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L'INFRAZIONE DEGLI STATI MEMBRI DELL'UNIONE EUROPEA

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di laurea

L'INFRAZIONE DEGLI STATI MEMBRI DELL'UNIONE EUROPEA

Candidato:

Michele Orsito

Relatore:

Prof. Antnio Marcelo Calamia

Correlatore:

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INDICE

INTRODUZIONE Argomento della tesi.

CAPITOLO 1

LA PROCEDURA D'INFRAZIONE. 1.1 Introduzione

1.2 La procedura d'infrazione ex art.258-260 TFUE 1.3 La procedura d'infrazione ex art. 259 TFUE 1.4 Forme speciali di procedura d'infrazione

CAPITOLO 2

LA PROCEDURA DI “DOPPIA CONDANNA”. 2.1 Introduzione

2.2 La procedura di “doppia condanna” introdotta con il Trattato di Maastricht

2.2.1 Modifiche apportate dal Trattato di Lisbona alla procedura di “doppia condanna”

2.3 Tipologia delle sanzioni comminabili 2.3.1 Metodo di calcolo delle sanzioni

2.4 L'efficacia delle sentenze di “doppia condanna” e loro forza esecutiva

2.4.1 Le modalità con cui si procede all'esecuzione dell'obbligo pecuniario stabilito nella sentenza ex art. 260 par.2 o par.3 TFUE

2.4.2 Limiti al potere della Commissione nella

valutazione dell'esecuzione della sentenza di condanna 2.5 Possibili rimedi comunitari al persistente inadempimento della sentenza di “doppia condanna”

2.6 Rapporti tra procedura d'infrazione ex art. 258-259 TFUE e procedura di “doppia condanna”

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CAPITOLO 3

IL POTERE DELLA COMMISSIONE E PRASSI GIURISPRUDENZIALE.

3.1 Il potere discrezionale della Commissione di avviare la procedura d'infrazione e di “doppia condanna” e rapporti con la Corte di Giustizia

3.1.1 Il potere discrezionale della Commissione di avviare la procedura di “doppia condanna” in relazione alla procedura d'infrazione ex art. 259 TFUE

3.2 Il potere discrezionale della Commissione di proporre la sanzione ex art. 260 par.2 e 3 TFUE e rapporti con la Corte di Giustizia

3.3 Il potere discrezionale della Commissione di proporre la sanzione ex art. 260 par.3 TFUE e rapporti con la Corte di Giustizia

CONLUSIONI

Riflessioni sulla reale efficacia deterrente della procedura

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INTRODUZIONE

Dopo aver affermato che la Commissione Europea, nella sua qualità di “Guardiana dei Trattati”, vigila sull'adempimento, da parte degli Stati membri, degli obblighi ad essi incombenti in forza dei trattati, si esamina dal punto di vista istituzionale l'intera procedura d'infrazione (alla luce dell'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, che, come noto, ha ridisegnato interamente il quadro istituzionale dell'Unione), strumento principale volto a condannare la violazione posta in essere da uno Stato membro degli obblighi comunitari. Come un piccolo embrione in via di sviluppo, dapprima si passa in rassegna la procedura d'infrazione ex art.258-260 TFUE e la procedura d'infrazione ex art.259 TFUE, evidenziandone per ciascuna gli elementi fondamentali; per quanto riguarda la prima, si prevede una fase pre-contenziosa con la quale si rende noto allo Stato membro, quale azione o omissione viene ad esso imputata, e quali siano le regole comunitarie che, a parere della Commissione, lo Stato ha violato (essa ha lo scopo di stimolare un contraddittorio Commissione-Stato), e successivamente una fase contenziosa in cui viene chiamata a decidere della questione la Corte di Giustizia, organo su cui si fonda l'intero sistema giurisdizionale dell'Unione Europea: se la Corte condivide la valutazione effettuata dalla Commissione, viene pronunciata una sentenza di accertamento che dichiara la sussistenza dell’infrazione e a

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cui lo Stato è tenuto a conformarsi, adottando tutte le misure necessarie per adeguare l’ordinamento interno a quello dell’Unione. Per quanto riguarda la seconda, si prevede la possibilità da parte di uno Stato membro, ogni volta che si verifichi un'ipotesi di supposta violazione di un obbligo dell'Unione Europea ad opera di uno Stato membro, di agire contro quest'ultimo per garantire la corretta interpretazione ed applicazione del diritto dell'Unione: anche in questo caso la questione viene risolta dalla Corte di giustizia con sentenza dichiarativa. Poi, l'analisi si concentra sulla procedura di “doppia condanna” ex art. 260 par. 2 TFUE che costituisce la risposta (esecutiva?) all'inottemperanza della sentenza d accertamento (ex art.258 o 259 TFUE): se lo Stato non esegue la sentenza emessa con la prima procedura d'infrazione, la Commissione ha la facoltà di adire nuovamente la Corte, chiedendo l’applicazione di una sanzione pecuniaria. In questo contesto, si analizza minuziosamente la disposizione in relazione non solo alla procedura ex art.258 TFUE ma anche a quella ex art.259 TFUE e, soprattutto, si evidenzia il ruolo e il potere che la Commissione detiene in questa fase del procedimento: un potere degno del soprannome a lei affidato e poco sopra citato. Nello stesso tempo si tratta dello strumento, introdotto dal Trattato di Lisbona, di cui all'art.260 par.3 TFUE. Data l'inesistenza di un organo esecutivo a livello comunitario al pari di quelli esistenti all'interno degli ordinamenti nazionali (per ragioni politiche e di principi di diritto dello Stato sociale che stanno

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alla base dell'intera creazione dell'Unione), infine, si cerca di analizzare le possibili soluzioni idonee ad aumentare l'efficacia deterrente del procedimento di “condanna”,e tali da non pregiudicare l'effettività del sistema giurisdizionale dell'Unione.

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CAPITOLO 1

LA PROCEDURA D'INFRAZIONE 1.1 Introduzione

Il sistema di tutela giurisdizionale presente nell'ordinamento dell'Unione Europea si sostanzia nella Corte di Giustizia dell'U.E. Essa assicura il rispetto del diritto nella interpretazione e nell'applicazione dei trattati attraverso due tipi di controllo: i “ricorsi diretti” (cioè ricorsi direttamente proposti alla Corte di Giustizia o al Tribunale, a seconda dei singoli casi ) e i “ricorsi indiretti” (cioè i ricorsi per rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, i quali prevedono una stretta collaborazione tra giudice nazionale e giudice dell'Unione)*. Lo strumento principale volto a condannare la violazione posta in essere da uno Stato membro degli obblighi comunitari, è la cosiddetta “procedura di infrazione”,-o ricorso per infrazione-, disciplinato dall'Art.258-260 TFUE*, che rappresenta un'ipotesi di ricorso diretto ed è dichiarato dalla stessa Corte di Giustizia come un “meccanismo di definitivo ripristino della legalità comunitaria violata e di garanzia dell'uniforme e corretta applicazione del diritto dell'Unione in tutti gli Stati Membri”*. La procedura d'infrazione è interamente accentrata sull'azione della Commissione Europea e della Corte di Giustizia: alla Commissione spetta avviarla e gestirne, in dialogo e confronto con lo Stato membro, la cosiddetta fase “pre-contenziosa” di definizione dei

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fatti in contestazione e di loro prima valutazione giuridica; alla Corte di giustizia compete, in caso di disaccordo tra la Commissione e lo Stato, accertare in via definitiva, nel quadro della cosiddetta “fase contenziosa”, l’esistenza o meno di una violazione del diritto dell’Unione.

1.2 La procedura d'Infrazione.

La procedura di infrazione prevista e disciplinata dal TFUE, agli articoli 258-260, è lo strumento con cui la Commissione Europea svolge la propria funzione di controllo del rispetto del diritto UE da parte degli Stati membri, funzione che le è attribuita dall’articolo 17 del TUE, e che – grazie al conferimento di ampi poteri istruttori, tra cui la richiesta di informazioni, l’avvio di procedure di inchiesta e di verifiche dirette – ha la finalità di porre rimedio all’inadempimento da parte di uno Stato membro. Ai sensi dei Trattati, si parla di inadempimento quando un’amministrazione nazionale (centrale, regionale o locale) viola il diritto dell’Unione ponendo in essere un comportamento attivo o omissivo. Le procedure di infrazione nascono per tre motivi principali: a) lo Stato membro non comunica per tempo le misure nazionali di trasposizione delle direttive UE (c.d. “mancati recepimenti”); b) la Commissione ritiene che la legislazione di uno Stato membro non sia conforme alla normativa UE; c) la Commissione

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considera che lo Stato membro non applica correttamente la normativa UE. Esse si articolano in due fasi.

La prima fase è quella c.d. “pre-contenziosa”, scandita dall’emissione da parte della Commissione della “lettera di messa in mora” e poi del “parere motivato” ai sensi dell’art. 258 TFUE. Cè da dire che, data la grande importanza che i Trattati attribuiscono all'azione dell'Unione Europea diretta a fare accertare un'infrazione, l'art. 258 TFUE ha assegnato al procedimento delle garanzie. È prevista, infatti, prima di passare alla vera e propria fase pre-contenziosa, un momento di “contraddittorio stragiudiziale”, in cui vanno spiegati concretamente i fatti di cui lo Stato è accusato per metterlo in condizione di difendersi, dare spiegazioni o emendarsi. Questo stadio, di natura strettamente amministrativa, perche affidato ai soli servizi amministrativi della Commissione, assicura la prima gestione, attraverso il sistema cosiddetto EU Pilot*, della “notizia di reato” di cui la Commissione sia venuta a conoscenza in via diretta oppure sulla base di una denuncia individuale da parte di privati o di un’interrogazione a lei rivolta da un membro del Parlamento europeo. Il sistema EU Pilot, consiste, infatti, in un meccanismo telematico di scambio scadenzato di comunicazioni tra la Commissione e gli Stati membri in relazione ad ogni caso di presunta violazione di norme dell'unione Europea da parte di questi. Esso è destinato ad accertare i fatti ed eventualmente gli elementi di

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diritto che caratterizzano la vicenda, ai fini della decisione della Commissione circa il seguito da dare alla “notizia di reato”. Si tratta, quindi, di una fase prevalentemente informativa che, pero, avendo rilevanza per la decisione sull’apertura formale o meno della procedura d’infrazione, non va assolutamente sottovalutata da parte delle amministrazioni interessate: innanzitutto una corretta informazione puo meglio convincere la Commissione dell’infondatezza delle accuse rivolte allo Stato; poi in ogni caso, il carattere del tutto preliminare e ancora informale dell’azione della Commissione fa si che questa disponga al riguardo di una maggiore flessibilità rispetto alla decisione da prendere: dato che la questione è gestita per il momento dalla sola Direzione Generale competente della Commissione, puo risultare piu agevole, infatti, indurre quest'ultima a tener conto non solo degli aspetti di stretta rispondenza al diritto, ma anche delle ragioni di opportunità legate al contesto specifico in cui si è inserita la presunta violazione (in altri termini, in questa fase è piu facile poter trovare una soluzione di compromesso che consenta di evitare l’apertura formale della procedura di infrazione). Se la Commissione continua, invece, a essere convinta dell’esistenza e dell’importanza della violazione, essa decide di passare alla vera e propria “fase pre-contenziosa”. Quest’ultima si articola in due ulteriori fasi, consistenti nell’adozione della lettera di messa in mora, la prima, e del parere motivato, la

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Pilot, ambedue queste fasi non costituiscono piu dei passaggi di

carattere meramente amministrativo, perche in entrambe la decisione formale spetta questa volta al collegio dei Commissari (essa condiziona in modo decisivo la successiva fase giudiziale: il ricorso non puo infatti avere ad oggetto questioni non contestate nella prima fase; scopo ulteriore della fase pre-contenziosa è, dunque, quello di delimitare i confini del ricorso che sarà eventualmente proposto). Queste due fasi si differenziano per il contenuto dell’interlocuzione con lo Stato membro. La messa in mora è l’atto che segna l’apertura formale della procedura di infrazione. Con essa la Commissione identifica la violazione del diritto dell’Unione che viene contestata, e prevede un termine entro il quale lo Stato puo comunicare le proprie osservazioni e argomentazioni di risposta alla richiesta della Commissione. La lettera che dà avvio alla fase pre-contenziosa della procedura di infrazione costituisce un atto preliminare con il quale si rende noto allo Stato membro quale azione o omissione viene ad esso imputata, e quali siano le regole comunitarie che, a parere della Commissione, lo Stato ha violato. Con essa si richiede allo Stato, a carico del quale si presume l'esistenza di un'infrazione, di presentare le proprie osservazioni ed ha lo scopo di stimolare il contraddittorio: a tal fine, essa deve precisare le obbligazioni violate circoscrivendo l'oggetto della controversia. Sebbene l'articolo 258 TFUE non stabilisca i requisiti formali che la lettera di messa in mora deve

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soddisfare, si ritiene che essa non debba lasciar sussistere alcun dubbio sulla natura della procedura iniziata; e sebbene non sia necessaria una motivazione completa che esponga la giustificazione giuridica dettagliata della posizione che la Commissione intende sostenere, essendo sufficiente un primo e breve riassunto degli addebiti, è possibile che la messa in mora contenga un'esposizione globale delle censure che la Commissione preciserà successivamente nel parere motivato. A tali indicazioni si deve aggiungere la fissazione di un termine per la presentazione delle osservazioni. All'interno della procedura di infrazione la messa in mora costituisce una condizione di forma sostanziale, ed invero i vizi della messa in mora producono l'irregolarità del parere motivato (sebbene non si traducano nella impugnabilità dell'uno o dell'altro atto, essi producono l'irricevibilità del ricorso alla Corte di giustizia per il mancato rispetto del principio del contraddittorio, a meno che lo Stato abbia potuto, comunque, esercitare il proprio diritto di difesa). Il contraddittorio con lo Stato che la Commissione ritiene essere venuto meno agli obblighi nascenti dal Trattato, costituisce, dunque, un elemento essenziale della procedura di infrazione, collegato alla protezione dei diritti di difesa, che sono parte dei principi fondamentali dell’ordinamento giuridico dell’UE (art. 47 Carta dei diritti fondamentali dell’UE). Dalla ricezione della lettera di messa in mora non discende, peraltro, a carico dello Stato l'obbligo di

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presentare osservazioni la facoltà che gli è concessa costituisce una garanzia fondamentale voluta dai Trattati, la cui osservanza è prescritta “ad substantiam” nel processo di infrazione. Le osservazioni tardive presentate dopo l'emissione del parere motivato, non obbligano la Commissione a riaprire la procedura ma, nell’ambito della leale collaborazione istituzionale che deve informare tutti i rapporti tra le Istituzioni europee e le amministrazioni nazionali, di esse la Commissione puo tenere conto al fine di esercitare il proprio potere discrezionale di ricorrere. Se non perviene risposta, o se le informazioni trasmesse non sono considerate soddisfacenti, la Commissione adotta un parere motivato (art. 258, 1, TFUE) con cui constata la sussistenza della violazione, e invita lo Stato a prendere tutte le misure necessarie per porre fine a tale situazione. Condizioni per l'emanazione del parere sono la convinzione dell'esistenza della violazione e la (avvenuta) concessione allo Stato dell'opportunità di presentare osservazioni. Il parere motivato, in quanto contiene l'esposizione della posizione della Commissione come definitivamente stabilita, ha il duplice scopo di indicare i motivi di fatto e di diritto per i quali la Commissione ritiene che lo Stato abbia violato uno degli obblighi ad esso incombenti, e le misure per porre termine all'infrazione, diffidandolo dal perpetuare, oltre il termine indicato, la violazione. Le osservazioni dello Stato possono indurre la Commissione a precisare, o anche a modificare, i motivi che avevano

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determinato la sua convinzione iniziale, ma le esigenze di tutela del diritto di difesa dello Stato - espresse dalla necessità di un contraddittorio - impongono la coincidenza dei fatti su cui il parere motivato è basato con quelli indicati nell'atto di avvio della procedura di infrazione. Nel parere motivato possono, dunque, essere fatte valere solo le censure, di fatto e di diritto, mosse allo Stato nella messa in mora. La Commissione, oltre a modificare la sua tesi sulla fattispecie che realizzerebbe l'infrazione puo, dunque, tenere conto delle osservazioni fornite dallo Stato per precisare o modificare i motivi sui quali la constatazione dell'infrazione era stata fondata, ma i termini sostanziali dell'infrazione devono essere stati discussi nella fase di contraddittorio. Nel parere motivato la Commissione deve indicare le misure che lo Stato deve adottare per sanare l'infrazione. Nella scelta dei mezzi di adeguamento da indicare allo Stato, la Commissione gode di ampia discrezionalità, sebbene, in linea di principio, debba chiedere la sanatoria dell'infrazione con effetto retroattivo e, anche, di risarcire i danni causati dalla violazione del diritto dell'UE. Il parere motivato contiene, altresi, l'indicazione di un termine ragionevole entro il quale le misure proposte devono essere adottate, la cui adeguatezza è giudicata in funzione delle circostanze del caso. Quanto alla determinazione in concreto di tale termine, sebbene si ritenga che la Commissione goda sul punto di ampia discrezionalità, la particolare

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da motivi di urgenza, rende irricevibile il successivo ricorso basato sul mancato adeguamento nel termine (oltre che da ragioni di urgenza, la fissazione di un termine particolarmente breve puo essere giustificata dal fatto che lo Stato membro destinatario del parere motivato conoscesse la posizione della Commissione già da molto tempo prima della formalizzazione della procedura). Nel caso in cui ritenga il termine troppo breve, lo Stato puo chiedere alla Commissione una proroga, ma in caso di rifiuto non puo chiedere un'estensione del medesimo alla Corte di giustizia: puo tutt'al piu avvalersi della sua insufficienza per fare dichiarare il ricorso inammissibile. Come anticipato, il parere reso dalla Commissione deve essere motivato per consentire allo Stato di difendersi e alla Corte di giustizia di esercitare un controllo sull'iniziativa della Commissione. Il parere deve ritenersi sufficientemente motivato quando contiene una esposizione coerente delle ragioni che hanno indotto la Commissione al convincimento che lo Stato ha mancato a uno degli obblighi che ad esso incombevano in virtu dei Trattati, ma non è necessario che la Commissione prenda posizione su tutte le osservazioni presentate dallo Stato. In quanto strumento di garanzia dello Stato, la motivazione è un elemento sostanziale della procedura la cui mancanza comporta l'irricevibilità del ricorso. Si è sottolineato che il parere motivato non è un atto amministrativo soggetto a controllo di legittimità e che, quindi, non si puo parlare di un vizio di forma consistente nella insufficiente

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motivazione, il quale si risolva nell'illegittimità dell'atto. Il parere motivato è destinato unicamente a precisare il punto di vista della Commissione per opportuna informazione dello Stato e della Corte di giustizia, e dalla sua insufficiente motivazione puo derivare soltanto il rischio che la Corte non sia in condizioni di constatare un'infrazione e di conseguenza respinga il ricorso (si tratta dunque di una questione di sostanza e non di forma)*. Sono diverse le ragioni per le quali il parere motivato non è impugnabile per illegittimità; in primo luogo esso non ha carattere giuridicamente imperativo: anche se produce effetti giuridici non determina in modo definitivo i diritti e doveri dello Stato destinatario, che risultano solo dalla sentenza della Corte di giustizia; in secondo luogo il parere motivato rappresenta l'atto finale della fase pre-contenziosa di una procedura che potrebbe risolversi in un ricorso giurisdizionale: ne consegue che le critiche, di cui puo essere fatto oggetto, devono essere esaminate in occasione del giudizio di fronte alla Corte di giustizia. Le questioni che toccano la regolarità del parere motivato rilevano, infatti, al fine del giudizio sulla ricevibilità del ricorso alla Corte di giustizia, mentre la valutazione nel merito di detto parere coincide con quella dell'esame del merito del ricorso proposto dalla Commissione. La non impugnabilità del parere motivato risulta, inoltre, dalla sua funzione, piuttosto che dalla sua natura giuridica; esso esaurisce, infatti, la propria funzione nel quadro della complessiva

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conclusivo*. La censura dell'attività della Commissione non è ritenuta ammissibile nemmeno sotto il profilo del controllo della legittimità della mancata emanazione del parere motivato; a tal proposito vi è chi ha sostenuto l'ammissibilità di un ricorso in carenza ex art.265 TFUE contro la Commissione in riferimento alla violazione dell'articolo 17(1) TUE e all'interesse pubblico alla constatazione dell'infrazione. Secondo una posizione piu moderata, invece, in linea di principio non esisterebbe un obbligo della Commissione di emettere un parere motivato, poiche se tale obbligo esistesse, esso, comunque, dipenderebbe da un presupposto il cui accertamento è legato al punto di vista della Commissione stessa. In pratica, la Commissione potrebbe sempre sostenere di non essersi fatta un'opinione, sottraendosi all'obbligo di emanare il parere motivato. Tuttavia, nel caso in cui lo Stato non rispondesse alla messa in mora, l'opinione già espressa dalla Commissione potrebbe essere ritenuta definitiva, tanto da far sorgere l'obbligo di emanare il parere motivato. Per conformarsi al parere motivato, lo Stato deve iniziare in tempo utile la procedura per eliminare in modo effettivo le misure ritenute costituenti l'infrazione, non essendo sufficiente la richiesta di autorizzazione all'adozione di misure di salvaguardia. Se entro il termine fissato nel parere motivato lo Stato non si è conformato, la sanatoria tardiva non priva la Commissione del diritto di ottenere una pronuncia della Corte di giustizia sulla violazione degli obblighi derivanti dai Trattati. La Corte

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di giustizia ha, pertanto, il compito di decidere se tale violazione sia stata commessa senza dover esaminare che, successivamente alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, lo Stato abbia preso i provvedimenti necessari per porre fine alla violazione. Nonostante la sanatoria tardiva, si ritiene che rimanga l’interesse alla prosecuzione del giudizio al fine di far stabilire il fondamento della responsabilità eventualmente incombente sullo Stato membro a causa dell'inadempimento nei confronti di altri Stati membri dell'UE, o dei privati, ma va da se che deve essere considerato irricevibile il ricorso proposto dalla Commissione nei casi in cui lo Stato si sia conformato al parere motivato nel termine fissato. Se lo Stato membro non si conforma al parere motivato, puo aprirsi la seconda fase dell’infrazione, detta “contenziosa”. Questa si svolge dinanzi alla Corte di giustizia ai sensi dell’art 258(2) TFUE. Nel caso in cui la Corte condivida la valutazione effettuata dalla Commissione, viene pronunciata una sentenza che dichiara la sussistenza dell’infrazione e a cui lo Stato è tenuto a conformarsi, adottando tutte le misure necessarie per adeguare l’ordinamento interno a quello dell’Unione (art. 260, 1, TFUE). Tale sentenza, è una sentenza di accertamento dell'inadempimento, cioè di verifica della sussistenza della violazione imputata dalla Commissione allo Stato convenuto; ha efficacia “erga omnes” ed “ex tunc”, ed acquisisce autorità di cosa giudicata rispetto

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funzione è destinata ad esaurirsi quando lo Stato censurato vi ottempera, ponendo fine all'inadempimento addebitatogli (sull'efficacia di tale sentenza sono sorte alcune questioni che attribuirebbero non solo efficacia dichiarativa ad essa ma anche, in un certo modo, efficacia costitutiva: mi spiego meglio, secondo alcuni* la Corte avrebbe il potere di indicare le misure da adottare, ma senza effetti vincolanti; secondo altri*, invece, la Corte avrebbe il potere di ordinare con tale sentenza allo Stato l'adozione di specifiche misure. Devo dire che la natura dichiarativa discende dagli stessi presupposti per l'avvio della procedure di “doppia condanna”, e piu che attribuirle forzatamente effetti costitutivi si suggerisce* di ricorrere ad una corretta cooperazione tra Commissione e Stato per far conoscere le modalità per conformarsi alla sentenza accertante l'infrazione). La Corte di giustizia ha il potere di adottare, anche nel corso di una procedura di infrazione, i provvedimenti provvisori previsti dall'articolo 279 TFUE nonostante le perplessità della dottrina dovute alla circostanza che tali misure si risolvono in un ordine di sospendere l'applicazione di una legge o di un atto amministrativo nazionale. In tale misura, infatti, l'ordine cautelare della Corte di giustizia avrebbe una portata piu incisiva o almeno immediatamente piu efficace rispetto alla sentenza definitiva la quale, ai sensi dell'articolo 260 TFUE, lascia allo Stato membro di provvedere a trarne le conseguenze. Se lo Stato non esegue la sentenza, la Commissione ha la facoltà di adire

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nuovamente la Corte, chiedendo l’applicazione di una sanzione pecuniaria (art. 260(2) TFUE). Quest'ultimo procedimento viene detto “di doppia condanna”, espressione questa, come risulterà dall'esamina della natura degli effetti delle sentenze scaturenti dai due procedimenti citati (capitolo 2, paragrafo 2.4), impropria. Come diro anche in merito alla procedura di “doppia condanna” (Cap.2 par.2.3 in relazione alla natura delle sanzioni comminabili), la procedura di infrazione non ha lo scopo di punire lo Stato membro ma quello di indurlo ad adempiere -non deve, dunque, essere visto quale strumento di natura sanzionatoria diretto a reprimere un comportamento illecito ma quale strumento deterrente-.

1.3 La procedura d'infrazione ex art.259 TFUE.

Il ricorso di infrazione puo essere promosso, innanzi alla Corte di Giustizia, sia dalla Commissione (articolo 258 TFUE), come esaminato, che da parte di uno Stato membro ex art. 259 TFUE; tale disposizione recita cosi:

< < Ciascuno degli Stati membri puo adire la Corte di giustizia dell'Unione europea quando reputi che un altro Stato membro ha mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virtu dei trattati. Uno Stato membro, prima di proporre contro un altro Stato membro un

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ricorso fondato su una pretesa violazione degli obblighi che a quest'ultimo incombono in virtu dei trattati, deve rivolgersi alla Commissione. La Commissione emette un parere motivato dopo che gli Stati interessati siano posti in condizione di presentare in contraddittorio le loro osservazioni scritte e orali. Qualora la Commissione non abbia formulato il parere nel termine di tre mesi dalla domanda, la mancanza del parere non osta alla facoltà di ricorso alla Corte >>.

Tale previsione introduce uno strumento “ad hoc” di risoluzione delle controversie tra Stati, in relazione alla violazione di obblighi comunitari: ogni volta che si verifichi un'ipotesi di supposta violazione di un obbligo dell'Unione Europea ad opera di uno Stato membro, un altro Stato membro è legittimato ad agire contro quest'ultimo, al pari della Commissione (senza dimostrare alcun interesse specifico, se non quello della legalità dell'ordinamento dell'Unione, e senza dover provare, quindi, l'esistenza di un danno subito, essendo assimilabile la sua azione ad un ricorso nell'interesse della legge), per garantire la corretta interpretazione ed applicazione del diritto dell'Unione (piu che uno strumento di risoluzione delle controversie o di risarcimento, dunque, la procedura ex art. 259 si configura come un vero e proprio mezzo a tutela degli interessi dell'Unione*). Anche in questo caso si prevede una fase pre-contenziosa, basata sul contraddittorio degli Stati

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in causa, al quale sovraintende la Commissione, e di una fase giudiziale difronte alla Corte di Giustizia (che non svolge il ruolo di giudice internazionale di una controversa tra soggetti internazionali quali gli Stati, bensi come organo di giurisdizione interna dell'ordinamento comunitario in quanto gli Stati membri agiscono per far valere la violazione di obblighi comunitari e, dunque, a tutela degli interessi dell'Unione, al pari della Commissione ex art.258 TFUE), qualora la “controversia” non trovi soluzione nella prima fase. Si prevede che lo Stato, prima di proporre contro un altro Stato membro un ricorso fondato su una pretesa violazione degli obblighi dell'Unione europea, deve rivolgersi alla Commissione presentando una domanda contenente la specifica intenzione di avviare la procedura suddetta (cosi da distinguerla da un semplice invito rivolto alla Commissione ad agire autonomamente ex art.258 TFUE) e l'indicazione dei motivi, di fatto e di diritto (e, quindi, l'oggetto della contestazione e delle norme violate) che sono posti a suo fondamento, cosi da definire l'ambito della controversia su cui si svolgerà il contraddittorio con lo Stato interessato. La Commissione, quindi, in qualità, secondo alcuni*,di organo conciliativo e, secondo altri*, di arbitro, pone gli Stati interessati in condizione di presentare, in contraddittorio tra loro, le proprie osservazioni ed emette, quindi, un parere motivato (tale parere motivato si distingue da quello ex art.258 TFUE: qui, la Commissione

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meno delle allegazioni dello Stato “attore”, senza indicare le censure e senza prescrivere allo Stato “convenuto” un comportamento da eseguire; per tale motivo non è indicato un termine entro cui lo Stato deve conformarsi ad esso; le conclusioni della Commissione nel parere motivato potrebbero, cos,i essere addirittura, anche, a favore dello Stato accusato dell'infrazione, cioè nel senso dell'inesistenza dell'infrazione). La funzione della Commissione è quella di raggiungere una soluzione non contenziosa della controversia, o comunque, quella di risolvere la faccenda tra gli stati e, magari, iniziare essa stessa una procedura ex art. 258 TFUE; tuttavia, nonostante le due procedure siano, in linea generale, autonome, è possibile che si verifichino interferenze tra una procedura avviata da uno Stato e una intrapresa dalla Commissione sullo stesso comportamento illecito di un altro Stato. In questi casi, se una procedura è stata avviata ex art. 259 TFUE dopo l'avvio della procedura ex art. 258 TFUE, ma prima dell'emissione del parere motivato, per evitare la duplicità dei procedimenti, la Commissione non puo che favorire quello instaurato dallo Stato, consentendo un contraddittorio piu ampio e soprattutto evitando l'elusione del diritto al contraddittorio del quale ogni Stati membro gode; a maggior ragione, se la procedura ex art. 259 TFUE viene intrapresa dopo l'emissione del parere motivato ex art. 258 TFUE, essa segue il suo corso normale. Analogamente, se la Corte è già stata adita ex art. 258 TFUE la

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procedura eventualmente avviata ex art. 259 TFUE segue normalmente il suo svolgimento, consentendo allo Stato attore di far meglio valere le proprie ragioni, cioè al di là dei limiti consentiti nel caso di semplice intervento nel giudizio instaurato dalla Commissione; nel caso inverso, in cui dopo una domanda presentata alla Commissione da uno stato membro ex art. 259 TFUE, l'istituzione decida di avviare una procedura ex art. 258 TFUE, il ricorso alla Corte sarà il suo corso normale. Soltanto al termine di questa fase, anche qualora la Commissione non abbia formulato un parere entro tre mesi dalla domanda, lo Stato membro puo adire la Corte di Giustizia. I ricorsi presentati direttamente dagli Stati membri contro altri Stati membri sono stati ben pochi fin'ora: infatti, le possibili divergenze tra gli Stati vengono risolte in via diplomatica o sollecitando la Commissione ad agire poiche un ricorso diretto implica una maggiore “esposizione” dal punto di vista politico. Sono, invece, piuttosto numerosi i casi in cui a fronte di un'azione per inadempimento promossa dalla Commissione, gli Stati membri esercitano il potere di intervenire nel procedimento.

Oltre al potere di avviare una procedura d'infrazione, alla luce della riforma attuata dal Trattato di Lisbona e non potendo essere avvalorate da riscontri giurisprudenziali in quanto non vi è ancora, ad oggi, nessuna prassi relativa ai rapporti tra una procedura avviata da uno Stato membro e una procedura di “doppia condanna”, la dottrina

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prevalente* attribuisce ad uno Stato membro, in virtu dell'ultimo comma del par.2 dell'art. 260 TFUE, anche la possibilità di avviare una procedura di “doppia condanna”. Nel capitolo 3, esaminero questa ulteriore questione in relazione al potere e ruolo attribuito alla Commissione in merito.

1.4 Forme speciali di procedura infrazione.

Infine, si prevedono forme speciali di procedura di infrazione. La procedura di infrazione disciplinata dagli articoli 258-259 TFUE subisce, infatti, alcune modifiche in forza di particolari disposizioni del Trattato in riferimento a specifiche norme delle quali si tratta di garantire l'osservanza. In alcuni casi l'ordinaria procedura di infrazione risulta modificata per l'omissione della fase pre-contenziosa: cio avviene in casi di particolare urgenza nei quali si presuppone che una forma di contraddittorio si sia già svolta prima dell'avvio della procedura formale, come ad esempio ai sensi dell'articolo 114(9) TFUE a mente del quale -nel caso in cui lo Stato membro abbia abusato del potere riconosciutogli di applicare norme interne giustificate da interessi superiori nonostante che esse siano contrarie a misure di armonizzazione adottate dal Consiglio- la Commissione o qualsiasi Stato membro puo adire direttamente la Corte di giustizia in deroga alla procedura disciplinata dagli articoli 258-259. L'articolo

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348(2) TFUE, infine, prevede la possibilità di ricorso diretto alla Corte di giustizia nel caso in cui la Commissione o un altro Stato membro ritengano che un altro Stato membro abbia fatto ricorso abusivo ai poteri ad esso riconosciuti dagli articoli 346 e 347 TFUE in tema di sicurezza nazionale (anche in questi casi è ammissibile la concessione di misure provvisorie ex Art.279 TFUE).

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CAPITOLO 2

LA PROCEDURA DI DOPPIA CONDANNA.

2.1 Introduzione.

In virtu dell'art.260, par.1, lo Stato membro, responsabile di una violazione del diritto dell'Unione Europea, accertata dalla Corte di Giustizia (“ha mancato ad uno degli obblighi ad esso incombenti in virtu dei trattati”), ha l'obbligo di “prendere i provvedimenti che l'esecuzione della sentenza comporta”. Come detto, tale obbligo investe tutti gli organi dello Stato, legislativi, esecutivi, giudiziari, nell'ambito delle loro rispettive sfere di competenza, e a prescindere dal fatto che alcuni organi non rispettino il dovere in questione (le autorità nazionali sono, in particolare, vincolate all'interpretazione della norma comunitaria data dalla Corte in occasione della procedura d'infrazione, al pari di quanto accade rispetto alle sentenze pronunciate in esito alla procedura pregiudiziale -rammento qui la complementarietà tra le due procedure-, e garantendo in tal modo l'osservanza della norma, devono riconoscere ai singoli gli eventuali diritti che essa loro conferisce, anche tramite la disapplicazione di norme interne con essa incompatibili). Ora, la non esecuzione della suddetta sentenza della Corte da parte dello Stato inadempiente, porta ad una seconda procedura d'infrazione che legittima Commissione e Corte di Giustizia a ricorrere ad un particolare meccanismo di

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coercizione, consistente nella possibilità di comminare allo Stato doppiamente inadempiente una sanzione pecuniaria (la possibilità di disporre una sanzione pecuniaria a carico dello Stato membro doppiamente inadempiente, viene codificata con il Trattato di Maastricht, che dà attuazione concreta alle proposte della Corte e del Parlamento Europeo*). Prima di analizzare questa seconda procedura d'infrazione, che come ampiamente anticipato viene definita di “doppia condanna” (in riferimento all'emanazione di una seconda sentenza di infrazione; definizione, questa, impropria, in quanto la sentenza emessa a conclusione della prima procedura di infrazione è di mero accertamento, e, dunque, la sentenza adottata a conclusione della seconda procedura -per sanzionare la violazione che persiste nonostante una prima sentenza dichiarativa-, è la prima sentenza che contiene una condanna -quella al pagamento di una sanzione pecuniaria, come analizzero- dello Stato membro), vorrei sottolineare la portata -il “peso”, il concreto significato- che assume la suddetta violazione all'interno del panorama comunitario:

i comportamenti degli Stati membri che continuano a non conformare il proprio ordinamento al diritto comunitario, costituiscono un profondo “vulnus” al principio della parità di trattamento degli Stati dinanzi agli obblighi derivanti dalla loro appartenenza al sistema dell'Unione Europea, e al dovere di leale cooperazione ad essi imposto

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dall'art.4, par.3 TUE, “vulnus” idoneo a destabilizzare l'intero sistema comunitario, pregiudicandone la funzionalità e la credibilità* (il loro inadempimento mette in pericolo l'autorità della Corte di Giustizia, la natura della Comunità come comunità di diritto, e quindi il suo stesso fondamento).

2.2 La procedura di “doppia condanna” introdotta con il Trattato di Maastricht.

Sebbene, oggi, la procedura di “doppia condanna” risulta semplificata dalla riforma attuata dal Trattato di Lisbona (a cui dedichero, per quanto in oggetto, il successivo paragrafo), essa rimane modellata, come allora, su quella della prima procedura d'infrazione. Si compone, dunque, di una duplice fase: a quella pre-contenziosa/amministrativa segue quella contenziosa/giudiziale (questa conseguenzialità, determinata dalle finalità della fase pre-contenziosa -e cioè di economia processuale, di rispetto dei diritti di difesa dello Stato, e “istruttoria”-, si manifesta sia sul piano processuale, in quanto la regolarità della fase preliminare – dei suoi atti: “messa in mora”, motivazione del “parere motivato”- si pone come condizione di ricevibilità del ricorso alla Corte -si badi bene, “condizione di ricevibilità” del ricorso e non di impugnabilità, ad esempio, per annullamento ex art. 263 TFUE, analogamente a quanto avviene per la

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fase pre-contenziosa nel procedimento di infrazione-, sia sul piano sostanziale in quanto delimita l'oggetto di tale ricorso -delimitazione, questa, “facilitata”, consistendo, nell'oggetto, nella mancata ottemperanza della prima sentenza dichiarativa dell'infrazione- che potrà riguardare soltanto questioni già contestate nella prima fase, pena la violazione del diritto al contraddittorio e il venir meno dell'effetto della stessa fase preliminare).

Prima di dare avvio alla fase preliminare del procedimento, in particolare, nel mese successivo all'emissione della prima sentenza di accertamento dell'infrazione, in virtu del fatto, come ha statuito la Corte di Giustizia in molteplici sue sentenze, che l'attività finalizzata ad adeguarsi alla sentenza deve essere iniziata subito dopo la sua emanazione e concludersi nel piu breve tempo possibile, la Commissione, o meglio la Direzione Generale della Commissione competente per materia, invia una lettera allo Stato censurato invitandolo ad informare la Commissione, delle misure prese, o che sta prendendo, per conformarsi alla sentenza della Corte, o delle sue intenzioni in proposito, se necessario precisando tutte le conseguenze della sentenza; solo qualora questi contatti informali, trascorso un “certo” tempo, si rivelino infruttuosi, la Commissione avvia formalmente la fase pre-contenziosa -analogamente alla procedura di infrazione, anche in questo caso emerge, cosi, l'importanza del dialogo

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politico tra i soggetti coinvolti che costituisce “the essence of the pre-litigation stage of the procedure”, e cioè quella di cercare di risolvere i problemi attraverso strumenti piu rapidi e adatti rispetto al procedimento giudiziale*- (circa i tempi di avvio di tale seconda procedura, correlati al termine entro cui lo Stato è tenuto ad ottemperare alla sentenza di accertamento dell'infrazione, essi sono determinati sulla base di considerazioni rimesse alla piena discrezionalità della Commissione e legate, anche, alla peculiarità dell'inadempimento -su questo importante potere dedichero successivamente un ampio capitolo-). La Commissione, cosi, invia allo Stato, il cui inadempimento è stato accertato dalla Corte e che non ha preso i provvedimenti necessari per conformarsi alla sentenza dichiarativa dell'infrazione, una lettera di messa in mora. Con tale lettera, lo Stato è invitato a presentare le proprie considerazioni entro -anche qui- un “certo” termine, cioè un termine “congruo”, tale da consentire allo Stato di rispondere effettivamente agli addebiti della Commissione, eventualmente contestandoli e prendendo posizione anche sul fatto che non si ritenga trascorso un ragionevole lasso temporale, oppure fornendo rassicurazioni circa l'esecuzione della sentenza. Decorso il termine stabilito nella lettera di messa in mora, la Commissione puo:

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particolareggiata della ragioni che hanno indotto la Commissione a ritenere che lo Stato, in virtu delle osservazioni presentate, o trascorso infruttuosamente il congruo termine, non ha effettivamente adottato i provvedimenti necessari per conformarsi alla sentenza dichiarativa dell'infrazione, indicando in modo chiaro e definitivo i motivi di fatto e di diritto per i quali l'inadempimento è ritenuto persistente - come ho anticipato, la motivazione è un elemento si essenziale del parere e, quindi, della procedura, in quanto ha lo scopo di dare allo Stato la possibilità di difendersi e alla Corte di Giustizia quella di verificare giudizialmente l'iniziativa della Commissione, ma la sua assenza comporta solo la irricevibilità dell'eventuale ricorso presentato dalla Commissione alla Corte e non l'impugnabilità-; il parere deve, infine, specificare un termine “ragionevole” entro cui lo Stato è diffidato a porre fine alla violazione contestata correlata della richiesta di porvi fine -termine che ha le stesse finalità di quello della messa in mora; se lo Stato ritiene eccessivamente breve il termine assegnatogli puo/deve chiedere alla Commissione che esso sia prorogato; se l'istituzione non accoglie tale richiesta, lo Stato non puo riproporla alla Corte di Giustizia, trattandosi di un compito di “amministrazione della procedura”: la Corte puo, pero, rilevare

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ricorso presentato dalla Commissione; siamo sempre difronte ad un errore della procedura-;

-oppure se a seguito della messa in mora, lo Stato ha posto fine all'infrazione, o, alla luce delle osservazioni presentate, la Commissione si convince del venir meno dell'infrazione accertata con la prima sentenza, o, ancora, sulla base di valutazioni discrezionali ritiene, comunque, preferibile non proseguire la procedura, quest'ultima puo essere archiviata.

L'emanazione del parere motivato è, dunque, l'atto formale conclusivo della fase pre-contenziosa, e solo trascorso il termine ragionevole previsto in esso, puo avere inizio la fase contenziosa. Infatti, la Commissione, sempre in virtu del suo ruolo comunitario, che le riserva quell'importante potere discrezionale citato, accertata la persistente situazione di inadempimento dello Stato allo spirare del termine previsto, o comunque accertato che le misure da esso adottate a seguito dell'emanazione del parere motivato sono inadeguate sempre allo spirare del termine previsto, -l'adempimento tardivo (oltre il termine del parere motivato) da parte dello Stato non priva la Commissione del diritto/potere di avviare la successiva fase giudiziale e, dunque, arrivare alla sentenza di condanna; questo vale anche per l'adempimento in pendenza della procedura contenziosa: la Corte, accertato l'adempimento in corso di causa puo condannare ugualmente

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lo Stato; cio, in considerazione del fatto che, come specificato dalla stessa Corte di Giustizia, l'accertamento che essa faccia della violazione, pur eventualmente eliminata tardivamente, consente di stabilire l'eventuale responsabilità dello Stato ed essere un elemento di prova a favore di un privato che agisca difronte al giudice nazionale per ottenere il risarcimento del danno subito a causa dell'inadempimento statale* (eventualmente un maggiore risarcimento statale, in quanto già con la prima sentenza dichiarativa dell'infrazione viene già accertata la responsabilità dello Stato, e quindi, costituire tempo prima un elemento di prova a favore del privato)-, puo presentare alla Corte di Giustizia un ricorso contenente la contestazione di quegli addebiti già contestati negli atti pre-contenziosi (messa in mora e parere motivato), o comunque fatti, anche se successivi al parere motivato, “della medesima natura e che costituiscono uno stesso comportamento di quelli considerati nel parere motivato”*, i motivi su cui si fonda il ricorso e la prova della continua sussistenza dell'infrazione (spetta, quindi, allo Stato convenuto confutare la contestazione addebitatagli nel ricorso), nonche “l'importo della somma forfettaria o della penalità, da versare da parte dello Stato membro in questione, che consideri adeguato alle circostanze”, e la correlata richiesta di comminare allo Stato “una somma forfettaria o una penalità”. La Corte di Giustizia, una volta

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dapprima, la ricorrenza dei presupposti per la ricevibilità del ricorso; puo adottare misure cautelari ex art.279 TFUE (analogamente al procedimento di infrazione -e a quello ex art.348, 2 TFUE-; sebbene alcuni escludono assolutamente la possibilità di applicare, in pendenza del procedimento di “doppia condanna”, tali misure , in quanto la non applicazione della normativa nazionale contrastante con il diritto dell'unione europea discende automaticamente dalla sentenza che accerta l'infrazione, si deve ritenere che, come già nella pendenza del primo giudizio, anche durante il secondo procedimento potrebbe avvertirsi la necessità di sospendere l'applicazione di quei provvedimenti adottati dallo Stato per conformarsi alla sentenza dichiarativa dell'infrazione perche ritenuti ancora dalla Corte incompatibili con il diritto dell'Unione) e, infine, statuire sulle censure presentate dalla Commissione. La Corte potrà non riscontrare la persistenza dell'inadempimento, o non ritenerla provata dalla Commissione, e quindi respingere il ricorso; al contrario, laddove accerti che l'infrazione rilevata nella prima sentenza ex art.258 TFUE si sia protratta almeno, come detto, fino alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, dichiarerà il nuovo inadempimento e “potrà” comminargli il pagamento di una somma forfettaria o di una penalità ( questo è il tenore della lettera del trattato ex art.260, 2 che a seguito della comunicazione della Commissione del 2005, sostitutiva di due precedenti comunicazioni del 1996 e del 1997, come diro nel

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paragrafo inerente alla sanzione comminata al termine di questo procedimento di doppia condanna da parte della Corte, sarà interpretato in maniera restrittiva, nel senso che, anche se l'inadempimento viene meno in corso di causa è, comunque, comminata la somma forfettaria).

2.2.1 Modifiche apportate dal Trattato di Lisbona alla procedura di “doppia condanna”.

Come detto, il trattato di Lisbona semplifica la procedura di “doppia condanna”. Esso introduce due importanti novità finalizzate, entrambe, ad aumentare l'efficacia deterrente della procedura.

La prima novità si sostanzia nella riduzione della fase pre-contenziosa attraverso l'eliminazione del momento dell'invio del parere motivato, le cui funzioni (addebiti contestati, motivi, richiesta di comminazione delle sanzioni, osservazioni e termine entro cui lo Stato deve porre fine all'infrazione) vengono inglobate nel momento dell'invio della lettera di messa in mora, che rimane, dunque, l'unico elemento procedimentale caratterizzante la fase (nei casi in cui la lettera di costituzione in mora è stata inviata prima dell'entrata in vigore del trattato di Lisbona, in virtu della Comunicazione della Commissione sull'applicazione dell'art.260 TFUE -SEC 1371,2010-, allo Stato

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membro interessato è inviata una lettera di costituzione in mora complementare per informarlo che la fase successiva prevede che sia adita la Corte e non piu il parere motivato). L' art.260 par. 2, stabilisce, infatti, che la Commissione “se ritiene che lo Stato membro non abbia preso le misure che l'esecuzione della sentenza dichiarativa dell'infrazione comporta, dopo aver posto tale Stato in condizione di presentare osservazioni, puo adire la Corte di Giustizia. Essa precisa l'importo della somma forfettaria o della penalità, da versare da parte dello Stato membro in questione, che essa consideri adeguato alle circostanze”. La “mascherata” soppressione del parere motivato non incide sui diritti dello Stato membro e sugli obblighi della Commissione (questi sono assicurati e previsti dalla “lettera di messa in mora”), bensi sui tempi che lo Stato, già censurato dalla Corte, avrà a disposizione per porre fine all'inadempimento: eliminando formalmente il momento del parere motivato, lo Stato potrà godere di un solo termine (quello previsto nella lettera di messa in mora”) per eliminare l'infrazione.

La seconda novità, di carattere sostanziale, introdotta dal trattato di Lisbona, è costituita dall'aggiunta di un terzo paragrafo all'art.260 che recita cosi: “La Commissione, quando propone ricorso dinanzi alla Corte in virtu dell'art.258, reputando che lo Stato membro interessato non abbia adempiuto all'obbligo di comunicare le misure di attuazione

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di una direttiva adottata secondo una procedura legislativa, puo, se lo ritiene opportuno, indicare l'importo della somma forfettaria o della penalità da versare da parte di tale Stato che essa consideri adeguato alle circostanze. Se la Corte constata l'inadempimento, puo comminare allo Stato membro in questione il pagamento di una somma forfettaria o di una penalità entro i limiti dell'importo indicato dalla Commissione. Il pagamento è esigibile alla data fissata dalla Corte nella sentenza”.

Questo paragrafo introduce uno strumento completamente nuovo: la Commissione puo proporre alla Corte, dacche presenta ricorso per inadempimento ai sensi dell'articolo 258 TFUE, di comminare il pagamento di una somma forfettaria o una penalità nella stessa sentenza che constata un inadempimento di uno Stato membro all'obbligo di comunicare le misure di attuazione di una direttiva adottata secondo una procedura legislativa. Nel quadro del nuovo articolo 260, paragrafo 3, spetta, dunque, alla Commissione, nella veste di custode dei trattati, avviare la procedura di cui all’articolo 258 e combinarla con una domanda ai sensi dell'articolo 260, paragrafo 3, proponendo l’imposizione di una somma forfettaria e/o di una penalità di importo determinato (l'obiettivo di questa innovazione del trattato è stimolare maggiormente gli Stati membri ad attuare le direttive nei termini fissati dal legislatore e garantire cosi che la legislazione

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dell'Unione produca realmente i suoi effetti. Il trattato di Lisbona tiene, quindi, conto dell'importanza essenziale che gli Stati membri attuino nei termini le direttive, non solo per tutelare gli interessi generali perseguiti dalla legislazione dell'Unione, che non ammette ritardi, ma anche, e soprattutto, per proteggere i cittadini europei, a cui tale legislazione conferisce diritti soggettivi; infatti, ne va della stessa credibilità del diritto dell'Unione se gli atti legislativi impiegano anni a produrre i loro pieni effetti giuridici negli Stati membri). Ora devo dire che, se la norma non pone dubbi circa l'applicabilità della procedura in caso di violazione dell'obbligo di comunicazione (per “mancata comunicazione” si intende, in virtu della Comunicazione della Commissione sull'applicazione dell'art.260 par.3 del 2010 - SEC 1371, 2010-, anche la mancata “attuazione-trasposizione”, in quanto sarebbe davvero illogico che gli Stati membri, pur avendo trasposto una direttiva, non comunichino le misure di essa attuative e addirittura si facciano citare in giudizio difronte alla Corte di Giustizia e condannare al pagamento di una sanzione pecuniaria; la suddetta comunicazione ritiene esperibile la procedura anche rispetto alla “comunicazione parziale” ma non rispetto alla “attuazione incorretta” -ivi avendosi sia comunicazione sia trasposizione che pero è incorretta- per una precisa ragione: si ritiene che lo Stato non sia rimasto completamente inerte e, quindi, inadempiente, e qualora fornisca tutte le spiegazioni necessarie sul modo in cui ritiene di aver attuato integralmente la direttiva, la

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Commissione potrà reputare che lo Stato non sia venuto meno all'obbligo di comunicare le misure di attuazione e di conseguenza non sarà ad esso applicabile la procedura -in questi casi la Commissione deve avere piu tempo per valutare l'operato e risulta non ragionevole agire immediatamente es art.260 par.3 TFUE-) previsto nei confronti delle direttive adottate con la procedura legislativa, ordinaria e speciale, ex art.289 TFUE, rispettivamente par.1 e par.2 (“la procedura legislativa ordinaria consiste nell'adozione congiunta di un regolamento, di una direttiva o di una decisione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio su proposta della Commissione. Tale procedura è definita all'articolo 294. Nei casi specifici previsti dai trattati, l'adozione di un regolamento, di una direttiva o di una decisione da parte del Parlamento europeo con la partecipazione del Consiglio, o da parte di quest'ultimo con la partecipazione del Parlamento europeo, costituisce una procedura legislativa speciale”; per quanto riguarda la mancata attuazione di direttive adottate con una procedura non legislativa, cioè quelle delegate e di esecuzione ex artt. 290 e 291 TFUE le quali normalmente non richiedono la notifica delle misure di trasposizione, l'art.260 par.3 non è applicabile: la Commissione dovrà, quindi, continuare ad adire la Corte di Giustizia prima ex art.258 TFUE e poi, se la sentenza nella quale viene constato l'inadempimento non viene eseguita, ex art.260 par.2 TFUE), sorgono

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sistema pre-Lisbona, il quale non prevedeva analoga procedura di adozione degli atti, e rispetto alle “decisioni quadro” adottate nel regime pre-Lisbona (che l' ex art. 34 TUE pre-Lisbona assimilava alle direttive in quanto atti adottati “per il ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri ...vincolante per gli Stati membri quanto al risultato da ottenere, salva restando la competenza delle autorità nazionali in merito alla forma e ai mezzi. Esse non hanno efficacia diretta”; assimilabilità questa ribadita dalla Corte di giustizia*), in ordine al settore della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale non oggetto di modifica ad opera di una direttiva legislativa, per le quali, in virtu dell'art.10 par.1 del Protocollo n.36 allegato al TUE e TFUE (“A titolo di misura transitoria e in ordine agli atti dell'Unione nel settore della cooperazione di polizia e della cooperazione giudiziaria in materia penale adottati prima dell'entrata in vigore del trattato di Lisbona, le attribuzioni delle istituzioni alla data di entrata in vigore di detto trattato sono le seguenti: le attribuzioni della Commissione ai sensi dell'articolo 258 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea non sono applicabili...”), non è possibile, in via transitoria (il par.3 stabilisce infatti che “In ogni caso la misura transitoria di cui al paragrafo 1 cessa di avere effetto cinque anni dopo l'entrata in vigore del trattato di Lisbona”), il ricorso al procedimento d'infrazione, e, in virtu dell'art.9 del menzionato protocollo, una volta scaduto il periodo transitorio

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continueranno a produrre effetti giuridici nell'ordinamento dell'Unione. Per quanto riguarda le prime, si sostiene che la Commissione possa avvalersi della procedura ex art.260 par.3, se la violazione considerata riguarda direttive pre-Lisbona adottate con un procedimento decisionale “assimilabile” a quello legislativo ex art.289 e non ancora attuate; e secondo il Tribunale un procedimento legislativo pre-Lisbona, riconducibile a quello ex art. 289 par.1 TFUE, è la procedura di co-decisione ex art.251 CE; quanto alla procedura legislativa speciale è necessario verificare, caso per caso, sulla base della direttiva rispetto a cui si contesta la violazione, se il procedimento con cui è stata adottata nel sistema pre-Lisbona trova un corrispondente nel sistema attuale, e in caso di risposta affermativa ritenere possibile e legittima l'applicazione della procedura ex art.260 par.3. In virtu della Comunicazione della Commissione sull'applicazione dell'art.260 par.3 del 2010 - SEC 1371/2010-, si stabilisce, come disposizione transitoria al suo interno, che tale nuovo strumento potrà essere applicato alle procedure avviate ex art.258 TFUE dopo la pubblicazione della suddetta comunicazione ed alle procedure avviate prima della sua pubblicazione, ad eccezione di quelle per le quali la Commissione ha già adito la Corte. Qualora la Commissione abbia già emesso un parere motivato, come visto per la procedura ex art. 260 par.2, essa emetterà un parere motivato complementare con cui avvertirà lo Stato membro

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quanto riguarda le seconde, si ritiene che la procedura ex art.260 par.3 sia esperibile anche rispetto ai casi in cui la violazione dell'obbligo ivi contemplato concerna le decisioni quadro, in quanto altrimenti si svuoterebbe di significato la previsione transitoria ex art.10 del protocollo n.36 che legittima la procedibilità ex art.258, e quindi anche ex art.260 par.3, rispetto agli obblighi imposti da atti dell'ex terzo pilastro che non siano oggetto di modifica, alla scadenza del regime transitorio ivi contemplato. L'ultima parte della disposizione in commento, infine, ci dice che la data di esigibilità del pagamento delle sanzioni comminate dalla Corte, potrebbe essere il giorno della pronuncia, ma anche un giorno successivo; al riguardo, prendendo in considerazione la prassi inerente la procedura di “doppia condanna”, la Commissione si è espressa (nella Comunicazione del 2005) augurandosi che tale data sia quella della pronuncia della sentenza.

2.3Tipologia delle sanzioni comminabili.

Come detto, qualora uno Stato non dia esecuzione alla sentenza della Corte che ne abbia accertato l’inadempimento, e sia instaurato un nuovo ricorso per infrazione avente ad oggetto la violazione dell’obbligo posto dall’art. 260, par. 1, TFUE, la Commissione puo chiedere, in tale procedimento, che sia inflitta allo Stato una sanzione pecuniaria e la stessa possibilità è prevista, oggi, come visto, dall’art.

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260, par. 3, TFUE, anche nel primo procedimento, qualora lo Stato non abbia comunicato le misure di attuazione di una direttiva legislativa. Entrambe le disposizioni del trattato fanno riferimento a due tipologie di sanzioni: la “somma forfettaria” e la “penalità”. La “somma forfettaria” si concreta nel versamento di un importo di denaro una

tantum, rispetto ad un inadempimento puntuale ed isolato (ed anche

eventualmente cessato), in base alla valutazione delle sue conseguenze sugli interessi privati e pubblici, ed in particolare qualora esso sia persistito per un lungo periodo dopo la sentenza che lo ha inizialmente accertato*. La “penalità” si concreta nel pagamento di una somma di denaro il cui importo è direttamente proporzionale al periodo di ritardo nell'adempimento e la sua applicazione decorre (l'orientamento giurisprudenziale è chiaro in tal senso) dalla data di notificazione della sentenza di condanna sino alla sua completa esecuzione (in alcuni casi è stata applicata su base, non giornaliera, bensi semestrale o annuale, e addirittura in misura decrescente)*. Ora, il tenore letterale dell'art. 260 par.2 (e par.3), utilizzando la congiunzione “o” per indicare la possibilità dell'applicazione dei due tipi di sanzione, sembrerebbe propendere per una loro inflizione alternativa; tuttavia, la Corte di Giustizia per le rispettive finalità a tali sanzioni riconosciute (la “somma forfettaria” mira a rendere svantaggioso il persistere di una infrazione successiva alla sentenza dichiarativa dell'inadempimento ed

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prevenire la commissione di analoghi inadempimenti in futuro -ha carattere dissuasivo ed un effetto preventivo generale-; la penalità è impiegata per indurre lo Stato inadempiente a regolarizzare la propria posizione nel piu breve tempo possibile, ponendo fine ad un inadempimento che avrebbe tendenza a persistere anche dopo l'adozione della seconda sentenza, se non ci fosse tale misura -ha carattere coercitivo/persuasivo-), che propendono per una funzione deterrente piu che punitiva (nonostante in alcuni casi*, l'Avvocato Generale in causa abbia definito la somma forfettaria come “pena pecuniaria unica a carattere punitivo”- al di là di un eventuale riconoscimento alla sanzione di una funzione sostanzialmente punitiva, la Corte ha sempre ritenuto che questa caratteristica non debba mai esulare dallo scopo principale per cui è stata applicata, e cioè quello deterrente, di non recidivare e di uniformarsi il piu rapidamente possibile agli obblighi imposti dall'appartenenza all'Unione Europea), le ha ritenute complementari e quindi cumulativamente applicabili* (è necessario sottolineare che una siffatta concezione della sanzione deriva dal fatto che i suoi effetti sono realizzati dallo stesso Stato membro sanzionato attraverso strumenti di responsabilità politica).

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2.3.1 Metodo di calcolo delle sanzioni.

La condanna al pagamento di una penalità e/o di una somma forfettaria, come detto, non mira a compensare un qualsiasi danno che sia stato causato dallo Stato membro interessato, ma ad esercitare su quest’ultimo, una pressione economica che lo induca a porre fine all’inadempimento accertato. Le sanzioni da infliggere devono, pertanto, essere decise in funzione del grado di persuasione necessario perche lo Stato membro in questione modifichi il suo comportamento. Il paragrafo 2 dell'art. 260 TFUE dispone che quando la Commissione, in base al potere discrezionale che il trattato le conferisce (“puo adire”), decide di adire la Corte di giustizia, “essa precisa l'importo della somma forfettaria o della penalità, da versare da parte dello Stato membro, che consideri adeguato alle circostanze”, e lo stesso è previsto nel par.3 dell'art.260 con la determinazione che, in quest'ultimo caso, non viene utilizzata l'espressione “precisa” bensi “puo indicare”, potendo pertanto la Commissione decidere se richiedere o meno la comminazione della sanzione stessa (non m esimero da analizzare il tenore delle disposizioni alla luce delle Comunicazione della Commissione spesso citate). All’insegna della trasparenza, la Commissione ha pubblicato una serie di quattro Comunicazioni, dove ha reso noti i criteri alla stregua dei quali motivare alla Corte l’importo delle sanzioni pecuniarie da essa ritenute

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adeguate alle circostanze. Di queste, devo precisare che la terza Comunicazione -del 12 dicembre 2005 (SEC (2005) 1658)-, è stata adottata dalla Commissione in sostituzione delle due precedenti del 1996 e 1997, per aggiornarle alla luce della giurisprudenza intervenuta successivamente (sentenza della Corte di giustizia del 12 luglio 2005, nella causa C-304/02, Commissione/Francia; la Commissione pone le basi per un nuovo approccio alla sanzione della somma forfettaria: questa andrebbe a costituire, come accennato in precedenza, un autonomo strumento a finalità deterrente che lo Stato membro è tenuto a corrispondere per il solo fatto che una lesione dei principi di legalità e di certezza del diritto ha, comunque, avuto luogo a seguito della mancata esecuzione della sentenza ex articolo 258 TFUE) e, in particolar modo, per quanto concerne il metodo di calcolo delle sanzioni, dell’avvenuto allargamento dell’Unione; e la quarta Comunicazione -del 2010 (SEC (2010) 1371)-, già ampiamente richiamata, è stata adottata dalla Commissione per l'applicazione della nuova procedura ex art. 260 par.3 TFUE.

Ebbene, con la Comunicazione del 1996 sono stati messi in luce, per la prima volta, i criteri (da combinare tra loro per garantire l'effettuo dissuasivo della sanzione) che la Commissione ha inteso seguire nel chiedere alla Corte di Giustizia di comminare sanzioni pecuniarie, e cioè:

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-la “gravità dell'infrazione” (al punto 6 della Comunicazione si specifica che essa deve essere fissata tenendo conto di due parametri strettamente legati all'infrazione che ha portato alla pronuncia della sentenza non eseguita, e cioè: 1) l'importanza delle norme comunitarie oggetto dell'infrazione -essendo rilevante, piu che la gerarchia della norma di cui è stata accertata la violazione, la sua natura e la sua portata-; e 2) le conseguenze dell'infrazione sugli interessi generali e particolari);

-la “durata dell'infrazione”;

-e la “necessità d'imprimere alla sanzione un effetto dissuasivo onde prevenire le recidive”.

Successivamente, in virtu della concezione che la “penalità” sia lo strumento piu idoneo a conseguire l'obiettivo fondamentale dell'intera procedura d'infrazione -tale da incappare nella prassi di limitare la proposta alla sola irrogazione della penalità: questo faceva si che fossero frequenti regolarizzazioni tardive, prima dell'emanazione della sentenza di condanna ex art.260 par.2TFUE, evitando addirittura la comminazione della penalità stessa; diro successivamente come la Commissione ha cercato di risolvere tale “stratagemma statale” - con la Comunicazione del 1997, la Commissione ha specificato i parametri di calcolo per tale sanzione (tralasciando la regolamentazione della

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prevedibili per gli Stati membri e calcolati secondo un metodo che rispetti sia il principio di proporzionalità che quello della parità di trattamento degli Stati membri. Si procede, cosi, alla creazione di una formula di calcolo della penalità:

Pg = (Sb x Cg x Cd) x n

“Pg” sta per “penalità giornaliera”; essa viene determinata moltiplicando “Sb”, cioè un importo di base fisso ed uniforme (determinato in modo da:- lasciare alla Commissione un ampio potere discrezionale nell'applicazione dei coefficienti moltiplicatori; -mantenerlo entro un limite ragionevole/sopportabile per gli Stati membri;-rappresentare un importo abbastanza elevato per garantire una sufficiente pressione sullo Stato membro) per “Cg”, cioè un coefficiente di gravita dell'infrazione (calcolato in base a quei criteri individuati già dalla Comunicazione del 1996 e che va da un minimo d 1 a un massimo di 20) e per “Cd”, cioè un coefficiente di durata dell'infrazione (che va da un minimo di 1 a un massimo di 3; ora, tale coefficiente è stato oggetto di numerose discussioni in relazione alla determinazione dell'inizio dell'infrazione tale da poter calcolare il coefficiente stesso: con la Comunicazione del 2005 si stabilisce che “esso deve essere calcolato computando 0,10 per ogni mese a decorrere dalla pronuncia della prima sentenza sino al momento in cui la Commissione decide di adire la Corte”); il risultato cosi ottenuto è

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