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Il principio anti abuso derivante dai principi dalla Costituzione

1. CONSIDERAZIONI PRELIMINARI SULL’ABUSO DEL DIRITTO

1.3 Il percorso dell’abuso del diritto nell’ordinamento italiano

1.3.5 Il principio anti abuso derivante dai principi dalla Costituzione

Successivamente, la Corte di Cassazione, attraverso le cosiddette “tre sentenze di Natale” (n. 30055, 30056 e 30057 del 23 dicembre del 2008) e con la pronuncia della Sezione tributaria n. 1465 del 2009, ha posto fine al precedente orientamento giurisprudenziale. In particolare la Corte, stante le difficoltà nel sostenere la tesi della diretta applicazione del principio anti abuso elaborato dalla Corte di Giustizia con riferimento ai tributi estranei all’ordinamento comunitario, ha sancito la presenza nell’ordinamento italiano di un principio generale anti abuso desumibile, per le imposte non armonizzate, dai principi costituzionali ed in particolare dal principio di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione (art. 53 Cost.)67. La Corte di Cassazione ha specificato l’impossibilità di utilizzare il principio dell’abuso del diritto formulato dalla Corte di Giustizia al comparto delle imposte dirette, in quanto, essendo tributi estranei all’armonizzazione, “resta esclusa qualsiasi rilevanza della normativa

comunitaria nel trattamento fiscale ad essa riservato68”. Per queste regioni, la presenza nell’ordinamento interno di un principio generale anti elusivo va ricondotto, anziché alla giurisprudenza comunitaria, ai principi di diritto interno (specificatamente

66 Zizzo, L’abuso dell’abuso del diritto, in Rivista di giurisprudenza tributaria 6/2008, 465.

67 Si veda Corte di Cassazione, 23 dicembre 2008, n. 30057 “i principi di capacità contributiva e di

progressività dell’imposizione, rappresentano il fondamento sia delle norme impositive in senso stretto, sia di quelle che attribuiscono al contribuente vantaggi o benefici di ogni genere”.

l’art. 53 della Costituzione) che disciplinano il sistema tributario nazionale. Mediante la sentenza n. 30057, la Corte di Cassazione ha ribadito l’esistenza nell’ordinamento interno di un principio anti abuso desumibile dalle norme costituzionali, ovvero dall’art. 53. In base a tale principio “il contribuente non può trarre indebiti vantaggi

fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale69”. Da notare l’utilizzo da parte della Corte dell’espressione “indebiti vantaggi” che, probabilmente ispirandosi alle disposizioni nazionali, caratterizza la definizione di pratica abusiva, ponendo l’accento sulla asistematicità dei vantaggi conseguiti rispetto allo spirito della norma. La Corte sembra recuperare la fondamentale distinzione tra il perseguimento di leciti/illeciti vantaggi fiscali venuta meno nelle precedenti sentenze70. In questo senso risulta fondamentale la sentenza n. 1465 del 2009 in cui viene chiaramente affermato che non vi è alcuna equivalenza tra l’abuso del diritto e l’ottenimento di un vantaggio fiscale. Anzi, descrivendo il concetto di abuso come un fenomeno caratterizzato “dall’aggiramento” di disposizioni tributarie finalizzato all’ottenimento di vantaggi non approvati dall’ordinamento con forme e modelli ammessi dal sistema giuridico71, viene così riconosciuta la distinzione tra lecita pianificazione fiscale ed abuso del diritto. Nelle “tre sentenze di Natale”, il principio del divieto di abuso del diritto derivante dall’articolo 53 della Costituzione è definito come “principio immanente

nell’ordinamento tributario”. Esso non contrasterebbe né con la presenza

nell’ordinamento tributario di specifiche disposizioni anti elusive né con il principio della riserva di legge definito all’articolo 23 della Costituzione. Infatti le prime rappresenterebbero “il mero sintomo dell’esistenza di un principio generale”, mentre non sussisterebbe nessun contrasto con l’art. 23 in quanto l’esistenza di un principio generale “non si traduce nell’imposizione di ulteriori obblighi patrimoniali non

69 Corte di Cassazione, 23 dicembre 2008, n. 30057.

70 Si veda Corte di Cassazione, 29 settembre 2006, n. 21221 e 16 gennaio del 2008, n. 8772,

commentate al paragrafo 1.3.4.

71 Corte di Cassazione, 21 gennaio 2009, n. 1465. È opportuno precisare come la sentenza in questione,

a differenzia dalle precedenti, non qualifichi il principio dell’abuso del diritto derivante dalla diretta precipitazione dell’art. 53 della Costituzione, ma bensì riconosca la possibilità di utilizzare detto principio costituzionale come canone interpretativo in funzione anti abusiva.

derivanti dalla legge, ma solamente nel disconoscimento degli effetti abusivi dei negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali72” . Tuttavia, la Dottrina maggioritaria è d’accordo nell’affermare l’impossibilità di utilizzare i principi costituzionali, con particolare riferimento all’articolo 53 della Costituzione, come fonte per contrastare i fenomeni abusivi.

Per quanto riguarda l’art. 53 della Costituzione è sufficiente analizzare la funzione che tale disposizione riveste all’interno dell’ordinamento. Essa rappresenta una norma programmatica finalizzata a disciplinare l’attività del legislatore di sottoporre ad imposizione determinati fatti economici sulla base di indicatori di ricchezza del contribuente. Tale articolo, quindi, non impone alcun dovere al contribuente ma bensì, rivolgendosi al legislatore, limita l’esercizio del potere impositivo ai solo fatti economici che esprimono una capacità contributiva. L’individuazione dei fatti economici fiscalmente rilevanti, inoltre, come affermato dal principio della riserva di legge (art. 23 Cost.), dev’essere di competenza del legislatore, che attraverso un iter parlamentare individua i fatti imponibili ed ogni altro elemento rilevante ai fini dell’imposizione. L’articolo 23, quindi, non sono rappresenta un principio cardine funzionale ad assicurare un sistema impositivo democratico, ma assicura quella certezza del diritto fondamentale nei rapporti Fisco-contribuente. Infatti, la predeterminazione dei fatti economici potenzialmente assoggettabili ad imposizione consente al contribuente di sapere in anticipo le conseguenze fiscali delle sue operazioni. Il dovere del concorso alle spese pubbliche, sancito dall’art. 53 Cost., presuppone quindi la mediazione di una legge, con la conseguenza che verranno assoggettate a prelievo fiscale solamente le manifestazioni di capacità contributiva che la legge ordinaria riconosce come presupposto impositivo. Sempre in virtù dell’art. 23 Cost., il legislatore dovrà quindi predeterminare e definire i casi in cui eventuali vantaggi asistematici possano produrre effetti negativi sui contribuenti. Ne consegue che si debbano reputare legittimi tutti i vantaggi indebiti non identificati dal legislatore. Secondo Beghin “l’individuazione dei parametri di elusività

dell’operazione non può essere lasciata all’iniziativa dell’Amministrazione finanziaria o posta in balia delle oscillazioni giurisprudenziali, né credo possa dipendere

72 Corte di Cassazione, 23 dicembre 2008, n. 30057.

dall’applicazione di un principio “non scritto”. Nel procedere in questa direzione, si corre il rischio di demandare alla fase di controllo amministrativo oppure alla fase giurisdizionale quella valutazione sul carattere abusivo dell’operazione che invece è fondamentale nella prospettiva della certezza del diritto73”. Le sentenze in esame, quindi, conferiscono all’articolo 53 della Costituzione una portata precettiva, direttamente applicabile nell’attività del contribuente. Il giudice che, per contrastare le condotte abusiva, applica il principio del divieto di abuso del diritto di diretta derivazione dall’art. 53 Cost., ovvia a questo passaggio della norma. Ciò risulta, quindi, in contrasto con il principio della riserva di legge, dal momento in cui la determinazione dei fatti fiscalmente rilevanti non viene effettuata dal legislatore ma bensì dallo stesso contribuente o dal giudice, determinando conseguenze negative in tema di certezza del diritto e violando il principio della ripartizione dei poteri legislativi e giudiziari. Secondo Beghin, per concludere, l’interpretazione dei principi sanciti dall’art. 53 Cost. “non possono trasformarsi in un livellatore cieco e non

possono distruggere quella certezza che è garantita attraverso il rispetto del principio della riserva74”.