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L’Europa non era il solo ambito che l’amministrazione Nixon avesse trascurato durante il suo primo mandato. Kissinger afferma che Nixon, all’inizio del suo secondo incarico presidenziale, fosse seriamente intenzionato a rilanciare l’iniziativa diplomatica in Medio Oriente, sebbene, a suo dire, non avesse formulato un piano preciso.465 In un’intervista due giorni prima della sua

rielezione, Nixon aveva affermato che il Medio Oriente avrebbe costituito da allora in poi una “priorità molto alta” per la sua amministrazione. Nixon “era convinto di non dovere nulla all’elettorato ebraico e di non poter aumentare il suo seguito fra gli ebrei a prescindere dal suo operato. Nel profondo, quello che voleva era imporre un accordo generale durante la sua presidenza”.466 Nixon comunque intratteneva ottimi rapporti con il primo ministro israeliano, Golda Meir ed era persuaso, così come i suoi consiglieri, che non si potesse fare molto per far avanzare il processo di pace prima delle elezioni israeliane, previste per il novembre 1973. Il 5 novembre 1972 il segretario di stato William Rogers aveva espresso la propria previsione che gli USA si aspettavano di diventare presto “molto attivi” nell’area. Con la fine della guerra del Vietnam, anche l’attenzione dell’opinione pubblica cominciò a rivolgersi alla regione mediorientale. L’area era bloccata in una situazione di stallo dopo il fulmineo successo israeliano del 1967. Scaramucce ripetute lungo i nuovi confini israeliani, soprattutto sul Sinai, si erano trasformate durante il 1970 e ‘71 in una vera e propria “guerra di attrito”. Sadat, che era succeduto a Nasser alla presidenza dell’Egitto, aveva già dichiarato il 1971 come “l’anno della decisione”, e il 1972 come “l’anno della guerra inevitabile”. Tuttavia, questi roboanti precedenti tolsero credibilità ai suoi discorsi durante il 1973, quando reiterò il suo impegno a fare di quell’anno quello decisivo. In maggio Israele aveva ritenuto le minacce di Sadat, unite

464 Kissinger, Henry. Years of Upheaval, op. cit., p707. 465 Ibidem, p.200.

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alle manovre belliche, abbastanza preoccupanti da stabilire una mobilitazione parziale delle riserve.

In realtà, quasi nessuno riteneva che gli arabi avrebbero cercato di forzare lo status quo. L’umiliante sconfitta della guerra dei Sei Giorni, si pensava, bruciava ancora troppo per rischiarne un’altra, inevitabile di fronte alla superiorità militare dell’esercito israeliano. Le inconcludenti minacce di rivolgersi alle armi degli anni precedenti avevano lasciato un’impressione “pervasiva” di “irresolutezza militare”, che giocò un ruolo cruciale fino a poche ore dall’attacco.467 Non solo, nelle parole di Ferro: “Il mito dell’invincibilità israeliana

aveva per corollario obbligatorio l’inettitudine al combattimento dell’esercito egiziano”.468

Eppure a partire dalla sconfitta nella guerra dei Sei Giorni la situazione militare era profondamente cambiata, soprattutto grazie agli armamenti sovietici, il cui flusso non cessò neppure dopo l’espulsione dei consiglieri militari URSS.

Per Bundy quest’evento era stato ritenuto da Nixon e Kissinger la prova definitiva della rassegnazione di Sadat alla passività rispetto a Israele, mentre in realtà essa aveva dato via libera al presidente egiziano, che in seguito ottenne una quantità ben maggiore di armamenti dall’URSS.469

Al di là degli errati convincimenti dell’amministrazione Nixon, peraltro condivisi dalla maggior parte degli osservatori, gli Stati Uniti avevano molti motivi per adottare un approccio prudente in quest’area. Il piano Rogers non aveva portato alcun risultato concreto. In autunno erano previste le elezioni in Israele, che rendevano ancora più difficile per il governo di quel paese prendere decisioni in un ambito così delicato.

Negli USA, il Medio Oriente era stato lasciato al dipartimento di Stato. Kissinger dichiara che ciò fu deciso in parte per “placare” Rogers, e in parte “poiché Nixon riteneva la politica mediorientale perdente dal punto di vista interno, e desiderava allontanare i suoi rischi da se stesso”.470 Wall, al contrario, motiva la scelta di lasciare le questioni mediorientali a Rogers con

il timore di Nixon che le origini ebraiche di Kissinger potessero “costituire un ostacolo per le politiche americane. Kissinger però, un abile combattente corpo a corpo contro la burocrazia, alla fine riuscì a monopolizzare la politica americana anche rispetto al conflitto arabo- israeliano”.471 In effetti, Kissinger riuscì ad espandere il sistema dei “backchannels” anche al

Medio Oriente prima di arrivare alla testa del dipartimento di Stato. Nelle sue memorie dichiara che Nixon cominciò a dargli responsabilità in questo campo già nel 1971, poiché il presidente avrebbe temuto “la propensione del dipartimento di Stato per teorie astratte” che

467 Bell, Coral. The Diplomacy Of Detente. The Kissinger Era. St. Martin’s Press, New York 1977, p.84-85. 468 Ferro, Maurice. Op. cit., p.137.

469 Bundy, William. Op. cit., p.428.

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lo avrebbero condotto “a proporre piani che avrebbero suscitato opposizione da tutte le parti”. Il piano Rogers era stata la principale iniziativa statunitense nell’ambito, e si era rivelato un insuccesso. Esso, formulato nel dicembre 1969, prevedeva un ritorno di Israele ai confini precedenti la guerra dei Sei Giorni, sostanzialmente riprendendo la risoluzione 242. Secondo questo piano, “la pace avrebbe dovuto essere consolidata dall’istituzione di zone demilitarizzate”.472 Il piano non poté risolvere il nodo del rifiuto siriano di riconoscere

l’esistenza di Israele, e del rifiuto egiziano a una pace separata senza la Siria o i palestinesi. Inoltre, menzionando i “palestinesi” invece dei rifugiati, esso non poteva che risultare inviso a Israele. “In queste circostanze, la diplomazia tendeva a esacerbare le tensioni, piuttosto che ridurle”.473 Il 28 settembre 1970, un giorno dopo aver agevolato il raggiungimento di una soluzione di compromesso fra re Hussein di Giordania e Arafat dopo la crisi del settembre nero, morì Nasser. Il suo successore, Anwar Sadat, era un ufficiale dell’esercito di origini modeste, che abbandonò gli accenti panarabisti del suo predecessore per concentrarsi “sui bisogni dell’Egitto”.474 Nel 1971 il nuovo presidente egiziano firmò un trattato ventennale di

amicizia con l’Unione Sovietica. Nel marzo 1971 il dipartimento di Stato cercò di uscire dalla situazione di stallo, proponendo un accordo limitato per un disimpegno delle forze lungo il canale di Suez. Sadat però insistette perché questo non fosse che il preludio a un ritiro totale, cosa inaccettabile per Israele. Kissinger sottolinea l’anomalia della situazione: “il dipartimento di Stato stava cercando un accordo provvisorio lungo il canale di Suez mentre la Casa Bianca agiva come se il dipartimento di Stato fosse una potenza sovrana straniera”.475

Il primo incarico di Kissinger in Medio Oriente fu quello di assicurarsi che nessuna “esplosione” complicasse le elezioni del 1972: fare il possibile, cioè, perché la situazione rimanesse in stallo.476 Kissinger, in effetti, era convinto che un prolungato periodo di stasi

fosse nell’interesse statunitense: esso avrebbe spinto gli arabi ad una maggiore ragionevolezza, rendendo evidente quanto l’appoggio sovietico fosse irrilevante. D’altronde la situazione era un rebus di difficile risoluzione: Israele chiedeva di venire riconosciuta, se non altro tramite trattative dirette, come precondizione per qualunque processo negoziale. Quest’intransigenza veniva rispecchiata nella richiesta araba di assicurazioni sul ritiro dai territori occupati prima di passare alla via diplomatica. L’Egitto sembrava la chiave per la risoluzione del problema. La Siria non obiettava ai confini dello stato ebraico, ma alla sua stessa esistenza. La Giordania era un paese troppo debole. Inoltre, il Sinai appariva come un territorio meno cruciale per Israele,

471 Wall, Irwin. L’amministrazione Carter e l’eurocomunismo. “Ricerche di storia politica”, 2/06, anno IX, p.190. 472 Fraser, Thomas G. The Arab-Israeli conflict, 2nd ed., Palgrave Basingstoke 2004, trad. it. di Patrizia Giordano, Il

conflitto arabo-israeliano, il Mulino, Bologna 2004, p.98.

473 Kissinger, Henry. Years of Upheaval, cit., pp.196-200. 474 Fraser, Thomas G. Op. cit., p.100.

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sia dal punto di vista strategico sia da quello storico e culturale, rispetto alle alture del Golan. In ogni caso, nessun progresso era ritenuto possibile prima delle elezioni israeliane.

Sadat, dal canto suo, era un uomo pragmatico: il suo principale obiettivo era quello di riottenere la penisola del Sinai. Kissinger spiega la decisione di espellere i consiglieri sovietici con la frustrazione egiziana rispetto alla mancanza di contenuti del paragrafo del finale summit di Mosca nel maggio 1972, accettato dai sovietici come “prezzo da pagare” per la distensione. Questa decisione avrebbe reso possibile un’apertura agli Stati Uniti.477 In realtà sembra

piuttosto che Sadat avesse deciso di espellere i sovietici, il 18 luglio, perché persuaso che solo gli USA avrebbero potuto forzare Israele ad accettare un compromesso, e che quindi avessero nelle loro mani la chiave per ottenere il risultato che si prefiggeva. In effetti l’espulsione dei sovietici non portò ad alcun risultato concreto poiché gli USA, come si è visto, preferivano uno stallo in vista delle elezioni israeliane. Secondo Kissinger, Sadat aveva dall’inizio una tattica ben precisa, “straordinaria”: quella di annunciare le proprie intenzioni belliche con tale frequenza e magniloquenza che nessuno gli avrebbe creduto.478 La convinzione del presidente

egiziano che solo una guerra avrebbe potuto forzare lo stallo andò invece rafforzandosi poco a poco, parallelamente alla mancanza di risultati data dall’apertura del “backchannel” con gli Stati Uniti.

Questi facevano sì che esistessero tre canali diplomatici paralleli: quello formale del dipartimento di Stato, quello fra Kissinger e Hafiz Ismail, suo corrispettivo egiziano, e gli scambi fra Kissinger e Dobrynin che ventilavano l’ipotesi di un possibile approccio comune delle due superpotenze in Medio Oriente “Un tale metodo di governo non sarebbe stato sostenibile per un altro intero mandato, a prescindere dal Watergate”.479 Con il dipartimento di

Stato del tutto all’oscuro, il backchannel cominciò a funzionare all’inizio del 1973. Dopo una visita a Mosca, dove aveva ottenuto un generoso accordo sugli armamenti, Ismail si recò infine a Washington. Per Kissinger, lo scopo principale degli incontri con Ismail, e la sfida maggiore da essi posta, era quello di “stabilire una base di fiducia”.480 Nel loro incontro del 25 febbraio, Kissinger sottolineò come fino a quel momento la situazione in Vietnam gli avesse impedito di prendere in mano le cose. Egli affermò: “non ha senso che io parli almeno che non abbiamo la volontà di fare dei progressi. Se vogliamo perdere tempo, abbiamo istituzioni che hanno dimostrato la loro abilità a farlo, e non ha senso che io venga coinvolto”. Tuttavia il consigliere per la sicurezza nazionale non aveva alcuna proposta da avanzare. A Ismail propose che l’incontro costituisse un “franco scambio di vedute”. La sua analisi era che la 242

476 Kissinger, Henry. Years of Upheaval, cit., p.196 477 Kissinger, Henry. Years of Upheaval, cit., p.204. 478 Kissinger, Henry. Years of Upheaval, cit., p.206. 479 Kissinger, Henry. Years of Upheaval, cit., p.206-7.

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fosse stata approvata dal Consiglio di Sicurezza solo perché tutte le parti erano convinte di poter “dare alle frasi il significato preferito”. Ismail sostenne che una soluzione generale, comprendente i diritti dei palestinesi, fosse necessaria, ma che andasse raggiunta per fasi. La prima avrebbe dovuto consistere in un accordo fra Egitto e Israele, che avrebbe dovuto essere raggiunto “entro la fine del 1973”.481 Quest’accordo ad interim, comunque, doveva far parte di

un piano onnicomprensivo, il cui pilastro doveva essere il ritorno dello stato ebraico ai confini precedenti alla guerra dei sei giorni. Nelle sue memorie, Kissinger afferma che Ismail avesse servito con abilità lo scopo di Sadat: quello di “mantenere lo stallo senza creare l’avvertimento di una crisi”. In effetti la sua conclusione riguardo all’incontro è che avesse lasciato “poche ragioni di essere ottimisti”, e che era necessario “più tempo”.482 Questo risultato serviva in realtà allo stesso Kissinger, il quale rimaneva convinto che “un prolungato stallo avrebbe spinto gli arabi alla moderazione e i sovietici ai margini della diplomazia sul Medio Oriente”. Se è vero che “l’arte della diplomazia non sta nel superare in astuzia l’altra parte ma nel convincerla o degli interessi comuni o delle penalità derivanti da un proseguimento dello stallo”, il consigliere per la sicurezza nazionale in quest’incontro non aveva seguito la propria stessa massima; in effetti in questa circostanza, Kissinger fu estremamente enigmatico, non esplicitando in alcun modo il punto di vista USA.483 Gli egiziani riferirono ai sauditi

dell’incontro segreto fra Ismail e Kissinger. La voce giunse presto ai diplomatici britannici al Cairo. I loro superiori erano stati informati dell’incontro, ma sotto assicurazioni di segretezza. I diplomatici del Regno Unito invece ne parlarono coi loro colleghi americani, mettendo fine al canale segreto di Kissinger in Medio Oriente.484 Il dipartimento di Stato, nella persona di

Joseph Sisco, venne da allora in poi coinvolto nel “backchannel”, che comunque sarebbe diventato inutile con la nomina di Kissinger a segretario di stato e la fine dell’emarginazione del dipartimento di Stato.

Nel frattempo Kissinger incontrò più volte re Hussein di Giordania, che definì un uomo pratico e moderato. Purtroppo egli non intratteneva rapporti idilliaci con Sadat, e così l’unico possibile portaparola arabo accettabile per Israele non si rivelò adatto a questo ruolo.485 Il 20

maggio Kissinger incontrò nuovamente Hafiz Ismail, in Francia. Questa volta discussero l’idea, lanciata dall’americano, di separare la sovranità dalla sicurezza. Ad esempio, si sarebbe potuto immaginare di restituire all’Egitto i diritti sovrani sul Sinai, dando però al contempo il giusto rilievo ai problemi di sicurezza di Israele, che avrebbe potuto lasciare nella penisola

480 Kissinger, Henry. Years of Upheaval, cit., p.214.

481 NARA, RG 59, Records of Henry Kissinger, 1973-77, Box 25. Memcon, 25 febbraio 1973.

482 Kissinger, Henry. Years of Upheaval, cit., p.213

483 Kissinger, Henry. Years of Upheaval, cit., rispettivamente p. 196 e 214.

484 Isaacson, Walter. Kissinger. A Biography. Faber and Faber, London 1992, p512. 485 Kissinger, Henry. Years of Upheaval, cit., p.219.

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degli avamposti militari. Kissinger afferma che Ismail era, a quel punto, pienamente consapevole dell’inevitabilità della guerra, che sarebbe stata fermata solo da una garanzia statunitense sull’intero programma arabo, che per di più sarebbe dovuto essere messo in pratica in breve tempo. Questo, come giustamente sostenuto, era “impossibile”.486

Probabilmente, però, l’Egitto si sarebbe accontentato di molto meno. Quest’incontro con Hafez Ismail fu definito da Roy Atherton, che lavorava all’epoca per il dipartimento di Stato, un’esperienza “alla James Bond”. Certo che le comunicazioni del dipartimento di Stato non fossero sicure, Kissinger si affidò alla CIA per la sua organizzazione. In ogni caso, anche se nell’immediato i due incontri non portarono a risultati significativi, più tardi la loro importanza sarebbe emersa con chiarezza. Durante la guerra di ottobre, in effetti, il canale di comunicazione fra Kissinger e Ismail rimase costantemente aperto.487

In maggio Sisco consegnò a Rogers un memorandum che suggeriva le prossime mosse rispetto al Medio Oriente. In esso veniva delineato l’approccio “a due piste” che si stava sviluppando: da un lato gli incontri segreti, dall’altro gli approcci ufficiali. Un risultato in quell’ambito avrebbe dimostrato l’intatta capacità di azione in politica estera del presidente, contrastando le critiche che suggerivano che il Watergate avesse “congelato” l’operato americano in quel campo. Per questo, l’approccio segreto non era sufficiente. Nixon aveva annunciato che il Medio Oriente sarebbe stato una priorità; una mossa “identificabile” era necessaria. Sisco sottolineò anche come stessero circolando molte voci riguardo ad affermazioni di Kissinger, che avrebbe detto agli egiziani di ignorare il dipartimento di Stato.488

In un memorandum al presidente, Rogers sottolineò come la situazione in Medio Oriente fosse “ampiamente” migliorata negli ultimi quattro anni. Sadat aveva in effetti fatto molte concessioni, ed era necessario ottenesse qualcosa in cambio se si desiderava assistere a progressi in ambito diplomatico. Il segretario di stato pose l’accento sugli interessi petroliferi statunitensi, che avrebbero potuto venire danneggiati da un collasso del cessate il fuoco. Anche se re Faisal fino a quel momento si era rifiutato di collegare le questioni petrolifere alla politica mediorientale, era necessario rinnovare gli sforzi USA per avviare il processo di pace arabo-israeliano. Per questo era soprattutto importante riuscire a persuadere Israele a “rilassare la sua posizione rigida” che voleva che ogni accordo comprendesse concessioni territoriali da parte araba.489 Era Israele, infatti, a preoccupare di più gli americani. Il 6 giugno essi

informarono Dobrynin che le preparazioni militari di Siria e Egitto, confermate da dati che si

486 Kissinger, Henry. Years of Upheaval, cit., p.227.

487 Foreign Affairs Oral History Program. Ambassador Alfred Leroy Atherton jr., oral history interview,

Georgetown university library, Summer 1990, Interviewed by Dayton Mak, pp.200-238.

488 NARA, RG-59. Records of Joseph Sisco, 1951-76. Box 25. May 2, 1973. Memorandum to the Secretary from

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stavano accumulando, sarebbero state motivate da una convinzione in buona fede delle intenzioni israeliane di intraprendere un’offensiva militare. L’ambasciatore sovietico doveva venire rassicurato che Israele non nutriva tali intenzioni.490

Nel frattempo, anche gli europei, ignari delle mosse di Kissinger (tranne i britannici, che però mantennero un’assoluta discrezione a riguardo), stavano prendendo in considerazione il proprio ruolo nell’area. Il desiderio europeo di mantenere un’influenza nella delicata area mediorientale, contigua geograficamente e ricca di legami culturali, era ben radicato. L’Europa ha sempre avuto con il Medio Oriente un “complesso insieme di eredità storiche, stretti legami sociali, economici e politici, e paure e preoccupazioni legate alla sicurezza profondamente radicate”.491 La presenza coloniale nell’area era stata eliminata a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, un processo portato a termine con la fine della crisi algerina nel 1964 e l’abbandono britannico delle sue postazioni nel Golfo dopo la debacle di Suez. La guerra fredda, rendendo il Mediterraneo un’importante casella strategica nel confronto bipolare, aveva fortemente ridotto il possibile ruolo europeo nell’area. I paesi della comunità, però, restavano ancorati alla propria volontà di giocarne uno. A partire dal 1964, accordi economici vennero conclusi con molti paesi della regione.492 La conclusione di questi accordi, però,

mancava di un adeguato coordinamento. Nel 1971 il parlamento europeo aveva raccomandato lo sviluppo di una politica sistematica. Questo suggerimento venne raccolto al summit di Parigi nell’ottobre 1972, quando la Comunità lanciò una “politica globale per il Mediterraneo”, che doveva stabilire un “approccio globale per tutte le relazioni della Comunità con i paesi del Mediterraneo”.493 Tuttavia, a livello politico erano molte le divisioni fra i membri della

Comunità. Quando scoppiò la guerra dei sei giorni, i sei si ritrovarono a Roma con “sei posizioni distinte e incompatibili”.494

Il 20 e 21 novembre 1972, all’Aja, i ministri degli esteri dei nove avevano stabilito che i membri della comunità che lo desiderassero avrebbero dovuto cominciare a sondare al Cairo per possibili reazioni all’idea che l’Europa potesse contribuire al raggiungimento di un accordo ad interim fra l’Egitto e Israele. Inoltre decisero che i direttori politici tenessero sotto controllo la situazione in Medio Oriente. Essi stabilirono anche che i rappresentanti permanenti a New

489 NARA, RG-59 Records of Joseph Sisco, 1951-76. Box 25. May 10, 1973. Memorandum from Rogers to the

President. Middle East Peace efforts: a current assessment.

490 NARA RG 59. Records of Henry Kissinger, 1973-77. BOX 1. June 10, 1973. Message from Kissinger to

Dobrynin.

491 Dannreuther, Roland ed. European Union Foreign and Security Policy. Towards a Neighbourhood Strategy. Routledge,

London 2004. p.151.

492 Vennero firmati accordi commerciali con Libano e Israele nel 1964, accordi di associazione di prima

generazione con Tunisia e Marocco nel 1969, e un accordo commerciale con l’Egitto nel 1972.

493 Piening, Christopher. Global Europe. The European Union in World Affairs. Lynne Rienner, London 1997, p.72. 494 Robin, Philip. Always the Bridesmaid: Europe and the Middle East Peace Process. “Cambridge Review of International

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York dovessero agire “in stretto coordinamento” per esercitare un’influenza moderatrice sulle bozze di risoluzione avanzate nell’Assemblea Generale dell’ONU. Se da subito ci fu una certa confusione rispetto alle “ricerche” da intraprendere al Cairo, la cooperazione a New York fu