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2. Principi costituzionali coinvolti nello studio della prescrizione del reato

2.4 Principio di ragionevolezza

Un principio generale che trova applicazione anche in materia penale è senza dubbio quello di uguaglianza379 ex art. 3 Cost., da cui discende il dovere dello Stato di trattare

situazioni omogenee in modo uguale e situazioni distinte in modo differente. Esso incide sull’applicazione concreta di una serie di altri principi – come l’irretroattività della legge

375 PULITANÒ D., Il nodo della prescrizione, cit., p. 26; GIUNTA F. e MICHELETTI D., Tempori cedere, cit., p. 108.

376 LAVARINI B., Il diritto alla ragionevole durata del processo, cit., pp. 14-15.

377 Questo si coglie perfettamente, per esempio, nella sent. cost. n. 143 del 2014 di seguito esaminata, in cui la Consulta sottolinea che la prescrizione concorre «a realizzare la garanzia della ragionevole durata del processo».

378 MICHELETTI D., La nuova disciplina della prescrizione, cit., p. 285.

379 Esso costituisce «uno dei presupposti della democrazia, della società civile e dell’ordinamento giuridico nel suo complesso, DE LIA A., Il principio di uguaglianza ed il diritto penale sostanziale: una sintetica analisi del rapporto, in Riv. trim. Federalismi, n. 23, 2017, p. 2.

più sfavorevole, il fine rieducativo della pena e il canone della ragionevole durata supra esposti – perché vincola il legislatore e il giudice nell’esercizio delle rispettive funzioni. A partire dal suddetto principio, nella seconda metà del Novecento la giurisprudenza costituzionale ha elaborato il canone della ragionevolezza, affermando che «il principio di eguaglianza è violato anche quando la legge, senza un ragionevole motivo, faccia un trattamento diverso ai cittadini che si trovino in eguali situazioni»380. La Corte si è

attribuita «il compito di verificare l’eguaglianza-differenza delle situazioni comparate e quindi la “giustificatezza” della disciplina delle medesime, anche tenendo conto degli scopi della legge» attraverso il criterio di ragionevolezza: tale giudizio di costituzionalità verte sul rapporto che una data normativa, assunta nel suo significato più profondo, ha con i valori costituzionali, per verificare se essa possa essere attuativa degli stessi381.

La valutazione di ragionevolezza si sviluppa, nella giurisprudenza della Consulta, partendo dal giudizio triadico proprio del sindacato di uguaglianza, nel quale assume un ruolo fondamentale l’individuazione di un termine di raffronto (tertium comparationis); questo schema è tuttora seguito in materia penale, poiché il riferimento a un terzo elemento permette un maggiore indirizzamento dell’intervento manipolativo della Corte, riducendo l'invasione della discrezionalità propria del legislatore (riconosciuta nell’art. 25 co. 2 Cost.)382. Il sindacato di ragionevolezza in materia penale è infatti più

“problematico” che negli altri campi del diritto, poiché si tratta della «forma più libera e logicamente evanescente di giudizio applicata alla forma necessariamente più libera (perché politicamente più delicata) della funzione legislativa», tanto che «la Corte manifesta un rispetto per la discrezionalità legislativa maggiore di quello dimostrato in altri ambiti del diritto»383. Come precedentemente accennato, la frontiera invalicabile

dalla Corte nell’esercizio del sindacato di legittimità costituzionale è individuata dall’art. 25 co. 2 Cost., per cui la stessa non può «pronunciare una decisione dalla quale possa 380 Sent. cost. n. 15 del 1960, considerato in diritto § 3.

381 Pertanto, esso non si risolve in un mero raffronto tra due disposizioni, cfr. FIERRO M. (a cura di), La ragionevolezza nella giurisprudenza costituzionale italiana (voce), in I principi di proporzionalità e ragionevolezza nella giurisprudenza costituzionale, anche in rapporto alla giurisprudenza delle corti europee, 2013, p. 10. Prosegue l’autrice richiamando la sent. cost. n. 172 del 1996, in cui la Corte inquadra due profili nell’art. 3 Cost.: il profilo di razionalità formale, cioè del principio logico di non contraddizione, e il profilo di razionalità pratica, ovvero di ragionevolezza (p. 11).

382 LONGO A., Il sindacato di ragionevolezza in materia penale. Brevi riflessioni a partire da alcune ordinanze di rimessione alla Corte costituzionale, in Riv. archivio penale, n. 3, 2017, p. 14; la discrezionalità legislativa è diretta conseguenza del principio di riserva di legge in materia penale ex art. 25 co. 2 Cost.

derivare la creazione – esclusivamente riservata al legislatore – di una nuova fattispecie penale»384, così proibendo l’emissione di sentenze additive i cui effetti siano in malam

partem. Infatti, un’eccezione al predetto limite è dato dalle ipotesi in cui sotto la lente di

ingrandimento della Corte vi siano “norme penali di favore”, «ossia le norme che stabiliscano […] un trattamento penalistico più favorevole di quello che risulterebbe dall’applicazione di norme generali o comuni»385, le quali possono essere censurate

qualora siano «irragionevolmente discriminatorie in melius», anche se così si farebbe rivivere la disciplina più sfavorevole nel giudizio a quo386.

Il sindacato di ragionevolezza è stato esercitato in più occasioni con riguardo alla prescrizione del reato387, talvolta comportando una dichiarazione di illegittimità parziale

di alcune disposizioni388.

In questo contesto, occorre richiamare la sentenza n. 143 del 2014 che ha dichiarato l’incostituzionalità del sesto comma dell’art. 157 c.p. nella parte in cui prevedeva il raddoppio dei termini di cui ai precedenti commi per il reato di incendio colposo (art. 449 c.p., in riferimento all’art. 423 c.p.). Con la riforma n. 251 del 2005 il legislatore ha disposto il raddoppio dei termini prescrizionali standard per una serie di reati389, e fra

questi ha inserito l’art. 449 c.p., che disciplina il delitto colposo di incendio o altro disastro

384 Sent. cost. n. 411 del 1995, richiamata ex plurimis nella sent. cost. n. 161 del 2004, in cui la Corte precisa che ciò «esclude che la Corte costituzionale possa introdurre in via additiva nuovi reati o che l’effetto di una sua sentenza possa essere quello di ampliare o aggravare figure di reato già esistenti, trattandosi di interventi riservati in via esclusiva alla discrezionalità del legislatore», considerato in diritto § 7.1. 385 Sent. cost. n. 161 del 2004 cit., considerato in diritto § 7.1.

386 MANES V., Principi costituzionali in materia penale (diritto penale e sostanziale), cit., p. 32: «il limite posto dal divieto di pronunce con effetti in malam partem registra una singolare eccezione nell’ipotesi in cui oggetto del sindacato siano cc.dd. “norme penali di favore” […]: tali norme – irragionevolmente discriminatorie in melius – possono essere censurate per contrasto con il principio di eguaglianza di cui all’art. 3, comma 1, Cost., facendo rivivere, dunque, l’eventuale disciplina più generale, applicabile nel giudizio a quo ancorché più sfavorevole».

387 Così in tutte le sentenze analizzate sinora: n. 274 del 1990, n. 393 del 2006, n. 27 e n. 324 del 2008, n. 23 del 2013, n. 45 del 2015.

388 Abbiamo affrontato la questione dell’incostituzionalità parziale dell’art. 10 co. 3 della legge 251/2005 (par. 4.3.1, lett. h) CAP. I) con la sent. 393/2006; la questione dell’illegittimità dell’art. 157 c.p. nella parte in cui non prevedeva la rinunciabilità alla prescrizione, sent. 275/1990 (par. 4.2 CAP. I); l’illegittimità dell’art. 159 c.p. nella parte in cui in cui non esclude la sospensione della prescrizione nel caso di accertata irreversibilità dello stato di incapacità mentale dell’imputato, sent. 45/2015 (par. 4.3.1 lett. d) CAP. I). 389 L’elenco ex 157 co. 6 c.p. è stato incrementato negli anni con interventi settoriali, per cui oggi il raddoppio dei termini è previsto «per i reati di cui agli articoli 375, terzo comma, 449 e 589, secondo e terzo comma, e 589 bis, nonché per i reati di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale», nonché per «i delitti di cui al titolo VI-bis del libro secondo, per il reato di cui all'articolo 572 e per i reati di cui alla sezione I del capo III del titolo XII del libro II e di cui agli articoli 609 bis, 609 quater, 609 quinquies e 609 octies, salvo che risulti la sussistenza delle circostanze attenuanti contemplate dal terzo comma dell'articolo 609 bis ovvero dal quarto comma dell'articolo 609 quater».

– quale strage, fabbricazione o detenzione di materiale esplodente, ecc. – indicato dal capo I del titolo VI del libro II c.p. Il regime prescrizionale risultante dalla predetta modifica legislativa è più gravoso a fronte di un incendio colposo, che si prescrive in 12 anni (termine minimo di sei anni di prescrizione dei delitti390, raddoppiato), rispetto

all’incendio doloso (cioè causato intenzionalmente) che si prescrive in sette anni, poiché tale è il massimo edittale legalmente stabilito ex art. 157 co. 1 c.p. Ad avviso della Consulta, essendo l’ipotesi meno grave «soggetta ad un trattamento assai più rigoroso, sul versante considerato, rispetto alla corrispondente ipotesi più grave», vi è una «inevitabile violazione dei principi di eguaglianza e di ragionevolezza (art. 3 Cost.)», poiché nel caso di specie mancano giustificazioni legate al «particolare allarme sociale generato da alcuni tipi di reato», o alla «speciale complessità delle indagini richieste per il loro accertamento», o ancora alla «laboriosità della verifica dell’ipotesi accusatoria in sede processuale»391. Dunque, da un lato è pacifico che il legislatore possa introdurre

deroghe alla regola generale del computo dei termini, dall’altro si impone allo stesso il rispetto del principio di ragionevolezza, onde evitare il verificarsi di «ingiustificabili sperequazioni di trattamento tra fattispecie omogenee»392, come nell’ipotesi in esame.

Inoltre, la Consulta è stata interrogata sulla ragionevolezza dell’art. 157 co. 2 c.p. nella parte in cui non prevede che, per determinare il termine di prescrizione del reato, debba tenersi conto anche della minima diminuzione di pena derivante dall'applicazione delle circostanze attenuanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria e di quelle ad effetto speciale. Difatti, è stata lamentata l’irragionevolezza della presente scelta del legislatore di considerare le sole circostanze aggravanti che prevedono una pena di specie diversa da quella ordinaria e quelle ad effetto speciale e non anche le analoghe circostanze attenuanti (che però concorrono a determinare, al pari delle prime, la gravità dell'illecito penale), in una logica chiaramente contra reum. Ancora, come osservato nel capitolo primo393, un’altra questione di legittimità costituzionale per

violazione dell’art. 3 Cost. ha investito l’art. 161 co. 2 c.p., nella parte in cui dispone un aumento del termine prescrizionale, a fronte di una causa interruttiva, differenziato in ragione dello status soggettivo del reo (potenziale recidivo aggravato, reiterato, oppure 390 Poiché il delitto di incendio colposo è punito con la reclusione massima di 5 anni ex art. 449 co. 1 c.p., in virtù dell’art. 157 co. 1 c.p. il termine di prescrizione è elevato al minimo di sei anni.

391 Sent. cost. n. 143 del 2014 cit., considerato in diritto § 3. 392 Sent. cost. n. 143 cit., considerato in diritto § 4.

delinquente abituale o professionale), in contrasto altresì con gli artt. 13, 25 e 27 della Costituzione, che impongono un ordinamento improntato a un «diritto penale del fatto»394 395.

La Corte ha riunito le predette questioni incidentali nella pronuncia n. 324 del 2008, senza tuttavia fornire una risposta soddisfacente: ha anzitutto dichiarato la non fondatezza del primo interrogativo sull’art. 157 co. 2 c.p., in quanto la scelta del legislatore in quella direzione è «espressione del legittimo esercizio della discrezionalità legislativa e non trasmoda in una violazione del principio di ragionevolezza»396; con riferimento alla

seconda questione relativa all’art. 161 co. 2 c.p. ne ha dichiarato l’inammissibilità per «petitum oscuro, ancipite e di difficile determinazione», nonché per il «limite al sindacato di costituzionalità in malam partem delle norme penali»397.

Volgendo lo sguardo alle posizioni dottrinali, vi è chi ha messo in luce il contrasto tra il canone di ragionevolezza e il principio cardine della disciplina della prescrizione del reato (art. 157 co. 1 c.p.)398. Quest’ultimo, nel commisurare il termine prescrizionale alla pena

massima edittale stabilita dalla legge, permette che il legislatore aumenti la pena non in base alla gravità del reato, quanto invece per allungarne il tempo necessario a estinguersi, in pieno contrasto con l’orientamento giurisprudenziale costituzionale costante secondo cui «l’art. 3 Cost. esige che la pena sia proporzionata al disvalore del fatto illecito commesso, in modo che il sistema sanzionatorio adempia nel contempo alla funzione di difesa sociale ed a quella di tutela delle posizioni individuali»399.

Ancora, è stata reputata irragionevole la scelta dei riformatori del 2005 di definire, in ragione della pena edittale massima stabilita dalla legge, un distinto tempo dell’oblio per ciascun tipo di reato; e ancor meno ragionevole postulare – ex art. 157 c.p. – che «il tempo

394 Ord. del 24 gennaio 2006 del Tribunale di Salerno, Sezione distaccata di Cava de' Tirreni, per cui «tale impostazione normativa, dunque, prescinde totalmente dal fatto di reato e dalla sua oggettiva gravità, soffermandosi unicamente sul reo e sulla sua presumibile personalità colpevole».

395 Inoltre, insigne dottrina ha sottolineato l’irrazionalità dell’attribuzione di rilevanza alla recidiva aggravata o reiterata nella disciplina dell’interruzione, per il semplice fatto che questa non è un atto processuale, al pari degli altri indicati nell’art. 160 c.p.: ex plurimis, MARINUCCI G., La prescrizione riformata: ovvero, dell’abolizione del diritto penale, cit., p. 982; MICHELETTI D., La nuova disciplina della prescrizione (voce), cit., p. 286 e ss.

396 Sent. cost. n. 324 del 2008 cit., considerato in diritto § 9. 397 Sent. cost. n. 324 cit., considerato in diritto § 6.

398 FLICK G. M., Spazzacorrotti e spazzaprescrizione o spazzadiritti?, cit., p. 6. 399 Sent. cost. n. 236 del 2016, considerato in diritto § 4.2.

dell’oblio debba seguire pedissequamente ogni variazione del massimo edittale», rinunciando così «ad una valutazione mirata e autonoma sui tempi dell’oblio»400.

Infine, riallacciandoci a quanto supra analizzato, la dottrina dubita della ragionevolezza delle cause sospensive ex art. 159 co. 2 c.p. a seguito della legge n. 3 del 2019401. Si

evidenzia il rischio (verosimile) di un allungamento dei processi a causa della sospensione del tempo prescrizionale nel caso del decreto penale di condanna o della sentenza di primo grado, non essendovi più il pericolo che il reato possa estinguersi per maturazione della prescrizione. In questo modo, la violazione del canone di ragionevolezza è strettamente connessa alla mancata osservanza del dettato costituzionale ex art. 111 Cost., perché non si garantisce il rispetto di una “ragionevole durata” del processo, la quale è «proposta dalla Costituzione non come pura e semplice rapidità del processo in sé, in assoluto, ma come espressione di ragionevolezza nel bilanciamento necessario con le garanzie della difesa e del contraddittorio tra le parti, per realizzare una giustizia rapida ma non superficiale»402.

Infine, un ulteriore profilo di irragionevolezza della presente riforma è colto nell’equiparazione tra sentenza di primo grado di assoluzione e di condanna, visti i diversi presupposti e criteri per la loro emissione; nonché nella discriminazione dell’imputato assolto all’esito del giudizio di primo grado, in quanto la sospensione della prescrizione avrà ugualmente luogo, come se fosse stato dichiarato colpevole403.

400 PULITANÒ D., Una confessione di Agostino e il problema della prescrizione, cit., p. 76.

401 MANES V., audizioni cit.; FLICK G. M., Spazzacorrotti e spazzaprescrizione o spazzadiritti?, cit., pp. 5-6.

402 FLICK G. M., Spazzacorrotti e spazzaprescrizione o spazzadiritti?, cit., p. 1.

403 DAINELLI R., La nuova legge anticorruzione: alcune riflessioni a riguardo, cit., p. 5: «E’ evidente l’irragionevolezza della norma in quanto, da un lato, equipara le due tipologie di sentenze (che hanno presupposti e criteri diversi per la loro emissione) e, dall’altro, soprattutto, discrimina l’imputato che sia stato assolto all’esito del giudizio di primo grado, in quanto – nell’ipotesi in cui il P.M. interponga appello avverso la sentenza assolutoria, censurando, ad esempio, la valutazione attribuita dal giudice alle prove dichiarative assunte nel corso del dibattimento – la prescrizione rimarrà sospesa ugualmente anche per lui (come se fosse stato invece condannato) per tutta la durata del giudizio di appello ed anche di quello eventuale di cassazione, in eterno e per un periodo di tempo indeterminabile».

II sezione – La prescrizione in ambito europeo: principi normativi e giurisprudenziali

1. Sistema Cedu – 1.1. Art. 6 e relativa giurisprudenza della Corte europea – 1.2. Art. 7: caso Scoppola e