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Profili di delegati al secondo congresso nazionale di Reggio Emilia del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani

ritratti l’8 settembre 1893 da Pier Giacinto Terrachini

Ritratti di congressisti socialisti dall’album di disegni di P.G. Terrachini (Archivio privato) Reggio Emilia – Congresso nazionale del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani – 8 settembre 1893 - De Felice Giuffrida, Giuseppe (1859-1920), promotore dei Fasci siciliani, deputato.

- Dell’Avalle, Carlo (1861-1917), politico e dirigente sindacale, redattore e collaboratore di riviste e giornali.

- De Brouckère, Louis (1870-1951), politico e statista belga, docente universitario, saggista e giornalista.

- Podrecca, Guido (1865-1923), politico e giornalista, fondatore della rivista di satira politica «L’Asino».

- Ferrero, Guglielmo (1871-1942), storico e docente, scrittore e giornalista di «Critica sociale» e «Il Secolo».

- Stenografo del Congresso, autore del verbale del congresso, Tipografia degli Operai, Milano 1893.

L’autore dei ritratti è Pier Giacinto Terrachini (Rio Saliceto 1853 - Correg-gio 1935) che nei tre Correg-giorni, dal venerdì 8 alla domenica 10 settembre 1893,

partecipa come delegato al secondo Congresso nazionale del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani.

Per il multiforme ingegno di cui era dotato e per la passione politica e sociale che ha caratterizzato tutta la sua vita, Pier Giacinto Terrachini ha meritato l’ap-pellativo di «architetto del socialismo»1 anche se la sua qualifica professionale era quella di perito-geometra.

La sua vasta e originale cultura emerge dai progetti di opere di edilizia pubblica e civile, dai palazzi ed edifici realizzati, molti ispirati al liberty, all’arte nuova, che fanno parte, da più di un secolo, del patrimonio storico e architet-tonico del territorio reggiano. Con l’elezione a sindaco di Rio Saliceto, mette le proprie competenze e capacità al servizio del governo della cosa pubblica, dell’interesse esclusivo della popolazione, della parte più diseredata e povera; svolge l’incarico con grande rigore, dando un forte impulso e nuova identità al Comune nato alla vigilia dell’Unità d’Italia, il primo gennaio 1860. Terrachini è anche, e soprattutto, «il cooperatore». Forti tratti lo accomunano a Prampo-lini, ancor prima di Massenzatico. Così si occupa di agricoltura, di migliorare le produzioni ed elevare il reddito dei contadini e fin dal 1881 si fa promotore, assieme ad Angelo Motti, dell’impianto e del trattamento della vite, della va-lorizzazione e commercializzazione del vino; sua è l’iniziativa di organizzare i viticultori in società cooperativa; sua è la propostaapprovata nella seduta del Consiglio comunale di Rio Saliceto del 22 febbraio 1890 «di impiantare una cantina sperimentale», secondo i criteri di quelle allestite a Noto e a Riporto in Sicilia. Così nasce nel 1901, dopo una lunga gestazione durata un decennio, la cantina sociale «l’Enologica di Rio» che rappresenta «una svolta storica nella produzione del lambrusco»2.

Non è dato conoscere quale scelta abbia guidato l’occhio e la mano di Pier Giacinto Terrachini nel ritrarre alcuni congressisti, più o meno importanti e che, seguendo strade ed esperienze diverse, nel tempo diventeranno personalità di rilievo, italiano ed europeo, nella storia del socialismo e della cooperazione, attraverso le luci e le ombre di tempi aurorali e, anche, drammatici. Forse non si tratta solo di una fortunata casualità l’aver unito, in questa cornice, dirigenti e rappresentanti del Sud e del Nord dell’Italia, di Milano e di Bruxelles, del Piemonte e dell’Europa.

Certo è che a scatenare la più grossa tempesta sul finire di secolo è la Sici-lia coi suoi fasci, strettamente collegata alla Milano del nascente movimento operaio:

1. A. Gianolio, “Un architetto del socialismo”. Pier Giacinto Terrachini e la storica cooperativa di Rio

Saliceto, in Sette giornate di cooperazione “Come crescere senza perdere l’anima”, vol. 2, s.e., Correggio

2007.

La vita italiana di fine secolo fu percorsa e agitata da due grandi movimenti sociali e politici, cui il governo oppose una dura quanto spietata risposta militare: l’agitazione dei Fasci dei lavoratori del 1892 – 1893, sorti all’estrema periferia meridionale del Paese, associazioni mezzo sindacali e politiche, gravitanti per lo più nell’area dell’e-strema sinistra, socialista, radicale e repubblicana, ma anche guardate con simpatia da gruppi della sinistra liberale; la lotta di piazza della più grande e ricca città del Paese, esplosa nel 1898 all’estrema periferia settentrionale e coinvolgente nella sua base – politicamente espressa nel cosiddetto «Stato di Milano», più coesa ed omogenea di quella dei fasci siciliani – forze non solo della estrema sinistra radical socialista e repubblicana ma anche del mondo cattolico e di una parte della stessa borghesia liberale3.

3. F. Renda, I Fasci dei lavoratori, in Il Parlamento Italiano 1861-1988, cit., vol. 6, pp. 111-12. Pier Giacinto Terrachini

Formella in creta, Mio Padre, Opera di Bruto Terrachini

Collezione Unieco Soc. Coop./Fornace di Fosdondo (già Giuliana Iotti - Foto Pietro Micucci) Pier Giacinto Terrachini

Giuseppe De Felice Giuffrida

(Catania 1859 - ivi 1920)

Giuseppe De Felice Giuffrida è promo-tore dei Fasci siciliani e delegato al congres-so di Reggio Emilia per i Fasci dei lavoratori di Catania e di Modica. Di umili origini, viene affidato giovanissimo all’ospizio co-munale, per poi trovare impiego nel 1878 quale archivista nella prefettura cittadina4.

Viene eletto deputato socialista fin dal 1892, all’età di 33 anni, e rimane in Parla-mento ininterrottamente per otto legisla-ture (salvo due anni trascorsi in carcere)5. Nel maggio del 1893 si contano 162 Fasci riuniti in una Federazione socialista siciliana.

Allo sviluppo dei fasci contribuisce anche la partecipazione di altri diri-genti socialisti, venuti dal Nord, tra cui Alfredo Casati e Carlo Dell’Avalle, giunti in Sicilia per l’esposizione del 1892, e che concorrono a organizzare il XVIII congresso delle Società operaie affratellate svolto a Palermo nel maggio dello stesso anno. Il congresso si risolve con l’approvazione di una mozione «collettivista» proposta dagli stessi, assieme ad altri dirigenti operai e socia-listi, tesa a riconoscere al partito socialista funzione di rappresentanza e di guida dell’intero movimento, in netta divergenza con De Felice che punta su un’intesa con gli anarchici per estendere, contemporaneamente, un moto insurrezionale al continente.

Per l’attività svolta nei moti e nella sollevazione contadina siciliana, nel 1894 De Felice viene arrestato, anche se la rivolta non è certo dovuta soltanto all’iniziativa di qualche capo socialista, ma cresciuta spontaneamente nell’isola per dar vita a una rivolta della fame e rioccupare le terre comuni sottratte dai proprietari agrari e latifondisti6. Il 30 maggio 1894, a conclusione di un me-morabile processo, è condannato a diciotto anni di reclusione per cospirazione contro i poteri dello Stato ed eccitamento alla guerra civile e rinchiuso nel mastio di Volterra. La condanna viene avversata da un’intensa campagna solidaristica che, al grido di «viva De Felice», percorre l’Italia intera. Il foglio reggiano «La Mosca», il 10 giugno 1894, commenta le condanne impartite anche a Bosco

4. Cfr. Treccani, Enciclopedia on line, Dizionario Biografico degli Italiani, ad vocem di F.M. Biscione. 5. F. Renda, Giuseppe De Felice Giuffrida, in Il Parlamento Italiano, cit., vol. 6, p. 113.

Garibaldi che a Reggio è chiamato a presiedere il congresso ed è delegato dei Fasci siciliani (Palermo, Piana de’ Greci, Trapani, Castellammare del Golfo, Naro); a Barbato Nicola, medico di Piana dei Greci, pure delegato al congresso, e Verro Bernardino che, dieci anni dopo, viene ucciso dalla mafia7.

Il numero unico dei socialisti correggesi, «I Braccianti di Fosdondo», il 14 gennaio 1894 rivolgeva il saluto e il compianto «Ai Martiri di Sicilia» che preferirono morire protestando, anziché morire affamati e, nell’articolo Se la

Sicilia piange, Correggio non ride, scriveva:

Dopo che rimasero uccisi molti cittadini di Giardinello, la borghesia trovò tanto sangue freddo da sparger lagrime di coccodrillo sul povero paese. Esso conta 800 anime le quali sopportano un bilancio comunale di 14000 lire, cioè 17 lire a testa; è una mostruosità esclamarono in coro gli stessi moderati; è un’infamia, ripetiamo noi. Ma Correggio è forse meglio trattato? Sopra una popolazione di 12000 abitanti abbiamo quasi 250000 lire di spese annue, cioè più di 20 lire a testa […]8.

Finalmente, dopo due anni e due mesi di prigione, De Felice è rimesso in libertà per amnistia il 14 marzo 1896. Tornato a Catania è accolto in modo trionfale e viene convalidata la sua elezione alla Camera, riacquisendo il seggio che conserva anche per la XX legislatura e seguenti (1897-1900).

A Catania si era fatto promotore di attività economiche; ma l’operazione politica alla quale dedica gran parte della propria esistenza è il tentativo di determinare, sulla base della spinta al rinnovamento presente in ampi strati popolari della città e della provincia, una gestione democratica della cosa pubblica e dell’ente locale, soprattutto del comune. Eletto consigliere comunale, nel 1885, si impegna nell’elaborazione di un programma comune a tutte le opposizioni (clericale inclusa) e che possa godere di un ampio supporto popolare. Così una composita lista di opposizione conquista la maggioranza del Consiglio comunale nel 1889, nonostante la contrarietà e i diretti interventi del Prefetto e del Presidente del Consiglio dei Ministri, Francesco Crispi.

De Felice, di cui si ricorda anche il generoso impegno durante le epidemie di colera a Napoli nel 1884, a Palermo nel 1885, a Catania nel 1887 e, a seguito dell’eruzione dell’Etna, nel 1886, diventa il capo riconosciuto del movimento popolare isolano e in seguito è eletto presidente della provincia e sindaco del capoluogo etneo. Particolare attenzione dedica all’analisi dei vistosi fenomeni

7. Gli anni della Giustizia, Movimento operaio e società a Reggio Emilia (1886-1925), Edizione Biblioteca Municipale Panizzi, Reggio Emilia 1986, pp. 114-15.

8. Biblioteca Comunale «Giulio Einaudi» di Correggio, Archivio Memorie Patrie (AMP), faldone 187.

di degenerazione nella vita politica sicilia-na, e denuncia le connessioni tra mafia e potere politico in Sicilia. Un suo articolo sull’«Avanti!» dell’ottobre 1900 lo trasci-na in tributrasci-nale nelle vesti di imputato per diffamazione, sicché viene condannato a tredici mesi di reclusione, sei dei quali gli sono condonati. De Felice individua, corret-tamente, la genesi della mafia negli elementi economico-sociali di arretratezza della so-cietà siciliana (in particolare la ripartizione della proprietà fondiaria) e ritiene necessa-rio, per sconfiggere il fenomeno, lo sviluppo di una solidarietà collettiva che faciliti tutte quelle trasformazioni sociali che portino ad isolare e annientare la mafia.

Dopo la sanguinosa repressione del ’98, nella memorabile seduta del giugno 1899, in Parlamento, partecipa all’ostruzionismo contro l’approvazione dei decreti-legge del governo Pelloux, miranti a limitare la libertà di stampa e di pubblica riunione e a configurare come reati perseguibili penalmente varie forme di opposizione politica. Con Prampolini e Bissolati concorre ad asportare le urne delle votazioni per contrastare l’atto arbitrario del Presidente della Camera che aveva dichiarato chiusa la discussione9.

Nella loro civile disobbedienza si esprime non solo un contrasto politico, ma l’affermazione dei diritti delle minoranze come pregiudiziali in un sistema democratico e liberale. In Italia vi è un ambiente favorevole al non rispetto delle regole e alle illegalità dei governanti. Da qui l’importanza del resistere, perché «resistere all’arbitrio non è che una forma di rispetto e di ossequio alla legge», come sostiene nella propria difesa Prampolini, raggiunto con gli altri da denunce e azioni penali.

Per questi fatti Prampolini trascorre una breve prigionia, dal 18 settembre al 30 ottobre 1899, nel carcere di Regina Coeli, dove si fa in lui più chiara la con-sapevolezza sul rapporto fra verità, libertà e democrazia che lo porta a scrivere:

La verità è la verità, anche se professata da uno solo; e l’errore rimane errore anche se ha il suffragio di milioni e miliardi di uomini. Le maggioranze – ossia i partiti

domi-9. D.M. Smith, Storia d’Italia, cit., pp. 290-291. Giuseppe De Felice Giuffrida

1894 - Processo per i Fasci siciliani. Il primo in alto a sinistra è Giuseppe De Felice Giuffrida

nanti – sono così poco infallibili, che noi le vediamo anzi nella storia continuamente alleate alla superstizione e al privilegio10.

In grande sintonia con il giudizio che, negli stessi momenti, esprime Antonio Labriola sul Parlamento italiano e sui deputati:

I deputati italiani sono per lo più uomini d’affari […] Essi sono diventati tutta gente d’affari fondamentalmente perché in questo Stato, che è uno strano guazzabuglio di parlamentarismo inglese, di centralismo francese, di autogoverno comunale e di

mili-10. F. Manzotti, Camillo Prampolini a Regina Coeli (1899), in «Nuova Antologia», n. 1999, luglio 1967, pp. 346-47.

tarismo tedesco, il governo, cioè la burocrazia, è divenuto strapotente per vie giuste e ingiuste, Non passa giorno senza che i deputati abbiano a raccomandare […] Nell’o-pinione generale il deputato è diventato una macchina di raccomandazioni […] Gli interessi che essi appoggiano sono quelli delle loro diverse consorterie di elettori, e molto raramente sono interessi generali […]11.

La complessa personalità di Giuseppe De Felice Giuffrida, fatta di slanci generosi ed anche di atteggiamenti opportunistici, proprio a cavallo di secolo spingerà Antonio Labriola, nel suo rigore culturale ed etico, a esprimere un pesante e forse eccessivo giudizio definendolo «un fanfarone rivoluzionario di vecchia scuola»12.

Il giudizio suona come un’amara profezia alla luce degli eventi storici succes-sivi quando De Felice, dopo avere espresso il proprio favore alla Guerra di Libia nel 1911 e alla Grande Guerra del 1915-18, arriverà a simpatizzare apertamente per l’insorgente fascismo13.

Carlo Dell’Avalle

(o Della Valle, Milano 1861 - ivi 1917)

Operaio tipografo, discretamen-te colto, oratore pronto ed efficace, di spiccate qualità politiche, organizzative e direttive, dagli originari orientamenti repubblicani, Carlo Dell’Avalle abbrac-cia le idee soabbrac-cialiste nel periodo in cui dalle tradizionali leghe e associazioni di mestiere nasce l’esigenza di un più am-pio fronte politico adeguato alle nuove fasi dello scontro sociale. Rappresenta, indubbiamente, la Milano operaia, dove negli anni intorno al 1890 diventa una delle figure più presenti del movimento operaio e socialista, dedicando ogni sua attività all’opera di propaganda e organizzazione14.

11. N. Siciliani De Cumis, Antonio Labriola e il Parlamento, in Il Parlamento Italiano, cit., vol. 6. p. 107.

12. G. Arfè, Storia del socialismo italiano, cit., p. 59.

13. Cfr. Treccani, Enciclopedia on line, Dizionario Biografico degli Italiani, ad vocem di F.M. Biscione. 14. F. Andreucci, T. Detti, Il movimento operaio italiano, Dizionario biografico 1853-1943, Editori Riuniti, Roma 1976, vol. 2, ad vocem di Anna Rosada, p. 201. Cfr. C. Della Valle, Rassegna del partito

È delegato al congresso di Reggio Emilia per l’Unione Tipografica Socia-lista di Milano e ha un ruolo importante, non solo perché viene chiamato alla presidenza, dopo avere presieduto il primo congresso di Genova, ma perché è relatore del primo punto all’ordine del giorno, «Relazione morale e finanziaria del Comitato centrale», che viene approvata per acclamazione15.

Durante il dibattito congressuale Dell’Avalle, come si è visto, presenta, as-sieme ad Antonio Vergnanini e altri, l’ordine del giorno sulla tattica elettorale da seguire e svolge il suo intervento dove ribadisce di nuovo «il punto di vista operaio» su cui orientare un programma tattico nel campo economico e politico per risolvere la questione sociale.

Al VII congresso operaio di Milano del giugno 1891 aveva presentato un ordine del giorno, sulla linea di Filippo Turati e di Anna Kuliscioff, per propu-gnare la creazione di un vero e unico partito di classe, per cui indica il nome di Partito operaio socialista e propone che i socialisti combattano per la conquista dei pubblici poteri e che il partito accetti nel suo seno anche società non operaie, cioè anche quelle prettamente politiche16. L’approdo, dopo il congresso di Geno-va, è in quello reggiano del 1893, che segna storicamente la nascita del Partito socialista e rappresenta una fra le manifestazioni più grandiose che si siano fatte in città e che sarà custodita a lungo nella memoria dei partecipanti, assie-me all’altro evento, il ricordo della manifestazione di massa che accompagnò i congressisti dalla città al piccolo borgo rurale di Massenzatico per inaugurare la Casa del popolo che «non solo è entrato ormai nella memoria collettiva dei militanti socialisti, ma offre il termine di confronto per “misurare” l’intensità e la dimensione delle manifestazioni socialiste»17.

Maurizio Degli Innocenti sostiene che:

Tra ’800 e ’900 l’universo socialista segnava lo spazio deputato alla mobilità, all’accul-turazione in una società che acquisiva sempre più dimensioni di massa. Ne descriveva le dimensioni ideali, mobilitava gli animi, orientava e modellava la psicologia indivi-duale e collettiva, era una grande forza evocatrice. Materialmente, si insediava nella società con strutture fisse sul territorio, ben riconoscibili. Penetrava addirittura nelle campagne. Si esibiva nelle piazze e nelle strade. Era un fatto nuovo, straordinario: sembrava addirittura che sfidasse le istituzioni tradizionali del potere civile, militare e, financo, religioso. L’insediamento della Camera del lavoro a Reggio Emilia nell’antico palazzo dei conti Ancini in Via Farini 4, così come, assai modestamente, la fondazione

15. Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, Il Congresso di Reggio Emilia, cit., pp. 8-9.

16. M. Del Bue, Storia del Socialismo Reggiano, Dal Risorgimento alla Prima Guerra Mondiale, s.e., Montecchio (RE) 2011, vol. 1, p. 150.

17. M. Ridolfi, Il congresso di Reggio Emilia (1893). Identità, memoria e tradizioni nella storia del

Psi, in G. Boccolari, L. Casali (a cura di), Prampolini e il socialismo reggiano, «L’Almanacco», n. 37,

della prima Casa del popolo a Massenzatico nel 1893 – in consonanza con analoghe iniziative in Italia e in Europa – avevano sì un preminente valore pratico, ma rivesti-vano anche un alto significato simbolico, quasi si volesse ingaggiare una sfida per la conquista duratura delle anime. Si inventavano nuove procedure comunicative, nuovi codici, nuove ritualità: il messaggio arrivava lontano, mobilitava sul vicino, ma toccava anche il profondo. Il socialismo era il luogo di aggregazione e di mediazione di nuovi interessi sociali, intercettava le domande emergenti nella società in rapida evoluzione, canalizzava le tensioni e, così facendo, istituzionalizzava una nuova conflittualità. La riscrittura delle forme e della composizione della rappresentanza, a livello locale e nazionale, obbediva a tale esigenza. Attraverso il discorso socialista anche Reggio, cioè la dimensione locale, si evolveva ammodernandosi, in sintonia, anzi in sinergia con la dimensione nazionale o addirittura internazionale, ridimensionando particolarismi e chiusure tradizionali18.

Benedetto Croce, nella sua Storia d’Italia, scrive che l’ultimo decennio dell’Ottocento inizia nell’incertezza sui fini da perseguire e nel vuoto delle idee; da qui, intorno al 1890, si accende nei giovani italiani una forte passione per le idee del socialismo, che cresce e attraversa tutto il periodo. È un movimento di dimensione europea ed appare con ritardo in Italia, dove assume caratteri par-ticolari, visto in ogni caso «in quanto socialismo genuino e non già socialismo statale». Le discussioni congressuali testimoniano come il socialismo non si distinguesse, in Italia, dal rivoluzionarismo democratico e repubblicano, dall’u-topismo anarchico o dal riformismo umanitario. Sulle prime il socialismo, pur con l’entusiasmo dell’apostolato, era stato raccolto da alcuni che spesso stavano ai margini della vita nazionale e culturale, da seguaci a volte fanatici o bizzarri, senza disciplina di studi e poco preparati. I giornaletti e tutta la stampa socialista spuntava, vivacchiava e moriva senza pesare nei circoli culturali e scientifici. Marx, quale maggiore pensatore e creatore della nuova «religione delle genti», era conosciuto solo di nome e alla lontana e circa nel 1890 Antonio Labriola, filosofo che viene dalla scuola napoletana, «uomo di vivacissimi spiriti e di molteplici interessi, […] mosso da “disgusto” (così diceva) “per la corruttela politica” e da sfiducia verso la germanica “idea etica dello Stato”», lo scopre e traduce, inse-rendo nel suo insegnamento universitario la filosofia marxistica della storia, il «materialismo storico»19. Contemporaneamente e in più larga cerchia, a Milano, Filippo Turati e Anna Kuliscioff attraverso la rivista «Critica sociale» (1891), e i tanti collaboratori, divulgano le opere di Marx ed Engels, e la formazione di

18. M. Degl’Innocenti, Camillo Prampolini e il socialismo del suo tempo, intervento nel convegno Il

riformismo tra due secoli. Da Camillo Prampolini al terzo millennio, Reggio Emilia 11-13 dicembre

2008.

una letteratura marxistica italiana, attraverso dibattiti, conferenze e indagini sulla realtà economica, sulle condizioni delle campagne, sui contadini e sulle regioni del Mezzogiorno ecc. Cambia la qualità dei giornali socialisti italiani, come «Lotta di classe» di Milano, che nasce come organo settimanale del nuovo partito (e Dell’Avalle entra, quale membro del comitato centrale, anche nella redazione). Il quotidiano «Avanti!», sorto nel 1896 e diretto da Leonida Bissolati, si avvale di penne più esperte e può gareggiare con i maggiori giornali degli altri partiti, superandoli per la serietà e l’approfondimento degli argomenti. Ora al socialismo aderiscono o simpatizzano non più sparsi individui di cui si è accen-nata la fisionomia, ma studenti universitari di ogni facoltà, e molti insegnanti di economia, di diritto, di storia e di scienze. «Nel 1897, con esempio unico forse in tutta Europa, un’accademia napoletana d’illustre tradizione, la Pontaniana,