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Il potere discrezionale della Commissione di avviare la procedura d'infrazione e di “doppia condanna” e rapporti con la

IL POTERE DELLA COMMISSIONE E PRASSI GIURISPRUDENZIALE

3.1 Il potere discrezionale della Commissione di avviare la procedura d'infrazione e di “doppia condanna” e rapporti con la

Corte di Giustizia.

Attraverso l'ampia analisi fin'ora svolta, si è sottolineato che l’applicazione, l’attuazione e il rispetto effettivi della normativa comunitaria sono una responsabilità di competenza della Commissione la quale, in qualità di “Guardiana dei Trattati”, ha il potere discrezionale di decidere se e quando avviare la procedura d'infrazione. La discrezionalità di tale potere non è soggetta ad alcuna forma di controllo giurisdizionale: in precedenza, nell'esame della procedura, si è visto che l'irregolarità della “messa in mora” e la non corretta motivazione del parere implicano, si, l'irricevibilità dell'eventuale ricorso promosso dalla Commissione davanti alla Corte di Giustizia, ma non comportano l'illegittimità degli atti in questione, che non sono suscettibili di ricorso per annullamento; allo stesso modo, la decisione di non aprire il procedimento non puo implicare il carattere illegittimo della stessa, e, cosi, non puo far sorgere una responsabilità extracontrattuale dell'Unione. La stessa Corte di Giustizia ha affermato che “Il ricorso per inadempimento di uno Stato, proposto a norma

dell'art. 169 del trattato CEE -oggi, art. 258 TFUE-, dalla Commissione e di cui questa valuta da sola l'opportunità, ha natura obiettiva. Nell'equilibrio istituzionale stabilito dal trattato, non spetta alla Corte accertare quali siano gli scopi perseguiti da detto ricorso. Le spetta, invece, l'accertare se l'inadempimento sussista”*. Lo stesso potere è previsto, anche, per l'avvio della seconda procedura d'infrazione (o procedura di “doppia condanna”), ma è necessario fare alcune precisazioni: se l'avvio della procedura d'infrazione avviene obbligatoriamente attraverso l'esplicazione della fase pre-contenziosa diretta ad emettere il parere motivato, per la procedura di “doppia condanna” la questione è dibattuta. Si badi bene: il dibattito dottrinale in merito si pone, non sulla facoltà discrezionale della Commissione di adire la Corte di giustizia (anche in questo caso, come per la procedura d'infrazione ex art.258 TFUE, il dato letterale non fa sorgere nessun dubbio: l'art.260 par.2 TFUE ci dice, come visto, che “Se ritiene che lo Stato membro in questione non abbia preso le misure che l'esecuzione della sentenza della Corte comporta‚ la Commissione, dopo aver posto tale Stato in condizione di presentare osservazioni, puo adire la Corte), bensi proprio sulla facoltà o obbligatorietà della Commissione di avviare la fase pre-contenziosa (e qui il dato letterale poco sopra proposto fa sorgere una certa perplessità). Ebbene, in passato il vecchio art.228 par.2 CE prevedeva che per avviare la procedura di “doppia condanna” fosse necessario formulare un parere motivato

(consistente, come visto, nella fase pre-contenziosa) che precisasse i punti sui quali lo Stato membro non si fosse conformato alla sentenza di condanna (l'art. 228 par.2 CE recitava cosi: << se la Commissione ritiene che lo stato inadempiente non abbia preso i provvedimenti necessari per ottemperare alla sentenza dopo aver dato a tale stato la possibilità di presentare le sue osservazione, formula un parere motivato che precisa i punti sui quali lo stato membro non si è conformato alla sentenza della corte di giustizia >>). Il retaggio dell'art.228 par.2 CE, avvalorato dalla forza del principio dell'art.211 CE -oggi art.17 par.1 TUE- in base al quale si imponeva all'istituzione (Commissione) l'obbligo di vigilare sulla corretta osservanza del trattato (obbligo, questo, che si riteneva violato, appunto, qualora la Commissione non avesse avviato la fase pre-contenziosa, con la possibilità, addirittura, di configurare anche un ricorso in carenza ex art. allora 232 CE -oggi, art.265 TFUE-), faceva si che la Commissione fosse obbligata, qualora avesse riscontrato l'inesistenza di provvedimenti necessari per ottemperare alla sentenza, oppure se esistenti, l'inidoneità di questi ad eliminare l'infrazione, ad avviare la fase pre-contenziosa gravando, dunque, lo Stato inadempiente degli oneri di questa fase amministrativa. Oggi, alla luce della revisione apportata dal trattato di Lisbona, la quale ha eliminato la vecchia enunciazione della formulazione del parere motivato (l'art.260 par.2

di avviare la procedura pre-contenziosa. Certo è che, ad una visione piu attenta, un vincolo come quello della tesi dell'obbligo, aumenterebbe la capacità deterrente della procedura di “doppia condanna”, in quanto, pur se il persistente inadempimento dello Stato potrebbe non giungere effettivamente dinanzi alla Corte in virtu di una discrezionalità piena di cui la Commissione gode quanto al ricorso al giudice, esso verrebbe sempre fatto oggetto di un controllo amministrativo con i gravosi oneri che da esso, comunque, discendono in capo all'autorità nazionali.

3.1.1 Il potere discrezionale della Commissione di avviare la procedura di “doppia condanna” in relazione alla procedura d'infrazione ex art. 259 TFUE.

Nel capitolo 1, dopo aver esaminato la procedura d'infrazione ex art. 259 TFUE, ho accennato al fatto che, in virtu dell'ultimo comma del par.2 dell'art. 260 TFUE, il quale stabilisce che la procedura descritta da quest'ultima intera disposizione “lascia impregiudicate le disposizione dell'art. 259”, una sostanziale parte della dottrina ritenga che lo Stato membro abbia il potere di avviare, sempre a garanzia della corretta interpretazione ed applicazione del diritto dell'Unione, anche, una procedura di “doppia condanna”. Attraverso una lettura combinata degli art. 259 e 260 TFUE, tale interpretazione, che collide con un altro

orientamento dottrinale inteso a considerare la Commissione la sola ad avviare il secondo procedimento d'infrazione, anche qualora la prima sentenza di accertamento dell'inadempimento sia scaturita da un ricorso ex art. 259 TFUE*, sembra, infatti, da una parte consentire la possibilità da parte di uno Stato membro di presentare alla Corte la richiesta di avviare una seconda procedura d'infrazione qualora riscontrasse il persistente inadempimento di un altro Stato membro rispetto a duna prima sentenza di accertamento dell'infrazione indipendentemente dal fatto che tale prima sentenza di accertamento sia scaturita o meno da un ricorso ex art.259 TFUE ,dall'altra limitare la possibilità di domandare alla Corte di comminare una sanzione pecuniaria allo Stato “convenuto” solo alla Commissione in virtu oltre che del tenore letterale dell'art.260 par.2 TFUE, del ruolo che l'istituzione svolge nell'ambito del sistema dell'Unione quale guardiana dei trattati.

Pertanto, nel caso in cui uno Stato avviasse una seconda procedura d'infrazione domandando alla Commissione di esercitare i compiti di cui è investita ex art. 259 TFUE ed essa non adottasse il parere motivato, lo Stato è comunque legittimato ad investire del ricorso la Corte di Giustizia essendo ad esso preclusa solo la richiesta dell'irrogazione, allo Stato doppiamente inadempiente, di una sanzione pecuniaria (non si esclude, in questo caso, che la comminazione di una

sanzione pecuniaria possa essere comminata tutt'al piu dalla Corte stessa in virtu di una propria autonoma determinazione).

3.2 Il potere discrezionale della Commissione di proporre la