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Dopo che gli effetti della crisi finanziaria internazionale cominciano a riflettersi in misura significativa sull’economia reale, emerge con chiarezza la necessità di avviare in tempi brevi politiche economiche efficaci dirette ad evitare che la fase di stagnazione dell’economia europea si trasformi in una vera e propria recessione, essendo alimentata anche dai segnali di caduta del reddito e dell’occupazione, i quali contribuiscono a diffondere il panico tra le famiglie e le imprese, con ulteriori conseguenze negative sui mercati.

In queste condizioni di incertezza non si ritengono sostenibili i costi di un aggiustamento affidato alle sole forze di mercato. I timori di una crisi del sistema finanziario del tutto nuova ed i rischi di incontrollabilità e imprevedibilità che ne derivano, inducono i governi e le banche centrali ad interventi di dimensioni che non si vedevano più da decenni. Questi interventi, da un lato, possono essere letti come una vittoria delle teorie Keynesiane45 che, ai tempi della crisi degli anni trenta, giustificarono gli interventi di sostegno alla domanda globale già intrapresi dall’amministrazione americana; dall’altro, possono rappresentare l’inizio di un nuovo paradigma di politica economica, più incentrato sulla dinamica delle

45

“Le politiche macro-economiche anticicliche seguite agli inizi della crisi sembravano avere un sapore keynesiano, stimolando la domanda aggregata con tagli alle imposte, espansione monetaria e bassi tassi di interesse. Ma i tagli alle imposte incoraggiavano solo temporanei aumenti di consumo, e la politica monetaria a tassi di interesse già molto bassi non poteva essere efficace, soprattutto in una fase di contrazione della domanda. Rimedi keynesiani avrebbero richiesto invece investimenti pubblici in infrastrutture, nonché incentivi diretti ad incoraggiare investimenti privati in modi diversi da una riduzione del tasso di interesse, per di più non goduta dalla maggioranza delle imprese” (Nuti, 2011, p. 6).

45 istituzioni e più orientato ad operare su quest’ultime per garantire la stabilità dei mercati e fornire supporto all’attività economica.

I primi interventi di politica economica che vengono messi in atto dalla Bce per far fronte alla crisi sono iniezioni di liquidità e drastiche riduzioni dei tassi d’interesse46

. Durante il 2009 i mercati finanziari hanno ancora bisogno di assistenza e la liquidità rimane scarsa, limitando l’attività economica delle imprese e dei consumatori. Per incoraggiare le attività di prestito, la Bce continua a ridurre drasticamente i tassi di riferimento dell’area euro, che sono passati dal 2,5% nel dicembre del 2008 al minimo storico dell’1% nel luglio 2009 (figura n. 17).

Figura n. 17 – Tasso di interesse ed inflazione (IACP) nell’area euro

Fonte: Commissione Europea/BCE47.

46

La crisi finanziaria ha indebolito il tradizionale meccanismo di trasmissione monetaria al punto tale da spingere i tassi di riferimento al minimo storico dell’1% nel luglio del 2009.

47

Si veda Commissione Europea, «Relazione generale sull’attività dell’Unione Europea», in

46 Nel 2008 la Bce ha già intensificato i propri sforzi ed, anziché lasciare che il costo dei prestiti concessi dalle banche centrali fosse determinato mediante procedura d’asta, ha fissato un basso tasso di riferimento per i prestiti agli istituti finanziari e, a quel tasso, aveva fornito tutta la liquidità necessaria. Nel 2009 gli effetti di tale operazione vengono triplicati con un’offerta illimitata di liquidità al tasso dell’1% con scadenza a un anno, ovvero il doppio rispetto all’ultima scadenza più lunga. Inoltre, nel 2008 la Bce ha ampliato il numero delle attività accettate come garanzia reale di tali prestiti, ma a metà 2009 il valore delle attività idonee supera i 12 mila miliardi di euro, il che consente di allentare le tensioni sulle operazioni di prestito delle banche commerciali.

Tuttavia, affinché la politica monetaria possa effettivamente perseguire la stabilità dei prezzi, è necessario porre in essere adeguate misure di politica fiscale per rilanciare l’economia in questa difficile fase che segue la crisi finanziaria.

A tal fine, nel novembre 2008 la Commissione europea ha presentato un piano di rilancio, «A European Economic Recovery Plan»48, che il Consiglio europeo ha approvato nella sua seduta dei successivi 11 e 12 dicembre. Esso differisce dal Piano Delors del 199349, poiché non si propone di realizzare una crescita sostenuta nel medio-lungo periodo, ma di «iniettare potere d’acquisto nell’economia, sostenere la domanda e stimolare la fiducia».

48

Commission of the European Communities, A European Economic Recovery Plan, Communication from the Commission to the European Council, Brussels, November 26, 2008.

49

Alla fine del 1993 J. Delors ha presentato nel Libro bianco della Commissione Europea su "crescita, competitività ed occupazione" un piano d'azione, applicabile a livello nazionale e comunitario, per realizzare il rilancio della crescita economica, il rafforzamento della competitività industriale e il dimezzamento entro il 2000 della disoccupazione.

47 È un piano macroeconomico anticiclico di breve periodo che prevede per il biennio 2009-10 misure di bilancio discrezionali pari ad almeno 200 miliardi di euro o all’1,5% del Pil dell’Ue, di cui circa 170 miliardi di euro (1,2% del Pil) nel quadro dei bilanci dei singoli Stati membri e circa 30 miliardi di euro (0,3% del Pil) nel quadro del bilancio dell’Ue e della Banca europea per gli investimenti.

Si tratta di misure tempestive, temporanee e mirate, che combinano diversi strumenti, quali: maggiore spesa pubblica; garanzie; sussidi; incentivi finanziari ben designati; tasse più basse e contributi sociali. Per massimizzarne l’impatto, tali misure devono essere adottate in maniera coordinata e tenendo conto della posizione iniziale di ciascun Stato membro. Di conseguenza, tutti gli Stati membri dell’Ue devono impegnarsi a contrastare il deterioramento del bilancio con politiche fiscali espansive che siano coordinate a livello europeo e coerenti con la situazione economico-finanziaria a livello nazionale in modo da garantire l’equilibrato raggiungimento degli obiettivi di stabilizzazione e sostenibilità.

La parte innovativa del piano promuove una serie di investimenti50 la cui finalità non è solo quella di rendere l’economia europea più competitiva, ma anche di «inverdirla» (greening the economy), trasformandola in un’economia a basso consumo di anidride carbonica, grazie ad un aumento dell’efficienza energetica e all’introduzione di tecnologie pulite ad alto rendimento, in particolare

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Si tratta di investimenti in settori «intelligenti», ovvero settori: a) iscritti nelle ampie politiche e strategie dell’Ue in materia di energia, ambiente, piccole e medie imprese, o di coesione; b) con buone capacità di creare velocemente posti di lavoro, sviluppare le infrastrutture e promuovere l’innovazione; c) in grado di aiutare l’Europa non solo ad uscire dalla crisi ma anche a ripristinare il potenziale di crescita.

48 nel settore dell’automobile e delle costruzioni51

. Inoltre, il piano di rilancio prevede un quadro temporaneo di riferimento per gli aiuti di Stato alle imprese, che presenta una maggiore flessibilità rispetto ai casi in cui tali aiuti sono ammessi. I finanziamenti statali concessi nell’ambito del suddetto regime favoriscono un ritorno alla stabilità, stimolando una ripresa dei prestiti e consentendo alle imprese di avere nuovamente accesso ai finanziamenti di cui necessitano.

La parte sociale del piano riguarda le politiche occupazionali che, sebbene rientrino tra le competenze dei singoli Stati membri, a causa degli effetti della crisi sull’economia reale, diventano di competenza dell’intera Unione europea, la quale introduce notevoli misure per contenere l’aumento della disoccupazione e creare nuovi posti di lavoro. A riguardo, i fondi nazionali ed il Fondo sociale europeo52 esercitano un ruolo complementare nel finanziare le diverse misure attive in materia occupazionale. Ad essi si affianca il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione, il quale viene ulteriormente rafforzato a sostegno di quanti hanno perso il lavoro a causa della crisi.

51

Rientrano nel piano la cosiddetta iniziativa “Auto verdi” che sostiene l’industria automobilistica con finanziamenti pari a 5 miliardi di euro per la progettazione e la costruzione di veicoli a bassa emissione di carbonio. Ad essa seguono altre due iniziative: “Fabbriche del Futuro”, che prevede 1,2 miliardi di euro come contributo al miglioramento della produttività industriale e, di conseguenza, alla competitività; “Edifici efficienti sul piano energetico”, che è dotata di un finanziamento di 1 miliardo di euro in favore della ricerca e a sostegno della creazione di nuovi e migliori posti nel settore edilizio, contribuendo al contempo alla riduzione del consumo energetico e, pertanto, alla lotta contro il cambiamento climatico (si veda Commissione Europea, «Relazione generale sull’attività dell’Unione Europea», cit., pp. 13-15).

52

Il Fondo sociale europeo (Fse), istituito con l’entrata in vigore del Trattato di Roma nel 1958, sovvenziona azioni a favore della formazione, riqualificazione professionale e della creazione di posti di lavoro. Nel periodo 2007-2013 il volume finanziario messo a disposizione dal Fse è di 76 miliardi di euro, destinati a progetti nazionali e transnazionali rivolti a promuovere l’occupazione e contrastare la perdita di posti di lavoro.

49 Ciò nonostante, il piano di ripresa per l’economia europea contempla misure discrezionali che vengono realizzate prevalentemente con lo stanziamento di risorse nazionali piuttosto che con l’utilizzo dei fondi comunitari. Nel biennio 2009-10, i fondi comunitari vengono impiegati per l’0,3% del Pil dell’Ue, mentre le misure di stimolo fiscale, attuate o pianificate dagli Stati membri, ammontano in totale al 2,9% del Pil dell’Ue di cui 1,5% nel 2009 e 1,4% nel 2010 (tabella n. 3).

Si noti che non tutti i paesi possono contribuire con la medesima efficacia al rilancio economico, essendo vincolati al rispetto dei limiti imposti dal Patto di stabilità e crescita53: paesi come la Germania, con un bilancio in pareggio ed un basso debito pubblico, hanno un ampio margine di manovra fiscale, mentre paesi come la Grecia, che sono fortemente indebitati, difficilmente riescono a contribuire al sostegno della domanda aggregata europea.

53

Il Psc emanato dal Consiglio europeo di Dublino del 13-14 dicembre 1996 ed approvato con regolamento dal Consiglio europeo di Amsterdam nel luglio del 1997, modifica il Trattato di Maastricht, aggiungendo la prescrizione di bilanci tendenzialmente equilibrati nel medio periodo ed eliminando ogni possibile discrezionalità nella valutazione della situazione fiscale di un paese. Il Patto prevede, infatti, che qualora il debito pubblico superi il 60% del Pil, esso deve diminuire sufficientemente fino al valore di riferimento, ad un tasso soddisfacente. Inoltre, il rapporto deficit/Pil non deve mai superare il 3%, pena una pesante sanzione pari allo 0,2% del Pil. Se poi questo rapporto dovesse superare il 4%, la sanzione aumenterebbe fino allo 0,5% del Pil. Tali ammende non si applicano se il disavanzo eccessivo avviene in condizioni di “eccezionalità, temporaneità e limitatezza”. Il superamento del limite è eccezionale se determinato da un evento non soggetto al controllo dello Stato membro o da una grave recessione economica, caratterizzata dal fatto che il Pil ha subito una riduzione maggiore del 2%.

50

Tabella n. 3 – Dimensione del Piano di ripresa per l’economia europea nel

2009 e 2010, in % del Pil

Paesi

Misure di stimolo discrezionali nel 2009

Misure di consolidamento

nel 2009

Misure di stimolo discrezionali nel 2010

Misure di consolidamento nel 2010 Tot Di cui: Tot Di cui: Misure destinate alle famiglie Incrementi di spesa sul mercato del lavoro Misure destinate alle imprese Incrementi della spesa per investimenti Misure destinate alle famiglie Incrementi di spesa sul mercato del lavoro Misure destinate alle imprese Incrementi della spesa per investimenti BE 1,1 0,5 0,2 0,2 0,2 0,0 1,1 0,3 0,5 0,1 0,1 -0,9 BG 0,3 0,0 0,0 0,0 0,2 -3,3 1,0 0,4 0,6 0,0 0,0 -3,3 CZ 2,3 0,1 1,1 0,7 0,4 0,0 1,2 0,0 0,5 0,6 0,1 -1,1 DK 0,7 0,0 0,3 0,1 0,3 0,0 1,5 0,0 1,0 0,0 0,5 0,0 DE 1,7 0,5 0,4 0,5 0,4 0,0 2,4 1,1 0,4 0,4 0,4 0,0 EE 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 -9,2 1,2 0,0 0,0 0,0 1,2 -10,7 IE 0,7 0,4 0,1 0,2 0,0 -5,4 1,0 0,6 0,2 0,2 0,0 -10.2 EL 0,6 0,5 0,1 0,0 0,0 -1,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 -1,8 ES 2,4 0,5 0,1 0,8 0,9 -0,3 0,8 0,2 0,0 0,1 0,5 -0,9 FR 1,6 0,3 0,1 0,9 0,3 0,0 1,4 0,3 0,0 1,0 0,1 -0,1 IT 0,8 0,2 0,1 0,3 0,2 -0,9 0,8 0,1 0,2 0,3 0,1 -0,6 CY 2,7 0,9 0,1 0,3 1,4 0,0 2,4 0,7 0,1 0,6 1,1 0,0 LV 1,5 1,4 0,0 0,0 0,0 -4,5 0,1 -0,1 0,0 0,2 0,0 -11,7 LT 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 -7,6 0,0 0,0 -0,1 0,1 0,0 -12,6 LU 3,4 1,6 0,3 0,3 1,1 0,0 2,2 1,4 0,0 0,5 0,3 0,0 HU 0,5 0,0 0,5 0,0 0,0 -2,2 2,1 0,0 2,1 0,0 0,0 -5,5 MT 0,7 0,2 0,0 0,2 0,2 -1,7 1,1 0,6 0,0 0,2 0,3 -2,2 NL 0,9 0,2 0,1 0,3 0,2 -0,2 1,0 0,2 0,1 0,3 0,4 -0,1 AT 1,5 1,1 0,3 0,0 0,1 0,0 1,8 1,3 0,3 0,1 0,0 0,0 PL 1,6 0,8 0,0 0,2 0,5 -0,6 3,2 0,9 0,1 0,2 2,0 -0,5 PT 1,1 0,2 0,2 0,3 0,4 0,0 0,6 0,2 0,3 0,1 0,0 0,0 RO 0,2 0,0 0,1 0,1 0,0 -0,6 0,3 0,0 0,1 0,2 0,0 -2,7 SI 1,5 0,1 0,1 0,8 0,4 -1,0 1,8 0,1 0,3 1,0 0,4 -1,7 SK 0,4 0,2 0,1 0,0 0,1 -0,5 0,5 0,3 0,1 0,1 0,1 -1,1 FI 1,6 1,0 0,0 0,2 0,3 0,0 2,7 1,7 0,1 0,5 0,4 -0,4 SE 1,7 0,2 1,3 0,0 0,2 0,0 2,7 0,9 1,6 0,0 0,2 0,0 UK 1,9 1,3 0,1 0,3 0,2 -0,2 0,5 0,4 0,2 0,1 -0,1 -0,6 EU27 1,5 0,5 0,2 0,4 0,3 -0,4 1,4 0,5 0,3 0,4 0,3 -0,7

Note: L’ammontare complessivo delle misure di stimolo fiscale è espresso in termini lordi, cioè prima di tener conto delle misure di consolidamento fiscale che nel contempo vengono implementate nei vari paesi.

Fonte: Commissione Europea54.

Inoltre, essendo elevata la parte del piano finanziata con risorse nazionali, si incentivano comportamenti opportunistici (free rider) da parte di alcuni Stati membri che, senza promuovere alcun piano nazionale, si attendono benefici dagli impulsi di spesa derivanti dai piani nazionali degli altri Stati membri, in considerazione dell’elevato grado di integrazione tra le economie europee. Pertanto, sarebbe possibile, per un qualsiasi paese, fare il virtuoso contando sugli

54

Si veda European Commission, Directorate-General for Economic and Financial Affairs, «Public finances in EMU - 2010», in European Economy, April 2010, p. 20.

51 stimoli alla domanda europea indotti dai paesi meno virtuosi55. Questo implica che il coordinamento europeo delle misure espansive gestite a livello nazionale può risultare del tutto inefficace, in quanto non ogni singolo Stato membro appare disposto ad impegnare le risorse necessarie per promuovere una politica di rilancio di cui evidentemente beneficerebbero anche gli altri Stati membri dell’Ue. D’altro canto, la Commissione europea non ha il potere di imporre l’attuazione del piano agli Stati che decidessero di non metterlo in pratica. Pertanto, se il coordinamento europeo è inefficace e i singoli piani nazionali sono tra loro incoerenti, la somma degli impulsi nazionali alla crescita sarà inferiore all’impulso europeo derivante dallo stesso ammontare di spesa. Di conseguenza, il sistema di governance europeo risulta compromesso poiché questo alimenta gli egoismi nazionali e produce effetti che possono provocare il fallimento dell’intero piano.

Il costo della governance è un’unione disarticolata ed incapace di realizzare politiche economiche efficaci. È per questo che “di tutte le riforme strutturali di cui l’Europa ha bisogno oggi, una balza con evidenza agli occhi: riformare il modo in cui le decisioni politiche vengono prese, dando vita ad un’unione politica pienamente democratica” (Collignon, 2008, p. 75).

Eppure, l’Europa unita mostra un orientamento politico già nei primi anni cinquanta, quando i sei paesi fondatori si riuniscono per dare vita ad una

55

Si noti che i paesi meno virtuosi sono costretti ad attingere al mercato finanziario a condizioni meno convenienti rispetto ai paesi più virtuosi, per cui il piano europeo verrebbe finanziato senza un’equa ripartizione dei costi.

52 aggregazione innanzitutto politica e, a tal fine, si interrogano se la forma da adottare sia quella federale o quella confederale.

Tuttavia, il fallimento del progetto della «Comunità europea di difesa» (1954) fa venir meno la prospettiva di una unificazione politica, ma apre la strada verso la progressiva integrazione economica attraverso la costituzione della Comunità economica europea (1958), ora denominata Comunità europea (CE).

Nei quasi quarant’anni che vanno dal fallimento della CED all’entrata in vigore del Trattato di Maastricht (1993), i vari negoziati sembrano curare la realizzazione di una Unione economica e monetaria quasi come un obiettivo a sé, con cui poi i successivi passi di maggiore integrazione e di tappe istituzionali, anche non-economiche, hanno dovuto confrontarsi (tab. 4).

Tabella n. 4 – Cronologia del processo di integrazione europea (1950-1992)

DATA AVVENIMENTO CONSEGUENZE

9 maggio 1950 Robert Schuman, ministro francese degli affari esteri, propone, in una dichiarazione redatta in collaborazione con Jean Monnet, di mettere insieme la produzione franco-tedesca di carbone e di acciaio nel quadro di una nuova organizzazione aperta agli altri paesi europei.

Nasce l’Europa unita e questa data viene scelta per celebrare ogni anno la “Giornata dell’Unione Europea”.

18 aprile 1951 Sei paesi (Belgio, Germania federale, Francia, Italia, Paesi Bassi e Lussemburgo) firmano a Parigi il Trattato che istituisce la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA).

Il Trattato entra in vigore per un periodo di cinquanta anni.

1951 – 1952 Nasce la Comunità europea di difesa (CED) per l’integrazione degli eserciti nazionali ed il progetto di una comunità politica.

1954 Fallimento della CED

1° e 2 giugno 1955 Riuniti a Messina, i ministri degli affari esteri dei sei Stati membri decidono di

estendere l’integrazione europea a tutta l’economia. Rapporto Spaak

25 marzo 1957 Firma a Roma dei Trattati che istituiscono la Comunità economica europea

(CEE) e la Comunità europea dell’energia atomica (EURATOM). I Trattati entrano in vigore il 1° gennaio 1958.

4 gennaio 1960 Per iniziativa del Regno Unito, viene firmata la Convenzione di Stoccolma che istituisce l’accordo di libero scambio (EFTA), cui aderiscono i paesi che non sono membri della CEE.

8 aprile 1965 Firma a Bruxelles del Trattato di fusione degli esecutivi delle tre Comunità (CECA, CEE e EURATOM) e di istituzione di un unico Consiglio e di un’unica Commissione.

Il Trattato entra in vigore il 1° luglio 1967.

1° luglio 1968 Realizzazione dell’Unione Doganale Con 18 mesi di anticipo vengono aboliti gli ultimi dazi doganali sul commercio intracomunitario dei prodotti industriali e viene introdotta la tariffa doganale comune.

1° e 2 dicembre 1969 Vertice dell’Aja I capi di Stato e di governo dei sei Stati membri decidono di

spingere oltre il processo di integrazione, aprendo la strada al primo allargamento.

12 febbraio 1969 La Commissione europea presenta il Piano Barre per il coordinamento delle politiche economiche e la cooperazione monetaria

8 ottobre 1970 Sulla scia del Piano Barre, un comitato di esperti, incaricato dal Consiglio europeo, presenta in via definitiva il Rapporto Werner.

Il Rapporto propone la realizzazione dell’Unione economica e monetaria in tre fasi da completare entro il 1980.

1971 – 1975 Crisi del dollaro; crisi dei pagamenti internazionali; crisi petrolifera Fallisce l’istituzione dell’Uem

1° gennaio 1973 Allargamento dell’Europa a nove Entrano a far parte delle Comunità europee la Danimarca, l’Irlanda ed il Regno Unito (la Norvegia respinge l’adesione con un referendum negativo).

9 e 10 dicembre 1974 Vertice di Parigi I capi di Stato e di governo dei nove Stati membri decidono

di riunirsi tre volte l’anno nel Consiglio europeo, approvano le elezioni del Parlamento europeo a suffragio universale diretto e concordano l’istituzione del Fondo europeo di

53 sviluppo regionale. Inoltre, si conferisce al Primo Ministro belga Tindemans l’incarico di preparare un Rapporto sull’Unione europea, che poi verrà accantonato.

22 luglio 1975 Firma di un Trattato che estende i poteri del Parlamento europeo in materia di bilancio ed istituisce una Corte dei Conti europea.

Il Trattato entra in vigore il 1° giugno 1977

6 e 7 luglio 1978 Vertice di Brema La Francia e la Germania propongono di rilanciare la

cooperazione monetaria con la creazione di un Sistema monetario europeo (SME), che introduce tassi di cambio fissi ma aggiustabili fra le valute dei paesi comunitari. Lo SME diventa operativo il 13 marzo 1979.

7 – 10 giugno 1979 Prima elezione del Parlamento europeo a suffragio universale diretto

1° gennaio 1981 Allargamento dell’Europa a dieci La Grecia diventa il decimo Stato membro delle Comunità europee.

1984

14 febbraio

14 – 17 giugno

25 e 26 giugno

Il Parlamento europeo adotta il progetto di Trattato sull’Unione europea, redatto da Altiero Spinelli sulla falsariga del Rapporto Tindemans.

Seconda elezione del Parlamento europeo a suffragio universale diretto Vertice di Fontainebleau

Il progetto viene anch’esso accantonato perché superato da altre iniziative.

Il Consiglio europeo avvia due riforme istituzionali con la creazione del Comitato DOOGE per elaborare proposte di cooperazione politica ed il Comitato Adonnino per un’azione comune di carattere sociale.

28 e 29 giugno 1985 Il neo-presidente della Commissione, Jacques Delors, presenta al Consiglio europeo il Libro bianco

Questo documento si pone come obiettivo il completamento del mercato interno europeo entro il 1992

1986

1° gennaio

17 e 28 febbraio

Allargamento dell’Europa a dodici

Firma a Lussemburgo e all’Aja dell’Atto unico europeo, nel quale viene inserito il Libro bianco di Delors.

La Spagna e il Portogallo aderiscono alle Comunità europee L’Atto unico entra in vigore il 1° luglio 1987

13 febbraio 1988 Consiglio europeo di Hannover Viene assegnato ad un comitato guidato da Delors l’incarico

di elaborare un programma concreto per la realizzazione dell’Unione economica e monetaria in tre fasi distinte. PRIMA FASE dal 1° lug. 1990: completa libertà di circolazione dei capitali; rafforzamento della cooperazione fra le banche centrali; ibero utilizzo dell’ECU (Unità di conto europea, sostituito in seguito dall’euro); miglioramento della convergenza economica

SECONDA FASE dal 1° gen. 1994: creazione dell’Istituto monetario europeo (IME); divieto di finanziamento del settore pubblico da parte delle banche centrali; maggiore coordinamento delle politiche monetarie; rafforzamento della convergenza economica; progressiva realizzazione dell’indipendenza delle banche centrali nazionali, da completarsi al più tardi entro la data di istituzione del Sistema europeo di banche centrali; lavori preparatori per la Terza fase

TERZA FASE dal 1° gen. 1999: fissazione irrevocabile dei tassi di conversione; introduzione dell’euro; conduzione della politica monetaria unica da parte del Sistema europeo di banche centrali; entrata in vigore dei nuovi Accordi europei di cambio (AEC II); entrata in vigore del Patto di stabilità e crescita

1989

9 novembre

15 – 18 giugno

26 e 27 giugno

Caduta del muro di Berlino

Terza elezione del Parlamento europeo a suffragio universale diretto

Consiglio europeo di Madrid Approvazione del Rapporto di Delors

1990

19 giugno

3 ottobre

Firma della Convenzione di Schengen