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2.3 Storia e anti-storia

2.3.1 Politica e ideologia

Al tramonto delle ideologie forti del passato, inoltre, si accompagna la frustrazione sociale, alimentata dalla possibilità di poter essere qualcos‘altro rispetto a quello che si è. L‘ambizione sociale è l‘altra faccia di un mondo sommerso che si sente doppiamente tradito sia dal binomio storia-politica, in quanto non trova più rappresentanza di classe nel proletariato, sia dal mito del progresso capitalistico da cui è tagliato fuori. Se questo aspetto è già presente nei romanzi di De Cataldo, dove la scalata criminale del Libanese e della sua banda muove dal desiderio di ―prendersi Roma‖, diventa ancora più esplicito in

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C. Lucarelli, Navi a Perdere, Edizioni Ambiente, Milano 2008, pp. 8-9.

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Acab268 di Bonini. Quest‘ultimo mostra che un corollario della ―fine della storia‖,

politicamente intesa, è l‘orizzontalizzazione della colpa: laddove tutti sono colpevoli, nessuno è condannabile perchè ognuno è vittima di qualcun‘altro. Il carburante ideologico allora diventa l‘odio, che paradossalmente livella le differenze di classe e fornisce, agendo con la logica del rovescio, uno strumento di democratizzazione: «Siete la stessa cosa. Il contagio è avvenuto. Parlate, parliamo la stessa lingua, stessi desideri, stesso egoismo. Stesso odio269».

Nel romanzo i protagonisti sono poliziotti il cui compito di tutori dell‘ordine in un contesto nel quale la trasgressione è di massa, poichè il confine tra legge e infrazione viene facilmente valicato, finisce per accentuarne tragicamente l‘aggressività. L‘estrazione sociale dei poliziotti, il loro orientamento politico, l‘esperienza di vita in strada assimilano sempre più queste figure a quelle dei loro antagonisti, soprattutto piccoli criminali e sbandati che popolano le periferie. Questo tratto di convergenza non solo è opposto, dal punto di vista dell‘architettura romanzesca, alla collaborazione tra investigatore e legge nel poliziesco classico ma rispecchia anche un indebolimento, nella società, degli organismi di tutela del cittadino270. Rispetto alla violenza messa in campo, stare da una parte o dall‘altra della barricata è frutto del caso o, peggio, non ha alcun valore.

Acab però, rispetto ai testi sopra menzionati, mostra come la finzionalità romanzesca

conviva con il realismo della cronaca, spostando la lente dalla sublimazione storica a quella dei suoi personaggi. Di conseguenza la Storia viene messa a fuoco in secondo piano, non perché perda di gravità, ma per dare spazio alla vicenda umana dei protagonisti. Il cuore dell‘intreccio, infatti, si sviluppa intorno ad un episodio realmente accaduto, l‘assalto dei Reparti mobili della Polizia di Stato alla scuola Diaz, nei giorni del G8 di Genova del 2001. Attraverso la veridicità degli eventi ufficiali, dei referti inseriti come testimonianza e di altri episodi violenti di cronaca, l‘autore ricostruisce il retroterra umano e sociale dei ―cattivi‖, i poliziotti che si sono resi protagonisti delle violenze verso inermi manifestanti. È interessante notare che la storia dell‘episodio della Diaz rimane sempre tra parentesi, come sola cartolina di sfondo, di cui si può ricostruire una parte attraverso la documentazione inserita. L‘autore quindi sposta completamente l‘obiettivo dalla totalità

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C. Bonini, Acab, Einaudi, Torino 2009.

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Ivi, pp.185-186.

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F.Giovannini, Storia del noir, dai fantasmi di Edgar Allan Poe al grande cinema di oggi, Castelvecchi, Roma, 2000.

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della vicenda a una parte dei suoi protagonisti e il commento di quanto accaduto giunge dalla prospettiva di chi è dentro il ―sistema‖. Diversamente da quanto avviene ne Il maestro di nodi, in cui i fatti di Genova entrano nell‘intreccio e lasciano spazio anche al commento critico verso la polizia, in cui il personaggio prevede quella che sarà l‘assoluzione giudiziaria dei poliziotti coinvolti271

(e che coincide con quanto viene prospettato anche in Acab, seppur raccontato dall‘interno e con un‘altra prospettiva) Se la storia sfugge al meccanismo di estetizzazione ma viene piuttosto appiattita ad un inferno dove dominano il caos e la violenza, ciò non avviene per i poliziotti le cui figure vengono modellate sul calco dell‘anti-eroe. Per questi, infatti, l‘essere poliziotto è fondamentalmente una scelta anti-borghese e solitaria (―Sono celerino perché sono fuggito a una vita normale272‖), sul prolungamento dell‘eroe romantico ottocentesco. Tuttavia se pur si intuisce la volontà dell‘autore di disegnare una complessità dei personaggi proprio grazie all‘introiezione del ―cattivo‖ in una figura positiva come quella del poliziotto, l‘operazione sembra fallire. Un esempio è dato da questo estratto, dove l‘ampliamento dello spettro esistenziale del protagonista, attraverso altre informazioni sulla sua vita privata, non aggiunge elementi per un effettivo approfondimento che possa distinguerlo dallo stereotipo del ―duro‖ dalla vita difficile (―Drago era rientrato al II reparto […] Quei venti metri quadrati erano lo specchio della sua esistenza273‖) E, più avanti, descrivendo la stanza, l‘autore inserisce il dettaglio del figlio, avuto da una relazione finita male, a causa della quale ―combatteva una battaglia sorda e feroce da quattro anni. Che lo avevano fatto diventare uno dei ‗Papà c‘è‘. Quelli che di tanto in tanto gridano disperati in piazza Montecitorio per i loro diritti di padri naturali274‖. L‘inserimento di questa informazione appare pretestuosa, inserita più con il fine di sollecitare il coinvolgimento emotivo del lettore che di potenziare la descrizione del personaggio. E continuando su questa strada, viene introdotta anche una contrastività rispetto alla figura del padre che però sfuma, anche qui, nel generico di una situazione stereotipata:

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―Nessuno avrebbe pagato. Anche l‘evidenza sarebbe stata sepolta da una montagna di stronzate. Alla fine il solito perito avrebbe sostenuto la tesi di comodo e la scienza forense avrebbe dimostrato che il ragazzo era stato ucciso da un proiettile sparato in aria e fatalmente ricaduto in basso‖ Cfr. M. Carlotto, Il maestro di

nodi, Edizioni e/o, Roma, 2002.

272 Acab, p.87. 273 Ivi, p.34. 274 Ibidem

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«Aveva preferito la strada all‘esotico business del padre, che aveva cominciato da ragazzo muratore in Germania ed era finito, finchè aveva potuto e Dio non se l‘era chiamato, a tirare su palazzi negli Emirati Arabi. La strada, che era diventata la sua vita, la sua vita se l‘era mangiata un pezzo alla volta275

»

La compenetrazione sullo stesso livello materiale e spaziale di attori che da antagonisti finiscono per diventare sempre più simili è ben espressa anche ne L‟abusivo. Quello che grava sulla realtà napoletana ricostruita da Franchini, è la mancanza di sipario tra normalità del quotidiano ed eccezionalità del crimine, in una fusione che lascia sfumare ogni giudizio di condanna definitiva. Da una parte c‘è l‘inconsapevolezza della gioventù che non percepisce la gravità e la pericolosità della camorra, alla quale si approccia ludicamente oppure con l‘imprudente idealismo di chi crede nel proprio lavoro. Dall‘altra parte spicca la figura della nonna, il Locusto, che compendia tutta una serie di aspetti antropologici e culturali del territorio in cui è nata e vissuta, compresa quella commistione di furbizia e istinto di sopravvivenza che è collateralmente connesso alla criminalità. Ancora una volta l‘autore si assume il rischio e la responsabilità di trarre il nocciolo della verità attraversando il labirinto di interviste, atti processuali, articoli di giornale e restituirlo alla cronaca.

Un‘altra modalità di rappresentazione di questa tensione tra passato e presente, inteso come gioco-forza di mondi culturali e generazionali che sono in contesa per il dominio simbolico oltre che materiale del presente, è offerto da narrazioni come Arrivederci amore,

ciao e Nordest, per la fiction; L‟abusivo e L‟erede, sul versante non-fiction. Questa

successione consente un‘analisi a chiasmo dei testi, in un confronto incrociato tra nuclei tematici e dispositivi narrativi. Nordest di Carlotto e L‟abusivo di Franchini condividono il senso di impotenza e di sconfitta della giovane generazione post sessantottina, tratteggiata, per altro, con caratteristiche molto simili: idealismo, amore per la verità, coraggio nel perseguire i propri obiettivi. Pur nella distanza tematica e di contesto raffigurato emergono due tangenze non trascurabili: il ruolo antagonistico e distruttivo dei ―padri‖ nel rapporto con il presente; la rappresentazione della figura giovanile attraverso lo sdoppiamento in due personaggi, l‘uno protagonista, l‘altro passivo o con il ruolo di spettatore276

. Per quello

275

Ivi, p. 65.

276

Il binomio a cui si fa riferimento è costituito ne L‟abusivo dalla coppia Siani-Franchini, in Nordest da quella Giovanna-Francesco.

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che riguarda Nordest277 la sopraffazione ai danni dei giovani avviene attraverso il predominio sessuale, nel momento in cui il padre si intromette nella relazione tra il figlio e la futura moglie, intrecciando una relazione con quest‘ultima. Il padre, al vertice del triangolo amoroso, distrugge contemporaneamente la vita della donna, uccidendola, e quella del figlio, con il tradimento della fiducia e dell‘amore filiale. Questo schema narrativo, in cui è leggibile il sottotesto freudiano del complesso di castrazione, non è nuovo alla letteratura e trova una forte corrispondenza, ad esempio, con L‟uomo che

guarda278 di Moravia. Seppur nel romanzo di Moravia manchi l‘elemento del crimine, centrale invece in Carlotto, osservando i due testi sotto una prospettiva ideologica emerge la comune visione di una generazione schiacciata da un‘eredità pesante che blocca l‘evoluzione dei personaggi giovani. Questo avviene con la preclusione di un cammino verso la vita adulta, e quindi dell‘emancipazione dalla condizione di figli, attraverso la creazione di un proprio nucleo familiare. La differenza fondamentale, anch‘essa con ripercussioni ideologiche, risiede nella maniera in cui avviene la scoperta del tradimento: per il protagonista di Moravia attraverso l‘atto del guardare, che ribadisce la passività del soggetto nella metafora dell‘impotenza virile; per l‘altro avviene in maniera attiva, attraverso la ricomposizione di un mosaico fatto di indizi e ricerche. Anche l‘epilogo finale conduce a differenti prospettive: in Moravia il padre viene in qualche modo inglobato nell‘esistenza della coppia, per l‘incapacità del figlio a porsi come ―altro‖ antagonista a questo; in Carlotto il suicidio finale del padre stabilisce un trionfo, seppur apparente e provvisorio, del figlio. Scorrendo i due testi in parallelo, emerge un diverso tentativo di reazione al fallimento post-sessantottino, nel senso di un rinnovato ritorno all‘azione279 o quanto meno alla capacità di elaborarla nel pensiero, seppur seguita dall‘impossibilità di una vittoria definitiva sulla macchina messa in moto dai ―padri‖280.Questa comparazione risulta interessante se interpretata alla luce del riposizionamento del soggetto nella narrativa noir, che può apparire in contraddizione con il mondo come complotto o come teatro di forze (economiche, politiche, sociali) che remano contro l‘individuo. In realtà è proprio in questa contraddizione che si avverte la tensione, nella narrativa noir, tra

277

M. Carlotto, M.Videtta, Nordest, Edizioni e/o, Roma 2005.

278

A. Moravia, L‟uomo che guarda, Bompiani, Milano 1985.

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Quest‘interpretazione sembra coerente alle premesse insite nel noir contemporaneo, come viene spiegato nel primo paragrafo.

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E infatti il finale di Nordest sembra lasciar spazio ad una circolarità che toglie la parola ai figli, come mostra lo spostamento delle attività industriali in Romania, a indicare l‘inizio di un nuovo ciclo con identiche dinamiche di corruzione e riciclaggio.

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l‘individuo come desiderio di ricerca, di riappropriazione della verità- che è anche affermazione della propria singolarità- e tendenza entropica della realtà. Quest‘ultima mira a indebolire il soggetto proprio per la sua potenza destrutturante che nullifica la risoluzione dell‘azione e disgrega la conoscibilità di fatti e meccanismi. Per L‟abusivo di Franchini, invece, lo schema si presenta più articolato nella rappresentazione figurale dei padri: questi sono identificati in un più complesso sistema socio-antropologico in cui si stratificano credenze popolari e mentalità criminale. La sconfitta generazionale, sebbene anche qui animata dallo spirito di rivalsa che è quello della parola scritta, è incarnata da due esempi che l‘autore presenta come simmetricamente opposti: sé stesso, che preferisce abbandonare il territorio napoletano ed emigrare verso il nord Italia, e Giancarlo Siani che inizia la professione di giornalista a Napoli, compiendo una scelta che gli sarà fatale.