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Il potere discrezionale della Commissione di proporre la sanzione ex art 260 par.3 TFUE e rapporti con la Corte d

IL POTERE DELLA COMMISSIONE E PRASSI GIURISPRUDENZIALE

3.3 Il potere discrezionale della Commissione di proporre la sanzione ex art 260 par.3 TFUE e rapporti con la Corte d

Giustizia.

Di particolare e altro tenore è il dato letterale dell'art. 260 par.3 TFUE. Come visto, la Commissione (e solo lei stessa) quando avvia una procedura d'infrazione ex art.258 TFUE con un ricorso che ha ad oggetto la mancata comunicazione delle misure di attuazione di una direttiva legislativa, puo, “se lo ritiene opportuno”, oltre che adire la

Corte per accertare tale infrazione, chiedere a quest'ultima che allo Stato convenuto sia, anche, comminata una sanzione pecuniaria (sempre “adeguata alle circostanze”, e cioè calcolata secondo i principi e criteri enunciati con la Comunicazione del 2010); la Corte, una volta accertato tale inadempimento, “puo comminare allo Stato membro in questione” la sanzione pecuniaria “entro i limiti dell'importo indicato dalla Commissione”. Dunque, la Guardiana dei trattati ha il potere in questi casi (nell'ambito di una procedura di accertamento dell'infrazione avente ad oggetto la mancata comunicazione delle misure di attuazione di una direttiva legislativa) di anticipare, già, nella prima procedura d'infrazione la richiesta della comminazione di una sanzione pecuniaria; certo, essa, già in virtu dell'art. 258 TFUE dovrà motivare nel ricorso la richiesta di infliggere la sanzione, ma non dovrà motivare niente nel caso decida di non infliggerne alcuna (diversamente da quanto avviene ex art.260 par.2 TFUE): infatti, in assenza di tale richiesta, la procedura resta quella classica di accertamento dell'infrazione, senza possibilità alcuna da parte della Corte di comminare una sanzione pecuniaria, altrimenti si riconoscerebbe a quest'ultima un potere che l'art.260 par. 3 TFUE pare attribuire solo alla Commissione. Instaurato il ricorso, la decisione sulla controversia spetta, sempre e comunque, alla Corte di Giustizia, cui la norma in esame riconosce, pero, un potere decisionale piu

procedura di “doppia condanna”: la Corte è, si, libera sul se comminare o meno la sanzione, ma è vincolata nella determinazione dell'ammontare, dovendo rispettare “i limiti dell'importo indicato dalla Commissione” (il carattere vincolante del “quantum” implica che la Corte possa anche modificare il tipo di sanzione purche si attenga, nel massimo, all'importo formulato dalla Commissione).

CONCLUSIONI

La decisione della Commissione (attuata, si ricorda, con Comunicazione del 2005) di non desistere piu dal ricorso qualora lo Stato convenuto adempia in corso di causa, restando ferma in questi casi la possibilità di infliggere il pagamento della somma forfettaria, e la possibilità che l'ottemperanza tardiva, possa sottrarre dalla comminazione della penalità, costituiscono un valido incentivo per gli Stati interessati, a porre fine piu rapidamente alla violazione accertata dalla Corte di Giustizia; tuttavia, la monetizzazione dell'infrazione puo portare a una pericolosa conseguenza: infatti, da una parte, la previsione di sanzioni puramente simboliche, cioè tali da far si che il costo da sostenere per adempiere correttamente agli obblighi imposti dal diritto dell'Unione, possa essere superiore all'entità della sanzione inflitta, e dall'altra la possibilità, viceversa, che l'innalzamento dell'importo della sanzione possa mettere, soprattutto in periodi di crisi economica, lo Stato in condizioni di non poter adempiere, farebbero crollare l'intero sistema coercitivo in esame. A tal proposito, lo studio dottrinale ha portato all'elaborazione di possibili soluzioni alternative idonee ad aumentare in modo consistente l'efficacia deterrente dell'intero meccanismo, alcune delle quali potrebbero essere concretizzate mediante un'attività congiunta di Commissione e Corte, altre, invece, potrebbero essere realizzate solo per il tramite di un

intervento normativo. Innanzitutto, alcuni* portano avanti la tesi (citata in precedenza) secondo cui si potrebbe consentire alla sentenza dichiarativa dell'infrazione di indicare i provvedimenti che lo Stato inadempiente deve adottare per ripristinare la legalità violata con l'introduzione di un controllo sistematico, da parte della Commissione, dell'esecuzione di tali provvedimenti, eventualmente tale da sfociare nell'avvio di un nuova procedura laddove lo Stato non si adoperasse nel senso indicato dalla Corte di giustizia (ovviamente non si prevede il potere da parte della Corte, e a maggior ragione della Commissione, di annullare eventuali atti interni adottati dallo Stato per conformarsi a quanto stabilito dalla Corte -cio violerebbe il riparto di competenze tra Unione e Stati membri e il principio di autonomia dei sistemi processuali nazionali rispetto a quello dell'Unione- bensi, diciamo, un “cartina tornasole” per gli Stati membri per soddisfare l'obiettivo in esame; in poche parole tali provvedimenti sarebbero di “ampio respiro”, cioè lascerebbero spazio all'intervento autonomo degli Stati nella misura in cui sulla base di valutazioni discrezionali ed alla luce di una conoscenza delle esigenze della realtà locale certamente maggiore di quella che puo avere la Corte, essi ritenessero che alcune misure potrebbero meglio adattarsi alle peculiarità nazionali senza per questo pregiudicare la corretta ed uniforme applicazione del diritto dell'Unione). Questa estensione di competenza della Corte, che rispecchierebbe un potere analogo che essa ha nella procedura

d'infrazione in sede cautelare (e cioè quello di far adottare certi provvedimenti), muterebbe la natura della sentenza d'infrazione, non piu meramente dichiarativa, ma anche costitutiva di determinati obblighi di “facere”. Un'altra soluzione che parrebbe idonea ad aumentare l'efficacia deterrente del meccanismo in esame, sarebbe quella di ampliare il numero di ipotesi in cui anticipare alla prima sentenza di accertamento dell'infrazione la comminazione della sanzione pecuniaria; in poche parole, mediante una revisione dei trattati, si potrebbe estendere la sfera di operatività della procedura ex art. 260 par. 3 TFUE anche a violazioni talmente pregiudizievoli per l'ordinamento dell'Unione tali da giustificare un siffatto intervento. Infine, si potrebbe prevedere, anche in questo caso con un intervento a livello pattizio, che sia la Commissione stessa, verificata la persistenza dell'inadempimento alla scadenza di una certa data, ad adottare autonomamente decisioni di accertamento dell'infrazione (magari, addirittura, con la possibilità di comminare direttamente sanzioni pecuniarie) che poi, possono, essere oggetto d'impugnazione da parte degli Stati di esse destinatari, dinanzi direttamente alla Corte di Giustizia*: la mancata contestazione da parte dello Stato o il rigetto del suo ricorso da parte della Corte renderebbero definitiva la decisione della Commissione e rispetto alla sua mancata esecuzione si potrebbe avviare in quanto violazione di un obbligo assimilabile a

tale soluzione potrebbe: -innanzitutto ottimizzare i tempi complessivi della procedura di accertamento dell'infrazione ed esecuzione della sentenza di condanna; - e poi, cosa importantissima specie nel caso si attribuisse alla Commissione anche la competenza ad infliggere sanzioni pecuniarie, far si che sia la Corte, e non il Tribunale, competente a giudicare, in primo ed unico grado, il ricorso proposto dallo Stato contro la decisione della Commissione che domandasse di ottemperare alla condanna).

Certo è che, al di là degli argomenti tecnici e delle proposte risolutive, l'esecuzione delle sentenze di condanna è rimessa fondamentalmente alla buona volontà degli Stati membri, nel rispetto del principio di leale cooperazione di cui all'art. 4 par.3 TUE.

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– Trib., sentenza 19 ottobre 2011, causa T-139/06, Francia contro Commissione; L.Prete, B.Smulders, The coming of age of infringement proceedings, pag. 65

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