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2.2 Visione del mondo. Icone ed Entropia

Ciò che accomuna tematicamente, a un primo sguardo, la narrativa nera e il romanzo di non-fiction di argomento criminale è la centralità della cronaca nella struttura narrativa. E infatti come fa notare Giovannini, uno dei principali teorici del gruppo italiano neonoir, il racconto nasce da questo territorio di inferenza tra la realtà della cronaca e l‘immaginario romanzesco: «I1 neo-noir si installa nella sovrapposizione tra cronaca nera e immaginario. Il punto di partenza, quindi, è nel reale, ma per oltrepassarlo con le armi della fantasia: si tratta di un‘interzona transrealista210

».

La cronaca nera, dunque, non è solo il pretesto narrativo o il quadro di riferimento per una costruzione basata sul criterio della verosimiglianza, ma è spesso lo strumento che sonda il sottosuolo, intercettando quei meccanismi sotterranei che determinano i fenomeni di superficie. In questo senso tanto la non-fiction quanto il noir contemporaneo, condividono un atteggiamento che aspira ad essere interpretativo nei confronti della materia del reale: la potenza descrittiva non si esaurisce nella precisione documentaristica ma lascia emergere un altro livello di significazione che sfrutta le risorse del racconto, per amplificare i contenuti latenti o non visibili che surdeterminano la storia. Ma, come lascia intendere Danilo Arona nel suo Ritorno a Bassavilla211, la finzione è anche il ricamo onirico e fantastico che nasce dal tessuto della cronaca e che permette di far scivolare la storia in un dislivello ambiguo di veridicità referenziale (luoghi, personaggi) e invenzione di genere. L‘autore infatti pur sostenendo che le storie della sua raccolta sono ―frutto di purissima cronaca giornalistica212‖, pare contraddirsi poco più avanti dove aggiunge ―qui parliamo di nebbie, di noir, di provincie, di misteri, dentro e oltre i confini della realtà213‖. La mescolanza di oggetti realistici e fantastici, oltre a sottolineare il racconto fittizio montato sulla cronaca, svela il ruolo della cronaca come punto di partenza di un percorso che poi si articola attraverso la finzione. Ciò avviene, esemplarmente, in Elisabeth214 di Sortino,

210

F.Giovannini, Postfazione in Giorni violenti, a cura di ―Foreste sommerse‖, in Giorni violenti. Racconti e

visioni neonoir, Mondadori, Milano, 1995

211

D.Arona, Ritorno a Bassavilla, Edizioni XII, Torre Busi, 2009.

212

Ivi, p. 5.

213

Ibidem. A sostegno dell‘ipotesi per cui l‘autore opera consapevolemente una straniatura fantastica sulla lettura della provincia, interviene l‘assonanza (―dentro e oltre i confini della realtà) con la storica serie tv

Oltre i confini della realtà (1959).

214

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romanzo che si ispira ad una storia autentica di segregazione e abusi familiari, ricostruita come una ―fiaba‖ noir. La cronaca, nel romanzo, è solo il punto di partenza dal quale il romanzo si allontana per dare spazio ad una parabola straniante e allucinata. Il valore aggiunto della finzione consiste non solo nelle immagini che mostrano la vita e l‘incubo della diciottenne ma nel modo in cui la prigionia della ragazza diventa un pretesto ―per creare un doppio immaginario della nostra civiltà215‖.

Tuttavia la convergenza di intenti, e di ricerca, alle radici dell‘elaborazione romanzesca, mostra l‘evidenza di quanto si riveli parziale, per molti di questi romanzi, l‘accezione negativa che ruota intorno all‘etichetta di ―narrativa di consumo‖. Tra gli elementi di discredito campeggia, in primo luogo, la mancanza che viene attribuita alla letteratura di genere del momento riflessivo, o detto in altre parole dissipativo, a favore di un regime cinetico e visuale tutto proteso all‘ottimizzazione dell‘intreccio, nell‘incastro di parola/tempo/azione216. Del resto è noto come anche i romanzi di non-fiction, che idealmente si collocano sul versante opposto rispetto a quello dell‘intrattenimento, mutuano dall‘editoria di genere la rapidità e l‘immediatezza espressiva propria del regime visivo, la ricerca di coinvolgimento emotivo del lettore, inglobando questi elementi all‘interno della propria struttura.

Un esempio di questo ampliamento della dimensione letteraria di provenienza, che porta a diversi punti di convergenza, da una parte e dall‘altra, emerge già dall‘aspetto paratestuale, e in particolar modo, nella scelta dei titoli. Questi, immettono da subito la narrazione in un tessuto di rimandi e allusioni molto più denso rispetto alla materia giornalistica o puramente romanzesca. Osservando il campione di romanzi elencati fin qui, è possibile notare come prevalga nel titolo la funzione seduttiva217 rispetto a quella puramente descrittiva, per incrementarne l‘appeal presso il lettore ma anche per accrescere il proprio potenziale evocativo. A tal proposito è interessante notare che alcuni titoli utilizzino un‘apparenza descrittiva, rimanendo nella categorizzazione operata da Genette, per amplificare il loro alone seduttivo. Un esempio tra tutti è Gomorra, il cui titolo mette in moto una catena associativa di forte potenza simbolica: alla denuncia del sistema camorristico si salda l‘idea del flagello biblico, per le immani proporzioni del disastro

215

G. Simonetti, Il sottosuolo. Su “Elisabeth” di Paolo Sortino (e sul romanzo contemporaneo), in Le Parole e le Cose, 20 settembre 2011, http://www.leparoleelecose.it

216

G. Morpugo Tagliabue, Geologia letteraria del Novecento, Garzanti, Milano, 1986.

217

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economico, ambientale e sociale provocato dalla criminalità campana. Così come risuona il monito della responsabilità che grava sulla coscienza di tutti, della maledizione sul destino, forse irreversibile, di quella terra:

«Dobbiamo rischiare di divenire sale, dobbiamo girare a guardare cosa sta accadendo, cosa si accanisce su Gomorra, la distruzione totale dove la vita è sommata o sottratta alle vostre operazioni economiche. Non vedete che questa terra è Gomorra, non lo vedete?218».

Invece Zerozerozero, muovendosi su un livello semantico più ambiguo, allude ironicamente al concetto di purezza e alla qualità della farina raffinata, come viene esplicitato nell‘ultima pagina, quasi a disvelare la cripticità del titolo:

«Un ingrediente senza il quale non potrebbe esistere nessuna pasta. Proprio come la farina. E non una farina qualsiasi. Una farina di qualità. La migliore qualità di farina: 000219»

Ma il riferimento gioca anche sul valore eziologico del numero, alludendo alla cocaina come origine di tutti i traffici criminali. La dilatazione dello spettro di significato può avvenire anche agendo sulla parola con tecnica fotografica, per ingrandimento di un dettaglio connotativo. Un esempio è L‟abusivo in cui il protagonista viene introdotto subito attraverso la descrizione della condizione sociale ed economica, per metterne in risalto la fragilità e l‘assenza di tutela, vero humus in cui matura la tragedia. Un meccanismo simile sottende il romanzo di Bettin, L‟erede220, dove l‘inquadratura del protagonista avviene ricorrendo al linguaggio giuridico ma che ancora una volta agisce su un doppio riverbero associativo: Pietro Maso è soprattutto l‘erede dei valori del proprio tempo, della comunità in cui è cresciuto, e così rappresentato assume lo statuto di emblema di tutta una generazione.

Se il potenziamento dell‘alone connotativo, nel titolo, rivela la volontà di creare un‘inferenza tra la narrazione dei fatti e le suggestioni che provengono dall‘immaginario simbolico e mediatico condiviso, così sull‘altro versante romanzi come Acab, Nel nome di

Ishmael e Romanzo Criminale, Nelle mani giuste, tendono a compattare fortemente lo

svolgimento del racconto in una cornice storica ben precisa, con un puntuale riferimento a date e avvenimenti simbolici della storia italiana. Ma quello che sembra essere un ulteriore terreno condiviso, oltre le specificità delle singole narrazioni, è una simile percezione della

218

R. Saviano, Gomorra, Mondadori, Milano 2006 p. 263.

219

R. Saviano, Zerozerozero, Feltrinelli, Milano 2013 p. 446.

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realtà nelle sue dinamiche interne: i personaggi e le loro azioni agiscono all‘interno di uno spazio entropico, al collasso di riferimenti politici, sociali e culturali. In linea con l‘ideologia del mondo descritto dal noir, come prima e diretta conseguenza del caos discende l‘impossibilità di categorizzare per opposizioni: Bene/Male, tutori della legge/trasgressori, politica/complotto, per limitarsi ad alcuni esempi. Alla separazione chiaroscurale tra lecito e illecito ancor presente nel giallo, il noir e ancor di più il neo-noir introduce il concetto di osmosi: porosità morale e istituzionale che mette fuori gioco l‘utilizzo della vecchia mappa umanistica di valori. La ricerca del poliziesco classico, come fa notare Moretti221, ha come fine l‘assoluzione della società che prende le distanze rispetto rispetto al crimine, confinandolo in un regime d‘infrazione, eccezionale, alla regola; ben diverso, se non agli antipodi, il punto di fuga verso cui converge la narrazione nel noir. Qui il crimine è mostrato come un fenomeno che matura in regioni non visibili, dove tutto è interconnesso: conflitto sociale, malessere individuale, corruzione dei vertici istituzionali. La rete entro cui è presentato il crimine non solo non assolve, ma postula il dubbio del male come elemento endogeno, che riguarda tutti, rendendo lecito sostenere che «l‘inferno siamo noi stessi222». Il concetto di entropia rappresenta non solo una delle possibili chiavi per decifrare l‘immaginario di questi romanzi, ma si colloca al polo opposto dello schema del giallo classico che, sempre come suggerito da Moretti, armonizza causalità e oggettività. L‘universo entropico come humus filosofico e ideologico che nutre le storie, agisce quindi sul livello narratologico, determinando la costruzione dei suoi ―oggetti‖: dall‘ambiguità dei personaggi, alla costruzione dello spazio, alla rielaborazione complottistica della Storia che entra nella materia viva dell‘intreccio. Ma è anche vero che la creazione del mito letterario intorno al crimine, con l‘estetizzazione di ciò che gli ruota attorno, sia frutto indiretto di un‘entropia interiorizzata della società e non solo conseguenza di una elaborazione interpretativa della realtà. Così Hobsbawm suggerisce che la «fusione esplicita di criminalità e società per bene223» sia il terreno in cui matura una certa «ideologizzazione del fuorilegge224» del quale la massima espressione è nel romanzo poliziesco.

221

F. Moretti, Introduzione in Polizieschi classici, Savelli, Roma 1978.

222

Ivi, p.7.

223

Eric Hobsbawm, Il criminale: eroe e mito, in La trama del delitto, op. cit, p. 131.

224

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Se questa della mancanza di confine, è notoriamente una cifra ideologica e stilistica del noir, è interessante osservare come costituisca un nodo profondo anche in narrazioni come

Gomorra225 (il romanzo più rappresentativo, forse, da questo punto di vista), dove il sommerso delle attività camorristiche s‘impasta con quelle legali. Viene anzi mostrato nitidamente come la macchina messa in moto dalla camorra fornisca il carburante per interi settori dell‘economia italiana, come nel caso del settore tessile di lusso:

«Il volto dell‘Italia nel mondo ha i lineamenti di stoffa adagiati sul cranio nudo della provincia napoletana. Le griffe non si fidano di mandare tutto ad est, ad appaltare in Oriente. Le fabbriche si ammonticchiano nei sottoscala, al piano terra delle villette a schiera. Nei capannoni alla periferia di questi paesi della periferia. […] In queste fabbriche non c‘è astio tra operai e proprietari. Qui il conflitto di classe è molle come un biscotto spugnato226»

Il disorientamento del giudizio sulla liceità di un sistema che crea lavoro in un territorio notoriamente fuori dai grandi circuiti di investimenti, ma al prezzo amaro di uno sfruttamento massivo e privo di tutele, sembra l‘equivalente, nella riflessione, dell‘impasto oggettuale tra attività legali e criminali. L‘aspetto entropico della realtà criminale è ancor più accentuato in Zerozerozero, dove la mescolanza di lecito e illecito si fonde nella zona grigia della pratica sociale, testimoniando il ridimensionamento, anche a livello della percezione comune, del crimine come atto da condannare. Il prologo che precede la narrazione vera e propria ha come fine quello di restituire alla cocaina il proprio statuto di illegalità, richiamando l‘attenzione del lettore alla propria responsabilità personale, attraverso l‘uso performativo della scrittura come azione di denuncia:

«La coca la sta usando chi è seduto accanto a te ora in treno e l‘ha presa per svegliarsi stamattina o l‘autista al volante dell‘autobus che ti porta a casa, perché vuole fare gli straordinari senza sentire i crampi alla cervicale. Fa uso di coca chi ti è più vicino. Se non è tuo padre o tua madre, se non è tuo fratello, allora è tuo figlio. Se non è tuo figlio, è il tuo capoufficio […] Ma se, pensandoci bene, ritieni che nessuna di queste persone possa tirare cocaina, o sei incapace di vedere o stai mentendo. Oppure, semplicemente, la persona che ne fa uso sei tu227»

225

A proposito di quanto è stato appena detto, si veda come in Gomorra la mitizzazione dei boss avviene proprio da questa compenetrazione tra valori condivisi dalla società perbene (famiglia, gerarchia patriarcale), gusti della middle class (divismo legato al cinema) e mentalità criminale.

226

Gom p. 31.

227

82

Nell‘incipit Saviano sottolinea implicitamente anche l‘imperativo etico al quale si appella la sua opera di scrittore, facendo sì che i suoi romanzi agiscano come antidoto all‘indifferenza morale, in un mondo in cui il crimine giunge sempre più dal riverbero ovattato del mondo televisivo e cinematografico. L‘utilizzo di un formulario retorico che mira al coinvolgimento empatico del lettore, è forse uno dei tratti di maggior corrispondenza tra la scrittura di Saviano e i romanzi di genere. Tra le strategie che muovono il lettore verso l‘empatizzazione con la storia raccontata, infatti, troviamo l‘insistenza sulla prima persona narrativa228

che registra e racconta su un tempo progressivo con quello della lettura e non pre-ordinato proprio del narratore onnisciente. Ma anche qualora il tempo della diegesi sia fermo, come nell‘incipit sopra citato, l‘allocuzione del ―tu‖ finale buca il sipario narrativo tra autore e lettore. Attraverso questo, Saviano richiama direttamente il lettore al qui e ora della propria coscienza, che si gioca proprio sul riconoscere la differenza tra bene e male, filtrando e separando questi due elementi in un mondo quanto mai poroso, interconnesso e spregiudicato.

Ma, continuando a muoverci nello spazio della non-fiction, La città distratta è il romanzo che probabilmente rende alla lettera l‘aspetto entropico della realtà, nella corrispondenza di un duplice spazio: quello metaforico delle norme etico-giuridiche e l‘altro reale del territorio. Il Male, in questo contesto, è principalmente una distorsione culturale che diventa categoria dello spirito, un‘affezione che per estensione contamina e modifica nel profondo il territorio. La dimensione semantica attraverso cui viene riportata la città (distratta, molle, esplosa, invecchiata), configura il territorio in una dimensione soggettiva e psicologica che si aggiunge al livello storico e oggettivo del racconto. L‘aggettivo del titolo introduce da subito un‘interessante chiave di lettura della città: la distrazione rimanda nel suo alone semantico alla mancanza di frontalità, ad una volontà debole che smorza ogni propositività. E infatti Caserta infatti stenta a prendere una forma attraverso quelle istanze ―solide‖ di senso civico, interesse per il bene collettivo, progettazione e razionalizzazione urbanistica. Ciò che esiste in una forma attiva appartiene al passato o si declina al negativo, paralizzando l‘azione nel presente. Ad esempio, nota Pascale senza nascondere l‘ironia:

228

A. Pinotti, Quasi-soggetti e come-se: l‟empatia nell‟esperienza estetica, PsicoArt. Rivista online di arte e psicologia, n.1, 2010, su https://psicoart.unibo.it

83

«Il fatto è che Caserta è pieno di ex. Ci sono ex maoisti, ex democristiani, ex cattolici, ex comunisti, ex socialisti. […] E quelli che non sono ancora ex sembrano sempre in procinto di diventarlo229»

Il romanzo di Pascale mette in evidenza, ancor più degli altri romanzi, come al concetto di entropia sia imprescindibilmente legata alla questione del territorio. È centrale, inoltre, il rapporto che connette l‘entropia all‘habitus dei casertani, nell‘accezione di Bordieu230

, come automatismo con cui gli schemi d‘interiorizzazione di una cultura (dell‘illegalità, in questo caso) sono legati alla sua riproduzione.