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IL PROGETTO NEL CONTESTO “STORICIZZATO”

Giancarlo Cataldi

vale perciò a “tessuto edilizio”, implicando l’azione perdurativa di più generazioni all’interno di una determinata area con re- quisiti potenzialmente urbani. Potrebbe insomma essere defi- nito più propriamente come “tessuto edilizio collettivo consoli- dato nel tempo”. Gli aspetti concettualmente più rilevanti di tale definizione sono senza dubbio la temporalità e la derivatività pluri-generazionale, che chiamano in causa i quesiti correlati della sua logica costitutiva e della sua conservazione trasformativa, intorno ai quali ruotano i succitati momenti processuali della “lettura” e del “progetto”. Il progetto è in tal senso una sorta di “scrittura”, che non si può apprendere se non dopo avere ovviamente imparato a scuola da piccoli a leggere (come dovrebbero fare di norma, subito ai primi anni, gli studenti delle facoltà di architettura).

C’è però una differenza fondamentale tra contesto linguistico e contesto ambientale, tra linguaggio e architettura: la comu- nicazione verbale è più rapida, universale e “volatile”: può es- sere cioè continuamente esperita da tutti e fissata eventual- mente su supporto cartaceo, mediante un codice convenzio- nale di trascrizione che correli strategicamente i suoni ai se- gni. Nel caso invece delle strutture edilizie, la loro ineludibile materialità e compresenza fisica (anche in relazione agli strati archeologici) implica una maggiore concretezza e durabilità della “scrittura progettuale”, che può essere attuata esclusivamente, da più persone, con maggiore fatica, sul comune supporto della superficie terrestre. Da qui la nozione onnicomprensiva di “ter- ritorio”, che può essere assimilato a un gigantesco “palinsesto”, geologico e antropico al tempo stesso, sul quale le continue

riscritture di pertinenza generazionale devono necessariamente tenere conto - a meno di eventi sconvolgenti e di traumatiche cancellature - del senso generale dei capitoli precedenti. Nella sua globalità e fisicità il territorio costituisce perciò il registro non falsificabile della storia dell’uomo sulla terra.

L’architettura può essere considerata pertanto a tutti gli effet- ti il linguaggio “naturale” delle forme edilizie. La sua fenomenologia manifesta parimenti due livelli distinti, succes- sivi e interrelati, quello spontaneo (il “parlato edilizio”) e quello intenzionale (la “scrittura architettonica”). Essa si trasforma e si evolve attraverso un processo ciclico, in origine subconscio lettura-progetto-costruzione, attuato in ogni area geo-mate- riale per risolvere le problematiche esistenziali protettive e produttive. L’esperienza delle soluzioni “vincenti”, progressi- vamente migliorative, determina nella mente di ciascun mem- bro della comunità la costituzione di un patrimonio collettivo di concetti edilizi (“tipi”), continuamente rinnovabile e incrementabile, che si può appunto definire in quanto tale “lin- guaggio edilizio”. Ad esso attingeva un tempo ogni “parlante edile” allorché si manifestava in lui la necessità di abitare.

Il meccanismo tipologico di trasmissione edilizia è dunque in tutto analogo a quello dialettico tra langue e parole ipotizzato da De Saussure nel suo Corso di linguistica generale: la

langue è una sorta di serbatoio concettuale dal quale ciascu- no può trarre alla bisogna i morfemi lessicali, le regole gram- maticali e i nessi sintattici che costituiscono la parole e con- sentono così fra parlanti la comprensività del discorso. In quan- to espressione individuale, la parole è perciò sempre poten- zialmente innovativa, cioè passibile di essere riportata di nuo- vo alla langue, alle cui modificazioni strutturali essa contribu- isce un po’ alla volta, sia pure impercettibilmente. Da qui la nozione di “stile” (da “stilo”, pugnale), che rappresenta la ca- pacità “puntuale” di determinati individui di essere riconosci- bili e riconosciuti nelle loro manifestazioni linguistiche, sia re- toriche che letterarie: essi tendono così a configurarsi tra i parlanti come modelli da imitare (e possibilmente emulare) in grado d’incidere più di ogni altro sulle trasformazioni della lin- gua. È chiaro che con la scrittura il fenomeno si specializza con la classe degli “scriba”, comportando tra l’altro il costitu- irsi dei generi letterari, tra cui in primo luogo la distinzione tra

“prosa” descrittiva e “poesia” creativa, tra prosus (da

“proversus” scrittura lineare diretta in avanti) e versus (scrit- tura bustrofedica che volta su se stessa e torna a capo). In architettura avviene qualcosa di analogo, fatte salve ovvia- mente le differenze strutturali ed espressive, relative ai diversi strumenti linguistici e alle diverse finalità comunicative: gli spe- cialisti-architetti emergono dalla massa dei parlanti-utenti- costruttori, allorché si manifesta con le prime società urbane la necessità di edifici speciali di pertinenza collettiva, dalla capanna del capo alla reggia, dall’area di culto totemico al

temenos sacro del tempio. L’architettura “civile” degli edifici speciali distingue qualitativamente la città dal villaggio, emer- gendo dal connettivo diffuso di cellule edilizie di abitazione che costituiscono il tessuto urbano. In relazione alla nozione di palinsesto territoriale, ogni città, in quanto area concentrata di sperimentazione tipologica, si configura sempre storicamente come una sorta di micro-cosmo denso e significante, da con- siderare a tutti gli effetti un sotto-capitolo peculiare della sto- ria edilizia del mondo.

Entriamo ora di sfuggita nei meccanismi del metodo lettura- progetto, che come si è detto può essere assimilato a un pro- cesso ciclico aperto di modificazioni asintotiche tra i due fat- tori del binomio, che si precisano e si giustificano dialetticamente a vicenda. La lettura, in quanto base conosci- tiva analitica, deve ovviamente poter disporre all’inizio di una rappresentazione “oggettiva” della situazione esistente, di una planimetria aggiornata dell’area su cui condurre il ragiona- mento ricostruttivo “progettuale”, ponendosi subito il quesito del momento formativo del contesto. In relazione al quale il rilievo della situazione edilizia esistente si colloca evidente- mente sul vertice opposto della scala dei tempi, costituendo il punto finale necessario per colmare ipoteticamente (progettualmente) la lacuna delle fasi intermedie. Ancora oggi il modo migliore per iniziare la lettura è “misurare e rappre- sentare con gli occhi e con le mani” per prendere dimesti- chezza con le relazioni dimensionali e figurative tra le varie componenti del contesto. Operazione, dunque, non meramente “tecnica”, meccanica e impersonale, ma strumento privilegia- to dell’architetto per “proiettare” e fissare nella mente l’im- magine e le valenze metrico - spaziali dell’area in cui è desti- nato il progetto.

Tale approccio per così dire “figurativo” va poi integrato con

la fase più mediata e meditata della ricerca storico- archivistica, che non a caso ha per oggetto quasi esclusivamente la docu- mentazione scritta (quella storico - iconografica è in genere più scarsa), e come obiettivo la ricostruzione della successio- ne delle “aspirazioni generazionali” che hanno progressiva- mente determinato la strutturazione del contesto: dando così per scontato l’inscindibile legame di relazione causale che esi- ste sempre tra il programma abitativo (funzionale) e il corrispettivo architettonico (formale) che lo rappresenta in concreto. Non si può pensare evidentemente di portare avanti la ricostruzione progettuale di un particolare contesto edilizio, senza prima conoscere le necessità, le ragioni e le istanze ci- vili che sono state alla base della sua edificazione.

La lettura è la sintesi tra i due momenti precedenti. Non è questa però la sede per affrontare il tema della metodologia della nostra scuola: mi limiterò a presentare in figura i due quadri incrociati di riferimento più generali, per dare di essa una raffigurazione sintetica sufficientemente ampia e com- prensibile. Il primo quadro “scalare” (fig. 1) presenta sull’asse orizzontale le quattro grandi scale del costruito (edificio, aggre- gato, città, territorio) e su quello verticale i corrispettivi “gradi” o componenti processuali interni (tipo, tessuto, impianto, organi- smo). Il secondo quadro “ciclico” alla scala del territorio (fig. 2) presenta invece sull’asse orizzontale le quattro progressive fasi di antropizzazione (di monte, di pendio, di valle e di piano), e su

quello verticale gli stessi gradi del quadro precedente, definiti però con termini più pertinenti dal punto di vista territoriale (in- sediamenti, poderi, percorsi e confini). In entrambi, le caselle d’incrocio individuano le 16 più importanti soluzioni tipiche. Vorrei invece concludere queste note, provando a immagina- re il cambiamento progettuale che potrebbe essere indotto dall’applicazione sistematica da parte di un numero sempre maggiore di architetti del metodo della lettura del contesto fi- nalizzata al progetto. Dove la nozione di “lettura”, implica evi- dentemente una piattaforma semantica comune con la pro- gressiva acquisizione di automatismi interpretativi validi per tutti e da tutti riconosciuti. Da qui l’ipotesi del “principio di

convergenza delle letture e di divergenza dei progetti” (fig. 3), che potrebbe così essere concepito nelle sue due proposi- zioni costitutive, affermanti in successione:

1) “letture di uno stesso contesto, condotte da persone diverse con la stessa metodologia, danno luogo a interpretazioni convergenti”; 2) “i progetti derivanti da tali letture, per quanto diversi e indi- vidualmente divergenti, dovrebbero di conseguenza risultare tipologicamente affini e linguisticamente omogenei, proprio in virtù di tale loro implicita riacquisita compatibilità contestuale”. Sarebbe interessante, anche dal punto di vista epistemologico, poter verificare tale principio in un prossimo seminario progettuale.

Premessa

Se la bellezza della città o di un piccolo borgo è la positiva percezione estetica dello spazio urbano nel quale si svolge la vita comunitaria, possiamo dire anche che tale percezione este- tica è diffusa, condivisa ed apprezzata quando la struttura materiale del costruito rispecchi l’identità della città e degli abitanti, ne rafforzi il vincolo sociale comunitario, ne stimoli il senso di appartenenza e la memoria storica. Lo spazio urbano non va però letto come cristallizzato ed immutabile: proprio in quanto testo portatore di significati, non può che essere conti- nuamente reinterpretato in modi inediti da parte della comuni- tà, in relazione alle esigenze, ai desideri e alle speranze che caratterizzano le diverse epoche e i gruppi sociali. Il senso identitario dei luoghi urbani (e non) vive quindi di una tensione dialettica tra i bisogni (materiali) ed i desideri (immateriali) espressi dalla comunità e la “resistenza” opposta dalla struttu- ra materiale della città di pietra. In questa logica, il ruolo del progetto è quello di connettere temi e luoghi attraverso idee e suggestioni in grado di riscoprirne un senso dimenticato o di proporne di inediti, ponendo la comunità davanti ad uno o più scenari possibili più o meno alternativi e preferibili fra loro. Il progetto deve creare i presupposti perché si raggiunga un li- vello di lettura dei luoghi identitari tali da renderli attrattori di altre iniziative materiali ed immateriali.

Per definire i contenuti ed i limiti di una proposta di riquali- ficazione dello spazio urbano è indispensabile partire da una lettura storica e tipologica sia del tessuto urbano, inteso come quell’insieme dei processi fondamentali di trasforma-