6. Profeta Zaccaria
7.1 Profeta Malachia
L’iscrizione musiva è presente nella decorazione parietale che fa parte del complesso della Cupola del Coro o dei Profeti, all’interno della Basilica di San Marco, a Venezia; il mosaico è opera del cosiddetto secondo laboratorio della cupola del coro, in cui si riconoscono le mani del Maestro di Isaia, del Maestro di Malachia e di Aggeo; esso risale al 1170 circa109 e si può supporre che l’iscrizione sia ascrivibile allo stesso arco cronologico.
La collocazione attuale risulta la stessa dell’origine, all’interno della basilica di San Marco, a Venezia. La tipologia del manufatto ha funzione didascalica, ed esso è costituito da tessere musive. Lo stato di conservazione risulta integro e completo; fu soggetto a dei restauri nel 1880-1890 ad opera di Saccardo, nel 1904-1908 da Manfredi e Marangoni e nel 1959-1966 da Forlati, ma i restauri non sembrano aver compromesso le iscrizioni110.
L’iscrizione figura in campo aperto e identifica la raffigurazione del profeta Malachia che si trova a sinistra, e funge da apparato iconografico; le misure non sono rilevabili.
Il tipo di superficie dell’area iscritta è piatta e il livello di stesura del testo risulta alla medesima quota; il numero delle linee è completo e sono assenti le linee guida.
La disposizione del testo è orizzontale e il numero di righe è completo; assenti le linee di guida. Lo spazio interlineare è regolare, mentre lo spazio fra le lettere risulta molto ravvicinato, soprattutto sul finire dell’iscrizione.
La tipologia scrittoria afferisce alla capitale romanica con intrusione di elementi onciali, in particolare nella M iniziale del nome Malachias; presente il contrasto fra pieni e filetti. La misura delle lettere non è rilevabile. L’impaginazione della scrittura è rettilinea destrorsa, mentre la tecnica di esecuzione prevede l’applicazione di tessere musive.
È presente un’unica abbreviazione, espressa con un nesso: alla terza riga, nella parola propheta, che viene introdotta dalla lettera P che presenta un prolungamento discendente verso il rigo di base, a partire dal punto di congiunzione mediano fra occhiello e asta, e che indica un segno tachigrafico; la lettera P si congiunge alla A finale tramite un tratto orizzontale, che indica la H e che pone tutte e tre le lettere in legamento. Assenti invece nessi e simboli, mentre si possono apprezzare le apicature.
I segni interpuntivi si presentano in forma di punto ad altezza mediana, alla fine della seconda riga, dopo Malachias, e in due punti nell’ultima riga, che racchiudono la parola propheta: le parole appaiono così separate.
Dal punto di vista paleografico, le lettere non presentano affinità morfologiche con i modelli di scrittura alla greca, ma è rilevante la presenza di un nodo nella parte mediana dell’asta di I, nel nome Malachias: questo dettaglio con funzione decorativa rimanda infatti alla tradizione scrittoria bizantina.
L’iscrizione viene riportata senza commento, ma trascritta e fotografata in Da Villa Urbani (1991) p. 27. Lo stato di conservazione appare integro e non sono presenti lacune epigrafiche.
1 Mala- chias
p(rop)h(et)a
7.2 Profeta Malachia
l’iscrizione musiva è presente nella decorazione parietale che fa parte del complesso della Cupola del Coro o dei Profeti, all’interno della Basilica di San Marco, a Venezia; il mosaico è opera del cosiddetto secondo laboratorio della Cupola del Coro, in cui si riconoscono le mani del Maestro di Isaia, del Maestro di Malachia e di Aggeo; esso risale al 1170 circa111 e si può supporre che l’iscrizione sia ascrivibile allo stesso arco cronologico. La collocazione attuale risulta la stessa dell’origine, all’interno della basilica di San Marco, a Venezia.
La tipologia del manufatto ha funzione didascalica, ed esso è costituito da tessere musive.
Lo stato di conservazione è integro e completo; fu soggetto a dei restauri nel 1880-1890 ad opera di Saccardo, nel 1904-1908 da Manfredi e Marangoni e nel 1959-1966 da Forlati, ma i restauri non sembrano aver compromesso le iscrizioni112.
L’iscrizione figura all’interno di uno specchio di corredo su fondo bianco, delimitato da una linea grigio-azzurra che viene a formare l’immagine di una pergamena, retta dalla rappresentazione del profeta Malachia, come viene identificato dall’epigrafe che si trova alla destra del capo, e che funge da apparato iconografico alla nostra iscrizione; le misure non sono rilevabili.
Il tipo di superficie dell’area iscritta è piatta e il livello di stesura del testo risulta alla medesima quota; il numero delle righe (sei) è completo e sono assenti le linee guida.
La disposizione del testo è orizzontale; assenti le linee guida.
111 DA VILLA URBANI 1991, p. 24. 112 DA VILLA URBANI 1991, p. 24.
Lo spazio interlineare è regolare, mentre lo spazio fra le lettere risulta molto ravvicinato, soprattutto nella parte finale dell’iscrizione; il testo dell’epigrafe è in scriptio continua.
La tipologia scrittoria afferisce alla capitale romanica con intrusione di elementi onciali; presente il contrasto fra pieni e filetti. La misura delle lettere non è rilevabile.
L’impaginazione della scrittura è rettilinea destrorsa, mentre la tecnica di esecuzione prevede l’applicazione di tessere musive.
Le abbreviazioni sono largamente presenti: alla prima riga, nella parola angelum, che ha un segno di compendio sopra la A e a metà asta della L; nella seconda riga, in meum, in cui l’assenza della nasale è segnalata da segno di compendio sulla U; nella terza riga, in faciem e tuam, dove anche in questo caso si avvisa della mancanza delle nasali tramite segno di compendio sulla vocale che precede; nella quinta riga, in preprabit, in cui la P iniziale presenta il segno di compendio, e infine nella sesta riga, in viam e tuam, dove ancora una volta i segni di compendio avvisano della mancanza di nasali.
Si riscontrano anche numerosi nessi: nella terza riga, in meum, in cui l’asta di M viene condivisa da A, e in ante, in cui la traversa di A e l’asta di N coincidono, e così anche l’asta di T e di E; nella quinta riga, in preparabit, in cui la traversa di A viene utilizzata da R come asta; infine, nell’ultima riga, in tuam, notiamo che l’asta di T funge da traversa per U.
Sono assenti legamenti e simboli; quasi del tutto assenti anche le apicature. Sono invece evidenti i segni interpuntivi in forma di punto, presente alla prima riga prima della parola ecce, ad altezza mediana.
Sotto il profilo paleografico, l’epigrafe presenta alla quarta riga, in faciem, la lettera E con forma tonda, che si ricollega ai modelli onciali o più verosimilmente alla morfologia di epsilon, e dunque al fenomeno di scrittura alla greca; in tutti gli altri casi in cui compare E (ecce, meum, ante), essa è di tipo capitale, con tratto mediano allineato.
Altri elementi che ricordano le scritture bizantine devono essere individuati nella fitta tessitura del testo: oltre a numerosi nessi e abbreviazioni, si nota la presenza di lettere di modulo inferiore, quali la I alla quarta riga, inclusa nella C di in faciem, e la I alla quinta riga, inclusa fra le traverse di U, in
qui. Può essere interessante rilevare anche la presenza delle lettere E e O in sovrapposizione,
presenti alla seconda riga, in mitto: esse non possono essere ricondotte al fenomeno di scrittura alla greca, ma la morfologia che viene a crearsi mi pare possa richiamare a livello grafico una phi greca, accorgimento forse non del tutto casuale in un simile contesto epigrafico.
L’iscrizione viene riportata senza commento, ma trascritta e fotografata in Da Villa Urbani (1991) p. 27. Lo stato di conservazione appare integro e non sono presenti lacune epigrafiche.
1 Ecce m-
itto a(n)g(e)l(um) meu(m) ante facie(m) tua(m)
5 qui p(re)para- bit via(m) tua(m)
8. Solomone re
L’iscrizione musiva si trova nella decorazione parietale che fa parte del complesso della Cupola del Coro o dei Profeti, all’interno della Basilica di San Marco, a Venezia; il mosaico è opera del cosiddetto secondo laboratorio della cupola del coro, in cui si riconoscono le mani del Maestro di Isaia, Maestro di Malachia e di Aggeo; esso risale al 1170 circa113 e si può supporre che l’iscrizione sia ascrivibile allo stesso arco cronologico.
La collocazione attuale risulta la stessa dell’origine, all’interno della basilica di San Marco, a Venezia. La tipologia del manufatto ha funzione didascalica, ed esso è costituito da tessere musive. Lo stato di conservazione risulta essere integro e completo; fu soggetto a dei restauri nel 1880-1890 ad opera di Saccardo, nel 1904-1908 da Manfredi e Marangoni e nel 1959-1966 da Forlati, ma i restauri non sembrano aver compromesso le iscrizioni114.
L’iscrizione figura all’interno di uno specchio di corredo su fondo bianco, delimitato da una linea più scura che viene a formare l’immagine di una pergamena, retta dalla raffigurazione di Salomone, come viene identificato dall’epigrafe che si trova alla destra del capo; la figura funge da apparato iconografico alla nostra iscrizione. Le misure non sono rilevabili.
Il tipo di superficie dell’area iscritta è piatta e il livello di stesura del testo risulta alla medesima quota; il numero delle righe (sei) è completo e sono assenti le linee guida.
La disposizione del testo è orizzontale; assenti le linee di guida.
Lo spazio interlineare è regolare, e così anche lo spazio fra le lettere; il testo dell’epigrafe è in
scriptio continua.
La tipologia scrittoria afferisce alla capitale romanica con intrusione di lettere onciali, il contrasto fra pieni e filetti è evidente; la misura delle lettere non è rilevabile.
L’impaginazione della scrittura è rettilinea destrorsa e la tecnica di esecuzione prevede l’applicazione di tessere musive.
Possiamo rilevare alcune abbreviazioni alla prima riga, in est, dove E viene sovrastata da segno di compendio, alla terza riga, in ascendit, che presenta segni di compendio sulle lettere C e D, e alla quinta riga, in consurgent, con segno di compendio sopra C.
I nessi sono distribuiti come segue: alla prima riga, in que, dove la traversa di U viene utilizzata come asta da E; alla seconda riga, in ista, dove l’asta di T viene utilizzata come traversa per A e in
que, alla stessa riga, in cui la traversa di U viene impiegata da E come asta; alla quarta riga, in sicut,
che vede la traversa di U che funge da asta per T e infine nell’ultima riga, in consurgens, dove la traversa di U viene impiegata come asta per R.
Non sono presenti legamenti o simboli, mentre invece sono evidenti le apicature; si nota anche un segno interpuntivo, in forma di punto ad altezza mediana della lettera, dopo l’ultima lettera che chiude l’iscrizione.
Sotto il profilo paleografico si nota la presenza di G a spirale nell’ultima riga, e assume un certo interesse la lettera E alla prima riga, in est, in quanto essa presenta una morfologia arrotondata che ricorda i modelli onciali ma che più verosimilmente è riconducibile alla morfologia di epsilon, e si inserisce dunque nel fenomeno di scrittura alla greca. Per il resto, il testo non appare particolarmente caratterizzato da elementi riconducibili alla tradizione bizantina.
L’iscrizione viene riportata senza commento, ma trascritta e fotografata in Da Villa Urbani (1991) p. 28. Lo stato di conservazione appare integro e non sono presenti lacune epigrafiche.
1 Que e(st) i- sta que asce(n)d(it) sicut au- 5 rora c(on)s- urgens
Il testo presente nell’epigrafe, relativo al sorgere dell’aurora, è tratto da Ct. 6, 10.