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3. La normativa in Italia prima del recepimento delle direttive europee

3.5. La procedura per il riconoscimento dello status di rifugiato

Prima di analizzare le novità portate dal recepimento delle direttive europee nel diritto interno nazionale può essere utile descrivere l’aspetto più strettamente pratico della precedente procedura per il riconoscimento dello status di rifugiato disciplinata dall’ordinamento nazionale.

Ci si riferisce in particolare ad alcuni articoli del Decreto del Presidente della Repubblica 16 settembre 2004, n. 303, attuativo della l. n. 189 del 2002, chiamato anche “Regolamento asilo”. Per semplificazione è possibile dividere la procedura di riconoscimento in tre fasi: la presentazione della domanda, l’esame della domanda e la decisione della Commissione e l’eventuale ricorso.

Secondo l’art.2 del D.p.r. 303/2004 il richiedente doveva presentare la propria domanda alla Polizia di frontiera che, in assenza di motivi ostativi, lo invitava a scegliere un posto dove stabilire il suo domicilio e a recarsi alla questura competente per quel territorio99.

La polizia, verificata la legittimità della domanda100, prendeva così nota delle sue

generalità e redigeva un verbale con le dichiarazioni del richiedente. Successivamente si avviavano le procedure per determinare lo stato competente

99 Sempre secondo l’art.2 del D.p.r 303/2004 se la polizia di frontiera non fosse presente

nel luogo di ingresso sul territorio nazionale allora il richiedente era autorizzato a presentare la domanda direttamente alla questura competente

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all’analisi della domanda come previsto dal Regolamento (CE) n. 343/2003 (Reg. Dublino II).

Il questore decideva se procedere o meno al trattenimento del richiedente in un centro di identificazione o in un centro di permanenza temporanea101; altrimenti

veniva rilasciato un permesso di soggiorno valido per tre mesi rinnovabile fino alla decisione della Commissione Territoriale. Al richiedente, al momento della presentazione della domanda, venivano rilasciate tutte le informazioni necessarie riguardo allo svolgimento della procedura per il riconoscimento dello status di rifugiato, i suoi diritti e doveri durante la permanenza in Italia, le prestazioni sanitarie e di accoglienza, e ai servizi che lo riguardavano. Ogni comunicazione veniva rilasciata in una lingua a lui comprensibile, o se non era possibile, in inglese, francese, spagnolo o arabo.

La questura era responsabile anche della comunicazione al richiedente dell’audizione davanti alla Commissione Territoriale; qualora l’interessato non fosse stato reperibile nel luogo di domicilio dichiarato, se il suo permesso di soggiorno fosse scaduto e non abbia richiesto il rinnovo, la Commissione poteva prendere la decisione anche in sua assenza sulla base della documentazione di cui dispone in quel momento (art.13, c.1, D.p.r. 303/2004). L’audizione poteva essere rinviata se l’interessato otteneva il rinvio per gravi e fondati motivi (art.13, c.2, D.p.r. 303/2004). Durante l’audizione il richiedente asilo poteva farsi assistere da un avvocato. Durante tutta la fase del procedimento l’interessato poteva presentare alla Commissione Territoriale competente o a quella Nazionale nuove memorie o documentazione relativa al suo caso (art.14, c.5, D.p.r. 303/2004).

Entro i tre giorni successivi dalla prima audizione la Commissione adottava una decisione sulla base dei requisiti previsti dalla Convenzione di Ginevra e valutava se fosse possibile applicare l’art.5, c.6 d.lgs. 286/1998102. Questa novità introdotta dal

101 Come previsto dall’art 1-bis introdotto dalla legge 189/2002

102 “Qualora il richiedente non sia in possesso dei requisiti previsti dalla Convenzione di

Ginevra ma, valutate le conseguenze di un rimpatrio alla luce degli obblighi derivanti dalle Convenzioni internazionali delle quali l'Italia è firmataria e, in particolare, dell'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848” (art.15, c.2, lettera c.)

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decreto era molto importante perché obbligava la Commissione a valutare la possibilità che fossero presenti le condizioni per il riconoscimento di una protezione umanitaria senza che l’interessato ne abbia presentato una richiesta specifica, ipotesi che non è ancora oggi contemplata per quanto riguarda invece la protezione sussidiaria.

La decisione veniva comunicata all’interessato insieme alle informazioni relative alle modalità di impugnazione o alle possibilità di chiederne il riesame.

La decisione di rigetto del ricorso era immediatamente esecutiva e se non era stato riconosciuto lo status di rifugiato o un permesso di soggiorno ad altro titolo si era tenuti a lasciare il territorio nazionale (art.15, c.5, D.p.r. 303/2004).

Colui che era trattenuto in un centro di identificazione in base all’art.1-ter, c.6, l.189/2002 poteva presentare il ricorso entro cinque giorni dalla prima decisione e la Commissione doveva procedere entro dieci giorni al riesame della disposizione. Il ricorso si doveva basare su:

“Elementi sopravvenuti ovvero preesistenti, non adeguatamente valutati in prima

istanza, che siano determinanti al fine del riconoscimento dello status di rifugiato

(art.16, c.2, D.p.r. 303/2004)

Dato che la domanda di riesame non sospendeva il provvedimento di allontanamento l’interessato poteva chiedere al prefetto l’autorizzazione a rimanere sul territorio dello Stato, in questo caso il richiedente era trattenuto nel centro di permanenza temporanea103.

La richiesta doveva essere motivata sulla base di elementi sopravvenuti che dimostrassero il reale rischio all’incolumità o alla libertà personale, ovvero gravi motivi personali che rendessero necessaria la sua permanenza sul territorio. Il prefetto rilasciava l’autorizzazione solo se verificava che non sussisteva il pericolo che lo straniero utilizzasse il tempo aggiuntivo per sfuggire dall’esecuzione del provvedimento di espulsione.

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Se veniva concessa l’autorizzazione era rilasciato un permesso di soggiorno non superiore ai sessanta giorni rinnovabile se persistevano le condizioni che ne avevano legittimato la presenza sul territorio (art.17, c. 4, D.p.r. 303/2004).

Entro tre giorni dalla domanda di riesame la Commissione veniva integrata con un componente della Commissione Nazionale e poteva quindi procedere con una seconda audizione dell’interessato. La decisione al ricorso veniva comunicata entro le quarantotto ore successive al tribunale competente.

All’interno della Convenzione di Ginevra sono elencati i casi in cui è possibile revocare lo status di rifugiato104. Nell’ordinamento italiano non era però presente

alcuna disposizione che regolasse la procedura di revoca dello status ad eccezione del nuovo art.1-quinquies, c. 2, l.n. 39/1990 introdotto dalla l.n. 189/2002 che come abbiamo visto riconosce nella Commissione Nazionale l’autorità competente all’esame della revoca o della cessazione dello status.

La cessazione dello status di rifugiato viene regolata da una circolare del Ministero dell’interno che nei casi di revoca dello status prevede l’applicazione della stessa procedura prevista per il riconoscimento dello stesso.

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