dell’internazionalizzazione delle piccole e medie
imprese
Le principali prospettive teoriche del processo d’internazionalizzazione delle aziende hanno affrontato lo studio delle grandi imprese multinazionali. Considerando i casi aziendali oggetto di studio nel quarto capitolo, nei quali sono esaminate le imprese vitivinicole di piccole, medie e grandi dimensioni, è opportuno proseguire l’analisi valutando anche le dinamiche, i percorsi e i processi di sviluppo internazionale delle piccole e medie imprese.
Il processo di espansione estera delle imprese è stato descritto da diversi modelli che hanno cercato di riconoscere i criteri di connessione tra i vari fattori d’internazionalizzazione per indentificare dei modelli esplicativi di tale fenomeno di valenza possibilmente generale. Questi modelli maggiormente consolidati e applicati al caso delle piccole e medie imprese sono: il modello dello sviluppo per fasi (Johanson e Wiedersheim, 1975; Johanson, Vahlne, 1977); la prospettiva reticolare ( Johanson, Mattsson, 1988); la prospettiva Born Global (McKinsey et al, 1993); il modello impulso-routine (Caroli, Lipparini, 2002).
Il primo modello che interpreta l’internazionalizzazione per fasi ha trovato applicazione nel caso delle piccole e medie imprese. L’espansione estera avviene tramite passaggi
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successivi secondo una logica incrementale che inizia con l’esportazione di una piccola parte della produzione e poi prosegue attraverso un graduale aumento delle vendite (Rao e Naidu, 1992). Per di più in questa prospettiva, l’approccio graduale dell’internazionalizzazione dell’impresa è inteso anche in termini di crescita dimensionale dell’impresa e dei mercati serviti oltre al coinvolgimento finanziario, organizzativo e strategico (Musso, 2006).
La prospettiva reticolare evidenzia come siano le relazioni che la piccola e media impresa stabilisce con altri interlocutori il fattore trainante per il suo processo d’internazionalizzazione. Questa si sviluppa attraverso il progressivo arricchimento e l’estensione delle relazioni che la piccola e media impresa attiva con soggetti locali ed esteri con il fine di operare nei mercati stranieri. Tali relazioni sono favorite dall’intervento di attori pubblici o sono proprie dell’economia distrettuale in cui l’impresa è inserita (Grandinetti, Rullani, 1992). Inoltre, in questa prospettiva è sottolineata l’inesattezza dello sviluppo per fasi nelle strategie e organizzazione dell’impresa internazionalizzata (Musso, 2006).
Il modello impulso-routine fa riferimento all’internazionalizzazione come fenomeno micro-macro (Di Bernardo, Rullani, 1990). L’espansione estera è conseguenza di un impulso il quale si manifesta da fattori interni ed esterni all’impresa. Tuttavia è fondamentale il ruolo dell’imprenditore, della governance dell’impresa, nell’interpretare e percepire correttamente l’impulso per attivare il processo d’internazionalizzazione (Compagno, 2011). La conseguenza della presenza estera, derivante dall’impulso, determina nuove routine organizzative che porteranno ad un certo grado di innovazione nelle varie aree aziendali, in seguito nuovi impulsi potranno creare altre innovazioni nelle routine (Caroli, Lipparini, 2002).
Questi approcci al processo d’internazionalizzazione hanno trovato riscontro nelle piccole e medie imprese e anche se seguono percorsi differenti portano a risultati comuni. Questi modelli sono stati criticati ma sottolineano il carattere dinamico dell’espansione estera determinata da decisioni e cause che cambiano con l’evoluzione dell’impresa. Infatti, già Saraceno aveva osservato che l’impresa internazionale non deve essere intesa come un archetipo, ma come il risultato in continuo divenire di un percorso evolutivo. Anche Rispoli afferma che “per internazionalizzazione delle imprese può intendersi un processo che, a partire da un rapporto relativamente semplice ma sistematico delle imprese con i mercati esteri, porta via via verso forme di
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investimento all’estero e comunque verso lo sviluppo di relazioni competitive, transattive e collaborative con altre aziende di produzione e di servizi, pubbliche e private, in diversi Paesi” (Rispoli, 1994, p.38). Inoltre, Musso (2006) riconosce il pregio di questi modelli nell’aver evidenziato la necessità di conoscenze ed esperienze per attuare il processo d’internazionalizzazione.
In riferimento a quanto descritto nella teoria dello sviluppo per fasi dell’internazionalizzazione delle imprese il contributo Born Global ne dimostra l’invalidità. Nella teoria dello sviluppo internazionale per fasi Pellicelli (1990) e Valdani (2000) fanno riferimento al processo di internazionalizzazione delle imprese connesso alla graduale sequenzialità che caratterizza il suo coinvolgimento sulla scena internazionale. Questo coinvolgimento pone l’impresa a mettersi in competizione con il contesto competitivo del Paese estero, culturalmente e strutturalmente diverso dal Paese di origine, e stimola l’impresa ad attivare il passaggio da forme di ingresso a minore coinvolgimento (esportazione indiretta) a modalità più complesse in cui l’impresa è maggiormente coinvolta (joint venture o solo venture), allo scopo di poter perseguire condotte di mercato utili per consolidare le posizioni acquisite54. In antitesi a tale teoria il concetto Born Global ne dimostra l’inesattezza. Infatti, viene descritto che un’impresa già dalla sua nascita ha accesso alle informazioni sui mercati d’esportazione che permettono di iniziare subito a commercializzare con i mercati esteri (Rasmussen e Madsen, 2002). Inoltre, questa prospettiva evidenzia che le imprese non seguono un approccio incrementale all’internazionalizzazione perseguendo diversi stadi (Musso, 2006).
Si evidenzia che il processo d’internazionalizzazione di una piccola e media impresa segue un percorso che non può essere anticipato per un ampio intervallo. Inoltre, sono diverse le condizioni, da caso a caso, da cui dipende la misura in cui tale processo incide sullo sviluppo generale dell’impresa (Caroli e Lipparini, 2002).
54 Il passaggio graduale è inteso da: esportazione indiretta ad esportazione diretta a joint venture o solo
venture oppure da contratti di licenza a joint venture o solo venture. Per si più oltre alla sequenzialità delle modalità d’internazionalizzazione corrisponde uno sviluppo graduale delle risorse, attività e capacità impiegate nei mercati esteri che riguardano quattro fasi : esportazione indiretta senza un coinvolgimento delle attività (della catena del valore) nei mercati esteri; esportazione diretta con un’attività nel paese estero ad esempio una filiale di commercializzazione; investimenti diretti all’estero con il coinvolgimento di attività a livello internazionale (vendita e assistenza o decentramento produttivo); coinvolgimento e coordinamento delle attività a livello globale (Valdani, 2000).
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