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Rapporti tra procedura d'infrazione ex art 258-259 TFUE e procedura di “doppia condanna”.

LA PROCEDURA DI DOPPIA CONDANNA.

2.6 Rapporti tra procedura d'infrazione ex art 258-259 TFUE e procedura di “doppia condanna”.

Esaminate dal punto di vista istituzionale la procedura di accertamento e quelle di condanna in relazione alla violazione degli obblighi scaturenti dai trattati comunitari da parte degli Stati membri, è necessario precisare cosa succede quando la Commissione, avendo deciso di avviare una procedura d'infrazione sulla base della discrezionalità di cui gode, valuta se rispetto ad una certa violazione si debba procedere ex art.258 TFUE, o, piuttosto, ex art. 260, par.2 TFUE. Alla luce di quanto detto, la risposta pare ovvia: qualora tale violazione è già stata oggetto di una sentenza ex art.258 TFUE, la Commissione non puo far altro che avviare, se del caso, una procedura di “doppia condanna” ex art. 260 par.2 TFUE; qualora, invece, la violazione è “nuova” rispetto ad una già sollevata ed accertata dalla

Corte, quest'ultima dovrà avviare una nuova procedura d'infrazione. La soluzione di tale quesito dipende, quindi, sostanzialmente dalla natura e dagli elementi, di diritto e di fatto, dell'infrazione caso per caso rilevante. In un certo senso, la questione si pone negli stessi termini di quella già menzionata in merito ai rapporto tra la fase pre-contenziosa e quella contenziosa del procedimento d'infrazione, dove solo rispetto a censure che siano già mosse allo Stato nel parere motivato (e ancora prima nella lettera di messa in mora), è possibile avviare un ricorso dinanzi alla Corte; laddove, invece, tale identità non sussiste in quanto vengono mosse “nuove” censure, la Commissione deve procedere all'avvio di una nuova fase pre-contenziosa. La Corte ha confermato e sancito tale orientamento nella sentenza 29 giugno 2010, causa C- 526/08, Commissione contro Lussemburgo, dove è stata chiamata a valutare la ricevibilità (confermata, poi, con conseguente respinta dell'eccezione dello Stato; questione, questa, di competenza e, dunque, di ordine pubblico, di cui la Corte è investita ex art. 92 par.2 del reg. proc. della Corte) di un ricorso promosso dalla Commissione ai sensi dell'allora art. 226 CE (oggi art. 258 TFUE) contestato dallo Stato membro convenuto sulla base di un'affermata coincidenza tra le censure contenute nel ricorso suddetto e quelle già giudicate e decise dalla Corte in una precedente sentenza conclusiva di un procedimento per infrazione e quindi, pertanto, secondo lo Stato la Commissione non

d'infrazione, bensi, piuttosto, avviare un procedimento di “doppia condanna” (le ragioni che stanno dietro ad una tale eccezione, e cioè che lo Stato, come argomento difensivo, invochi la procedibilità ex art.228 par.2 -oggi 260 par.2 TFUE- con la possibile conseguente comminazione della sanzione pecuniaria, si fondano su un ingegnoso meccanismo: qualora la Corte avesse accolto tale argomentazione, ritenendo che gli addebiti contestati con la nuova procedura fossero già “coperti” da una vecchia sentenza, il ricorso sarebbe stato dichiarato irricevibile ex art.258 TFUE e la Commissione avrebbe, al piu, secondo la discrezionalità di cui gode, potuto nuovamente agire ex art.260 par.2 TFUE: lo Stato avrebbe certo subito il rischio della sanzione ma avrebbe avuto piu tempo a disposizione per regolarizzare l'inadempimento facendo si addirittura che non potesse essere nemmeno piu esperibile il ricorso di “doppia condanna”); essa, ha sostanzialmente stabilito in linea col rispetto del principio di autorità di cosa giudicata della prima sentenza e al principio del “ne bis in idem”, fondamentali all'interno dell'Unione e negli ordinamenti nazionali, che difronte ad una violazione già oggetto di una sentenza dichiarativa adottata ex art. 258 TFUE, la Commissione dovrà agire ex art. 260, par.2 contestando la persistente violazione e l'inottemperanza alla prima sentenza della Corte; qualora, invece, la violazione si possa considerare “nuova” rispetto a quella/e già precedentemente accertata/e con una procedura d'infrazione, non potrà avviarsi un procedimento di

“doppia condanna” ma occorrerà procedere ex novo appunto ai sensi dell'art. 258 TFUE. Ovviamente laddove la Corte accerti di essere stata adita con una procedura diversa da quella che la Commissione avrebbe dovuto avviare, dovrà dichiarare d'ufficio l'irricevibilità del ricorso. In questo contesto è necessario fare delle importantissime precisazioni:

1) nel caso in cui per conformarsi alla prima sentenza di accertamento dell'infrazione, lo Stato adotta provvedimenti che continuano ad essere in contrasto con il diritto dell'Unione, nonostante tali provvedimenti vadano a concretizzare un'infrazione che è già stata accertata con la prima sentenza di accertamento, essi devono essere considerati come “nuovi”, in quanto “tentativo” dello Stato di regolarizzare, in modo errato pero, la propria posizione; dunque, in relazione ad essi, in base all'orientamento suddetto, sarebbe necessario avviare una nuova procedura ex art.258 TFUE. Tuttavia, come si è dichiarato tempo addietro, la prassi delle procedure di doppia condanna (a parer mio, diretta ad una funzione simile a quella di “economia processuale” esistente all'interno del nostro ordinamento giuridico , nonche di certezza del diritto) è quella di far si che i nuovi provvedimenti adottati dallo Stato vengono presi in considerazione nell'ambito di una procedura di “doppia condanna” avviata per contestare l'inottemperanza alla prima sentenza.

rispetto a quella già giudizialmente accertata, la Commissione dovrebbe scindere gli addebiti, procedendo relativamente a quelli nuovi ex art. 258 TFUE, e rispetto a quelli già censurati dalla Corte con una prima decisione avviando, se del caso, una procedura di “doppia condanna” (anche se una parte della dottrina*, ritiene che entrambi vadano presi in considerazione nella procedura di “doppia condanna” secondo l'orientamento poco sopra citato al punto 1).

3) E per ultimo, nell'ipotesi definita di “recidiva”, cioè il caso in cui, a seguito di una prima sentenza dichiarativa dell'infrazione, lo Stato censurato elimini, si, la violazione accertata, ma dopo un certo periodo di tempo pone in essere la stessa violazione oggetto del primo giudizio, la tesi secondo cui la nuova violazione, se posta in essere entro un certo lasso di tempo (cinque anni), sarebbe “coperta” dalla prima sentenza di accertamento in virtu degli effetti di cosa giudicata che quest'ultima produce nel tempo (cosicche la Commissione potrebbe avviare direttamente una procedura di “doppia condanna”), è da escludere perche è piuttosto degna di essere presa in considerazione e idonea a risolvere la questione la tesi per cui la successiva violazione, se pur corrispondente nella sostanza a quella già dichiarata, debba essere considerata “nuova” in quanto frutto di un nuovo comportamento illecito dello Stato, per censurare il quale dovrebbe essere avviata una nuova procedura ex art. 258 TFUE (dal combinato

disposto dell'art. 260 par.1 e par.2 infatti si ricava che la procedura d'infrazione si esaurisce quando lo Stato ha preso i provvedimenti idonei all'esecuzione della sentenza). Un tale orientamento permette infatti, da una parte, che non si continui a richiedere l'esecuzione di una sentenza già pienamente e correttamente ottemperata e, inoltre, non si privi lo Stato della possibilità di esercitare il proprio diritti di difesa, e, quindi, anche, di giustificare il proprio comportamento nuovamente inadempiente (successivo all'avvenuta ottemperanza), cosa che accadrebbe con l'avvio direttamente della procedura di “doppia condanna”; e dall'altra non si ponga un limite temporale alla produzione degli effetti che discendono dalla sentenza dichiarativa dell'infrazione.

Infine, cosa succede nel caso in cui sia uno Stato membro, ex art. 259 TFUE, ad avviare una procedura d'infrazione rispetto ad un addebito ritenuto “nuovo”, ma poi rivelato già censurato con una precedente senza emessa a conclusione di una procedura ex art. 258 TFUE. Ebbene, in queste ipotesi la tesi prevalente in dottrina è che la Corte di Giustizia debba giudicare, comunque, la controversia sollevata dallo Stato ex art.259 TFUE; infatti, non è rilevante che le censure siano o meno oggetto già di una sentenza d'infrazione in quanto la particolarità della procedura ex art.259 TFUE non risiede nella possibilità di chiedere l'applicazione di una sanzione da parte dello Stato

“ricorrente”- qualora le censure sollevate siano state già oggetto di una precedente sentenza dichiarativa dell'infrazione; come diro nel cap.3, tale potere spetta soltanto alla Commissione-, bensi semplicemente e fondamentalmente nel far accertare la violazione o la persistente violazione.

CAPITOLO 3

IL POTERE DELLA COMMISSIONE E PRASSI