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È da questo enunciato lapidario di Vijay, bambino delle nostre classi, pro-veniente dall’India e felicemente stabilitosi da qualche anno a Massenzatico, che vorrei iniziare.

Abitiamo «in una grande pianura», Massenzatico è il paese su cui sorge la scuola e in cui vivono i bambini. Il percorso di geostoria parte da qui, sulla terra verde libera, ricca di erba, foraggio, viti. Le classi si affacciano sui campi, la scuola è circondata dalla campagna. Andiamo nelle giornate di sole per i viottoli e per le stradine, ci raccontiamo storie, le raccontiamo a chi non le conosce. Storie che a volte paiono favole, di contadini, di macchine agricole, di vendemmia, di mucche e di latte. I bambini ri-scoprono sguardi consueti ma nuovi, ogni volta che ce ne riappropriamo, noi con loro. Potrei elencare tutti gli obiettivi, in primis la conoscenza del territorio, l’identità e l’appartenenza alla comunità locale, la trasmissione di saperi, unitamente a tanti altri importantissimi in questo nostro lavoro pluriennale, ma preferisco raccontare di loro, dei bambini, con le parole ed i sensi che hanno trovato. Allora i legami affettivi emergono sopra ogni altra interpretazione, con l’ascolto delle esperienze di vita sul territorio, su ciò che amano fare ed osservare, sulle case, i giardini, gli animali. «Vorrei mostrare la mia abitazione con un’inquadratura frontale, insieme al portico, alla stalla, alla casa vecchia con le due pioppe lì davanti. Vorrei essere ripreso con l’asina e la somarina davanti alla vigna». È il lavoro del ricordo, dell’osservazione, della relazione, è esplorare ed interrogarsi, è “fare insieme”, mettersi in gioco, ascoltare l’altro, è dialogo intergenerazionale.

Il ricordo: cosa vedo oggi qui, davanti ai miei occhi, cosa c’era ieri, come era questo nostro paese.

Eccoci di nuovo insieme a raccontare storie, a narrare ed a interpretare, noi attori, come i contadini di un tempo. La nascita della cooperazione a Massen-zatico crea un grande fermento, perché vogliamo raccontarla in prima perso-na, vogliamo tornare indietro nel tempo, farci narratori di un pezzo di storia: nascono l’idea, il soggetto, la sceneggiatura. Nasce un filmato interpretato dai

bambini. Il contadino Antonio, da solo al lavoro nei campi, tra fatiche e sudore, pensa ad una possibilità nuova, un modo di unire le forze mettendosi insieme, lavorare la terra, coltivarla, ottenerne i suoi prodotti e venderli. È il commercio con la valorizzazione delle risorse umane e la nascita della prima cooperativa, La Braguzza. Così raccontano i bambini questa storia, che pare nel filmato una buona novella, ma che è stata davvero realtà perpetuata ed ancora oggi presente.

«Un tempo a Massenzatico» è anche raccolta di documenti e fotografie, proiezioni in bianco e nero su uomini e donne che ci parlano silenziosamente. E dopo la cooperazione, quali saranno i cambiamenti ed i nuovi orizzonti? I bambini trovano strade più vicine nell’interpretazione, attraversano i confini e ci parlano di nuovi quartieri, di agglomerati abitativi sorti negli ultimi anni, di ambiente a rischio cemento. Dove sta il futuro? «Se continuiamo a costruire, i campi diventeranno di grigio erba, gli alberi sfoceranno in strade, e a noi cosa regaleranno?» si chiede Marta di classe quarta.

Ma ciò che è stato fatto non se ne andrà rinchiuso nel cemento e nel traffico. I bambini ancora amano il loro verde e i loro campi, mangiano l’uva e annusano gli aromi saporiti del Parmigiano.

Il latte e la cooperazione hanno entrambi, ancora, sapore di buono.

Non cesseremo mai di esplorare. E la fine delle nostre esplorazioni sarà arrivare al punto di partenza. E per la prima volta conoscere quel luogo.

Conclusioni

Vorrei ringraziare i relatori: per primo, l’amico onorevole Amadei, col quale condivido l’esperienza del comitato nazionale «Camillo Prampolini» che è pre-sieduto dallo stesso Amadei; ringrazio i relatori che hanno portato esperienze importanti, voglio dire che sono rimasto anche emozionato, soprattutto dalle testimonianze portate dai giovani, dai ragazzi, dagli studenti, veramente splen-dide e innovative nelle proposte. Questo è il risultato del lavoro di Bellacoopia della Lega delle Cooperative, una iniziativa assolutamente positiva, originale che sta dando dei risultati e che deve continuare.

Renzo Testi, come al solito è vulcanico, cioè una fucina in continua attività, per nuove proposte, nuove idee e nuovi stimoli. Io, francamente, non mi sento di dire che non si può non ascoltare il suo appello, il suo grido di dolore. La sua è un’affermazione molto forte, molto impegnativa, non credo che siamo nelle condizioni qui, in questo momento, di prendere degli impegni, però que-sto suo richiamo è un richiamo vero, un richiamo che impegna la Lega delle Cooperative a capire il messaggio che è stato lanciato; un messaggio che dice sostanzialmente: «Abbiamo il dovere di riprendere e studiare la nostra storia, le nostre radici, i nostri valori. Abbiamo il dovere di tenere viva la nostra storia e quindi abbiamo il dovere di ricordare, anche perché dentro la nostra memo-ria ci sono le nostre radici e in una società come quella attuale dove l’etica, la morale e la responsabilità, civile e sociale, si stanno smarrendo, tenendo viva la memoria, ritorniamo a quei valori di cui siamo figli». Mantenere viva la memoria non vuol dire semplicemente riproporre pezzi del nostro passato, ma andare a cogliere tutte le connessioni nuove, straordinarie che vi possono essere, attualizzarle in un mondo in profonda trasformazione. Avere il coraggio del progetto, dell’invenzione, della capacità di aggiornamento è il compito che hanno le cooperative, è un compito dei cooperatori, è la nostra forza e laddove l’abbiamo fatto siamo diventati importanti non per noi, ma per i nostri soci. Se oggi Coop Consumatori Nordest è una cooperativa con 500.000 soci, è perché quei cooperatori che la fondarono sono stati innovativi, hanno avuto capacità

di progetto, hanno saputo leggere le trasformazioni del mercato, hanno sapu-to trasformare l’idea cooperativa di un tempo in una nuova idea cooperativa che manteneva, però, saldi i valori di sempre. Quindi, abbiamo anche questo dovere di reinvenzione di una nostra storia che viene oggi raccontata in modo straordinario da parte dei ragazzi.

Mi è piaciuto l’ultimo passaggio dell’intervento di Renzo Testi perché rende attuale anche un’iniziativa che abbiamo fatto che poteva sembrare un po’ origi-nale, ma che non lo è; siamo stati gli unici a promuovere a Reggio un dibattito vero, serio, intorno all’Enciclica di Benedetto XVI Caritas in veritate.

Qualcuno ha detto: «Ma la Lega delle Cooperative è impazzita?». No! Non siamo impazziti, perché la parte centrale relativa alla dottrina sociale, che è stata in buona parte scritta dal Vescovo di Monaco Rheinard Marx e da Stefa-no Zamagni, propone temi che soStefa-no in stretta connessione con le tematiche cooperative e con la questione della responsabilità sociale delle imprese in un mondo che cambia.

E allora è vero, Massenzatico, i ponti di Calatrava, la dottrina sociale della Chiesa, ritornano tutti e sono riferimenti estremamente importanti. Non voglio farla lunga, ma consentitemi due passaggi. Ho avuto modo di scrivere su «La Gazzetta di Reggio» un mio pensiero, una mia opinione su che cosa significa-va l’iniziatisignifica-va di oggi promossa dal Comitato Nazionale Camillo Prampolini, dalla Circoscrizione, dall’Associazione Prampolini e cosa tutto ciò significa dal punto di vista della ripresa di una storia, che è la storia della cooperazione, del sindacalismo, del movimento operaio, del socialismo riformista di Prampolini a 150 anni dalla sua nascita.

E non voglio, ovviamente, qui ripetere concetti che erano presenti in quelle mie riflessioni, voglio fare solo due considerazioni: sono passati 150 anni, la storia del mondo è cambiata profondamente, ci sono state trasformazioni incredibili dal punto di vista tecnologico, del sistema informativo, della connessione tra i vari paesi. La divisione internazionale del lavoro, come direbbero i nostri classici di 150 anni fa, non è più quella di ieri, è cambiato in profondità il mondo. Però, viviamo e siamo dentro una crisi che si è generata 20 mesi fa e c’è un momento emblematico di questa crisi: è il 15 settembre 2008, quando i dipendenti della Lehman Brothers abbandonarono la sede con gli scatoloni in mano dando così il senso profondo della crisi e di un mondo molto interconnesso ma anche pie-no di criticità, dove sbagliare dal punto di vista ecopie-nomico, sociale, politico nel rapporto Stato-mercato può significare la diffusione di una malattia e di una tossicità per il mondo intero. Siamo precipitati improvvisamente, da un mo-mento all’altro, dentro una crisi travolgente: in tutti i paesi d’Occidente e in tutti i paesi asiatici. Se non si è avuto il tracollo è semplicemente perché la memoria del passato, cioè della crisi del ’29, ha insegnato che lo Stato poteva intervenire per fare argine e questo è stato fatto negli Stati Uniti, in Europa, in Cina, un po’

meno in Italia dal punto di vista del peso degli interventi; ma sbaglieremmo a pensare – concludo questo ragionamento – che c’è solo un problema finanzia-rio, dell’uso della finanza, di un eccesso del debito da parte delle famiglie. C’è un problema di valori al fondo di questa crisi, che riguarda la disuguaglianza sostanziale dei redditi, il problema della giustizia sociale. Bisogna che diciamo che il mondo, ovviamente, oggi cammina più velocemente a 150 anni di distanza da Massenzatico: tutto cresce economicamente in modo più forte, aumentano le opportunità e i contrasti sociali. Sbaglieremmo a non cogliere quest’aspetto, sbaglieremmo a non vedere che ci sono anche le nuove povertà che crescono, che ci sono nuovi bisogni sociali che bussano alla porta, che ci sono nuove solitudini umane che emergono, nuove emergenze ambientali e nuove sfide di libertà e di sicurezza. Dentro questo mondo che corre, che cresce in modo vorticoso, non dimentichiamoci che ci sono queste contraddizioni profonde e questi cambia-menti che sono intervenuti anche sul nostro territorio, quel territorio che 150 anni fa era fatto di agricoltura, di piccole imprese e di braccianti.

Oggi l’agricoltura pesa per il 5 per cento del prodotto lordo della nostra provincia, la nostra realtà è fatta di industria, di piccole-medie industrie, di una forte presenza sui mercati internazionali e di una grande cooperazione di cui andiamo orgogliosi, perché la cooperazione reggiana, con le sue 250 cooperative, è il 12 per cento del PIL a Reggio Emilia, sviluppa 32 mila posti di lavoro, ha oltre 600.000 soci e al di là del fatturato può dire con orgoglio che in 20 mesi di crisi non si è perso un solo posto di lavoro. E quindi è una realtà forte, con una incredibile tenuta del tessuto sociale e del lavoro: questa è la cooperazione, e voglio ricordare quelle cooperative dove a fronte della difficoltà della riduzione degli ordini i soci hanno fatto l’autoriduzione delle loro ore. Tutti, a partire dai dirigenti, hanno cioè rimesso in campo il contratto di solidarietà sociale all’inter-no delle cooperative; cosa che all’inter-non è avvenuta nelle imprese private. Dobbiamo sapere che abbiamo da affrontare cambiamenti strutturali nuovi, cambiamenti economici dirompenti, cambiamenti sociali, in modo molto forte e netto, ma rispetto ai grandi cambiamenti ci sono valori che resistono. Ci sono valori che non cambiano, che non crollano, che avevano valore 150 anni fa e che hanno valore oggi: quello slogan che dice «Discordi non siamo nulla. Uniti siamo tutto» ha un valore straordinario, è attuale ancora oggi e non possiamo e non dobbiamo cancellarlo, anzi, dobbiamo scriverlo con più forza nella nostra identità sociale. Perché dico che ha valore ancora oggi? Perché in una realtà come quella che stiamo vivendo, dove attraverso un certo tipo di informazione e di com-portamenti vengono esaltati l’egoismo sociale, l’individualismo, l’arrivismo, la centralità degli interessi individuali contro gli interessi generali, quella frase ci richiama ad un fatto importante: e cioè alla generosità, al disinteresse personale, alla sobrietà personale, a quei valori che avevano i nostri padri fondatori, quei cooperatori che anche qui a Massenzatico hanno fatto la casa del popolo e poi

hanno fatto la cantina, la latteria. Me lo ricordava la figlia di un fondatore: «Ri-cordarti della generosità che avevano i nostri padri». Ha ragione, ho dimenticato di riprenderlo nell’articolo e lo dico ora: «L’elemento della generosità e della sobrietà è un elemento fondamentale di cui abbiamo bisogno ancora oggi» e questi non sono slogan, sono valori. In un momento in cui, come diceva Pedroni, siamo chiamati a riflettere, a riconnettere il senso di libertà individuale con il senso di bene comune, questioni come il disinteresse personale, la generosità, la sobrietà, la disponibilità, la socialità, la responsabilità, non sono concetti astratti, sono azioni, fatti, che vengono tradotti nell’agire quotidiano.

«Uniti siamo tutto»: pensate cosa vuol dire questa frase oggi, di fronte alla crisi che stiamo attraversando. Se non si fa sistema, se le forze economiche, sociali, sindacali, istituzionali non progettano insieme le nuove sfide che sono in cam-po sul tema del lavoro, dell’occupazione, dell’innovazione, dove si va? E quindi questa frase «Uniti siamo tutto», è una frase che ha un valore, oggi, rispetto alle sfide della modernità. E concludo questa mia riflessione in questo modo: non dobbiamo soltanto misurarci con la crisi di una finanza che si autoriproduce, che si è allontanata dall’economia reale. Non abbiamo solo il tema della crisi di quelle imprese che hanno pensato solo al profitto immediato e non al benessere futuro e a un progetto d’impresa come progetto per le future generazioni; noi abbiamo bisogno di rimettere in campo una progettualità economica e sociale capace di fare i conti con la modernità del presente, con la sua complessità, con la realtà che si scompone e ricompone ad una velocità incredibile, che richiede una grande forza di reazione perché in discussione ci sono i valori fondamentali della comunità, l’esigenza di ripensare il mercato, l’esigenza di ripensare al rapporto stato-mercato come elemento di regolazione e non come elemento di interfe-renza. E c’è soprattutto una grande riflessione da fare sulla responsabilità sociale dell’impresa, che noi modestamente, come cooperative cerchiamo di realizzare.

Ebbene io ho concluso. Dopo 150 anni suona ancora forte e alto quel monito, ha ragione l’onorevole Amadei, voglio concludere il mio intervento citando-lo, suona ancora forte quel monito «Uniti siamo tutto, divisi siamo nulla» o possiamo anche essere «canaglia» e in alcuni casi questo avviene ancora oggi.

Perché suona ancora forte? Perché dentro quello slogan c’è un monito per il paese, e non solo per qualcuno. In una realtà come la nostra, in un paese che sta conoscendo elementi di tensione, disgregazione, isolamento, solitudine sociale, ripensare quello slogan vuol dire chiedere al paese, alla società, di ripensare ai valori fondanti la nostra democrazia e di pensare, quindi al valore della identità nazionale, in un momento in cui prevalgono logiche particolaristiche e individualistiche.

Il nostro paese ha bisogno di essere unito, di ritrovare l’unità di fondo su valori che modestamente la cooperazione, per quel che ha fatto, è disponibile a mettere nella disponibilità di tutti quelli che vogliono fare l’Italia più forte, più unita, più moderna, più giusta.