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Il processo di internazionalizzazione

Nel documento Reti di contratti e reti di imprese (pagine 38-41)

Un altro importante fattore da prendere in considerazione è rappresentato dall’ internazionalizzazione.

I processi di internazionalizzazione stanno avendo profondi riflessi sui modelli organizzativi delle singole imprese e, quando esistenti, delle reti. Accanto al gruppo transnazionaie si è sviluppata la rete. L'affermazione del modello reticolare ha comportato l'adozione di nuovi modelli di collaborazione tra PMI sul piano nazionale e transnazionale.

Si tratta di relazioni con caratteristiche diverse rispetto a quelle tipicamente operanti nei contesti distrettuali tradizionali. Questa diversità ha prodotto l'impiego di nuovi modelli contrattuali.

Ma appare di tutta evidenza il problema della disciplina applicabile a tali rapporti, connotati da elementi di estraneità.

Una prima indicazione può forse derivare dal ricorso alla lex mercatoria28.

La lex mercatoria si sviluppa intorno al modello delle grandi imprese mentre le differenze istituzionali permangono con riferimento alle PMI. Occorre però distinguere tra:

28

Cfr. GALGANO-MARRELLA, Diritto del commercio internazionale, Padova, 2007; MARRELLA, La nuova lex mercatoria

1) la dimensione nazionale, 2) la dimensione europea29,

3) le dimensione intercontinentale.

Un ruolo rilevante hanno con riferimento al secondo e terzo profilo il diritto internazionale privato, la cui legge fondamentale per l’Italia è la 218 del 1995.

Tale normativa, per le obbligazioni contrattuali, richiama la Convenzione di Roma ed il regolamento Roma l.

In assenza di riferimenti specifici alle reti contrattuali, si deve ritenere che la disciplina applicabile sia quella generale riguardante i contratti, prevista in via generale dall’art. 57 della sopracitata legge, che rinvia ai criteri della Convenzione.

La scelta del diritto applicabile spetta alle parti e, solo in mancanza di indicazioni, vengono definite regole che fanno riferimento alla prestazione caratteristica.

In realtà tale criterio, pensato per contratti bilaterali essenzialmente di vendita, mal si attaglia a fenomeni reticolari in cui l'elemento connotante è l'interdipendenza.

Infatti non esiste una regola specifica per i contratti plurilaterali ai quali, dunque, si applica la disciplina generale pensata per i contratti bilaterali, sebbene la nozione di prestazione caratteristica possa avere diverso significato in questo contesto.

L'introduzione di un regime specifico per le reti transnazionali alla quale dovrebbe associarsi una norma di diritto internazionale privato potrebbe incentivare la costituzione di reti transnazionali ridefinendo il

29

In ambito comunitario si segnala la Raccomandazione della Commissione del 6 maggio 2003 (relativa alla definizione delle microimprese, piccole e medie imprese, Z003/361/CE) e quelli di policy relativi invece al finanziamento di attività dirette a promuovere la cooperazione e la formazione di reti a livello internazionale (Decisione n. 1639/2006/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 2006 che istituisce un programma quadro per la competitività e l'innovazione (007/013),GUCE L 310/15)

concetto di prestazione caratteristica alla luce della funzione di coordinamento della rete.

Tale differenza si giustifica non solo per il molo del diritto europeo ed internazionale privato per le reti transnazionali europee e intercontinentali, ma anche per i riferimenti agli usi ed alle pratiche nei due contesti.

Un problema rilevante concerne, anche sul piano europeo ed internazionale, la distinzione tra reti contrattuali condistribuzione di potere simmetrico ed asimmetrico tra i partecipanti.

Con riferimento alle seconde, le indicazioni derivanti dalla lex mercatoria, anche integrata dai Principi Unidroit, non sono sufficientemente omogenee da configurare una disciplina compiuta che tenga in adeguata considerazione l'asimmetria di potere tra le imprese partecipanti alla rete.

Occorre da ultimo prendere posizione circa l’atteggiamento dell’ Unione Europea in ordine allee negoziazioni transfrontaliere, il cui incremento qualitativo e quantitativo costituiscono, ad avviso della Commissione, una conditio sine qua non del raggiungimento di due obiettivi fondamentali per lo sviluppo del mercato interno. Da un lato, l’armonizzazione dei prezzi praticati all’interno del mercato per i medesimi beni e servizi, armonizzazione che in un sistema che tende alla concorrenza perfetta conduce ad un livellamento degli stessi verso il basso; dall’altro l’ampliamento e la diversificazione dell’offerta di prodotti attingibili da parte dei consumatori, ciò che consentirebbe a costoro di accedere anche a beni e servizi qualitativamente migliori o più innovativi rispetto a quelli offerti da imprese stabilite nel Paese in cui risiedono, finendo così per stimolare una effettiva concorrenza tra le imprese.

Le differenze di legislazione nazionale di fatto impediscono ai professionisti di adottare prassi commerciali e campagne pubblicitarie

uniformi, costringendoli di volta in volta ad adattare contenuti e caratteristiche delle attività promozionali alle specifiche peculiarità delle singole legislazioni vigenti nei Paesi in cui intendono commercializzare i propri prodotti, beni o servizi che essi siano, e per tal via costringendoli ad affrontare rilevanti rischi e a sostenere importanti costi per pubblicizzare i propri prodotti in mercati diversi da quello nazionale. D’altro canto si è constatato che a frenare i consumatori dissuadendoli dal porre in essere acquisti transfrontalieri sono, a parte le ragioni di ordine linguistico, logistico-temporale e fiscale ( regime IVA acquisti intracomunitari, obblighi di fatturazione e registrazione più stringenti etc.30), l’ignoranza delle leggi vigenti negli altri paesi e la tendenza a considerare meno sicuri i contratti conclusi con professionisti aventi la propria sede d’affari in altri Paesi.

Ecco perché l’eliminazione delle differenze è stata vista dagli organi comunitari come lo strumento più efficace per affrontare la situazione. Sull’altro versante, le imprese dovrebbero essere incitate ad offrire i propri beni e servizi anche ai consumatori residenti in altri Stati, stante che l’esistenza di principi uniformi dovrebbe, almeno in linea di principio, impedire che una data prassi sia considerata lecita in uno Stato e illecita in un altro, così da ammortizzare, ridurre se non neutralizzare i costi collegati a questi rischi.

Nel documento Reti di contratti e reti di imprese (pagine 38-41)