀ

2.5. C OGNIZIONE , LINGUAGGIO E CREATIVITÀ

2.5.4. Pensiero e problem solving

La PVA è il processo sottostante le interazioni “propositive” o “intenzionali” con l’ambiente naturale, nel senso verbale del termine. In altre parole, la PVA descrive i processi verbali (e quindi i processi di pensiero) di un individuo che sta interagendo con il suo ambiente per arrivare ad uno scopo.

Questo ci porta ad una più approfondita descrizione di ciò che si intende, in ottica RFT, per “pensiero” e “problem solving”.

Pensiero ed RFT. Nel contesto della tradizione comportamentale, “pensare” non è un termine tecnico, e non è negli scopi del presente lavoro darne una definizione in tal senso. Anche gli

organismi non verbali sono in grado di “pensare”, e non c’è alcuna intenzione di limitare l’utilizzo del termine “pensare” esclusivamente al comportamento degli organismi verbalmente competenti.

Tuttavia, è proprio quando prendiamo in considerazione il pensare in senso verbale che emergono alcune caratteristiche interessanti ai fini della nostra analisi, che riportiamo qui di seguito.

Primo: il pensiero prevede una deliberata PVA, cioè l’astrazione di funzioni verbali da caratteristiche dell’ambiente; questo processo di astrazione è situato in un ambiente concreto, ed è controllato sia dalle conseguenze dirette che da quelle costruite verbalmente.

Altre definizioni del pensiero, per quanto usino termini differenti, sembrano assumere una prospettiva analoga a quella assunta dalla RFT. Scrive Dewey:

“the function of intelligence is ... not that of copying the objects of the environment, but rather of taking account of the ways in which more effective and more profitable relations with these objects may be established in the future” (1925/1981, p. 17).

Secondo, il termine “pensare” tende a essere usato se un soggetto vuole ottenere delle

conseguenze ma ancora non sa quale sia il comportamento che le possa generare; in altre parole, si usa il termine “pensare” quando il soggetto deve emettere un comportamento nuovo per quel contesto.

Terzo, il comportamento è riflessivo, nel senso che le astrazioni del mondo fisico, risultato dell’analisi verbale, sono oggetto di ulteriori analisi verbali che a loro volta generano altre astrazioni, portando il problem solving umano in domini sempre più astratti.

In ultimo, spesso ma non sempre, ci si riferisce al “pensare” come a un comportamento privato.

Quindi, mettendo insieme queste caratteristiche possiamo tracciare i contorni di una

definizione del pensiero, inteso in senso verbale: una sequenza comportamentale, riflessiva, spesso privata, di analisi verbale pragmatica che trasforma le funzioni dell’ambiente allo scopo di

generare azioni nuove e funzionali a uno scopo.

In questa definizione il pensare è visto come un’attività che ha lo scopo di modificare l’ambiente, ma è importante chiarire che per “ambiente” si intende tutto ciò che al di fuori del comportamento, ma non necessariamente al di fuori della pelle dell’individuo. In tale ottica, il pensare può essere anche diretto alla modificazione di eventi privati.

La trasformazione di funzione stimolo che avviene non è fatta a caso. È invece un’azione controllata dalle sue conseguenze, in una situazione in cui sono richieste azioni nuove. Queste conseguenze possono essere sia dirette e storiche (cioè, certe forme di pensiero potrebbero avere condotto ad atti nuovi e produttivi) che verbali e anticipatorie (cioè, certe forme di pensiero potrebbero essere in relazione verbale con conseguenze concettualizzate verbalmente).

Dei due tipi appena elencati (dirette/storiche vs verbali/derivate) il secondo tipo è

probabilmente degno di particolare attenzione perché le condizioni nelle quali dei nuovi atti sono necessari sono probabilmente quelle in cui le sole dirette conseguenze non hanno condotto ai risultati desiderati (azione efficace).

Possiamo quindi dire che il pensiero così definito diventa un particolare forma di problem solving.

La definizione di problem solving della RFT. In termini generali, il problem solving può essere definito come un comportamento che, attraverso le manipolazioni di variabili, rende

l’apparizione di una soluzione più probabile (Skinner, 1953, p. 247); possiamo quindi pensare ad un problema come ad una situazione in cui al soggetto manca il comportamento che gli consenta l’accesso a un rinforzatore (ibidem).

In tal senso l’approccio comportamentale non tratta il problem solving puramente come comportamento diretto a uno scopo, ma limita l’uso del termine a quelle situazioni in cui ci sono ostacoli comportamentali da rimuovere o aggirare; quindi, secondo questa definizione, il citato piccione di Epstein che usa la scatola come un gradino per raggiungere la banana, sta risolvendo un problema.

Le tradizionali visioni del problem solving sono pervase dall’uso di termini di senso comune per descrivere l’applicazione lineare di relazioni verbali.

Molti modelli descrivono la serie di step attraverso i quali il problem solving si svolge, e per quanto da un modello all’altro il numero di questi step possa variare, tutti condividono la stessa sequenza logica: definire il problema, raccogliere informazioni, identificare possibili soluzioni, scegliere un piano, attuare il piano; verifica il risultato; cambia il piano (Reese 1994).

All’interno degli approcci classici al tema del problem solving può essere fatta un’ulteriore distinzione, cioè tra approcci convergenti e divergenti. Il problem solving convergente si applica quando esiste una sola soluzione al problema, come nei problemi di matematica; quello divergente sono usate quando ci sono diverse soluzioni, definite ciascuna da un criterio di efficacia.

Per la RFT il problem solving consiste nel porre gli eventi in frame relazionali sotto il controllo di antecedenti e conseguenti costituiti dalla apparente assenza di azioni efficaci. Detto in altri termini, nel comportamento di problem solving l'apparente assenza di azioni efficaci fa da antecedente per un’attività relazionale orientata alla creazione di quelle azioni.

Alcuni problemi sono interamente astratti e arbitrari (problemi logici matematici, trovare la pace della mente o dello spirito) e non comprendono le caratteristiche fisiche dell’ambiente.

Invece, nei casi in cui i problemi coinvolgono le funzioni stimolo delle caratteristiche fisiche dell’ambiente, si può dire che il problem solving è una analisi verbale pragmatica che cambia le funzioni comportamentali dell’ambiente sotto il controllo antecedente e conseguente di

un’apparente assenza di azioni efficaci.

Problem solving strategico. In accordo con le definizioni che sono state date, tutte le forme di problem solving comportano l’individuazione di una situazione problema, vale a dire l’assenza di un’azione efficace in una data situazione. Nella parola “efficace” è implicito il fatto che la soluzione del problema possa essere discriminata, ma le strategie di problem solving differiscono nel grado col quale questa discriminazione avviene verbalmente.

Si ha problem solving strategico quando le soluzioni sono disponibili o sono state identificate verbalmente. In altri termini, si ha problem solving strategico quando il risolutore ha inserito il suo scopo o il suo obiettivo all’interno di un relational frame. Questo obiettivo può ora essere

confrontato ad altri network relazionali che specificano la presente situazione e i passi necessari da fare per raggiungere l’obiettivo o lo scopo verbalmente costruito.

Questa attività è inerentemente metaforica nel senso verbale del termine, perché interi set di relazioni stimolo derivate sono messi in relazione ad altri sulla base di proprietà fisiche, dimensioni, o relazioni e relative trasformazioni.

È questo, il genere di problem solving che procede in modo lineare e passo-passo.

Le fasi di problem solving di senso comune sopra descritte includono delle attività verbali che hanno sempre come riferimento la costruzione verbale del risultato desiderato. La natura passo-passo di questo genere di problem solving non deriva dalla natura necessariamente lineare degli eventi verbali, ma piuttosto dal tentativo di formulare delle strategie euristiche. In altre parole, l’analisi del problem solving passo-passo sopra menzionata, più che essere una descrizione è una prescrizione.

Con questo modo di procedere, dato un obiettivo da raggiungere, la questione è come

aumentare il controllo sulle variabili della situazione usando l’analisi pragmatica: quindi astrarre dal contesto fisico delle caratteristiche, e inserire queste caratteristiche astratte verbalmente in altre relazioni verbali, in modo da raggiungere l’obiettivo per come è stato definito verbalmente.

Problem solving valutativo. Il problem solving valutativo si applica quando la mancanza di azione efficace è verbalmente accessibile, mentre non è altrettanto accessibile quello che potrebbe costituire azione efficace, perché l’obiettivo o lo scopo non sono definiti verbalmente e quindi non possono essere inseriti in nessuna relazione verbale.

In altre parole, il problem solving valutativo viene attuato in quelle situazioni in cui si sa che bisogna fare qualcosa, ma non si sa che fare perché non si ha alcuna idea di quale forma dovrebbe avere la soluzione al problema.

Per fare un esempio, il neonato si trova in una situazione di questo tipo, poiché egli è a contatto diretto con problema della fame, ma non è mai stato in contatto con la sazietà, e quindi nemmeno con i comportamenti che hanno avuto la sazietà come conseguenza.

In molte situazioni di problem solving verbale gli esseri umani si trovano in una situazione simile, e in tale contesto il problem solving strategico si può rivelare altamente inefficace. In ambito psicoterapico, il problem solving valutativo è alla base della chiarificazione dei valori, durante la quale il paziente è chiamato a formulare delle direzioni di vita sulla base delle quali prendere decisioni.

Il problem solving valutativo prevede l'utilizzo di frame relazionali per contattare dei possibili risultati, in modo da poter selezionare tra questi. I problemi che riguardano decisioni di vita, come carriera, matrimonio o pratiche religiose, appartengono a questa categoria. Il problema qui riguarda la selezione tra possibili conseguenze come mezzo per raggiungere i propri obiettivi. Nel contesto del problem solving valutativo, la strategia passo-passo viene sostituita da un approccio orientato alla generazione e all’esplorazione di possibili soluzioni. Ad esempio, nel contesto dell’Acceptance and Commitment Therapy (Hayes, Strosahl & Wilson 1999, 2012), al paziente che non sa che direzione dare alla sua vita si rivolgono domande come: “Se la tua vita fosse un libro, quale sarebbe il suo titolo?”. La funzione di questa ed altre domande simili è quella di rendere salienti alcune caratteristiche della situazione, allo scopo di renderle accessibili verbalmente, per poterle inserire quindi in un processo di analisi verbale.

In tal senso, possiamo vedere le pratiche magiche e divinatorie di vario genere, specialmente quando sono vaghe e metaforiche, come una forma di problem solving valutativo; poiché grazie all’utilizzo di messaggi ambigui, possono attivare un processo di generazione di ipotesi (cioè gli elementi del contesto acquisiscono nuove funzioni verbali) che possono riorganizzare i network relazionali in modo anche considerevole, aumentando così la probabilità di arrivare alla soluzione del problema.